DE MARTINO, Filippo
Nacque nel 1702, da Gaetano e da Isabella Francipane Allegretti dei duchi di Mirabella, a Fragneto Monforte, presso Benevento, dove la "nobile ed antica" famiglia beneventana De Martino possedeva un palazzo e terre. Studiò presso i gesuiti, prima nel collegio di Benevento e poi nel collegio Massimo a Napoli, dove fu chiamato da uno zio gesuita (Francesco Saverio), che curò la sua educazione dopo la morte del padre. Fu ordinato sacerdote a Benevento e si stabilì a Napoli. Tutti i repertori riferiscono, inoltre, che ottenne dal pontefice Pio VI l'abbazia nullius, "con pingui benefizi ecclesiastici", in Apice, Castelpoto e Mirabella, senza specificare la data, ovviamente non anteriore al 1775.
Latinista, epigrafista, autore di opere erudite e di versi in dialetto napoletano, socio dell'accademia del collegio di S. Tommaso d'Aquino e censore della Reale Accademia delle arti e delle scienze, il D. ebbe illustri amicizie (Baldassarre Cito, Luigi de Medici, Francesco Ricciardi, Gennaro Vico, Eleonora Fonseca Pimentel) e fama di uomo dottissimo.
Tutte le sue opere edite - non ne firmò mai nessuna, preferendo l'anonimato o gli pseudonimi "Hirpinus vates" e "Hirpinus poeta" - rimandano agli anni Ottanta, il felice decennio del Regno delle due Sicilie che vide uniti nel riformismo monarchia e intellettuali. Del 1786 è una traduzione in esametri latini, con testo a fronte, del Temple de Gnide (Paris 1724) di Ch.-L. Montesquieu (Templum Gnidi. Latinis versibus redditum ex auctiori graeco MS. Ab Anonymo, Neapoli 1786); e del 1787 un'opera erudita: Ad sex primorum Caesarum genealogicam arborem commentaria. Pio VI P. M. dicata, Neapoli 1787. Del 1789 è, infine, la risposta all'England und Italien (Leipzig 1785) di Johann Wilhelm von Archenholz che, mosso da incondizionata ammirazione per le istituzioni inglesi, finiva coi non comprendere e svilire quelle profondamente diverse d'Italia.
Riferendosi in particolare a Napoli, l'Archenholz trascorreva ad una serie di accuse che conclamavano l'assenza, in quella città, di ogni forma di vita civile. Se tale giudizio appare non del tutto gratuito, innegabili erano la vitalità e la ricchezza della cultura napoletana. Erudizione, filosofia e letteratura si univano agli studi scientifici, giuridici ed economici e l'apertura degli intellettuali illuministi verso quanto di nuovo veniva dalla Francia non ne incrinava il solido legame con le tradizioni culturali italiane. Proprio questi intellettuali cominciarono ad avvertire "i segni di un amor nazionale e di un sentimento di onore, affatto diverso dalle vanità e vanterie municipalistiche, solite in passato;e quando scrittori forestieri giudicarono ingiuriosamente delle cose e dei popoli dei Regno, più di uno insorse a rintuzzare le offese" (B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari 1925, p. 175). Il D. rispose all'Archenholz enumerando tutti i letterati napoletani in una lunga invettiva in versi: Hirpini poetae in Germanum Penthecatosticon, Neapoli 1789.
Con il Penthecatosticon sonostampati una trentina di componimenti in versi latini tra i quali un'Apologia dello scioglimento della Compagnia di Gesù e la traduzione in esametri di due brani della DivinaCommedia: AdCan. 19. Inf. (vv. 67-120, confessione di Niccolò III e risposta di Dante) e AdCan. 27 Inf. (vv. 85-104, accusa di Guido da Montefeltro contro Bonifacio VIII). Questi due brani sono quanto ci resta degli oltre seicento versi che il D. compose per colmare le lacune della versione in latino della Divina Commedia diCarlo d'Aquino (Della "Commedia" di Dante Alighieri trasportata in verso latino, Napoli 1728), il quale, con la medesima spietata costanza con cui aveva condotto a termine il suo lavoro, aveva implacabilmente espunto tutti i passi concernenti la corruzione della Chiesa e dei pontefici. In un altro gruppo di componimenti viene rimproverata e schernita Eleonora Fonseca Pimentel per il ritardo di alcuni versi promessi all'abate, che però si affretta a stendere una Palinodia allorché i versi finalmente arrivano.
Nato all'inizio del secolo, il D. aveva visto i tristi anni della reggenza chiudersi e il Regno tornare ad avere un re e, come tutti i contemporanei, aveva accolto l'evento con giubilo e con la convinzione di assistere ad un fatto di rilevante importanza storica. I sovrani, fiancheggiati dall'intellighenzia, avevano intrapreso la strada delle grandi riforme e la loro serenità e potenza si riflettevano nel Regno. Questo il mondo aureo del D. che, nel 1789, allorché furono pubblicati gli statuti per la costituzione della colonia dei lavoratori della seta di San Leucio, improntati a principî russoiani, esaltava Ferdinando IV come: "No Ddio calato da cielo celoro / C'ha fatto rennovà li tiempe d'oro" (i versi appartengono alla lunga parafrasi napoletana di un componimento in latino; componimento e parafrasi si trovano nel volume a cura di D. Cosmi, Componimenti poetici per le leggi date alla nuovapopolazione di Santo Leucio da Ferdinando IV re delle due Sicilie, Napoli 1789, pp. 100-103).
Nulla offusca il sereno mondo del De Martino. L'impegno degli intellettuali illuministi - per altro leali sudditi e consiglieri del sovrano - nell'impietosa indagine critica sulle condizioni di mortificante arretratezza del Regno, non lo sfiora. I suoi versi hanno sempre un tono divertito e disimpegnato e dagli scrittori contemporanei fu sovente ricordato per la facilità versificatoria e per alcuni componimenti, curiosi assai, quali un'elegia dedicata a Gaetano Ciccarelli che gli aveva inviato in dono del cioccolato (Ad Caietanum Ciccarellum de potione Ammericana, cum notis etiam metro ligatis) e un epicedio con iscrizione sepolcrale in memoria di un pappagallo morto "per sola causa di jettatura" (alcuni versi del componimento latino, con la versione napoletana, si trovano in N. Valletta, p. 38).
Nient'altro sappiamo del D. se non ch'ebbe una sorella (Maria Gabriella) morta in odor di santità, e che nel 1792, ormai nonagenario e "isenza pensione", viveva a Fragneto Monforte a carico di un nipote. Morì nel 1794, mentre l'esperimento riformistico napoletano collassava e i Borboni dell'età dell'oro del D. esordivano nel ruolo di ottusi persecutori di ogni istanza innovatrice.
Oltre alle opere già ricordate, ci restano del D. alcuni fogli a stampa con epigrafi e componimenti poetici contenuti in volumi miscellanei della Biblioteca nazionale di Napoli: Carmina. VI viris Sanctioris Regis Consilii quod suo augusto interventu theatrum redivivam Andrian exhibens honestare dignati ad gratitudinis monumentum haec vatis sub sipario latentis extemporanea plaudentia [1778]; Iscrizioni per i funerali [di Maria Teresa d'Austria] celebrati [il 22 gennaio 1781] nella chiesa di S. Eligio; In funere Caroli III inscriptiones (sta con Ne' solenni funerali di Carlo III monarca delle Spagne... Orazione delp. maestro Ottavio Clarizia, Napoli 1789); Ad Gregorium Bisogni altero didodecasticho ex tempore Hirpini Vatis gratulario; Ad marchionem Xav. Simonettam Hirpini poetae gratulatio, seguito da una Palinodia. Tre componimenti in versi latini indirizzati dal D. a Gennaro Vico, che si trovavano tra le carte di quest'ultimo, sono stati pubblicati - insieme con la risposta in prosa latina di Gennaro Vico - da G. Gentile (in Studivichiani). I biografi ci ricordano ancora una Turdeide, inedita "per la morte del consigliere Pietro Patrizio che dovea farla imprimere" (Napoli Signorelli); e un Manuale cronologico, opera "ch'essendosi pubblicata senza esser da lui riveduta, uscì così travisata, e di errori ripiena, che l'autore non volle riconoscere mai per sua" (Villarosa).
Fonti e Bibl.: E. Campolongo, Sepulcretum amicabile, I, Neapoli 1781, p. 18; L. Giustimani, Memorie istor. degli scrittori legali del Regno di Napoli, III, Napoli 1788, p. 63; P. Napoli Signorelli, Vicende della coltura nelle due Sicilie, VII, Napoli 1814, pp. 223-28, 284; N. Valletta Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura:Napoli 1819, pp. 37 s.; C. A. Villarosa, Ritratti poetici con note biografiche di alcuni uomini illustri del sec. XVIII nati nel Regno di Napoli, Napoli 1842, pp. 38, 129-131; P. Martorana, Notizie biografiche e bibliogr. degli scrittori del dialetto napolitano, Napoli 1874, pp. 294 s., 451; C. De Nicola, Diario napoletano 1789-1825, II, Napoli 1906, p. 153; B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799. Biografie, racconti, ricerche, Bari 1912, pp. 17 s.; Id., Nuove ricerche sulla vita e le opere del Vico e sul vichianesimo, in La Critica, XVII (1919), pp. 307 s.; A. Vannucci, I martiri della libertà ital. dal 1794 al 1848, Firenze 1925, p. II; G. Natali, Il Settecento, I, Milano 1929, pp. 528 s.; A. Zazo, Una sommossa a Fragneto Monforte nel 1792, in Samnium, XXX (1957), pp. 108 s.; G. Solari, Studi su F. M. Pagano, Torino 1963, pp. 179 s.; G. Gentile, Studi vichiani, Firenze 1968, pp. 254-60; A. Zazo, Diz. bio-bibliografico del Sannio, Napoli 1971 pp. 147 s.