FILIPPO di Borbone, duca di Parma, Piacenza e Guastalla
Nacque il 15 marzo 1720, secondogenito di Filippo V re di Spagna e di Elisabetta Farnese, seconda moglie del sovrano.
Ben conscia che la successione era faccenda stabilita da tempo, Elisabetta avrebbe impiegato tutta la sua sagace caparbietà e l'influenza che aveva sul marito per trovare una sistemazione degna ai propri figli. Sarà questa la principale preoccupazione e scopo di tutta la sua vita e il disegno cui sottometterà scelte politiche e risorse finanziarie dell'intera nazione, non esitando talvolta a pregiudicare la pace e gli equilibri internazionali di tutta Europa. D'altra parte era chiaro che ogni sistemazione dei principi spagnoli avrebbe dovuto avere il consenso preventivo delle altre potenze europee, in primis della Francia, che a suo tempo aveva approvato il matrimonio dell'ultima discendente dei Farnese con il nipote di Luigi XIV, divenuto re di Spagna dopo una guerra di successione il cui esito aveva vieppiù unito le due Corone.
Il trattato di Siviglia (9 nov. 1729), Sottoscritto dai due rami dei Borbone a ribadire l'inevitabilità di una entente tra le case regnanti francese e spagnola, in realtà suggellò un momento diplomatico forte in cui la Spagna era riuscita ad accordarsi direttamente con l'Inghilterra e la Francia era stata costretta a fungere da garante. L'imperatore sarà coinvolto nella transazione poco dopo, a Vienna, nel 1731: a Carlo VI premeva soprattutto che le potenze europee accettassero la sua prammatica sanzione e, a questo scopo, era disposto a notevoli concessioni. Una di esse consisteva nell'accettare l'assegnazione al primogenito di Elisabetta Farnese, don Carlo, dei Ducati di Parma e Piacenza già promessigli a Siviglia e nell'acconsentire all'ingresso di 6.000 soldati spagnoli nelle fortezze dei due paesi. Il 1731, dunque, segna il decollo politico e la collocazione nei Ducati della famiglia materna del primo figlio della Farnese e a nulla valse il breve ritardo dovuto alla successione tanto discussa di Antonio, ultimo duca di Parma, e all'attesa del preannunciato - tra l'incredulità generale - erede dalla duchessa Enrichetta. La surreale situazione diplomatica e la penosa posizione personale della protagonista si chiarì nell'autunno 1731 e già alla fine di quell'anno Carlo, figlio prediletto di Elisabetta, sbarcò a Livorno per prendere legittimo possesso delle terre assegnategli. Alle spalle e a suffragare le scelte politiche e gli schieramenti diplomatici europei, s'erano andate nel frattempo perfezionando le alleanze matrimoniali, da sempre corollario di più ampie scelte strategiche e, a loro volta, premessa e garanzia - quasi simbologia - degli schieramenti di appartenenza. Così quando a Carlo diciottenne fu proposta dalla diplomazia francese la prima delle figlie di Luigi XV, Luisa Elisabetta, allora di otto anni, la regina Elisabetta negò l'assenso perché dopo tutto non era verosimile "…que nous attendissions que Carlito ait quarante ans pour le marier" (Stryenski, 1906, p; 7). L'impaziente Carlo fu dirottato su Maria Amalia di Sassonia, figlia di Augusto III di Polonia (1738), ma il progetto di scambio dinastico non fu accantonato.Nel 1738 Luigi XV acconsentiva alle nozze incrociate della stessa primogenita Luisa Elisabetta con F., e del suo unico maschio con l'infanta Maria Teresa. Gli sponsali, annunziati contemporaneamente il 22 febbr. 1739 a Versailles e a Madrid si completarono per F. l'anno seguente tra l'agosto e l'ottobre, mentre per l'infanta, allora decenne, si dovrà attendere il 1745.
Gradevole d'aspetto, equilibrato, affabile quanto intellettualmente e caratterialmente anonimo, F. si era sottoposto docilmente all'educazione prevista per i principi del suo rango, tentando di emulare in tutto il fratello maggiore, senz'altro dotato di più forte personalità. Figlio prediletto dal padre, era, come lui, dominato dalla volontà caparbia e dalla esuberanza vitalistica della madre Elisabetta. In realtà, ormai, l'iniziativa della politica europea era passata alla Francia, da dove il cardinale A. H. de Fleury abilmente manovrava per attirare nella sua orbita la Spagna isolandola dall'Impero e tenendo così a bada gli Inglesi. Il matrimonio di F. va letto in tale ottica, come il successivo avallo alle mire della regina Elisabetta tese alla ricerca di un'onorevole sistemazione per il secondogenito. Nonostante le premesse inevitabilmente politiche, comunque, la giovane coppia sembrava sufficientemente bene assortita, ma non ci fu la possibilità che di una breve convivenza. Il 28 ott. 1740 l'imperatore Carlo VI improvvisamente morì e le Cancellerie europee si prepararono a una guerra inevitabile per la tanto discussa successione d'Austria. Era l'occasione che Elisabetta Farnese attendeva per riuscire a collocare onorevolmente il figlio Filippo.
Ben presto però dalla Francia arrivarono segnali non equivoci: a dispetto della parentela e dei legami di alleanza, la Spagna avrebbe dovuto cavarsela da sola nella campagna italiana. F. avrebbe dovuto fare la sua parte e una sua separazione dalla giovane sposa appariva in prospettiva inevitabile.
In realtà si procrastinò la partenza del giovane infante per consentirgli di essere presente alla nascita della primogenita, Isabella, venuta alla luce il 31 dic. 1741. Il 22 febbraio seguente egli lasciò Madrid e i genitori, che non rivide più: dovranno trascorrere sette anni circa di campagne militari e solo nel 1748 il trattato di Aix-en-Chapelle gli avrebbe definitivamente assegnato il Ducato della famiglia materna.
L'impresa italiana non era cominciata per gli Spagnoli nella migliore delle maniere: il contingente militare che Filippo V aveva inviato a Orbetello era ben presto rimasto bloccato e inoperoso per lo stretto controllo esercitato sul Mediterraneo dalla potente flotta inglese guidata dall'ammiraglio T. Mathews. Da Barcellona, dove F. aveva raggiunto il generale I. Glimes e l'esercito che costui stava raccogliendo, era impedita la via di mare. Non restava che optare per la soluzione terrestre procedendo attraverso la Francia meridionale, grazie alla compiacente neutralità di quest'ultima, e poi entrando nella ostile Savoia. Errori tattici ed indecisione del generale Glimes portarono a una dura sconfitta, superata solo con la sostituzione del comando affidato al marchese J. de la Mina, all'epoca ambasciatore a Parigi, uomo dal carattere difficile ma deciso e ambizioso.
I risultati si videro ben presto: riconquistate stabilmente le sei province savoiarde, F. organizzò la sua corte a Chambéry, consentendogli le campagne militari dell'epoca lunghe soste in cui potere organizzare i balli e le rappresentazioni teatrali di cui era appassionatissimo. Già a quest'epoca l'infante poteva servirsi dell'opera di un binomio di consiglieri di prim'ordine: Guglielmo du Tillot, già vicino a F. dal 1730 con la carica di valet de chambre e destinato a divenire una delle figure più significative nell'Italia del '700, e il marchese Z. de la Enseñada, futuro primo ministro di Spagna.
La guerra, intanto, languiva e a Madrid si era tutt'altro che tranquilli sull'esito finale e sulle possibilità di F. di conquistare il trono desiderato e destinatogli dalla volontà materna e dalla condiscendenza del re di Francia. Fin dall'agosto 1742 Carlo, re di Napoli e di Sicilia, aveva dovuto togliere al fratello minore il proprio appoggio, costretto a ciò dalla flotta inglese presentatasi davanti a Napoli a minacciare ritorsioni. L'altro contingente spagnolo, guidato da J. L. de Montemar, era stato isolato attorno a Rimini e reso inattivo: il ricongiungimento nel Monferrato dei vari eserciti borbonici avverrà solo nel 1745.
In realtà, nonostante l'Austria fosse quell'anno fortemente impegnata sul fronte prussiano e non potesse certo fornire nuove truppe a Carlo Emanuele, il compito di F. e dei suoi generali era tutt'altro che facile: gli Austro-piemontesi erano tra i migliori soldati d'Europa, abili i comandanti, mentre gli Spagnoli si muovevano più impacciati mostrando spesso incapacità nell'adeguarsi alla più moderna tecnica militare, costretti a vessazioni pesanti nei confronti dei civili per approvvigionare un esercito troppo lontano dalla madre patria e alle prese con l'eterno problema dei disertori. Diversità di vedute e impossibilità di intesa personale tra i comandanti spagnoli e francesi contribuivano a rendere contraddittoria l'azione complessiva. L'appoggio francese a F., inoltre, cominciava ad assumere i connotati dell'ambiguità: e il cambio della guardia al ministero degli Esteri di Parigi non fu certo un elemento a favore del giovane principe. Il nuovo ministro, marchese R-L. d'Argenson, era francamente contrario all'établissement di F. in Italia e, comunque, escludeva assolutamente la sua ascesa al trono ducale di Milano, obiettivo primario della corte di Madrid. Argenson mirava in realtà a scambiare con Carlo Emanuele III il Milanese con la Savoia e, in tal senso, iniziò all'insaputa degli alleati contatti con la corte di Torino dopo avere sostituito a capo del contingente francese a fianco di F. il principe L.-F. di Borbone-Conti con il maresciallo J.-B.-F. di Maillebois, professionista delle armi, a lui unito da legami di parentela e ansioso di assecondare in toto il suo ministro. Il piano non riuscì per la ferma volontà del re di Sardegna di rimanere fedele al patto stipulato con Maria Teresa a Worms, ma l'ambiguità francese avrà profondi riflessi sull'andamento delle fasi belliche e sull'atteggiamento contraddittorio della conduzione della campagna.
F. faceva il possibile, in questo sottile gioco che di gran lunga lo superava, per portarsi dignitosamente nel ruolo che altri avevano deciso per lui, non sottraendosi talvolta a rischi personali: di certo, nel suo panorama, c'era il continuo legame che lo univa ai sovrani di Spagna, suoi genitori.
Ma quanto il 1745, in complesso, era stato generoso con i Borbone, che tra l'altro avevano coronato il loro progetto di unione dinastica inviando l'infanta Maria Teresa come sposa dell'erede al trono francese, l'anno successivo tutto sembrò volgere al peggio: la giovane delfina morì prematuramente e soprattutto scomparve dalla scena Filippo V. Sarà ovvia e prevedibile conseguenza il disimpegno del nuovo re Ferdinando VI nei confronti del fratellastro mai amato e l'isolamento subito imposto alla matrigna Elisabetta, con cui non era corso mai buon sangue: la regina vedova sarà, infatti, esiliata definitivamente a S. Ildefonso il 23 luglio 1747. Inoltre, il nuovo ministro spagnolo J. Carvajal y Lancaster, scelto in ossequio ai sentimenti filoinglesi della nuova regina Maria Barbara di Braganza, non fece che peggiorare le già precarie condizioni di F. in Italia.I Franco-spagnoli furono sconfitti dagli Austriaci il 16 giugno presso Piacenza e costretti a ritirarsi vicino a Genova. Tra l'agosto e il settembre il Mina ordinò la ritirata in Provenza: F. stesso si imbarcò per Nizza e di lì si attestò in Linguadoca: da questo momento assisterà defilato nella sua piccola corte di Chambéry o ad Antibes alla fase finale di una lotta che aveva inutilmente impiegato eserciti e risorse economiche ingentissime, ma il cui esito - indipendentemente dai risultati militari - era comunque il frutto di accordi raggiunti altrove, di una spartizione dinastica fine a sé stessa, che prescindeva quasi dalla logica e dall'andamento delle occupazioni o delle conquiste. Nel migliore dei casi esse ne potevano essere il corollario. Dai preliminari di Nizza nel luglio 1748 alla conclusione dei negoziati di Aquisgrana (18 ottobre dello stesso anno) uscì il nuovo assetto generale d'Europa. La Spagna era ansiosa di liberarsi di una guerra costosa e dal peso di un infante che non avrebbe mai potuto essere re, per essere libera di negoziare con l'Inghilterra il problema di Gibilterra e Minorca e le questioni commerciali con le colonie d'America. F. aveva infine raggiunto il suo establecimiento: gli furono assegnate Parma, Piacenza e Guastalla come dagli accordi di tanti anni prima. Lascerà Chambèry solo il giorno di Natale 1748 per raggiungere la sua definitiva destinazione l'8 marzo 1749.
Dal luglio precedente la moglie Luisa Elisabetta si era spostata da Madrid alla corte paterna, preludio del suo ricongiungimento col marito. La sistemazione a Parma non sarà per lei di piena soddisfazione; le sue ambizioni andavano ben oltre e non cesserà di lottare per ottenere altre e migliori soluzioni. A Versailles l'infanta, ormai nuova duchessa, fu raggiunta agli inizi del '49 dal du Tillot, che fino al 1747 era rimasto ininterrottamente accanto a F. e che si trovava alla corte francese in qualità di agente ufficiale del nuovo duca. Appariva ormai chiaro agli occhi dei politici francesi e fors'anche a quelli del re che il vero interlocutore era lei, Luisa Elisabetta. Inesperienza, certa debolezza di carattere, mancanza d'autorità, familiarità eccessiva verso i dipendenti, prodigalítà pericolosa: i tratti comportamentali tipici di F. non erano un mistero per nessuno né a Madrid né a Parigi, dove Luigi XV, al di là delle espressioni di cortesia formale, non fece mai nulla neppure per conoscere personalmente il genero. Ma gli scopi della duchessa, durante il soggiorno alla corte paterna, prolungato al punto da suscitare pesanti dicerie, erano ben precisi: ottenere una pensione dalla Francia, una dalla Spagna e, infine, la promessa di un buon matrimonio per la figlia Isabella.
Sempre più negli anni si andrà riproponendo un chiaro parallelismo tra la situazione e la spartizione di ruoli che a suo tempo aveva caratterizzato il ménage coniugale e politico della regina Farnese e di Filippo V e quella di questa giovane coppia in cui il duca andava somigliando pericolosamente al padre, senza possederne il rigido senso del dovere e dello Stato. Meno cupo, più fatuo F.; la sua incapacità politica essendo un dato acquisito per le diplomazie europee, inevitabilmente fu Luisa Elisabetta a sostituirsi a lui se non altro come garante, soprattutto agli occhi della diffidente corte madrilena. E fin dal primo soggiomo francese l'infanta si dimostrò dotata di indubbio acume nella scelta dei collaboratori, puntando tra l'altro proprio su quel du Tillot che tanta parte avrà più oltre nella riorganizzazione del Ducato padano.
A Parma Luisa Elisabetta arrivò solo alla fine del 1749, ricongiungendosi dopo una settennale separazione al marito, che già stava giustificando con il suo comportamento la fondata preoccupazione degli ambasciatori di Francia e Spagna, inviati in loco più che per obbligo di rappresentanza allo scopo di controllare le prime mosse dei giovani duchi. La testimonianza del marchese d'Argenson, certo non sospetto di benevolenza nei confronti di Luisa Elisabetta, riconosce tuttavia in lei l'unica figlia di Luigi XV "qui montre de l'ésprit"; della sua situazione "elle s'occupe beaucoup et en serieux"; quanto al di lei consorte icasticamente sentenzia: "le Roi sait que l'Infant Don Philippe est un mauvais sujet et de nulle capacité" (Stryenski, p. 309).
Ciò che emerge dalla fitta trama dei dispacci e dalla corrispondenza della moglie con ambasciatori e corte paterna è la necessità di tenere sotto stretta tutela un uomo psicologicamente labile, preda di un entourage certo non disinteressato, tutto dedito a coltivare la sua indolenza nativa tra toilettes protratte per intere mattinate, passeggiate, musiche intervallate dalle cacce, grande passione ereditaria di tutti i Farnese. Naturale che "une journée aussi bien remplie n'a point encore donné place à aucune apparence de conseils, ni de travail" (Stryenski, p. 319).Certo devoto alla moglie come essa, così poco sentimentale, lo era alla propria ambizione e al gusto della politica, l'atteggiamento di F. tutto sommato non mutò radicalmente neppure dopo la nascita dell'erede al trono Ferdinando, il 20 genn. 1751, e di Luisa Maria Teresa Anna, nata il 9 dicembre dello stesso anno.
Nell'agosto 1752 Luisa Elisabetta riprese la via di Versailles. Vi si trattenne sino al settembre '53, inaugurando quei lunghi periodi lontano dall'Italia che caratterizzarono il ménage col marito: in compenso, fittissima, durante le sue assenze, la corrispondenza con F., affettuosa, colma di premure per i figli, soprattutto per gli ultimi due, Ferdinando e la piccola, prediletta Louison.
È ai loro progetti matrimoniali che lavorerà gran tempo a Parigi: e non è un caso se accanto alla duchessa - per taluno troppo - sia stato a lungo in questi periodi l'abate F.-J. de Pierre de Bernis, talento emergente della diplomazia francese, futuro ministro e cardinale, il tessitore discreto del grande rovesciamento di alleanze operato in Europa a metà del secolo. In effetti a metà degli anni '50 il riavvicinamento delle due corti di Vienna e Parigi pareva inevitabile e una conseguente politica matrimoniale poteva benissimo passare per Parma, ove le persone dei duchi erano tanto strettamente legate alla corte francese. Fu così che Luisa Elisabetta riuscì, con l'appoggio del fidato Bernis, dal giugno 1757 ministro degli Esteri, ad avere il formale placet del padre per il matrimonio della primogenita Isabella con l'arciduca Giuseppe. A perorare questa causa e a combattere la sua inesausta battaglia contro la corte di Madrid ripartì nello stesso anno per Parigi.
Tra il '56 e il '57 le prospettive per i duchi di Panna erano piene di promesse: Bernis era riuscito nel trattato di Versailles a inserire parecchie clausole favorevoli a Filippo. In particolare i contraenti s'impegnavano a rinegoziare la situazione dell'infante e la successione al Regno di Napoli e Sicilia; Maria Teresa, una volta impossessatasi della Slesia, avrebbe ceduto a F. i Paesi Bassi. Di pari passo stava diventando a poco a poco più presentabile l'immagine interna del Ducato ancorché F. non avesse dato segno di mutare la propria indole e le propensioni alla fatuità. Ma godeva, almeno, dei servigi del du Tillot, fin dal 1749 intendente generale della casa e ben presto apparso unico uomo di vaglia alla corte e in grado di tentare una seria riorganizzazione generale dello Stato.
L'ascesa definitiva dell'onnipotente ministro (segretario di Stato dal 1758) segna l'apice dell'influsso francese a Parma databile sino al 1770. Collaboratore capace e onesto, du Tillot profuse le sue energie fedele ai sovrani, che lo ricambiavano. F., cui difettava la serietà ma non la gratitudine, nel 1764 con un motu proprio gli fece ampia e totale donazione delle terre di Felino e San Michele di Tiorre, nominandolo marchese.
Nulla cambierà anche con la morte di Ferdinando VI di Spagna (1759): Carlo, fratello di F., salirà al trono come Carlo III, a Napoli resterà Ferdinando, il terzogenito di Carlo, mentre sarà il suo secondo figlio a divenire principe delle Asturie e poi re Carlo IV, essendo il primogenito incapace a succedergli. A lui verrà data in sposa nel 1765 Maria Luisa, ultimogenita di F. e Luisa Elisabetta, chiudendosi il cerchio dei matrimoni borbonici iniziati da Madrid con la regina Farnese.
A F., dopo la morte della moglie, a soli trentadue anni, nello stesso anno 1759, non rimase che amministrare i frutti del patrimonio strategico accumulato in tanti anni di volitiva attività diplomatica di Luisa Elisabetta. Con accanto du Tillot a controllare il governo del Ducato, le giornate divise tra l'amata caccia, la musica e il ricevimento dei viaggiatori di passaggio a Parma o a Colorno, nel 1760 F. aveva celebrato l'atteso matrimonio arciducale di Isabella, destinata a morire dopo soli tre anni, a Vienna, colpita dal terribile contagio, il vaiolo, che aveva condannato la madre.
Frattanto, nel 1761 - dopo la morte dell'ostile Maria Amalia di Spagna - il ministro E.-Fr. de Choiseul era riuscito a fare sottoscrivere il patto di famiglia cui avevano così a lungo lavorato Bernis e la stessa Luisa Elisabetta: i rami regnanti dei Borboni d'Europa si impegnavano alla mutua solidarietà offensiva e difensiva coinvolgendo, come sorta di appendici, i troni di Napoli e di Parma. Era la garanzia di una sicurezza duratura, anche se nessuno fece in tempo a ricavarne dei vantaggi: la diplomazia non aveva potuto prevedere la rivoluzione che solo trent'anni dopo avrebbe sconvolto equilibri e trame tessuti in secoli di storia. Quanto a F., gli fu risparmiato il vedere il suo piccolo mondo sconvolto da avvenimenti incontrollabili. Il poco impegno di cui era capace ormai era rivolto ai due figli, soprattutto all'erede maschio Ferdinando. Quanto ai progetti matrimoniali per lui, il padre aveva fatto sondaggi presso Ercole Rinaldo d'Este, pensando alla sua unica figlia Maria Beatrice. Né la Spagna né l'imperatrice approvarono e quest'ultima troverà modo di accasare nel 1768 proprio con Ferdinando una delle sue numerose figlie, quella Maria Amalia che tanto peso, e negativo, doveva avere nella storia successiva del Ducato. Nel 1764, consigliato dal du Tillot e in anticipo sui tempi, F. aveva fatto inoculare contro il vaiolo il suo unico maschio; e sarà lo stesso contagio, fatale a tutta la famiglia, a colpire lui nel 1765 mentre di ritorno da Genova, dove aveva accompagnato la figlia Maria Luisa in partenza per gli sponsali spagnoli, si era fermato ad Alessandria ospite dei sovrani sabaudi. Il 18 luglio vi moriva e le sue spoglie erano trasportate, per esservi sepolte nella chiesa dei cappuccini, a Parma, la città che a dispetto dello scarso peso specifico di F. sotto di lui godé di un eccezionale periodo di prosperità.
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