FERRARO (Ferrario, Ferrari, Ferrara, Ferreri), Filippo de
È ignota la data della nascita, da collocarsi verosimilmente intorno alla metà del sec. XIV. Sicura è invece la sua origine siciliana. Sebbene sia stato anche ritenuto nativo di Tolosa, è documentato che la sua terra, e quella del padre Simone, fu Caltanissetta. Entrato, in data imprecisata, nell'Ordine carmelitano, ne divenne il provinciale per la Sicilia. La sua elezione precedette comunque il capitolo generale tenuto a Francoforte nel 1393, visto che da questo fu confermato nella sua carica.
Il duca Martino d'Aragona, reggente del Regno di Sicilia, gli donò il 12 sett. 1395un sussidio di 4 onze d'oro per i suoi studi in teologia. Contemporaneamente gli elargì, come provinciale, altre io onze per il restauro della chiesa carmelitana fuori le mura di Catania. Entrambe le somme gravavano direttamente sul prezzo dovuto dal ribelle catanese Giovanni de Tarento per ottenere il perdono regio. Il favore del duca si manifestò nuovamente il 5genn. 1396, quando Martino gli dette licenza per partecipare al capitolo generale di Piacenza. In linea con la propria politica di pieno controllo della Chiesa siciliana durante il grande scisma, il duca dichiarò che non avrebbe accettato l'eventuale nomina di un altro provinciale e promise al F. che, durante l'assenza dalla Sicilia, avrebbe sempre e in ogni caso riconosciuto la sua autorità ' impedendo qualsiasi dissidenza tra i carmelitani siciliani. Lasciando l'isola, il F. delegò le proprie funzioni al priore di Lentini, fra' Nicolò de Marino, con l'approvazione del duca (19 ott. 1396).
Confermato provinciale dal capitolo di Piacenza, e divenuto frattanto baccelliere, il 5 genn. 1397 fu, con Galcerando Peralta e Giovanni Perollo, uno dei procuratori nominati per la propria sottomissione dal ribelle Nicolò Peralta, conte di Caltabellotta, Sclafani e Calatafimi e signore di Caltanissetta. Due giorni dopo a Trapani, nella chiesa del monastero carmelitano dell'Annunziata, il F. prestò a nome del Peralta omaggio e giuramento di fedeltà a re Martino il Vecchio, in procinto di salpare per andare a prendere possesso del trono aragonese. Il 13 febbraio Martino il Giovane lo compensò, concedendo a lui e al padre due vitalizi annui, rispettivamente di 30 e 20 onze sulle tratte del porto di Agrigento. Inoltre il re di Sicilia il 9 apr. 1397 chiese a Bonifacio IX, a nome proprio e del re d'Aragona, che conferisse al F. la prima prelazia vacante nel suo Regno.
Poiché il proseguimento degli studi e l'insegnamento lo trattenevano a Roma "racione lecture per ipsum in alma urbe incepte ..." (Arch. segr. Vaticano, Reg. Lat. 59, f. 52v), il F. nominò come suo vicario in Sicilia fra' Giacomo de Petralia, con l'approvazione di Bonifacio IX (12 giugno 1398) e di Martino il Giovane (26 luglio). Nel capitolo generale riunito presso Firenze nel 1399 fu confermato provinciale, con l'estensione a Cipro dei suoi poteri. Divenuto ormai magister in theologia, fupure nominato reggente dello Studio romano e incaricato di promuovere presso la Curia pontificia per conto del suo Ordine il riconoscimento del culto del carmelitano siciliano Alberto degli Abati.
Resasi vacante la sede episcopale di Patti per la morte di Francesco Ermemir, il F. vi fu designato dal re. Un accordo concluso il 15 giugno 1401 prevedeva che egli avrebbe pagato al sovrano 200 onze in due rate, alla fine di agosto e di settembre. In cambio Martino il Giovane lo immise immediatamente nell'amminstrazione della diocesi, tanto in spiritualibus quanto in temporalibus, gli promise che avrebbe chiesto e ottenuto l'approvazione del re d'Aragona, il quale coamministrava il Regno di Sicilia, e si impegnò anche a intervenire presso Bonifacio IX per riceverne le relative bolle apostofiche e ottenergli l'esonero da ogni tassazione entro il mese di agosto, trascorso il quale ogni obbligazione economica assunta dal F. sarebbe cessata. Martino il Vecchio, il 30 luglio, disponeva invece dall'Aragona che l'amministrazione dell'episcopato di Patti fosse affidata al priore di S. Andrea di Piazza, Giovanni Soriano. Il 19 agosto, essendo la diocesi ancora vacante, la riscossione dei redditi episcopali per volontà di Martino il Giovane era comunque affidata a fra' Nicolò de Marino, il carmelitano che era già stato vicario del F", il quale a sua volta delegava il prete Giovanni de Gangi.
Bonifacio IX in un primo tempo nominò vescovo un altro ecclesiastico ma successivamente accolse le richieste siciliane. Difatti il 26 giugno 1402 trasferì ad Arborea il vescovo Paolo, da lui nominato, il quale sicuramente non era mai entrato in possesso della diocesi di Patti. Probabilmente il F., secondo una pratica corrente in casi analoghi, dopo avere ricevuto la diocesi in commenda dal re, era stato fatto eleggere dal capitolo episcopale. Sicché il 3 maggio 1402 Martino il Giovane, raccomandando ai vicari episcopali il conferimento in commenda di un beneficio riservato al vescovo di Patti, dichiarava di avergli scritto in proposito, in attesa della sua venuta. Il F. era infatti ancora a Roma, dove il 30 giugno e l'8 luglio, come nuovo vescovo eletto di Patti, in parte adempiva, in parte si impegnava ad assolvere gli obblighi fiscali verso la Camera apostolica e il Collegio cardinalizio, e il 25 luglio otteneva dal papa l'annullamento di tutte le concessioni e alienazioni di beni della mensa episcopale compiute dall'Ermemir. Finalmente l'8 sett. 1402 il re poteva comunicare ufficialmente che il papa, accogliendo la sua richiesta, aveva emanato le bolle canoniche, alle quali ordinava di dare esecuzione. Come provinciale dei carmelitani il F. fu sostituito da fra' Sergio de Vinchio di Sciacca.
Alla morte dell'arcivescovo di Messina Filippo Crispo, il F. ottenne dal re, il 12 genn. 1403, anche le importanti funzioni vitalizie di maestro cappellano. La nomina compensava evidentemente il ritardo della conferma pontificia all'episcopato di Patti e la mancata esenzione fiscale (giacché aveva già versato 100 fiorini alla Camera apostolica e altri 600 aveva promesso di pagare in due rate, per la Pasqua e per l'Assunzione di Maria). Pertanto non era venuta meno l'obbligazione di versare al re 200 onze, pari a 1.000 fiorini, in cambio dell'episcopato. Il 23 febbr. 1403 il F. aveva già pagato 123 onze in quattro soluzioni, tramite il vicecancelliere del Regno, Antonio de Bifaro. Per la sua residenza il 3 apr. 1403 ebbe in uso dal sovrano il castello di Patti. Il 10 marzo 1404 Martino il Giovane gli concesse inoltre l'esenzione dalle gabelle del vino e delle carni per le esigenze di tutta la familia episcopale. Pare però che il F. approfittasse dell'esenzione per fame un uso improprio, impadronendosi della gestione delle gabelle, sia a Patti, sia nelle altre località del distretto cittadino: Librizzi e Gioiosa Guardia. Intervennero pertanto i maestri razionali, ordinando il 24 settembre al vicesecreto della città di ripristinare i diritti del Fisco. Il provvedimento fu immediatamente annullato dal re, il quale il 2 ott. 1404 dispose che il F. non fosse disturbato nelle sue pratiche, in mancanza di una decisione giudiziale.
Qualche mese dopo una nuova disputa oppose il F. al capitano della città, il messinese Giovanni Crisafi. Lo scontro fu violento, perché vi rimasero coinvolti seguaci e fautori delle due parti, con conseguente strascico di liti in materia civile e criminale. Il re intervenne nuovamente a protezione dei vescovo contro i propri officiali: il 9 apr. 1405 dispose che per tutto quell'anno le questioni riguardanti i servitori del F. fossero sottratte al capitano regio e sottomesse alla giurisdizione del baiulo e dei giudici della città, per evitare sospetti di parzialità. Il capitano vi si attenne polemicamente con solerzia anche eccessiva, negando l'esecuzione a una sentenza pronunciata a petizione del F. e trattenendo presso di sé il mandato di esecuzione, sicché il 14 maggio 1405 il re fu costretto a ordinargli la consegna del mandato ed incaricare altri dell'esecuzione.
I contrasti prodotti dall'attività del F. e le relative "altercacioni" coinvolsero anche l'ambito strettamente ecclesiastico. Il fatto di aver sostituito l'arcivescovo di Messina come delegato apostolico in una restituzione di beni della mensa episcopale di Lipari a un cittadino di quella città aveva costituito probabilmente soltanto una irregolarità formale, che fu sanata l'8 maggio 1405 da Innocenzo VII con la ratifica del suo operato. Un contrasto giurisdizionale con la badessa dei S. Salvatore richiese invece l'intervento del re, il quale il 20 febbr. 1406 ordinò al capitano di Patti di raccogliere le dichiarazioni delle due parti. Protestarono inoltre i preti e il clero di Santa Lucia nella Piana di Milazzo, località vicina, ma fuori dal territorio della diocesi di Patti. Il F. aveva infatti cercato di farli contribuire ugualmente, col pagamento di 5 onze, alla sovvenzione imposta dal re per la costruzione delle galee. Questa volta Martino si pronunciò contro le pretese del F., ma il 2 giugno successivo il sovrano gli riconobbe il diritto consuetudinario a calare la tonnara nel mare di Roccabianca.
Venne intanto istruita la controversia con il Fisco per la questione delle gabelle. Il 9 luglio 1406 il re dispose l'interrogatorio sulla materia dei giurati di Patti. La revoca nel marzo 1408 della concessione del castello, che tornava in mano al re, sembra indicare che le proteste suscitate dal F. avevano prodotto qualche effetto, indebolendone la posizione, benché il re gli assegnasse come nuova residenza, riservandola anche ai successori nell'episcopato, il palazzo che era stato del conte Bartolomeo d'Aragona. Per la manutenzione del castello di Patti, per il trabucco e le altre armi lasciatevi e per le opere murarie compiute, il 2 ag. 1408 il F. ottenne un rimborso di poco superiore alle 60 onze. Non sappiamo se facevano parte di questa somma, o ad essa si aggiungevano, le 50 onze ancora non pagate al F. il 6 novembre dello stesso anno e destinate a provvedere alle riparazioni del nuovo palazzo episcopale. Le spese per la guarnigione rimasero a carico del vescovo anche dopo il rilascio del castello. Il 12 nov. 1409 il F. lamentò che il castellano gli avesse fatto pagare il corrispettivo per quattro guardie, mentre secondo le disposizioni ve ne erano soltanto tre.
Il 10 giugno 1408 il F. fu delegato da Gregorio XII, insieme con il vescovo di Siracusa, Tommaso de Herbes, a ricevere il giuramento di fedeltà dal nuovo vescovo di Catania, Mauro Calì. La regina Bianca di Navarra, rimasta a governare il regno come vicaria dopo la morte di Martino il Giovane, dispose il 14 nov. 1409, che si approntassero immediatamente le somme per una imminente partenza del F. per la Catalogna, evidentemente con funzioni di suo ambasciatore presso il suocero Martino il Vecchio, ora anche re di Sicilia. Anche dopo la morte di quest'ultimo (31 maggio 1410) il F. rimase fedele alla regina nel conflitto che la opponeva al gran giustiziere Bernardo Cabrera. Il 2 maggio 1411 Bianca di Navarra gli delegò con pieni poteri la ridistribuzione dei beni sequestrati ad alcuni fautori del Cabrera, i quali avevano provocato una rivolta nella città di Patti. Temendo nuovi disordini e la liberazione dei prigionieri che il F. aveva rinchiuso nel castello, il 7 giugno 1411 la regina lo invitò a tornare nella sua sede episcopale, per controllarvi la situazione e ridurre la città all'obbedienza.
Nonostante l'opposizione manifestata da Bianca al papa della linea pisana il F. abbandonò l'obbedienza a Gregorio XII per aderire a Giovanni XXIII, insieme con l'arcivescovo di Messina, Tommaso Crisafi. Il 23 ag. 1411 Giovanni XXIII nominò i due vescovi suoi esecutori per l'insediamento di Giovanni Ruffo come priore messinese dell'ospedale di S. Giovanni gerosolimitano. L'11 febbr. 1412 il F. venne nominato dal papa suo cubicularius.
Dopo l'investitura data dall'antipapa Benedetto XIII a Ferdinando I, Bianca, quale vicaria dei nuovo re, il 25 nov. 1412 rinnovò al F. l'ordine di rispettare i diritti del sovrano in materia di gabelle, tanto più che le entrate erano necessarie per la guardia di alcuni castelli e in particolare di Capo d'Orlando. Nel settembre 1413 il F. fu incaricato dal Parlamento di Catania, insieme con Ubertino de Marinis e Giovanni Moncada, di presentare al re le richieste siciliane. L'ambasceria, giunta a Saragozza nell'aprile 144, discusse con Ferdinando sia delle aspirazioni siciliane all'autonomia, sia della confusa situazione ecclesiastica determinata dallo scisma, Per la quale il re impose l'obbedienza a Benedetto XIII.
Il F. ottenne per se stesso il trasferimento alla più ricca diocesi di Agrigento, disposto da Benedetto XIII il 12 marzo 1414. Inoltre, il 12 maggio, Ferdinando I lo reintegrò nelle funzioni di maestro cappellano, già da lui affidate all'arcivescovo Crisafi, e l'11 ag. 1414 lo nominò suo consigliere. A fine settembre fu incaricato da Benedetto XIII, insieme col de Marinis e con Martino de Turribus, di provvedere al passaggio di tutta la Chiesa siciliana alla sua obbedienza e di sovrintendere alla predicazione che a tale fine dovevano svolgere alcuni frati mendicanti. Nel 1417 fu confermato ad Agrigento dal neoeletto papa Martino V. Dopo avere approvato l'elezione dell'abate Giovanni de Porto, il 10 maggio 1421 il F. riaffermò i diritti dell'episcopato agrigentino sul monastero di S. Maria del Bosco di Calatamauro, nonostante l'esenzione concessa da Bonifacio IX.
Morì prima del marzo 1422, quando fu eletto il suo successore.
Nessun riscontro documentario trova l'affermazione che fosse stato trasferito ad altra sede e nominato cardinale. Gli sono stati attribuiti una epistola e alcuni sermoni (De festis deiparae virginis Mariae; De tempore; De sanctis). IlF. non va confuso con Pietro de Firrera (o Firrerio, o Ferrara), cistercense catalano del monastero di Santes Creus, inviato in Sicilia nel 1401 perché vi assumesse le funzioni di cappellano maggiore e dal 1404 commendatario del priorato di S. Maria de Sabuci a Licata.
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