FINELLA (Finelli), Filippo
Nacque a Napoli nel 1584, come si deduce dalla didascalia del suo ritratto presente in alcune sue opere, datato 1632, e in cui gli è attribuita l'età di quarantotto anni. Pochissimo sappiamo della sua vita e nulla della formazione, ma la sua produzione suggerisce un misto di interessi letterari e per le scienze occulte, secondo un gusto tipico della cultura napoletana di tradizione dellaportiana. Estremamente versatile, dovette godere di larga fortuna come divulgatore di astrologia, alchimia, chiromanzia e fisiognomica, tanto che le sue opere si trovano nelle maggiori biblioteche europee.
La sua prima produzione fu di carattere letterario e, come letterato, fu cooptato con il soprannome di Inutile nell'Accademia degli Incauti, sorta a Napoli nel 1621 e vitale fino alla metà del secolo, che era solita riunirsi nel convento del Carmine Maggiore. Tra il 1617 e il 1627 compose e pubblicò a Napoli opere teatrali: in particolare del 1617 è la tragedia Cesonia e del 1624 la tragicommedia pastorale Penelopea. Maggiore notorietà dovettero avere La vendetta di Giove contro i giganti, Grazie concesse da Giove ai cupi abissi e Intermedii (pubblicati a Napoli nel 1625). Si tratta di canzoni o madrigali per una sorta di dramma musicale composto di diversi intermezzi. Secondo B. Croce, dal momento che il dramma musicale fu un genere introdotto a Napoli non prima del 1651, il F. con i suoi intermezzi fu tra i primi a proporre componimenti in musica per il teatro napoletano. Fecero seguito nel 1626 la favola pastorale La Cintia e nel 1627 la tragedia La Giudea distrutta da Vespasiano e Tito (Napoli).
Nel contempo il F. prese a pubblicare opere di carattere. per l'epoca, "scientifico" e tra il 21 ott. 1625 e il 1° marzo 1627 diede alle stampe (sempre a Napoli) il suo primo trattato di fisiognomica, in due volumi, la Phisonomia naturale.
Dedicata al papa Urbano VIII, l'opera è una ripresa e rielaborazione delle classiche fonti della fisiognomica a partire da Adamanzio, Axistotele, Polemone, Geber (Jabir) per giungere fino a G. Cardano, e allo stesso G.B. Della Porta. Entrambe le parti in cui l'opera è suddivisa si concludono con una rituale formula di avvertimento con cui l'autore invita alla cautela nell'uso dell'arte fisiognomica come scienza divinatoria e giudiziaria, in quanto, sebbene si tratti di disciplina capace di individuare dai tratti somatici esteriori i caratteri morali interiori di ciascun individuo, per formulare un corretto giudizio è da osservare con attenzione ogni specifico tratto corporeo. L'opera riscosse successo se due anni dopo venne riedita e arricchita di un sofisticato trattatello di fisiognomica basata sui segni presenti nelle unghie delle mani (Fisionomia naturale ... divisa in due parti. Nelle quali si contiene la geometria delle membra humane, con un brevissimo discorso delli segni ch'appariscono nell'ugne delle mani, Napoli 1629).
Della sua perizia di fisiognomico il F. diede prova ulteriore, dedicando un trattato a un altro dei tipici temi di questa disciplina: l'analisi dei nei distribuiti sul corpo (su volto e collo soprattutto) come segni di diverso indizio caratteriale a seconda della loro quantità e dislocazione. Pubblicati in latino nell'ottobre del 1630 e divisi in tre parti, i Libri tres nevorum (Antverpiae) furono corredati da duecento tavole, con una meticolosa tipologia della distribuzione dei nei, analizzata in rapporto alle congiunzioni astrali, ma ancora una volta sottolineando come gli astri predispongano, senza tuttavia determinarla, la volontà, che permane libera. Nel marzo del 1632, a riprova del diffuso interesse di pubblico per tutto ciò che riguardasse la scienza del carattere e dei temperamenti, comparve anche la traduzione italiana della prima parte dell'opera con il titolo Primo libro de nevi ("in Antverpia"). Da segnalare che il trattato De naevis fu compreso anche nel Thesaurus chiromantiae di J. Praetorius (Ienae 1661, pp. 999-1026). Sempre nel 1632, in occasione della famosa eruzione del Vesuvio del 16 dic. 1631, il F. pubblicò a Napoli un opuscolo intitolato Incendio del Vesuvio con lo pseudonimo anagrammato di Lanelfi.
Nel 1634 pubblicò, sempre a Napoli, una nuova opera di medicina astrologica: Delle vertù occulte delle vipere per le 28 mansioni delli segni del Zodiaco. Con le tavole astronomiche a che hora se leva il sole e che tempo sia mezo giorno ... Con le tavole perpetue in che segno, gradi, minuti se ritrova la lune, a cui accluse un fascicolo di tavole astronomiche e, ancora, una serie di Tavole astronomiche della luna perpetue per 19 anni (ibid.).
Di impronta alchemico-paracelsiana è il Soliloquium saliurn empyricum dedicata a Pompeo Colonna, principe di Gallicano, edito a Napoli nel 1649, anche se la composizione risale a cinque anni prima.
L'opera ha il carattere di una farmacopea iatrochimica che detta procedure, ingredienti e proprietà di ogni preparato in relazione alle diverse malattie. Divisa in tre parti, essa tratta dei modi con cui ricavare sali dalle sostanze animali, vegetali e minerali e del loro impiego terapeutico. Con il termine sale la tradizione paracelsiana indicava non un elemento ma un "principio" dotato di proprietà ontologiche prima che chimiche: i sali, peraltro, erano considerati ora umori concreti, ora acqua condensata o coagulata, ora terra riarsa intimamente mescolata con l'acqua, ma soprattutto spiriti o essenze provenienti dall'azione dei corpi stellari e resi concreti dal freddo terrestre. Seguendo le teorie paracelsiane il F. individua nel mercurio, nello zolfo e nel sale i principia fondamentali di ogni composto, in contrasto con l'antica e affermata teoria dei quattro elementa (terra, acqua, ana, fuoco). Dal punto di vista terapeutico, il F. ha un'idea di malattia conforme alla tradizione degli iatrochirnici; essa e uno squilibrio di forze che possono essere reintegrate grazie all'assunzione di sostanze chimiche, combinata con la benefica azione degli astri che con queste sostanze hanno affinità. Secondo alcuni (G. Testi e A. Esposito) al F. sarebbe da attribuire il merito della scoperta e codificazione del metodo di lisciviazione e calcificazione dei sali vegetali, diffuso nel 1655 dal farmacista O. Tachenius, presente in quegli anni a Padova, con l'opera Hippocrates chimicus. Singolare nel Soliloquium è anche la probabile intuizione, in antitesi con le teorie dell'epoca, della natura animale del corallo: infatti, nel tripartire i sali in quelli tratti da sostanze minerali, vegetali e animali, colloca il De sale corallorum tra i farmaci ricavati dagli animali marini.
Tra il 1634 e il 1648, oltre al Soliloquium, il F. compose diverse opere che ottennero l'imprimatur nel 1648 e furono edite tutte nel 1649. Riprendendo un tema di fisiognomica e medicina astrologica già brevemente affrontato vent'anni prima, nel 1649 comparve il De quatuor signis quae apparent in unguibus manuum (Napoli), dedicato al nobile napoletano G.M. Caracciolo.
In ben ventuno capitoli il F. analizzava le distinte proprietà denunciate dal colore (bianco, nero, rosso e grigio) delle lunette sotto le unghie delle mani, in forza della loro connessione con i quattro umori del corpo e con i pianeti dominanti.
Sempre del 1649 è lo Speculum astronomicum tripartitum, medicis necessarium, agricolturae et navigationi valde proficuum, item, et tabula ad sciendum quoquo die, quot minutis, quotue secundis hora Planetaria, constet, ut in die, siè et in nocte, pubblicato a Napoli e dedicato ad A. Troilo, abate generale della Congregazione dei canonici regolari lateranensi.
Ma l'opera in cui il F. sicuramente dovette investire il massimo di prestigio come trattatista di fisiognomica è il De Planetaria naturaliphisonomia, stampato a Napoli e datato 7 giugno 1649.
L'opera, dedicata a Iffigo Velez de Guevara conte di Ofiate, dal marzo 1648 viceré del Regno, riassume e sistematizza, non diversamente dal più noto e più originale Della Porta, i rapporti tra astrologia e caratteri somatici e morali dell'uomo. Da rilevare che nella richiesta di licenza di stampa, annessa all'opera e concessa nel maggio 1648 da G. Peccer, vengono citate altre opere per le quali il F. chiedeva l'imprimatur; tra esse un trattato di Ophthalmia physiognomica, di cui, però, non sembra rimanere traccia.
Se l'intero gruppo di tali opere fu edito a Napoli nel 1649, l'anno precedente era comparsa un'altra fortunata opera del F.: i tre volumi del De metroposcopia, seu methoposcopia naturali..., Antverpiae 1648.
Per quest'opera, come per tutte le altre che riportano come luogo di edizione Anversa, quale editore B. Moretus e quale tipografo Plantin, si pone il ragionevole dubbio se esse siano state effettivamente stampate fuori Napoli. Su questo problema è fondamentale l'indagine del 1929 sui Falsche Moretusdrucke del direttore del Museo Moretus-Plantin di Anversa, M. Sabbe, che nella parte dedicata al F., oltre a rilevare che nel Museo non c'era traccia di sue opere, notava i grossolani errori sui frontespizi (Plantiuiana e Morenus), escludeva che i caratteri e l'impostazione di stampa fossero quelli di Moretus, rimarcava come l'editore napoletano del F., G. Gaffaro, fosse uso a questi falsi, e che pubblicare con il nome di Moretus significava coprirsi con un editore riconosciuto in tutta Europa come perfettamente cattolico, e che vantava il monopolio per le opere liturgiche nella Spagna e nelle colonie oltremare. Una copertura, egli confermava, nei confronti dell'Inquisizione e della ormai consueta messa all'Indice dei libri di astrologia e di arti divinatorie.
Tale era il caso della metoposcopia (cioè della decifrazione del carattere e del destino degli uomini attraverso l'intepretazione delle rughe della fronte), che peraltro il F. fa derivare oltre che dal termine metopou (fronte) anche da metron (misura), a rimarcarne il valore normativo. Elaborata a suo dire induttivamente (il F. sostiene di avere osservato ben milletrecento volti umani in trent'anni di esperienza), questa scienza poteva vantare illustri antecedenti nel corpus fisiognomico classico (Aristotele, Polemone e Adamanzio), nella tradizione islamica, fino all'età rinascimentale con Cardano e Della Porta e con altri medici come R. Goclenius (Göckel), L. Fuchs, J. Belot, I.A. Magini, C. Ghiradelli.Sempre sul medesimo tema, corredato di quattrocentodieci tavole, e teso a illustrare i medesimi legami tra linee della fronte e costellazioni è il De methoposcopia astronomica. De duodecim signis coelestibus (Antverpiae), datato Napoli C maggio 1650 e dedicato a Giannettino Doria. Del 1650 sono infine altre due opere: il De revolutionibus annorum, Antverpiae, dedicata a V. Tuttavilla, vicario generale di Giovanni d'Austria, che riprende il notissimo tema del ciclo della vita regolato, per ciascuno, dal ritorno periodico del Sole nel medesimo segno, grado e minuto della nascita, e il trattatello di medicina astrologica De duabus conceptionis et respirationis figuris et de connexione inter eas, etfiguram coelestem (Antverpiae). Presso la Biblioteca Casanatense di Roma è conservato un fascicolo a stampa, senza data e luogo di edizione, intitolato De duodecim coelestibus signis in 360. gradibus divisis cum eorum inclinationibus, et naturis, contenente un prontuario descrittivo dei segni zodiacali, delle loro posizioni e case e delle loro influenze.
Ignoti sono la data e il luogo della morte del F., ma, considerando che la sua produzione si protrasse pressoché ininterrotta per più di un trentennio, è ragionevole porla poco dopo la data estrema (1650) delle sue pubblicazioni.
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