Nerli, Filippo de’
Nato a Firenze da Benedetto e da Cassandra Martelli, nel quartiere di S. Spirito il 9 marzo del 1486 (Arrighi 2013), da antica e nobile famiglia, citata da Dante (Paradiso XV 115-17), N. è esponente di spicco della più giovane generazione legata al potere dei Medici negli anni di passaggio dalla Repubblica al principato (il nonno di Filippo, Tanai, era stato gonfaloniere di giustizia nel 1472 e nel 1494), e storico di rilievo degli eventi cittadini nei Commentari de’ fatti civili occorsi nella città di Firenze dall’anno 1215 all’anno 1537 (ed. critica a cura di S. Russo, 2007, di seguito abbreviati in Commentari). I suoi rapporti amichevoli con M. sono testimoniati da scambi epistolari, dall’apprezzamento e dal sostegno in favore delle sue opere, e dalla funzione di suo esecutore testamentario (27 nov. 1522).
Non molto si sa della formazione di N., se non che studiò con l’umanista Benedetto Riccardini, discepolo di Poliziano e curatore di opere latine (con il soprannome di Philologus presso la tipografia di Filippo Giunta il Vecchio) il quale, nell’ottobre 1503, gli indirizzò l’edizione di Orazio, con dedica «docto iuveni» (D. Decia, Annali 1497-1570, in I Giunti tipografi editori di Firenze, 1497-1570, a cura di R. Delfiol, 1978, p. 66 e passim). Evento decisivo nella vita di N. fu, nel 1511, il matrimonio con Caterina Salviati, figlia di Iacopo e di Lucrezia de’ Medici (nipote di Lorenzo de’ Medici e sorella di quella Maria che fu sposa del condottiero Giovanni de’ Medici, detto dalle Bande Nere, e madre di Cosimo I). Questo legame gli permetterà, tra l’altro, di farsi attento osservatore, interessato e partecipe, dei «fatti civili», delle trasformazioni politiche e sociali di Firenze, alle quali sarà dedicata la stesura dei suoi Commentari. La carriera di N. nell’entourage mediceo inizia nel 1512, caduta la Repubblica soderiniana: nel 1515 è uno dei sedici gonfalonieri di compagnia, poi priore di libertà, membro degli Otto di Guardia e di Balìa e podestà di Prato. Nel 1524, subentrando a Francesco Guicciardini, divenne governatore di Modena su incarico di Clemente VII per proteggere la città dalle mire degli Estensi, e vi rimase fino al drammatico anno del sacco di Roma (1527).
L’amicizia fra N. e M. di solito si fa risalire proprio agli anni della partecipazione di entrambi alle riunioni degli Orti Oricellari (→), un ambiente intellettuale molto eterogeneo, per estrazione sociale e per visioni politiche dei suoi componenti. N. è certamente frequentatore della seconda stagione delle riunioni degli Orti, quella dal 1513 al 1522, anche se accenni all’interno dei Commentari sulla compagine dei frequentatori del 1505, avversari alla politica di Piero Soderini, lo ascriverebbero già tra i testimoni della prima fase (1502-06). N. dichiara che negli anni 1516-19 M. avrebbe scritto i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio e l’Arte della guerra sulla scia delle discussioni che, negli Orti, avevano per oggetto Bruto e la tradizione repubblicana romana:
esercitavansi costoro assai, mediante le lettere, nella lezzione dell’istorie – e, sopra di esse e a loro instanza, compose il Machiavello quel suo libro de’ Discorsi sopra Tito Livio e anco il libro di quei trattati e ragionamenti sopra la milizia (Commentari, pp. 146-47).
Per ciò che riguarda la consuetudine amichevole con M. possiamo contare anche su documenti diretti e affidabili come le lettere, a partire da quella indirizzata il 17 dicembre 1517 a Lodovico Alamanni (→), famosa per il deluso riferimento a Ludovico Ariosto (→), dove compaiono sia N., sia il richiamo preciso alle riunioni oricellarie (Lettere, pp. 356-57). La lettera del 1° agosto 1520 evidenzia non solo il legame strettissimo fra i due, ma anche la consuetudine goliardica e scherzosa che caratterizza molte delle epistole rimasteci (Lettere, pp. 363-65); sempre nel 1520, il 17 novembre da Roma, dove si trova per ambascerie presso la corte pontificia, N. scrive a M. per sollecitarlo all’invio della Vita di Castruccio e del «De re militari», omaggi che avrebbero dovuto convincere il cardinale Giulio de’ Medici a commissionare a M. una storia di Firenze (Lettere, pp. 367-68). Nel periodo modenese (la firma di N. è Uti frater Philippus de Nerlis gubernator), il 22 febbraio 1525 N. commenta il successo della rappresentazione della Clizia del 13 gennaio: «non solo per tutta Toscana, ma ancora per la Lombardia è corsa e corre la fama delle vostre magnificenzie» (Lettere, p. 390); e sullo stesso tenore di divertimento e di bonario rimprovero all’amico di «brigata», che concedeva troppo tempo all’intrattenere i «litterati», si mantiene quella del 6 settembre dello stesso anno, da Firenze, nella quale N. rimpiange il M. da gioco e da taverna che è, invece, lontano, a Venezia, e lo prega di raggiungerlo a Modena (Lettere, pp. 404-06; cfr. F. Chabod, Scritti su Machiavelli, 1964, p. 262). Nelle lettere scambiate tra ottobre e novembre 1526, M. gioca un ruolo di mediatore tra N. e Guicciardini sul diverbio con il commissario di Borgo San Donnino e viene di nuovo sollecitato all’invio delle sue opere, come i primi due libri delle Istorie fiorentine (Lettere, pp. 452-53). In data affatto incerta, M. dedicò a N. un epigramma in terzine “Dell’occasione”, volgarizzamento da Ausonio; per i dubbi che toccano la stessa dedica, attestata solo nella stampa giuntina del 1549, → Rime sparse.
Uno dei momenti cruciali nella biografia di N., anche per il biasimo che gli arrecò, fu la riconquista da parte del duca di Ferrara della città di Modena, rimasta indifesa per la diserzione delle milizie pontificie non pagate, nell’aprile del 1527. Sono anni molto difficili e i rapporti con Guicciardini, luogotenente generale delle truppe papali e presidente di tutta la Romagna, non sono facili, come testimoniano anche alcune lettere di M. che, passato da Modena per salutare N. e avendo constatato di persona quanto la situazione fosse delicata, ne riferisce a Guicciardini stesso il 5 novembre del 1526 (Lettere, pp. 452-53).
Quest’ultimo, d’altra parte, nella lettera del 7 agosto del medesimo anno, aveva mosso a N. l’accusa esplicita di aver vanificato il lavoro dei suoi anni di governatorato (Biagianti 1975, p. 79). A tale accusa in seguito si accompagnerà anche quella di codardia da parte di detrattori come Giovan Battista Busini o Benedetto Varchi, il quale lo dichiara persino «d’animo molle ed effemminato» (B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, 1° vol., 1838, rist. anast. 2003, p. 342).
Firenze, dopo gli eventi traumatici del sacco di Roma, è di nuovo in preda ai disordini. Dopo aver costretto alla fuga il cardinale Silvio Passerini, i popolari hanno restaurato il regime repubblicano: il gonfalonierato di Francesco Carducci nell’aprile del 1529 si rivela inflessibile, e N., sospettato dal governo perché troppo vicino ai Medici, viene arrestato nell’ottobre e rimane in carcere per quasi tutta la durata dell’assedio della città (capitolata nell’agosto del 1530), oltre a subire la confisca di tutti i suoi beni, come scrive in un’accorata lettera al suocero, costretto a intervenire per aiutare la famiglia (Biagianti 1975, p. 81). Avendo attivamente partecipato al ripristino del potere mediceo, nel 1530 è di nuovo gonfaloniere di Compagnia, poi priore; nel 1532 è chiamato a far parte del Consiglio dei Duecento e del Senato dei Quarantotto; in seguito esercita diversi incarichi di governo nelle città toscane. All’insorgere di nuove tensioni interne, N., uomo cardine del governo mediceo, è vicino sia ad Alessandro e, poi, a Cosimo, sia alla corte papale. Lo testimonia anche il delicato ruolo di conciliatore che gli affiderà Cosimo I (subito dopo il suffragio del 1537) nella scottante questione dei fuoriusciti (fra i quali anche il cardinale Giovanni Salviati, suo cognato), a partire dalle trattative intavolate nell’incontro di Figline Valdarno, nel quale N. si fa portavoce della proposta di far rientrare tutti gli esuli politici fiorentini, a condizione che depongano le armi. La battaglia di Montemurlo del 1° agosto 1537, che sancisce la definitiva vittoria di Cosimo sui fuoriusciti, è anche l’ultimo atto della trattazione dei Commentari.
N. continuò l’attività politica fino all’estrema vecchiaia: dal 1538 (poi nel 1548 e, per soli sei mesi, nel 1555), è di nuovo capitano di Pistoia, nel 1550 membro dell’ambasciata di obbedienza al nuovo papa Giulio III e, infine, ricopre il ruolo di rettore nel dominio, come quello di commissario di Arezzo, dal novembre 1552 all’ottobre 1553. Morì a Firenze il 17 gennaio 1557 (Arrighi 2013) e fu sepolto nella chiesa del convento francescano di S. Salvatore al Monte.
Per quanto definito «uomo non letterato», anche se capace di essere «assai buon ragionatore» (B. Varchi, Storia fiorentina, cit., p. 342), si può dire che nei Commentari N. trascriva la sua esperienza degli eventi vissuti e la conoscenza diretta delle magistrature e delle delicate funzioni di rappresentanza e di governo. Di qui deriva il tono narrativo della sua opera storica, i cui singoli libri in alcuni codici sono indicati come «discorsi», ma N. li chiama più spesso «ricordi», proprio a sottolineare la sua diretta partecipazione agli eventi che descrive e il ruolo che ha la memoria dell’esperienza viva, rispetto al retroterra storico; ne deriva, quindi, anche uno stile piuttosto disadorno e sobrio. Tuttavia, nel panorama della storiografia fiorentina del Cinquecento i Commentari si distinguono soprattutto per la coerenza ideologica di un progetto di esposizione della storia di Firenze come un procedere inevitabile e necessario, nel superamento delle lotte interne, verso la soluzione del principato mediceo. L’indubbia attrazione verso il modello delle Istorie fiorentine di M., riscontrabile nella storia più antica, evidenzia sotto questo aspetto differenze determinanti, a partire dal notevole spazio dedicato all’esperienza della vita cittadina da parte di Nerli.
I Commentari, tramandatici da 18 testimoni di cui due codici autografi – BNCF, II.II.135 e II.II.136 (Commentari, pp. LV-XCIII) –, hanno avuto una discreta circolazione manoscritta, come dimostrato da alcuni richiami nella storiografia coeva, ma arrivarono alla pubblicazione soltanto nel 1728, a cura di Francesco Settimanni: Commentarj de’ fatti civili occorsi dentro la città di Firenze dall’anno MCCXV, al MDXXXVII scritti dal senatore Filippo de’ Nerli gentiluomo fiorentino, Augusta, presso Mertz e Majer (cfr. Commentari, p. LXXIV). La princeps fu quindi ristampata nel 1859 a Trieste, presso l’editore Colombo Coen. In anni recenti abbiamo l’edizione del solo libro X (in Storici e politici fiorentini del Cinquecento, a cura di A. Baiocchi, S. Albonico, 1994, pp. 527-37) e quindi l’edizione critica a cura di S. Russo (2007).
L’iter compositivo fu certamente non lineare e non continuativo, vista la quantità di incarichi politici e amministrativi di N., ma verosimilmente si sviluppò tra il 1537 e la morte (Commentari, pp. X-XXIII). L’opera è divisa in 12 libri; i primi tre coprono fino al 1494, IV e V arrivano al 1512, VI e VII al 1527, VIII e IX al 1529, il X occupa intero il 1530 e, infine con l’XI e il XII si arriva al 1537. N. parte dal lontano 1215 per risalire alle origini delle divisioni civili di Firenze, al primo di tutti i conflitti, quello tra guelfi e ghibellini, tradizionalmente considerato (Dante, Paradiso XVI 127-28 e Giovanni Villani, citati da N.) la funesta matrice di tutta la storia di Firenze fino almeno al 1537. È già nel proemio la chiave per intendere tutto l’impianto dell’opera:
Considerato quanti travagli abbia sempre auto la nostra città e quanto sieno stati sempre poco uniti i principali cittadini che in essa hanno auto la somma autorità nel governo e quante volte e in quanti modi si sia riformato lo stato e variato la forma di esso, ho giudicato esser bene il fare qualche memoria particolare de’ nostri fatti civili [...] acciocché meglio si possino per quelli che gli leggeranno conoscere le cagioni che hanno mosso i nostri cittadini, stracchi di tante civili discordie, da dovere riformare una tanta repubblica sotto il governo d’un sol principe, come a’ nostri tempi è seguito (Commentari, p. 1).
La legittimazione del principato è per N. una conclusione obbligata dai fatti storici, com’è rimarcato nei punti di svolta della narrazione: dall’avvento di Cosimo il Vecchio (già precursore del principato, secondo N.), alla morte di Lorenzo (1492), di cui si esalta l’abilità nella politica estera e su scala nazionale, per concentrarsi poi, quasi esclusivamente, sulle ripercussioni che la fine dell’età laurenziana ha sulla città; dalla prima Repubblica all’assedio di Firenze, dall’assassinio del duca Alessandro, per mano di Lorenzino de’ Medici, alla stabilità di Cosimo I (1537), unico argine al mutare delle cose, a tutti i tentativi repubblicani, soggetti alla licenza popolare e incapaci di un controllo sicuro del potere, immune da diffidenze e paure. Inoltre, la fedeltà al partito dei Medici è documentata, anche per quanto riguarda i Commentari, se non da una committenza vera e propria, dal favore di Cosimo stesso, come testimonia una lettera del 12 maggio 1549 nella quale, a nome del principe, il cancelliere Jacopo Guidi da Volterra richiese la restituzione a Varchi di alcuni registri di provvisioni degli anni 1526-29, proprio perché necessari al lavoro storiografico del N. (Commentari, p. XII). L’accusa di faziosità mossa già dai contemporanei e protrattasi fino al 20° sec. (Biagianti 1975, pp. 47-55) si fonda su alcuni luoghi testuali rivelatori: più che nel racconto del catastrofico tentativo del duca d’Atene del 1343, su cui N. sintetizza le analitiche descrizioni di M. («il duca [...] da tutti era odiato e dalla plebe poco amato, di modo che si trovò più congiure addosso», Commentari, p. 22), l’atteggiamento di N. emerge vistosamente nell’episodio della congiura del 1522 contro il cardinale Giulio de’ Medici, vissuto in prima persona, ma raccontato con un distacco che suona falso: «[Zanobi Buondelmonti] e io eravamo in piazza, quando fu preso il Diacceto, e mi ricordo che Zanobi si partì da me, tutto travagliato, allora che ci fu detto tal caso essere seguito e, così, ebbe Zanobi agio, con la fuga, a salvarsi» (Commentari, p. 148). L’aspetto dei Commentari che, invece, è stato rivalutato negli studi più recenti, è la componente ‘politica’ dell’analisi storica, condotta sul modello non solo di Guicciardini, come già indicato in passato, ma anche su quello privilegiato delle Istorie fiorentine, come dei Decennali e dei Discorsi, dei quali N. fa menzione più volte, ed esplicitamente, nella sua opera.
Bibliografia: Commentarii [...], libro X, in Storici e politici fiorentini del Cinquecento, a cura di A. Baiocchi, S. Albonico, Milano-Napoli 1994, pp. 527-37; Commentari [...], ed. critica a cura di S. Russo, tesi di dottorato, Università di Napoli Federico II, 2007 (consultabile sul sito http://www.fedoa.unina.it/2921, 21 marzo 2014). Si veda inoltre: B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, 1° vol., Firenze 1838 (rist. anast. Firenze 2003).
Per gli studi critici si vedano: I. Biagianti, Politici e storici del Cinquecento: Filippo de’ Nerli (1485-1556), «Archivio storico italiano», 1975, 492-493, pp. 45-100; C. Dionisotti, Machiavellerie, Torino 1980, pp. 68, passim; J.-L. Fournel, Cessazione della guerra e fine della storia in alcuni storici fiorentini della prima parte del Cinquecento, in La “riscoperta” di Guicciardini, Atti del Convegno internazionale di studi, Torino 14-15 nov. 1997, a cura di A.E. Baldini, M. Guglielminetti, Genova 2006, pp. 111-30; S. Russo, Dante nella storiografia fiorentina. La Commedia come fonte storica, in Leggere Dante oggi. I testi, l’esegesi, Atti del Convegno-seminario, Roma 25-27 ott. 2010, a cura di E. Malato, A Mazzucchi, Roma 2012, pp. 351-65; V. Arrighi, Nerli Filippo de’, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 78° vol., Roma 2013, ad vocem.