GHISI, Filippo
Nacque presumibilmente nel primo quarto del sec. XIII; appartenne al ramo della famiglia patrizia veneziana abitante nel sestiere di S. Croce, nelle parrocchie di S. Simeone e di S. Stae. Il nome del padre è ignoto: potrebbe essere Leonardo, di S. Stae, attestato in vita nell'aprile del 1224.
Il G. ebbe probabilmente cinque fratelli e una sorella di nome Marchesina. La prima notizia su di lui riguarda le sue nozze con la seconda figlia di Geremia Ghisi, che ebbero luogo in data non precisabile. Non è noto il nome della moglie, forse Isabella; si sa solo che il matrimonio fu concluso in assenza della dispensa papale, resa necessaria dal legame di parentela fra gli sposi.
Geremia Ghisi, insieme con il fratello Andrea e con altri avventurieri veneziani, aveva partecipato nel 1207 alla spedizione, guidata da Marco Sanuto, volta alla conquista di alcune isole dell'arcipelago greco. Andrea Ghisi, in particolare, si era impossessato di Tino e Micono, nelle Cicladi, mentre Geremia aveva occupato Sciato, Sciro e Scopelo, nelle Sporadi.
Alla morte di Geremia, avvenuta tra il 1243 e il 1252, in mancanza di eredi maschi la signoria delle isole venne divisa fra le due figlie, la più anziana delle quali, Marchesina, aveva sposato il futuro doge Lorenzo Tiepolo. Il G. però, in data e con modalità che ignoriamo, si impossessò arbitrariamente anche della parte spettante alla cognata. Il Tiepolo ricorse alla Signoria veneziana e, probabilmente, anche al principe di Acaia, che delle isole era il sovrano feudale. La Signoria veneziana condannò il G. ingiungendogli di restituire le isole, ma questi rifiutò di obbedire anche quando vennero sequestrati i beni che possedeva in patria. In assenza di fonti dirette, non possiamo stabilire con esattezza la cronologia del provvedimento adottato nei confronti del G.; di certo si sa soltanto che nel 1262 questi risultava illegalmente in possesso della parte spettante alla cognata. Tra la primavera e l'estate di quell'anno, infatti, l'ammiraglio veneziano Giacomo Dolfin, durante una campagna contro l'imperatore bizantino Michele VIII Paleologo, fece scalo a Scopelo, che legalmente doveva appartenere a Marchesina, e invitò il G. a rendere l'isola, di cui egli però continuò a mantenere il possesso, anche se alcuni cronisti, ai quali si deve la notizia, concludono erroneamente che il G. soddisfece la richiesta. A questo dominio sembra poi essersi aggiunta, in data non precisabile, anche l'isola di Amorgo, che un imperatore bizantino avrebbe donato al G. in segno di stima per il suocero di quest'ultimo ("per amor di miser Geremia"), dopo averla sottratta al Ducato veneziano dell'Arcipelago. Il racconto, che si deve a Marin Sanuto senior detto il Torsello (Historia del Regno di Romania: cfr. Loenertz, pp. 324 s.), è poco credibile, perché difficilmente un sovrano di Bisanzio avrebbe concesso parte del territorio riconquistato a un veneziano, ma non è comunque da escludere che in qualche modo il G. ne sia venuto in possesso, a giudicare dall'esistenza di trattative fra lui e il secondo duca dell'Arcipelago, Angelo Sanuto (1227-62), relativamente al possesso di Amorgo. È quindi possibile che l'isola sia stata conquistata insieme con altre nel 1207 entrando a far parte del Ducato dell'Arcipelago, costituito da Marco Sanuto, e che in seguito sia finita nelle mani del G., forse nel quadro di una contesa di natura feudale, nella quale potrebbe essere entrato come giudice o come parte l'imperatore latino di Costantinopoli piuttosto che un sovrano bizantino.
Il G. mantenne il proprio dominio per un altro quindicennio dopo l'intervento di Giacomo Dolfin, ma finì per perderlo miseramente quando l'imperatore di Bisanzio, Michele VIII Paleologo, attaccò in forze gli Occidentali nel tentativo di recuperare i territori in cui questi si erano insediati a seguito della quarta crociata.
Dopo il concilio di Lione (1274), che portò alla riunificazione religiosa fra Roma e Costantinopoli, il Paleologo riuscì infatti ad allentare la pressione esercitata sull'Impero dall'espansionismo angioino e passò decisamente all'offensiva. La sua azione militare venne validamente condotta da un rinnegato italiano, di nome Licario, che nel 1276 si impossessò di parte dell'Eubea. Verso l'estate 1277 Licario diede il via a una nuova campagna attaccando l'isola di Scopelo, il cui castello, ritenuto imprendibile, cadde nelle sue mani per esaurimento della scorta di acqua. Insieme con Scopelo venne presa Sciro e, verosimilmente nella stessa occasione, caddero anche Sciato e le altre isole minori che formavano il dominio del Ghisi. La stessa sorte toccò ad Amorgo, la cui caduta sembra però da anticipare al 1275 o 1276.
Le riconquiste bizantine non furono durature ma, per il G., segnarono la fine del dominio che aveva esercitato sulle isole. Cadde infatti nelle mani dei Bizantini e venne portato prigioniero a Costantinopoli insieme con la moglie, che vi morì in condizioni miserevoli. Recuperata la libertà dopo un lungo periodo di detenzione, si recò a Venezia dove, per intercessione di fra Bonifacio, priore dei domenicani, si riconciliò con l'ex dogaressa, raggiungendo un accordo a condizione che pagasse 30 lire di grossi veneziani come indennizzo a lei o ai suoi eredi. Essendo tuttavia il G., in quel momento, del tutto privo di denaro, non poté far fronte all'impegno e non riuscì neppure a trovare una persona disposta a fare da garante per lui. Subito dopo la riconciliazione con la cognata, infine, il G. si presentò al doge accompagnato da Pietro Tiepolo, figlio di Marchesina, per ottenere la grazia tenendo conto del perdono accordatogli dai parenti.
Non conosciamo l'anno in cui ebbe luogo la riconciliazione e, di conseguenza, il doge al quale si rivolse il G.: potrebbe trattarsi di Jacopo Contarini (1275-80) o Giovanni Dandolo (1280-89) o anche Pietro Gradenigo (1289-1311). L'unica notizia sicura in proposito risale al 1297, quando il G. non era ancora rientrato in possesso dei suoi beni. Il 18 dicembre di quell'anno, infatti, il G. fece testamento a Negroponte, dove allora abitava, affidando tra l'altro l'incarico al nipote Leonardo, residente a Venezia, di utilizzare il denaro depositato presso di lui e il ricavato della vendita di alcuni tappeti per risarcire gli eredi dell'allora defunta Marchesina Ghisi Tiepolo, come convenuto al momento della rappacificazione. Il denaro eccedente, precisava inoltre il G., doveva essere usato dallo stesso Leonardo e dai procuratori di S. Marco per il riposo delle anime di coloro che egli aveva defraudato. Seguivano poi altre disposizioni testamentarie, che danno l'idea di come il G. avesse nel frattempo ricostruito una certa fortuna, forse esercitando la mercatura a Negroponte, dove doveva essersi stabilito dopo la liberazione dalla prigionia.
Il testamento venne dettato dal G. ai domenicani Bonacorsi di Bologna e Antonio di Venezia e questi lo fecero legalizzare dal bailo di Negroponte il 25 apr. 1299, quando il G. doveva essere ancora in vita. La sorella Marchesina, invece, era già defunta quando il G. dettò le disposizioni testamentarie. Nel testamento il G. non fa alcuna menzione dell'esistenza di figli ed è perciò da credere che non ne abbia avuti o siano morti prima di lui. Da questo momento non si hanno più notizie su di lui ed è probabile che sia morto di lì a poco.
Il G., secondo la testimonianza dello storico veneziano Marin Sanuto Torsello, fu "bel uomo e eloquente" ma di grande alterigia, tanto da far proprio il verso di Ovidio "Maior sum, quam cui possit fortuna nocere" (Met., VI, 195; cfr. Loenertz, p. 324).
Fonti e Bibl.: I trattati con Bisanzio, a cura di M. Pozza - G. Ravegnani, Venezia 1996, pp. 128 s.; K. Hopf, Ghisi, in Allgemeine Encyclopädie der Wissenschaften und Künste, LXVI, Leipzig 1857, p. 337; S. Borsari, Studi sulle colonie veneziane in Romania nel XIII secolo, Napoli 1966, pp. 82 s., 133-137; R.J. Loenertz, Les Ghisi dynastes vénitiens dans l'Archipel 1207-1390, Firenze 1975, pp. 37 s., 45-50, 288-293 n. 5, 317-322 nn. 4-9, 324 s. n. 11, 373, 375.