HERRERA, Filippo (Salomone Romano)
Gli assai scarsi dati in nostro possesso sull'H. rendono alquanto problematico tracciare una biografia. Simonsohn (1989, pp. 31, 48 s.) per primo lo identificò con l'ex rabbino Salomon Romano, il cui impegno insieme con Alessandro Franceschi, alias Chananel da Foligno, e Andrea del Monte, alias Yosef Moro, fu determinante per la definitiva condanna del Talmud nel 1553. Oggi, grazie al reperimento dell'atto di battesimo, avvenuto a Roma il 1° maggio 1544, e di un documento notarile rogato a Mantova il 29 genn. 1552, in cui a "don Philippus Romanus", alias "Salamon", venivano riconosciuti dai cugini Salomone, Moisè, Abramo e Angelo, figli di Simone da Colorno, i diritti nei confronti dell'eredità del padre Isaac, fratello del citato Simone, siamo in grado di identificare l'H. con quel Salomon di Isaac da Colorno di cui, secondo V. Colorni, si sarebbero invece perdute le tracce (cfr. Ioly Zorattini, 2001).
Salomon, che nel 1529 risulta abitante a Mantova nella contrada dell'Orso, era nato nel Mantovano probabilmente verso il 1506 o 1507, in quanto risulta minore di venticinque anni e maggiore di ventitré nell'atto notarile rogato a Mantova l'8 ag. 1530 in occasione del suo matrimonio con Sara, figlia di Nobile e di Abramo da Padova, residente a Mantova fino al 1545, la quale gli portò una dote di 250 ducati. Dall'unione nacquero cinque figli, di cui conosciamo per lo più i nomi assunti dopo la conversione e cioè Tommaso, alias Isaac, Francesco, Bartolomeo, Margherita, alias Perla, e Perna.
Il 1° maggio 1544 a Roma Salomone si convertì al cristianesimo con due figli, Perla e Isaac, che aveva preso il nome di Tommaso perché aveva perseverato nel dubbio, e che, in seguito, sarebbe entrato nell'Ordine domenicano con il nome di Paolo. L'origine del cognome acquisito, Herrera, di evidente origine iberica, non ci è al momento nota e potrebbe essere legata al cognome dell'eventuale padrino, che tuttavia non compare nell'atto di battesimo, mentre l'origine del nome, Filippo, può forse spiegarsi con la circostanza che il 1° maggio è dedicato ai santi Filippo e Giacomo. L'appellativo di romano che si evince dal rogito mantovano del 1552, "don Philippus Romanus", deriva probabilmente dal luogo in cui era avvenuto il battesimo, dove l'H. era rinato nella nuova fede.
A Roma, inoltre, l'H. venne probabilmente ordinato sacerdote prima del 1551. Infatti, già il 13 maggio di quell'anno egli viene chiamato "presbiterum Romanum", e nella testimonianza di suo figlio Francesco Colonna, del 1553, è definito "prete". Non è tuttavia possibile precisare la data dell'ingresso in religione, in quanto la serie delle Ordinazioni che si trova nell'Archivio storico del Vicariato di Roma copre gli anni dal 1512 al 1539, con una lacuna fino al 1570. In un momento successivo, Francesco e Bartolomeo, di cui non conosciamo i nomi ebraici, lo seguirono nel battesimo, non assumendo però il cognome Herrera, bensì quello di Colonna, in onore del loro protettore, il principe Ascanio Colonna.
Non avevano invece accettato di convertirsi sua moglie Sara, e una delle figlie, Perna, che troviamo ancora come ebree a Mantova nel 1546, quando Sara era forse già divorziata dall'H. ("Sarra sua figliola già moglie di Philippo Romano", cfr. Colorni, 1991, p. 63). Sulla figlia erano state fatte pressioni particolari per indurla alla conversione. Infatti, nel luglio del 1546, la giovane Perna, che all'epoca aveva circa tredici o quattordici anni, era stata posta dal vicario della diocesi di Mantova nella casa del pittore e architetto Giulio Romano, con l'espresso divieto agli ebrei di avvicinarla, secondo quanto prevedeva la normativa papale per i catecumeni, che dovevano restare isolati dai loro correligionari durante la preparazione al battesimo. Pare comunque che la giovane non abbia optato per la conversione, stando almeno alla testimonianza sporta il 28 nov. 1553 dinanzi al S. Uffizio di Venezia dal fratello Francesco Colonna, il quale dichiarò che sua madre "Sarra Boccazza" e una sua sorella, "Perna de Colorno", vivevano ancora come ebree a Mantova.
Sull'attività dell'H. le notizie sono piuttosto frammentarie. Nel maggio 1551 papa Giulio III lo deputò, insieme con un altro neofito, Alessandro Franceschi, alla raccolta di fondi in favore della Casa dei catecumeni di Roma, incarico che gli fu rinnovato il 10 ag. 1552. Molto poco si sa anche sulla sua attività di censore. Fece comunque parte del gruppo dei neofiti fautori della confisca e della distruzione del Talmud nel 1553. A tutt'oggi non si conoscono testi censurati dall'H., ma un controllo sistematico sulla produzione libraria in ebraico edita durante il corso del Cinquecento potrebbe forse riservare qualche sorpresa.
Una lettera del 25 luglio 1558 dell'inquisitore di Mantova, Ambrogio Aldegati (Allegati, Ardegati, Aldegotti) al cardinale Michele Ghislieri (futuro Pio V) ci offre qualche altra notizia. Nella lettera si accenna alla denuncia sporta al locale S. Uffizio dal figlio dell'H., fra Paolo, al tempo appartenente alla provincia romana dei domenicani, relativa ad alcuni libri ebraici contenenti "bestemmie profane" contro Gesù, che fra Paolo aveva scoperto presso parenti ebrei di Mantova. Si trattava di copie di Rav Alfes, un compendio del Talmud di Yitzchaq ben Yaqob al-Fasi, e di un "quinternello" del neofito Giacomo Geraldini contenente i passi in cui "dette bestemmie se comprendono". L'Aldegati affidò il compito di verificare se nei testi ebraici fossero state apportate le censure indicate da Giacomo Geraldini a due esperti, l'ex rabbino Giovanni Agostino e fra Benedetto da Chioggia. Tuttavia, dal momento che gli era difficile controllare tutti i volumi in possesso degli ebrei di Mantova, chiedeva alla congregazione del S. Uffizio l'aiuto di altri due commissari, aggiungendo esplicitamente che non gli fosse inviato di nuovo "il padre di detto fra Paolo, chiamato per nome Filippo Elera", che era incorso nella riprovazione delle autorità ecclesiastiche per avere estorto denaro agli ebrei nella sua qualità di censore.
L'H. è ricordato per il suo fanatismo e la sua intolleranza nell'opera di Yosef ha-Kohen 'Emeq ha-bakha (La valle del pianto). La cronaca lo cita non solo per avere partecipato insieme con altri due neofiti alla persecuzione del Talmud, ma lo addita come responsabile della profanazione della sinagoga di Recanati. Pare infatti che nell'autunno 1559, trovandosi a Recanati in occasione del Kippur, l'H. fosse entrato nella sinagoga e avesse posto una croce sull'arca santa suscitando una violenta reazione da parte dei presenti, che lo avevano scacciato dal tempio, attirandosi così l'ira delle autorità, che avevano colto l'occasione per punire gli ebrei della comunità marchigiana.
L'ultima notizia riguarda la sua presenza nel collegio dei neofiti di Roma. Il 26 marzo 1579 "Filippo Herera della natione ebrea" vi giunse rimanendovi per quasi tre anni e cioè fino al 4 ott. 1582, quando partì dal Collegio portando con sé "una sottana di saia, due para di calze, uno paro di calzoni di tela, una camicia, uno fazzoletto". Da quel momento non si hanno più notizie dell'Herrera. Allo stato attuale delle ricerche non si conosce né il luogo né la data della morte, che, con tutta probabilità, avvenne nell'ultimo ventennio del Cinquecento.
Anche dei suoi figli si sono perse le tracce. Sappiamo solo che uno di loro, Bartolomeo, svolgeva attività di banchiere a Roma, in Campo de' Fiori, nel luglio 1578.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. stor. del Vicariato, Catecumeni, Battesimi (1545-1563), cc. n.n. (1° maggio 1544); Luoghi pii dei catecumeni e neofiti, b. 76; Istrumenti (1565-1587), c. 964r; Ibid., Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, Stanza storica, D, 4-g, cc. n.n. (lettera dell'inquisitore di Mantova A. Allegati, 25 luglio 1558); Arch. segreto Vaticano, Camera apostolica, Diversa Cameralia, 145 (Arm. XXVIIII), cc. 80v-81r; Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 14158, c. 4r; Arch. di Stato di Mantova, Notarile, Estensioni, 1530, 7 settembre, c. 1339v; Indice delle parti 1545, cc. 67r, 1457r; Registrazioni notarili 1552, cc. 1585-1586r; Bologna, Biblioteca patriarcale di S. Domenico, Mss., I.17500: E. Todeschini, Cathalogus inquisitorum Ordinis praedicatorum et minorum conventualium, Romae 1723, p. 75; Processi del S. Uffizio di Venezia contro ebrei e giudaizzanti, I, 1548-1560, a cura di P.C. Ioly Zorattini, Firenze 1980, pp. 95-100; Appendici, XIII, a cura di P.C. Ioly Zorattini, ibid. 1997, p. 33; Giulio Romano. Repertorio di fonti documentarie, a cura di D. Ferrari, II, Roma 1992, pp. 1151-1154; W. Popper, The censorship of Hebrew books, New York 1899, ad nomen; D. Kaufmann, Die Verbrennung der talmudischen Literatur in der Republik Venedig, in The Jewish Quarterly Review, XIII (1901), pp. 533-538; K. Hoffmann, Ursprung und Anfangstätigkeit des ersten päpstlichen Missioninstituts. Ein Beitrag zur Geschichte der katholischen Juden- und Mohammedanermission in sechzehnten Jahrhundert, Münster i.W. 1923, pp. 42, 57 n. 42, 81 n. 62, 204 n. 21; P. Paschini, Venezia e l'Inquisizione romana da Giulio III a Pio IV, Padova 1959, p. 111; Yosef ha-Kohen, 'Emeq ha-bakha, a cura di P.L. Tello, Madrid-Barcelona 1964, pp. 222, 236 s.; S. Simonsohn, History of the Jews in the Duchy of Mantua, Jerusalem 1977, pp. 686-688; V. Colorni, Genealogia della famiglia Colorni (1477-1977), in Id., Iudaica minora. Saggi sulla storia dell'ebraismo italiano dall'antichità all'età moderna, Milano 1983, p. 643; S. Simonsohn, Some well-known Jewish converts during the Renaissance, in Revue des études juives, CXLVIII (1989), pp. 17-52; V. Colorni, Salomon Romano alias F. H. un convertito del Cinquecento, in Id., Iudaica minora… Nuove ricerche, Milano 1991, pp. 53-63; The Apostolic See and the Jews e Addenda, corrigenda, bibliography and indexes, I-VIII, a cura di S. Simonsohn, Toronto 1988-1991, pp. 276, 283-286, 339, 2535 s., 2780 s., 2838 s.; F. Parente, La Chiesa e il Talmud…, in Storia d'Italia (Einaudi), Annali 11, a cura di C. Vivanti, Gli ebrei in Italia, I, Torino 1996, p. 584 e n. 127; R. Segre, La Controriforma: espulsioni, conversioni, isolamento, ibid., p. 75; P.C. Ioly Zorattini, Il S. Uffizio di Venezia e il controllo della stampa ebraica nella seconda metà del '500, in La censura libraria nell'Europa del secolo XVI, a cura di U. Rozzo, Udine 1997, pp. 127-146; "Dall'infamia dell'errore al grembo di Santa Chiesa". Conversioni e strategie della conversione a Roma, Roma 1998, ad ind.; P.C. Ioly Zorattini, Ancora su Salomon Romano alias F. H. neofito del Cinquecento, in Italia. Studi e ricerche sulla storia, la cultura e la letteratura degli Ebrei d'Italia (intero volume In memory of Giuseppe Sermoneta, a cura di R. Bonfil), XIII-XV (2001), pp. 249-257.