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FILIPPO di Domenico

di Massimo Medica - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 47 (1997)
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FILIPPO di Domenico

Massimo Medica

Poco si sa sulla vita e sull'operato di questo scultore attivo a Venezia, a Bologna e a Fano tra il 1394 e il 1423. Quella che sembra certa è la sua origine veneziana, attestata da vari documenti, dove F. è esplicitamente detto "da Venexia" (se non altrimenti citato per i documenti ricordati all'interno della voce si rimanda a Wolters, 1976).

È del resto a Venezia che F. dovette prevalentemente operare con bottega propria, anche se la sua attività lo portò talvolta ad abbandonare il luogo d'origine per recarsi a Bologna e a Fano. Non è escluso che egli possa essere identificato, secondo quanto già suggeriva il Paoletti (1893), con quel Filippo tagliapietra citato il 14 genn. 1404, nel testamento di un altro tagliapietra suo parente, un certo Azzo, attivo, sappiamo, nella chiesa veneziana dei Frari. Il testamento riporta anche i nomi dei due figli di questo Filippo: Matteo e Cecilia.

La prima menzione di F. risale comunque al 1394, quando il suo nome, insieme con quello di altri lapicidi, compare nel Libro d'entrata e spesa della basilica di S. Petronio a Bologna.

Qui tra il 27 agosto e il 24 dicembre è ricordato un suo intervento nei lavori di costruzione delle finestre, per le quali realizzò le colonne e i capitelli "sfogliati" e "tarsiati".

Quasi venti anni più tardi, il 19 giugno 1413, "maestro Filipo di Domenicho da Venexia", ricevette il pagamento di una prima parte della somma pattuita dal contratto, di 470 ducati d'oro, relativa al monumento sepolcrale di Paola Bianca Malatesta, moglie di Pandolfo III, morta il 3 giugno 1398, da erigere presso la chiesa di S. Francesco a Fano, dove ancora oggi si conserva.

L'8 giugno 1414 è ricordato un altro pagamento per questo monumento, questa volta a Venezia, dove probabilmente F. aveva fatto ritorno, prima di rientrare, sempre chiamato dai Malatesta, a Fano, come lascia intendere un ultimo pagamento del 15 marzo 1415 versato in questa città "pro resto". In questo stesso anno lo troviamo infatti all'opera presso il cantiere del palazzo Nuovo dei Malatesta a Fano, per il quale F. realizzò alcune colonne e le mensole di marmo delle finestre e della loggia, come riferisce un documento del 25 giugno 1415 relativo ad una partita di 180 ducati pattuiti, forse ancora a Venezia, per "VI cholone de marmore de 10 piè l'una e XII cholone de 6 piè l'una e VI mexole de marmore le quale fa per la chasa nova del Signore, come apare p. una scripta de mano de Sr. Manfredo dal borgo fato in Venezia adì de aprile 1415" (Castellani, 1898). Un acconto di pagamento di 120 ducati sempre per i lavori della "casa nova" è ricordato anche alla data del 28 febbr. 1416. L'ultima menzione dell'artista risale al 1423 (Supino, 1910, p. 35), quando, con la qualifica di "incisor lapidum" risulta ancora essere fornitore di colonne istriane "pro fenestris capellarum" della basilica di S. Petronio a Bologna.

Il recupero della personalità di F., non ancora pienamente messa a fuoco, è stato reso possibile grazie al ritrovamento dei documenti relativi ai pagamenti per il monumento di Paola Bianca Malatesta, che a tutt'oggi resta l'unica opera certa di F., su cui la critica si è basata per proporre altre possibili attribuzioni e per inquadrare stilisticamente la sua produzione. Per primo il Venturi (1908) ne colse i legami con la cultura degli scultori veneziani Dalle Masegne, nel cui ambito non è escluso che F. si fosse formato. Del resto una possibile prova dell'attenzione rivolta dallo scultore nei confronti dei modelli masegneschi ci viene proprio dalla tomba della chiesa di S. Francesco a Fano, che, come per primo notò il Torelli (1913) seguito dal Rambaldi (1920), riproduce con esattezza il modello del disperso monumento sepolcrale di Margherita Gonzaga, un tempo a Mantova, il cui aspetto ci viene tramandato dal meticoloso contratto sottoscritto nel 1400 a Venezia da Pierpaolo Dalle Masegne. Tale confronto ha portato il Selvelli (1928) ad avanzare l'ipotesi, del tutto insostenibile, che la tomba di Margherita Gonzaga, fosse stata più tardi adattata dallo stesso F. per ospitare le spoglie di Paola Bianca Malatesta. È indubbio comunque che le due opere concordino strettamente finanche nella scelta dei materiali, come ha messo ben in evidenza anche il recente restauro del monumento di Fano. È probabile, come ha sottolineato il Wolters (1976), che questa precisa volontà di imitazione derivi da una scelta dello stesso committente, Pandolfo III, che oltre ad essere marito della defunta era anche fratello di Margherita Gonzaga. Il contratto per quest'ultima tomba ci permette inoltre di confutare le ipotesi del Venturi, circa le manomissioni che il monumento avrebbe subito nel tempo, in occasione dei numerosi spostamenti. In origine la tomba era infatti collocata nel presbiterio, da dove pare nel 1559 venisse spostata, anche se ancora nel 1795 è ricordata la sua collocazione presso la cappella maggiore. Verso la metà dell'Ottocento il monumento si trovava già nell'attuale sistemazione, sotto il portico della chiesa. Come già ha notato il Wolters (1978) il rapporto con l'arte dei Dalle Masegne, ancorché ravvisabile in certe insistenze lineari delle sculture maggiori, appare più che altro di superficie; in realtà lo stile dell'artista, verso la metà del secondo decennio, poteva già vantare numerose esperienze e sollecitazioni, in parte anche estranee a quelle che gli giungevano dall'ambiente veneziano. La sua precoce presenza presso il cantiere bolognese di S. Petronio e la sua attività a fianco di numerosi scultori di estrazione diversa, toscani (Andrea di Guido da Fiesole), lombardi o tedeschi (Giovanni Ferabech) non poteva che avere lasciato il segno sullo stile di Filippo. Nulla tuttavia ci è pervenuto che possa documentare questa fase iniziale dell'attività dello scultore, risultando del tutto inattendibile il tentativo del Bottari (1958) di attribuirgli alcune delle sculture del basamento di S. Petronio (S. Petronio e S. Ambrogio). Sicuramente risulta essere più interessante la proposta del Grandi (1983, p. 147), per altro avanzata con estrema cautela, di avvicinare al primo periodo bolognese di F. sei rilievi con Profeti scolpiti per i finestroni della stessa basilica, dove è dato ravvisare una ritmica "più riposata, con accenni di blanda eleganza, di più raffinati bilanciamenti...", ripensata si direbbe soprattutto sugli esempi di Iacobello Dalle Masegne, riproposti secondo una versione più corsiva, che ha riscontro anche nelle sculture fortemente masegnesche del portale pesarese di S. Domenico, del 1395, anch'esse riferite dal Serra (1929) e in seguito anche dal Wolters (1976; soltanto per le sculture dell'ordine superiore) a Filippo. Se in questo ultimo caso il rapporto con le sculture maggiori del monumento fanense può lasciare adito ad una comune autografia delle due diverse opere, per i rilievi bolognesi l'attribuzione a F. appare più problematica; il tentativo di allinearsi agli esiti più veementi ed aspri degli altri scultori dei finestroni ("Maestro del Battista" e "Maestro del Sansone") ed il forte intervallo di tempo, che separa questi rilievi dall'unica opera certa dello scultore veneziano, inducono a lasciare sospeso tale riferimento. Anche per quanto riguarda l'intervento documentato nella "casa nova" dei Malatesta a Fano non è possibile pervenire ad alcun riferimento certo (tranne che per le colonne del portico e per quelle delle quattro grandi bifore), dal momento che anche l'arco intagliato del Museo di Fossombrone, creduto dal Rambaldi (1920) opera di F. proveniente dal palazzo di Fano, risulterebbe avere fatto parte in origine, come riferiva il Vernacci (1903), di una casa dei Malatesta a Fossombrone. Né peraltro si rivelano più fortunate le ricerche per quanto riguarda l'attività a Venezia, non risultando accettabile alcuna delle attribuzioni proposte: non sembrano essere sue, come del resto ha notato il Wolters (1976), le sculture della tomba di Agnese e Orsola Venier nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo di Venezia, dubitativamente riferitegli dapprima dal Paoletti (1893) e poi dal Rambaldi (1913), dal Lorenzetti (1927) e dal Da Mosto (1939). Per quanto prossima allo stile di F., come evidenzia il sinuoso andamento degli orli delle vesti di alcune figure, neppure la lunetta già parte forse della tomba di Bartolomeo Paruta, morto nel 1408 (ora sopra l'ingresso della farmacia all'interno dell'ospedale civile di Venezia) può essergli attribuita (Wolters, 1976). Forti rapporti con la tomba di Paola Bianca Malastesta e soprattutto con la figura della defunta. si colgono invece, come ha correttamente rivelato il Wolters (ibid.), in una figura di giacente, conservata nel castello Glienicke di Berlino, proveniente forse dalla tomba del professore di medicina e filosofia dell'università di Padova, Pietro d'Abano, eretta molto dopo la morte, avvenuta nel 1315.

Fonti e Bibl.: P. Paoletti, L'architettura e la scultura del Rinascimento in Venezia, Venezia 1893, I, pp. 46 n. 12, 75; G. Castellani, Palazzo Malatestiano di Fano, in Rass. bibliogr. dell'arte italiana, I(1898), p. 134; A. Vernacci, Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, I,Fossombrone 1903, p. 412; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VI,Milano 1908, p. 23; I. B. Supino, La scultura in Bologna nel sec. XV, Bologna 1910, pp. 11, 33, 35; P. L. Rambaldi, La chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo e la cappella del Rosario in Venezia, Venezia 1913, p. 29; P. Torelli, Jacobello e Pietro Paolo delle Masegne a Mantova, in Rass. d'arte, XIII(1913), pp. 67 ss.; P. L. Rambaldi, Nuovi appunti sui maestri Jacobello e Pietro Paolo da Venezia, in Venezia. Studi di arte e di storia, I (1920), p. 88; C. Selvelli, Fanum Fortunae, Fano 1924, p. 49; G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Venezia-Milano-Roma-Firenze 1927, p. 332; C.Selvelli, Le arche di Margherita e di Paola Bianca Malatesta a Mantova e a Fano, in Studia Picena, IV (1928), pp. 31-38; L. Serra, L'arte nelle Marche. Dalle origini cristiane alla fine del gotico, Pesaro 1929, pp. 256 ss.; I. B. Supino, L'arte nelle chiese di Bologna, secoli VIII-XIV, I, Bologna 1932, p. 346; II, ibid. 1938, p. 47; C. Selvelli, Fanum Fortunae, Fano 1943, p. 63; A.Da Mosto, Idogi di Venezia con particolare riguardo alle loro tombe, Venezia 1939, pp. 100 ss.; S. Bottari, Per Andrea di Guido da Firenze, in Arte antica e moderna, III (1958), p. 287; W. Wolters, La scultura veneziana gotica (1300-1460), I, Venezia 1976, pp. 72 s., 77, 226, 231-233(con ulteriore bibl.); R. Grandi, Progetto e maestranze del basamento petroniano, in Jacopo della Quercia e la facciata di S. Petronio a Bologna, Bologna 1981, p. 191 n. 46; Id., Cantiere e maestranze agli inizi della scultura petroniana, in La basilica di S. Petronio in Bologna, I,Bologna 1983, pp. 133, 145, 147; P. G. Pasini, IMalatesta e l'arte, Cinisello Balsamo 1983, pp. 30, 41-45; R. Bertuzzi, Il gotico cortese e la politica culturale dei Malatesta a Pesaro e a Fano, in Arte e cultura nella provincia di Pesaro e Urbino dalle origini a oggi, Venezia 1986, pp. 123 s.; B. Montevecchi, Scultura romanica e gotica a Pesaro, in Pesaro tra Medioevo e Rinascimento, Venezia 1989, p. 254; P.Zampetti, L'età gotica: portali, tombe monumentali e statue del XIV e della prima metà del XV secolo, in Scultura nelle Marche dalle origini all'età contemporanea, a cura di P. Zampetti, Firenze 1993, p. 209.

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