FILIPPO II AUGUSTO, RE DI FRANCIA
Il regno e la vita di Federico II si confrontarono con due delle personalità più insigni della dinastia capetingia: s. Luigi (1214-1270), più giovane di lui di vent'anni, fu contemporaneo degli anni della maturità dell'imperatore; suo nonno F., nato nel 1165, incoronato mentre era in vita il padre Luigi VII, secondo la tradizione dei primi capetingi, e regnante unico a partire dal 1180, accompagnò tutta la prima parte della vita del giovane re di Sicilia e poi dell'imperatore. Il regno di F. rappresentò uno spartiacque nella storia del Regno di Francia. Proprio allora furono gettate le fondamenta di un autentico stato regio; Parigi, da città reale, si trasformò in una capitale che non aveva eguali per popolazione e forza d'irradiazione a nord delle Alpi, e le sue scuole si convertirono in un'università destinata ad acquistare in breve tempo lo statuto di principale centro teologico europeo. Fu anche l'epoca in cui la Francia si conquistò, per un intero secolo, una posizione di preminenza, di fatto se non di diritto, nell'Europa occidentale.
Quando F. salì al trono, nel 1180, il potere regio francese, che si era sviluppato sotto i suoi due predecessori, beneficiava già di un solido assetto territoriale e amministrativo, centrato sull'Île-de-France, ma dovette affermarsi su scala nazionale contro l'immensa compagine territoriale angioina ‒ retta con mano salda da Enrico II Plantageneto e da suo figlio Riccardo fino al 1199 ‒ che copriva la metà occidentale del Regno. Il re di Francia, peraltro, non interveniva da oltre un secolo, se non assai sporadicamente, nella parte meridionale del Regno, dove la sua influenza non si estendeva oltre l'Alvernia. Il primo periodo del governo di F. fu segnato da un allargamento del dominio regio verso nord, dove la massima parte del Vermandois e dell'Artois, tra l'Île-de-France e la contea delle Fiandre, si ricongiunse ai possedimenti della Corona, e da un'alternanza di successi e di rovesci contro i sovrani angioini Enrico II e Riccardo Cuor di Leone, che ostacolavano qualsiasi avanzata del sovrano capetingio verso la Normandia e l'Angiò. Piuttosto sfortunato in guerra rispetto ai suoi avversari Plantageneti, F. tentò di far leva prima sull'ambizione dei figli di Enrico II, poi sulla rivalità fra Riccardo Cuor di Leone e Giovanni Senzaterra, per scongiurare la costante minaccia che la potenza angioina faceva pesare sul re di Francia. Se le relazioni con l'imperatore Federico Barbarossa e con suo figlio Enrico VI furono meno turbolente rispetto a quelle con i troppo potenti vassalli inglesi, ciò dipese innanzi tutto dal fatto che la potenza imperiale non rappresentava un pericolo immediato per il potere dei Capetingi. In seguito all'incontro fra Luigi VII e Federico Barbarossa avvenuto nel 1171 a Vaucouleurs, poi del giovane F. con lo stesso imperatore nel 1187, fra Ivois e Mouzon, si delineò una politica di alleanza fra i Capetingi e gli Hohenstaufen. Ma fino alla morte di Enrico VI i rapporti tra il re di Francia, l'imperatore e il re dei Romani conobbero fasi alterne di tensioni, provocate dalle imprese capetinge nelle Fiandre, e riavvicinamenti, che tuttavia, durante i primi anni di regno di F., furono puramente convenzionali: quando Enrico VI catturò Riccardo Cuor di Leone al ritorno dalla crociata (1192), il sovrano francese, forte delle risorse finanziarie già considerevoli del suo dominio diretto, cercò di ritardare la liberazione del prigioniero offrendo una somma equivalente al suo riscatto al padre di Federico II, perché continuasse a tenere in cattività il suo temibile concorrente.
Almeno in due ambiti F. si interessava da vicino delle questioni dell'Impero. Il primo, tradizionale, concerneva gli affari delle Fiandre, il feudo più ricco del Regno, e più in generale le complesse relazioni politiche tra il potere capetingio e i principati situati lungo le frontiere settentrionali del Regno e, in parte, a cavallo fra Regno e Impero. Le vicende delle Fiandre determinarono l'intervento del re di Francia negli affari dei domini adiacenti, l'Hainaut, il Brabante e il marchesato di Namur, terre dell'Impero. Non si trattò, da parte del potere capetingio, della ricerca di un allargamento territoriale al di fuori delle frontiere tradizionali del Regno, come dimostra il simbolismo sempre molto sentito delle frontiere della Mosa (incontro del 1212 fra Luigi, figlio di F., e Federico a Vaucouleurs), ma della conseguenza degli stretti vincoli politici e feudali che collegavano le Fiandre ai grandi feudi imperiali circostanti (l'Hainaut, feudo dell'Impero, dal 1191 era legato alle Fiandre per via di un'unione dinastica e una parte della stessa contea delle Fiandre, le cosiddette 'Fiandre imperiali', era ritenuta feudo dell'Impero). F., che in prime nozze aveva sposato Isabella di Hainaut, nipote del conte di Fiandra, condusse una politica attiva in questa direzione, mirando, nello stesso tempo, ad assicurare alla Corona il dominio diretto sull'Artois, che rappresentava una cerniera fra i nuovi domini reali del Vermandois e le Fiandre comitali, e a stabilire l'autorità sovrana del re di Francia sulla contea delle Fiandre propriamente detta, volendo così contrastare le ambizioni del re d'Inghilterra.
La politica matrimoniale di F. fu anch'essa orientata verso l'Impero, per ragioni che talvolta appaiono meno evidenti. Successivo alla morte di Isabella di Hainaut (1190) è il celebre episodio del matrimonio con Ingeburge di Danimarca, per la quale il re di Francia provò, subito dopo le nozze, un'immediata avversione. Se pure l'intricata storia dei tentativi compiuti dal re per far annullare questo matrimonio inopportuno e delle sue dispute con il papato non riveste per noi un interesse diretto, è pertinente interrogarsi sulle motivazioni di quest'alleanza matrimoniale con un Regno le cui relazioni esterne erano rivolte allora soprattutto verso la Germania, il Nord e l'area baltica. Tuttavia le ragioni propriamente politiche di F., ammesso che trascendano la ricerca di una principessa di sangue reale discendente di una famiglia estranea agli 'imbrogli' diplomatici dell'Occidente, non appaiono particolarmente chiare. Il vantaggio di un sostegno della flotta danese in caso di un'invasione inglese non sembra un'ipotesi molto credibile.
Non meno singolare fu il terzo matrimonio contratto da F. con Agnese, figlia di Bertoldo IV duca di Merania, nel giugno del 1196. All'annullamento del matrimonio con Ingeburge (non riconosciuto dal papato) seguì la ricerca di una sposa in grado di dare rapidamente un secondo figlio al re, e la scelta cadde sulla figlia del potente duca di Merania, discendente di una famiglia comitale di Andechs, in piena ascesa sul finire del regno di Federico Barbarossa. È possibile, in effetti, che quest'opzione fosse stata dettata dalla difficoltà di trovare una candidata in una famiglia di rango principesco dopo l'affaire Ingeburge, ma la relativa mésalliance, su cui hanno insistito gli storici di tradizione francese, sembra meno evidente alla luce della posizione politica del padre della candidata, uno di quei grandi feudatari dell'area sudorientale dell'Impero che rappresentavano il principale sostegno del partito favorevole agli Hohenstaufen ed esponente della cerchia di Filippo di Svevia dopo la morte di Enrico VI. Quali che fossero le strategie dinastiche perseguite con questi due matrimoni successivi (e contraddittori), è degno di nota che le tre spose ufficiali di F. appartenevano a famiglie che, a titolo diverso, intrattenevano legami con l'Impero e, nel caso dell'ultima, a una delle grandi famiglie della Germania meridionale schierate con gli Hohenstaufen.
La posizione politica e diplomatica di F. si modificò radicalmente durante la giovinezza siciliana di Federico II. Due eventi contribuirono ad accrescere considerevolmente l'importanza del ruolo del re francese negli affari imperiali: da un lato, la morte di Riccardo Cuor di Leone nel 1199 e l'ascesa al trono del fratello Giovanni Senzaterra consentirono a F. di ribaltare all'interno del suo Regno l'equilibrio dei poteri fra re d'Inghilterra e re di Francia, in quanto Giovanni si rivelò incapace di salvaguardare la gravosa eredità del fratello e del padre mantenendo la coesione del dominio angioino. Con la confisca dei feudi continentali del re d'Inghilterra nel 1202 e le eccezionali acquisizioni degli anni 1203-1204 (conquista della Normandia, dell'Angiò e del Maine), l'insieme dei feudi inglesi fino alla Loira ricadde sotto il dominio diretto del re capetingio. Il crollo dell'impero angioino e l'ascesa di un potere reale forte nella metà settentrionale del Regno francese modificarono notevolmente la posizione diplomatica di F., che divenne senza ombra di dubbio il sovrano più potente, sul piano militare e soprattutto finanziario, della cristianità. Quest'incremento del potere coincise con l'aggravarsi della crisi aperta nell'Impero dal primo 'interregno', seguito alla morte di Enrico VI (settembre 1197), padre di Federico II. Il principale contendente degli Hohenstaufen, l'imperatore Ottone di Brunswick, nipote di Riccardo Cuor di Leone e cugino di Giovanni Senzaterra, allevato in Inghilterra, si avvalse del sostegno finanziario di Riccardo e in seguito di Giovanni. Il suo rivale, Filippo di Svevia, zio di Federico II, ricevette naturalmente l'appoggio di Filippo Augusto. La lotta per l'Impero s'intrecciò da quel momento al conflitto che contrappose Capetingi e Plantageneti per il controllo dei grandi feudi dell'occidente francese e per la sovranità effettiva sulle Fiandre, il principato feudale più ricco del Regno, cerniera delle frontiere settentrionali del dominio regio e dell'Impero. Nelle stesse Fiandre, la partenza del conte Baldovino per la quarta crociata e la sua elezione a imperatore di Costantinopoli, cui seguirono la cattura da parte dei bulgari e la morte (1205 ca.), aprirono un periodo di crisi di cui approfittò senza indugio il re di Francia. A lungo termine la vacanza del potere comitale destabilizzò la regione, rendendola bersaglio di manovre politiche e militari che misero in contrasto i due re e i due imperatori rivali.
L'assassinio di Filippo di Svevia nel 1208, proprio quando sembrava aver preso il sopravvento sul suo avversario, sconvolse il fragile equilibrio politico degli anni 1204-1208 e rischiò di mettere in pericolo l'opera di Filippo Augusto. Soltanto quattro anni dopo la conquista della Normandia, dell'Angiò e del Maine, sotto la costante minaccia di una riconquista di questi feudi da parte degli inglesi, nulla parve più ostacolare la marcia del principale alleato del re d'Inghilterra in direzione del trono imperiale. Ora, i principali punti d'appoggio di Ottone di Brunswick, al di fuori dei suoi domini sassoni, erano situati lungo il medio corso del Reno, intorno a Colonia, e a nord-ovest dell'Impero, verso l'Inghilterra e le Fiandre. L'instaurarsi di un potere imperiale che aveva come base queste regioni avrebbe rappresentato una grave minaccia per il re capetingio, il quale, al contrario, aveva tutto da guadagnare da una restaurazione del potere degli Hohenstaufen, che era invece centrato sull'Alsazia, la Svevia e il sud-est dell'Impero.
È in questo contesto diplomatico molto particolare che dev'essere inquadrata la politica di F. a sostegno del giovane re di Sicilia, impegnato nella sua avventura imperiale del 1212. Non si trattò di un'alleanza incondizionata in nome della fedeltà alla dinastia degli Hohenstaufen, ma della decisione ponderata di sfruttare un capovolgimento insperato della situazione. Nel 1208, alla morte di Filippo di Svevia, F. aveva tentato di promuovere la candidatura di Enrico di Brabante, che si era riconosciuto suo vassallo, al trono imperiale. Quando il papato decise di proporre come pretendente Federico per contrastare le ambizioni italiane di Ottone, a partire dal 1211, per F. fu ovvio appoggiare il nuovo contendente imperiale. L'arrivo del giovane re a nord delle Alpi avrebbe allontanato per qualche tempo la minaccia di un rafforzamento del potere dell'imperatore guelfo nel nord-ovest dell'Impero, alleggerendo la monarchia capetingia della pressione che Ottone esercitava sulle Fiandre. Da quel momento gli eventi si susseguirono molto rapidamente. Federico forzò il passaggio delle Alpi e fece il suo ingresso a Costanza a metà settembre del 1212. L'incontro fra il principe Luigi, erede della corona di Francia, e il giovane candidato all'Impero avvenne a metà novembre a Vaucouleurs, luogo tradizionale di scambi diplomatici fra i re di Francia e gli imperatori, situato sulla Mosa, alla frontiera tra il Regno e l'Impero. Inviati del re presenziarono in seguito all'elezione ufficiale e all'incoronazione di Federico II, al principio di dicembre, a Francoforte e a Magonza. Il patto d'assistenza che vincolava Federico a non concludere una pace separata con Ottone o con Giovanni fu integrato dalla concessione dell'ingente somma di 20.000 marchi d'argento, che consentirono allo Svevo di consolidare il suo potere in Germania e di concretare i suoi primi successi restaurando le strutture del dominio degli Hohenstaufen nel meridione della Germania e insistendo nell'impegno militare verso le zone di dominazione guelfa.
La storiografia d'ispirazione francese ha voluto vedere talvolta nelle modalità dell'incontro di Vaucouleurs, dove F. si fece rappresentare dal figlio, un gesto simbolico destinato a segnalare la nuova potenza della Francia e il declino dell'Impero. Ma questa visione sembra ispirata a una lettura retrospettiva degli eventi, alla luce della vittoria di Bouvines e dell'ulteriore ascesa della potenza della monarchia francese. Oltre alla rapidità dei colloqui, due mesi dopo l'arrivo di Federico in Germania, e alla significativa ripresa del luogo simbolico di Vaucouleurs, questa delega dell'autorità da parte di F., che inviò a incontrare Federico l'erede al trono, quasi coetaneo del candidato svevo, sembra denotare al contrario una volontà dimostrativa che mirava senza dubbio a impressionare i principi tedeschi. In più, nel novembre del 1212, prima dell'elezione e dell'incoronazione ufficiali, la posizione di Federico era ancora estremamente fragile e il sostegno diplomatico e finanziario di F. costituì un elemento decisivo per i primi successi che gli arrisero nella Germania meridionale. In ogni caso, è certo che nei mesi seguenti al suo arrivo in Germania le prime affermazioni del giovane rampollo di casa Hohenstaufen dipesero largamente dall'appoggio francese.
La situazione diplomatico-militare subì notevoli contraccolpi tra la fine del 1212 e la battaglia di Bouvines del luglio 1214. Mentre Federico riuscì a radicare saldamente il suo dominio nelle zone tradizionalmente soggette all'influenza degli Hohenstaufen, incontrando tuttavia maggiori difficoltà per assicurarsi il controllo della Germania centrale e della Valle del Reno, F. vide sgretolarsi pericolosamente alcune posizioni ancora molto favorevoli nel 1212. Un progetto di spedizione in Inghilterra per liquidare la dinastia plantageneta fu vanificato dall'azione diplomatica di Giovanni Senzaterra, che pose il suo Regno sotto la sovranità papale, e dalla distruzione di una parte della flotta francese a Damme (10 maggio 1213). Durante questo periodo F. perse progressivamente i sostegni più importanti della sua politica fiamminga. Enrico I di Brabante, che aveva voluto candidare alla dignità imperiale, gli aveva prestato omaggio ricevendo dal sovrano un feudo di rendita: per mantenere quest'alleanza, F. giunse a dargli in matrimonio la figlia Maria (1213), impegnandosi a favorire la riconciliazione di Enrico con gli Hohenstaufen. Il duca di Brabante, però, mettendo in atto un gioco politico più complesso che mirava a ricostituire a suo vantaggio il ducato della Bassa Lorena, privilegiò l'alleanza con Ottone, al quale diede in moglie a sua volta la propria figlia, contrastando il vescovo di Liegi. Il nuovo conte installato nelle Fiandre da F., Ferrante del Portogallo, infuriato perché l'Artois era stato incorporato nei beni della Corona, cercò un abboccamento con Rinaldo di Dammartin, conte del Boulonnais, che aveva trovato rifugio da Ottone in seguito a un conflitto con il vescovo di Beauvais. All'inizio del 1214, mentre la posizione di Federico appariva abbastanza favorevole sia sul Reno superiore che nel sud della Germania, dopo lo smacco subito dagli inglesi F. si trovò seriamente minacciato da un'ampia coalizione che rischiava di accerchiarlo. Giovanni Senzaterra si preparava alla riconquista del nucleo patrimoniale della sua famiglia, l'Angiò e il Maine, a partire dai suoi possedimenti meridionali. A nord, una coalizione guidata dall'imperatore Ottone, che riuniva il conte di Boulogne, il conte di Fiandra e il duca di Brabante, ossia i signori dei due maggiori feudi situati a nord del dominio regio e il principe dell'Impero a loro più direttamente legato ‒ e che intratteneva inoltre un rapporto di vassallaggio con F. ‒, doveva sbaragliare l'esercito del re di Francia e occupare l'area settentrionale del dominio regio.
La vittoria riportata da F. su questo formidabile schieramento a Bouvines, il 27 luglio del 1214, fu un evento di portata incalcolabile. La sua conseguenza immediata fu lo sgretolamento della coalizione che minacciava direttamente il re di Francia. I vassalli ribelli, Rinaldo di Boulogne e Ferrante del Portogallo, furono catturati e il dominio capetingio sulle Fiandre assicurato per qualche tempo; Ottone ed Enrico di Brabante si diedero alla fuga. A sud, Giovanni Senzaterra fu pesantemente sconfitto dal principe ereditario Luigi a La Roche-aux-Moines. Le conseguenze a medio termine di questa disfatta incondizionata furono il crollo delle speranze inglesi di ricostituire il dominio angioino nella sua integrità e la marginalizzazione di Ottone, che si ritrovò progressivamente ridotto a difendere le sue ultime posizioni nella media Valle del Reno (Colonia) e infine costretto a ritirarsi nei suoi domini ereditari sassoni. In questa prospettiva, non appare eccessiva l'importanza attribuita dalla storiografia francese a Bouvines, poiché si può legittimamente affermare che l'esito della battaglia assicurò il definitivo predominio dei Capetingi sui loro rivali Angioini, instaurato di fatto dalle vittorie del 1203-1204, ma garantì anche il successo di Federico II, che nei due anni seguenti riuscì ad assicurarsi quasi integralmente l'eredità imperiale in Germania. Nelle settimane successive alla battaglia di Bouvines la sua azione apparve, del resto, pienamente coordinata con quella di F.: condusse una campagna militare verso ovest, oltre la Mosella, ottenendo la fedeltà e la sottomissione dell'incostante duca Enrico di Brabante. Avendo garantito le sue posizioni di retrovia, Federico fu in condizione di puntare alla conquista della media Valle del Reno e di ricacciare definitivamente Ottone nel suo dominio sassone.
Un altro aspetto della battaglia di Bouvines su cui concordano gli storici è la sua esaltazione simbolica, effettivamente documentata nelle cronache francesi e soprattutto nella Philippide di Guglielmo il Bretone. Assai più dell'incontro 'impari' di Vaucouleurs, la disfatta dell'imperatore Ottone e la sua fuga dal campo di battaglia, la conquista delle insegne imperiali e il loro invio a Federico simboleggiarono la nuova posizione del sovrano francese "creatore d'imperatori". Ma il valore simbolico molto forte degli eventi (il confronto sul campo di battaglia tra un re di Francia e un imperatore è un caso unico nella storia medievale) non deve far dimenticare che l'imperatore legittimo, per la diplomazia capetingia, era Federico II. Come dimostrò il seguito degli avvenimenti, non si trattava di assicurare il predominio della Francia nei confronti dell'Impero, una nozione anacronistica per l'epoca, bensì di far trionfare un diritto contestato: il diritto di F. al controllo dei grandi feudi del suo Regno, contro i signori delle Fiandre e del Boulonnais e il re d'Inghilterra, e il diritto di Federico II all'Impero, contro Ottone di Brunswick.
Dopo la vittoria di Bouvines, una volta acquisito al Regno il controllo dei grandi feudi settentrionali e consolidata l'impresa di Federico II in Germania, i due sovrani non ebbero più motivi per continuare una collaborazione altrettanto attiva: entrambi, godendo dei frutti delle loro vittorie, si disposero a riorganizzare le basi del loro dominio. F., in un primo tempo, fu assorbito dalle avventure inglesi del figlio, il quale, ufficialmente di propria iniziativa, tentò la conquista dell'Inghilterra, fallendo, tuttavia, dopo la morte di Giovanni Senzaterra, le cui follie avevano spinto alla defezione i baroni inglesi (primavera 1216-1217). Mentre l'area settentrionale del Regno era ormai pacificata, furono le regioni meridionali, terre in cui da oltre un secolo i Capetingi si erano astenuti da qualsiasi intervento, ad attirare l'attenzione del sovrano francese. Si può essere tentati d'interpretare questa prima grande avanzata della dinastia capetingia verso il meridione come un passo decisivo nella politica espansionistica dei sovrani francesi in direzione delle terre imperiali del Regno di Arles. In seguito alla crociata contro gli albigesi avviata nel 1209, che vide i crociati francesi schiacciare con sorprendente facilità le forze meridionali e quelle aragonesi che le appoggiavano, per il potere regio si trattò di sostenere la fragile struttura organizzativa messa in opera da Simone di Montfort e di gettare le basi per un primo insediamento diretto dei Capetingi nel Mezzogiorno. Ma se la spedizione reale del 1215 nel Tolosano, sotto la guida del principe Luigi, per le sue implicazioni politiche trascese lo stretto ambito dei centri catari e del sud-ovest francese, ciò dipese dal fatto che il principale potere politico coinvolto da questo rivolgimento ‒ i possedimenti del conte di Tolosa ‒ si estendeva fino alle terre dell'Impero, a est del Reno, e non esiste alcun indizio, a questa data, di una volontà capetingia di assicurarsi un controllo diretto sulla Provenza.
Dopo il 1214, malgrado il fallimento dell'avventura inglese del principe Luigi, la posizione di F. era ormai al riparo da qualsiasi attacco di seria portata. Grazie alle rendite di cui disponeva, oltre che per altre contingenze, non aveva più rivali della sua statura in Occidente. Il giovane Federico II, che aveva consolidato il suo potere in Germania e poi in Sicilia, e ancor meno il piccolo Enrico III, succeduto in Inghilterra a Giovanni Senzaterra nel 1217, non erano in condizione di contrastare la posizione del re di Francia. Tuttavia, mentre erano presenti tutti gli elementi per la ripresa di un conflitto con l'Inghilterra, dato che la rinuncia ai feudi continentali non era stata né totale (gli inglesi conservano l'Aquitania e solidi appoggi nel Poitou), né incondizionata, non si profilava alcun elemento di serio dissidio nei confronti dell'Impero. La completa assenza di una volontà di crociata o di un'ambizione propriamente mediterranea da parte del re, ormai invecchiato, finirono per rimuovere i presupposti di una possibile rivalità, che poteva forse esistere nelle riflessioni dei giuristi impegnati a elaborare la teoria del "re di Francia, senza alcun superiore nel suo Regno", come constatava il giurista contemporaneo Azo, ma non si convertì in realtà. L'alleanza ufficiale tra il potere capetingio e la casa Hohenstaufen, che non avevano alcun interesse a rimettere in di-scussione lo status quo, sopravviverà senza traumi alla morte di F., nel 1223.
È comunque certo che le rispettive posizioni del re di Francia e dell'imperatore uscirono profondamente modificate dai quattro decenni di regno di Filippo II Augusto. Quest'ultimo aveva cominciato a governare durante gli ultimi anni dell'illustre nonno di Federico II, l'imperatore Federico Barbarossa, in un'epoca di restaurazione dell'autorità imperiale e di relativa debolezza del potere regio francese al di fuori del suo ambito d'intervento immediato. Invece, alla fine del regno, la sua potenza finanziaria e politica conferì al re di Francia una forza d'attrazione quasi automatica, che si esercitava naturalmente sulle terre dell'Impero dipendenti dal Regno tedesco o dal Regno di Arles. Ma le strutture politiche dell'Europa feudale consentirono a quest'influenza di irradiarsi senza rimettere in discussione frontiere e legittimità tradizionali. È per questo che il re di Francia, grazie all'istituzione del feudo di rendita, mutuato dagli Angioini, poté accogliere un principe dell'Impero, il duca di Brabante, fra i suoi vassalli. Del resto, laddove il potere imperiale era quasi assente, l'influenza del re capetingio si esercitava naturalmente, prefigurando evoluzioni future. L'intreccio fra giurisdizioni ecclesiastiche e laiche poteva anche confondere i confini fra giurisdizione regia e imperiale. Fu quanto accadde nel caso della parte settentrionale del Regno di Arles, e precisamente nel Lionese, più prossimo ai grandi feudi francesi della Borgogna e dell'Alvernia che ai centri del potere imperiale. È un indizio interessante di una certa confusione delle giurisdizioni ‒ che non esiste a nord (lungo la frontiera della Mosa o delle Fiandre) oppure a sud di questa zona (in Provenza) ‒ che in seguito all'interdetto generale lanciato da papa Innocenzo III sul Regno di Francia, a causa del rifiuto di F. di separarsi da Agnese di Merania per riunirsi a Ingeburge, l'arcivescovo di Lione si sentisse in obbligo di porre sotto interdetto l'intero arcivescovado, includendovi le terre imperiali. In questa regione priva di un potere politico forte, la consapevolezza della separazione tra Regno di Francia e Impero appare confusa, prefigurando la precoce annessione del Lionese da parte degli ultimi Capetingi.
Per concludere, lo sviluppo di un'ideologia regia sempre più consolidata dev'essere anch'esso ricontestualizzato. Il regno di F. appare come il momento in cui la monarchia perde alcuni dei tratti che la ricollegano all'Impero ‒ memorie dell'elezione, associazione del principe ereditario alla Corona mentre è in vita il padre ‒ e si afferma l'idea di una continuità dinastica eccezionale, che trascende nella sua durata la storia ordinaria. Sotto F. quest'evoluzione è ancora fragile; infatti durante il suo regno si può avvertire un'inquietudine dinastica che si cristallizza nella leggenda di un ritorno del Regno ai Carolidi, i discendenti di Carlomagno, dopo sette regni di 'usurpatori' capetingi. Il principe Luigi, che aveva ereditato dalla madre Isabella di Hainaut sangue carolingio, permise di stornare il significato di questa profezia minacciosa per la sopravvivenza dei Capetingi. Ma, come ha osservato John Baldwin (1986), la presentazione della vittoria di F. contro Ottone, nelle parole del cronista reale Guglielmo il Bretone, non è tanto una rivendicazione dell'Impero da parte dei Capetingi, quanto piuttosto un'esaltazione della resistenza del popolo dei franchi, discendenti dei troiani, contro le pretese egemoniche dell'Impero ‒ anche la filiazione troiana rappresenta un grande topos dell'ideologia regia francese nel pieno del suo sviluppo ‒ che fa da supporto all'esaltazione della disfatta subita dall'imperatore a opera del re.
Con la costruzione dello stato regio francese e l'ascesa della sua potenza, F. aprì la strada al predominio e alle ambizioni europee dei suoi successori immediati o più lontani, ma per Federico II egli fu soprattutto un provvidenziale alleato, che gli fornì un aiuto decisivo nella conquista del trono imperiale contro Ottone. Quando il figlio Luigi VIII gli succedette senza difficoltà nel 1223, Federico II, che stava consolidando il suo potere in Sicilia, poté contare su un altro solido alleato nella monarchia capetingia.
Fonti e Bibl.:Historia diplomatica Friderici secundi, I; œuvres de Rigord et de Guillaume le Breton, historiens de Philippe Auguste, a cura di H.-F. Delaborde, I-II, Paris 1882-1885. A. Cartellieri, Philipp II. August, König von Frankreich, I-IV, Leipzig 1899-1922; G. Duby, Le Dimanche de Bouvines, 27 juillet 1214, Paris 1973; W. Kienast, Deutschland und Frankreich in der Kaiserzeit (900-1270). Weltkaiser und Einzelkönige, I-III, Stuttgart 1974-1975; La France de Philippe Auguste. Le temps des mutations. Atti del colloquio internazionale organizzato dal C.N.R.S. (Parigi, 29 settembre-4 ottobre 1980), a cura di R.-H. Bautier, Paris 1982; J. Baldwin, The Government of Philip Augustus. Foundations of French Royal Power in the Middle Ages, Berkeley-Los Angeles 1986; W. Stürner, Friedrich II., I, Die Königsherrschaft in Sizilien und Deutschland 1194-1220, Darmstadt 1992, pp. 114-181; J. Krynen, L'empire du roi. Idées et croyances politiques en France XIIIe-XVe siècle, Paris 1993; J. Sivéry, Philippe Auguste, ivi 1993. F. Menant-H. Martin-B. Merdrignac-M. Chauvin, Les Capétiens. Histoire et dictionnaire (987-1328), ivi 1999, pp. 222-269.
Traduzione di Maria Paola Arena