EUSTACHI, Filippo
Figlio secondogenito di Antonio (sposato in prime nozze con una donna della famiglia pavese dei "de Iacopo"), nacque, con ogni probabilità, nel 1409 a Pavia e divenne ben presto luogotenente dei padre nel governo della flotta viscontea. Risiedeva abitualmente a Cremona, dove era ricoverata una parte delle navi e dove la sua famiglia aveva beni e interessi.
Quando nel 1447gli Eustachi presero partito a favore di Francesco Sforza l'E. comandò la flotta in molte imprese militari nel settembre di quell'anno condusse le navi pavesi all'attacco contro Piacenza e andò a soccorrere con quattro galeoni lo zio Bernardo Eustachi che combatteva contro la flotta veneta sotto le mura della città. Nei primi mesi del 1448 era alla guida dei galeoni che percorrevano il Po per prevenire le mosse della flotta veneziana, e in luglio partecipò alla battaglia di Casalmaggiore. Alla fine del 1448 lo Sforza aveva preso le distanze dalla Repubblica Ambrosiana, e la flotta condotta dall'E. percorse i fiumi lombardì per guastare ponti e porti, isolare i Milanesi e intimorire le città che esitavano a consegnarsi al condottiero. Parallelamente, procedeva a Pavia il rafforzamento della flottiglia da guerra. Queste attività impegnarono l'E. per tutto il 1449 e il 1450: in una lettera il padre dell'E. ricordava che il figlio non aveva risparmiato né fatiche né spese per aiutare e favorire lo Sforza nella conquista del Ducato.
Nell'aprile del 1451 il duca scrisse all'E., che si trovava a Cremona, di recarsi a Bereguardo e di curare l'allestimento di due galeoni. Nel gennaio del 1452 fu incaricato di preparare uno sfarzoso apparato per il viaggio in nave di Galeazzo Maria Sforza e dei suoi cortigiani che si recavano a Ferrara a incontrare l'imperatore. Da quel momento, essendo il padre già anziano, l'E. fu con il fratello Giacomo - con il quale ebbe sempre rapporti piuttosto contrastati - il vero comandante della flotta e ne assunse pienamente il titolo nel 1466.
Nello stesso anno, in occasione della visita a Pavia del nuovo duca Galeazzo Maria, l'E. allestì un sontuoso ricevimento, e procurò una ricca scorta di cento uomini in divisa sforzesca. Alcune lettere segnalano al duca, in quell'occasione, l'E. e la sua famiglia, affermata e potente per le ricchezze e per i legami dì parentela con tutti i maggiori casati pavesi (Archivio di Stato di Milano, Sforzesco., b. 845). Pochi mesi dopo fu nominato castellano del castello di Milano, ma non cessò per questo di occuparsi dei galeoni del duca, e quando si allontanava da Porta Giovìa per badare alla flotta era sostituito da uno, dei suoi numerosi fratelli.
È del 1469 un suo lungo scritto con consigli per il duca relativi alla fortificazione fluviale (ibid., b. 890) che comincia con il detto: "Dìce uno proverbio che signore del Puo e de Pavia sia segnore de Lombardia", dal quale l'E. deduce l'utilità di allestire una flotta di galconi per un impiego non solo difensivo, ma anche offensivo. Un altro scritto dell'E., ricordato dall'Argelati, risale al 1472 e riguarda i preparativi di una vasta mobilitazione generale contro Venezia. I consigli dell'E. sulla flotta furono in parte seguiti e, alla fine del 1471, egli risulta attivamente impegnato a recuperare e riparare i galeoni e a procurare il legname necessario dai boschi dei feudatari delle terre lungo il Po.
L'influenza personale dell'E. nelle vicende politiche del Ducato si accrebbe considerevolmente durante la crisi dinastica seguita alla morte di Galeazzo Maria Sforza. Nel 1480, in accordo con alcuni nobili milanesi e con Ludovico Sforza, egli si impadronì del duca minorenne, lo fece rifugiare nella rocchetta del castello e lo allontanò così dalla tutela della madre, Bona dì Savoia. A. Tassino, amante della duchessa, che nei giorni precedenti aveva tentato inutilmente di sottrarre il controllo del castello all'E., fu costretto a fuggire. Con Gianfrancesco Pallavicino e con Ludovico Sforza l'E. formò un triumvirato che resse di fatto lo Stato e preparò la strada all'affermazione definitiva del Moro. In questi anni egli divenne potentissimo: favorì in tutti i modi i suoi -concittadini (e fu da loro considerato un benefattore e una sorta di protettore della città) e soprattutto i suoi famigliari.
Nel 1483 fu scoperta una congiura per uccidere Ludovico il Moro, ordita, pare, dalla fazione ghibellina: fra i congiurati vi erano tre fratelli dell'E. e uno di loro fu incarcerato. L'E. non poteva ignorare la cosa, ma la sua partecipazione resta piuttosto oscura nei suoi contorni, e in una lettera di due anni dopo il Moro lo scagionò completamente. In apparenza l'E. riprese il suo posto e anzi accrebbe la sua grandissima influenza: nel 1484 fece parte di un consiglio ristrettissimo per decidere la condotta della guerra di Ferrara, nel 1485 si proclamò fedele al duca respingendo gli inviti di Roberto Sanseverino alla ribellione. Secondo molte testimonianze, l'E. era al corrente dei più delicati affari di Stato e prendeva parte alle decisioni più importanti.
Tuttavia, l'episodio del 1483 anticipa in qualche modo gli eventi che portarono alla sua caduta: nei primi giorni del settembre del 1489 fu scoperto a Lodi un messo diretto in Germania, portatore di lettere nelle quali l'E. offriva il castello all'imperatore; l'E. fu facilmente catturato e condotto prigioniero nel castello di Abbiate. Nel processo che seguì emersero con prove sempre più sicure le responsabilità del cognato dell'E., Luigi Terzaghi, segretario del Moro, che aveva scritto le lettere incriminate e organizzato il tradimento. L'E. fu privato dei suoi beni e delle sue enormi ricchezze, tuttavia fu proclamata la volontà di usare clemenza nei suoi confronti, in considerazione dell'età veneranda (era ottuagenario), dei suoi meriti passati e dell'istigazione del Terzaghi, il maggior colpevole. Il processo fu condotto da Bernardino Aretino, vicario generale, e fu poi reso pubblico con grande solennità davanti al Senato e agli ambasciatori delle potenze alleate.
Successivamente l'E. fu trasferito nel castello di Cassano e poi in quello di Melegnano, luogo "delectevole e ameno", dove, ordinava Ludovico il Moro, gli dovevano essere riservati particolari riguardi. Nonostante le avverse vicende, l'E. era ancora piuttosto influente: non solo riuscì ad ottenere la restituzione di parte dei propri beni, ma alcuni episodi mostrano che egli poteva ancora far conto sulla rete di amicizie e relazioni stabilita dalla sua famiglia. In una causa tra il Comune di Castelnuovo Bocca d'Adda e l'E., ex feudatario del luogo, i rappresentanti del Comune, in una lettera, lamentavano infatti la parzialità dei giudici di Cremona, influenzati dagli amici potenti e altolocati che il loro avversario aveva in quella città (Archivio di Stato di Milano, Comuni, b. 23, supplica s. d. ma posteriore al 1492).
La completa riabilitazione seguì nel dicembre del 1494: una lettera ducale annunciò che, dopo la confessione di uno dei complici, era emersa la totale innocenza dell'Eustachi. Forse il perdono fu deciso in considerazione delle sue precarie condizioni di salute: egli morì, infatti, il 3 genn. 1495, forse a Pavia. È da escludere un'altra versione, che lo vuole giustiziato nel 1489.
Il giudizio del Corio, suo contemporaneo alla corte sforzesca, è assai severo: lo descrive come uomo credulo e influenzabile, il quale non fu all'altezza degli eventi che lo coinvolsero. Fin da giovane, scrive il Corio, l'E. "se dilectò de archimia", e nel 1485 passò molte giornate chiuso nella rocchetta del castello a fare esperimenti in compagnia di un dotto astrologo e alchimista ebreo di passaggio a Milano.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Fondo Famiglie, b. 68, docc. vari nel fasc. Eustachi; oltre a quelle cit. nel testo, moltissime lettere inedite dell'E. o a lui relative sono conservate nello stesso Archivio nel vastoCarteggio Sforzesco, aa. 1450-1495. Cfr. inoltre Iohannis Simonetae Rerum gestarum Francisci Sfortiae Mediolanensium ducis Commentarii, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXI, 2, a cura di G. Soranzo, pp. 28, 36, 189; Dispacci e lettere di Giacomo Gherardi nunzio pontificio a Firenze e Milano, a cura di E. Carusi, Roma 1909, pp. 349-357; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisì Guerra, Torino 1978, II, pp. 1430 s., 1455, 1459, 1475 s.; Gli atti cancellereschi viscontei, II, Carteggio extradominium, a cura di G. Vittani, I, Milano 1929, p. 215; C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco, Milano 1948, pp. 338, 593; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, coll. 581 s.; C. de' Rosmini, Vita di Gian-Jacopo Trivulzio, Milano 1815, I, pp. 79-81, 83, 94; II, pp. 68-70; C. E. Visconti, Ordine dell'esercito ducale sforzesco, in Arch. stor. lomb., s. 1, III (1876), pp. 448-449 s.; F. Gabotto, Nuove ricerche e documenti sull'astrologia alla corte degli Estensi e degli Sforza, Torino 1891, p. 29; R. Majocchi, L'assoluzione di Pavia dall'interdetto di papa Giovanni XXII, in Arch. stor. lomb., s. 3, VIII (1897), pp. 73 s.; L. Rossi, La flotta sforzesca nel 1448-49, in Boll. d. Soc. pavese di storia patria, XII (1912), pp. 3-6; Id., Gli Eustachi di Pavia e la flotta viscontea e sforzesca nel secolo XV, ibid., XXIV (1924), pp. 29 s., 50, 60 s., 77, 93 s.; XXV (1925), pp. 42, 47, 54-57, 65, 69, 77 ss.; XXVII (1927), pp. 22, 29, 35, 37 ss., 41 s., 44, 49, 53, 58 s., 61-65, 67, 71; XXVIII (1928), p. 275; Id., Francesco degli Eustachi, protonotario apostolico..., ibid., XXXIII (1933), pp. 187-264 passim; Id., Pietro Pasino degli Eustachi, giureconsulto..., in Boll. stor. pavese, I (1937-1938), pp. 57, 59, 80-86, 97, 102-107, 109.