Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
"Da questo nudo versante montano – l’Escorial – da cui governo mezzo mondo con due pollici di carta". Meglio di ogni descrizione, questa frase del monarca spagnolo Filippo II descrive la sede scelta come mausoleo di famiglia e il suo attaccamento ad essa. Costruito nella seconda metà del XVI secolo, l’Escorial si pone come simbolo dell’austero regno del figlio di Carlo V, realizzato a sua immagine e somiglianza nella Spagna controriformista.
Filippo II e la Controriforma
Sono poche le personalità storiche che si legano all’età della Controriforma con la valenza e la forza con cui la figura di Filippo II si intreccia alla crisi religiosa del Cinquecento.
Figlio di Carlo V, dal quale eredita la corona spagnola e napoletana oltre ai titoli di duca di Milano e di Borgogna, impronta la sua esistenza a un intenso misticismo: l’idea di una Spagna rigida e ortodossa nel difendere gli ideali cattolici nasce e si radica proprio sotto il suo regno.
Per la formazione di Filippo II è determinante il lungo viaggio europeo, cominciato a soli vent’anni e concluso nel 1559.
L’Europa che conosce è quella delle lacerazioni religiose determinate dall’eresia protestante ed è indubbio che le sue austere convinzioni in materia siano maturate durante questo viaggio. Ma durante questa esperienza Filippo II matura anche l’idea di creare una sorta di monumento alla restaurazione cattolica: la "fondazione reale di San Lorenzo dell’Escorial", sulla sierra a nord di Madrid.
L’intento è quello di rendere omaggio alla memoria del padre (spentosi nel monastero di Yuste) e a san Lorenzo (santo martire spagnolo che aveva protetto le armate spagnole contro i Francesi a San Quintino nel 1557).
L’Escorial
Concepito come un monastero, l’Escorial nasce per essere un enorme mausoleo del ramo spagnolo della famiglia asburgica.
Filippo II cura ogni cosa, la collocazione fuori dalla città, i progetti e il reperimento di reliquie, e con analoga cura si dedica a decorare la sua casa di opere d’arte che esprimano il suo gusto e la sua personalità.
Le sue preferenze artistiche maturano durante il viaggio giovanile in Europa, durante il quale conosce Tiziano e ne rimane conquistato (come già suo padre), al punto che gli richiede un ritratto da inviare alla futura moglie Maria I Tudor d’Inghilterra. Da quest’incontro nascono le cosiddette Poesie, otto dipinti ispirati alle Metamorfosi di Ovidio, che Filippo II commissiona per ornare il suo palazzo.
L’imperatore non tralascia neppure di affiancare ufficialmente i propri architetti. Il primo è Juan Bautista de Toledo, formatosi a Roma sotto Michelangelo, che morendo nel 1569 lascia il posto a Juan de Herrera, matematico e umanista. Il progetto originario viene mutato continuamente ad opera di Filippo II, al fine di distaccare l’Escorial dallo stile plataresco (sorta di barocco primitivo) della Spagna del tempo e realizzare un luogo di una solidità geometrica che molto deve ai maestri rinascimentali italiani. Non è un caso quindi che la chiesa di San Lorenzo (fulcro del complesso) sia ispirata ai progetti per San Pietro di Michelangelo, e altrettanto dicasi per il suo desiderio – irrealizzato – di avere progetti dal Buonarroti per la propria tomba.
Nel 1574 Filippo II progetta nei minimi particolari la traslazione delle spoglie paterne da Yuste, con una cerimonia tanto spettacolare quanto cupa e macabra che termina nel sepolcro appositamente eretto. Già a quelle date, infatti, il palazzo dell’Escorial risulta in massima parte terminato.
Filippo II tra pittura e scultura
La decorazione dell’Escorial si protrae parallelamente alla sua costruzione. In tutta Europa l’evento è vissuto come una grande opportunità: per gli artisti come possibilità di commissioni prestigiose, per i principi e per le famiglie papali come l’occasione di rendere servigi al sovrano. Filippo II ama particolarmente la pittura veneta. Cerca contatti con Veronese e Tintoretto, mentre a Tiziano commissiona la pala per l’altare maggiore con il Martirio di san Lorenzo e altri importanti dipinti come l’Allegoria di Lepanto (1575). Nel 1576, invece, Francesco I de’ Medici, gli dona la Crocifissione marmorea (tuttora all’Escorial) di Benvenuto Cellini.
Le cronache narrano come l’attesa spasmodica di tale opera si trasformi in una grande delusione del sovrano che la considera sin troppo nuda e sensuale. Quasi per ripicca commissiona così un’altra versione, in bronzo, agli scultori italiani Leone e Pompeo Leoni, collocata poi in San Lorenzo con i debiti onori.
Un altro artista caro a Filippo II è Juan Fernandez de Navarrete detto El Mudo; nelle sue opere (Battesimo di Cristo, 1574) il sovrano ritrova quelle nozioni di gravedad y decoro a lui tanto care; ma la morte del pittore – avvenuta nel 1579 – lo priva dei suoi dipinti.
Le attenzioni di Filippo II si volgono così verso El Greco, già in Spagna dal 1575; la leggenda narra che l’artista, al fine di farsi notare dal re, dipinge come prova il celebre Sogno di Filippo II (o meglio Adozione del nome di Gesù, tuttora all’Escorial), anche se forse è un opera posteriore.
Certamente per El Greco la grande occasione è rappresentata dalla decorazione dell’altare del sepolcro di san Maurizio che l’artista dipinge tra il 1580 e il 1582. Nonostante la sua grande tecnica, il San Maurizio non incontra i favori di Filippo II che non gradisce la sottile tensione antinaturalistica, peculiare di El Greco. Il dipinto viene allora spostato nella sala capitolare ed El Greco non riceve più commissioni dall’austero sovrano.
È davvero curioso constatare il fallimento dell’incontro tra il più cattolico degli artisti e il più cattolico dei regnanti, comprensibile però se si riflette sulla dimensione assolutamente dogmatica della religione di Filippo II e su quella invece personale e autarchica dell’artista greco.
Un altro fallimentare incontro è quello con Federico Zuccari, noto pittore dei Farnese, che nel 1586 giunge a Madrid con l’incarico di pintor regio e una provvigione di 20.000 ducati l’anno. I lavori eseguiti dal pittore, tra i quali un’altra versione del Martirio di san Lorenzo e illustrazioni della Divina commedia, non sono però apprezzati da Filippo II che ne rimprovera una sostanziale "mancanza di religione". Zuccari viene così rispedito a casa nel 1588 con la convinzione che la sua arte è buona solo per il papa.
Da questa data entra nell’orbita di Filippo II e dell’Escorial Pellegrino Tibaldi detto il Pellegrini, già pittore e architetto di Carlo Borromeo. Anch’egli ingaggiato con cospicui compensi, e con l’incarico di decorare il chiostro maggiore, la biblioteca e di rifare cinque delle tele eseguite da Zuccari. Questa volta, causa anche l’assiduità con cui è seguito da Filippo II, il successo è grande e nel 1596 l’artista torna a Milano con tutti gli onori del caso. Al sovrano risulta particolarmente gradita la commistione degli stilemi michelangioleschi con una solidità e povertà compositiva.
Il collezionismo di Filippo II
Accanto all’attività di committente, il sovrano spagnolo si distingue come collezionista. In tale veste, oltre alle opere ereditate cerca di procurarsene altre, soprattutto di maestri antichi, quasi a sottolineare la sua impronta neomedievale.
Le sue collezioni trovano ospitalità nel palazzo del Prado, cominciato fuori Madrid dal padre, ma vengono distrutte in massima parte da un incendio nel 1604. Ma è all’Escorial che Filippo II colloca le opere più amate, tutte fiamminghe, tra le quali risaltano i nomi di Jan Scorel, Joachim Patinier e soprattutto di Hieronymus Bosch.
Con una ricerca febbrile il sovrano si impossessa di diversi dipinti di quest’ultimo artista tra i quali il celebre Carro del fieno – al punto che nonostante gli incendi e le dispersioni seguite alla morte del re, Madrid conserva ancora la gran parte delle opere di Bosch.
Poco dopo la partenza di Tibaldi, Filippo II si spegne (1598); la sua realizzazione, che spesso impropriamente si identifica con il monumento della Controriforma, resta come il testamento spirituale di una personalità complessa.
La fortuna stilistica dell’Escorial in Spagna è legata più a motivi politici che a un’effettiva fortuna artistica. Il suo controverso rapporto con il papato, che vedeva in lui un cattolico fervente ma anche un concreto pericolo al potere temporale, è testimoniato da una piccola scultura policroma raffigurante il Duca d’Alba che schiaccia i nemici di Filippo II. Iconograficamente ispirato al modulo di san Giorgio che uccide il drago non meno che al bronzo di Leone Leoni con Carlo V che vince il Furore, il drago ucciso ha tre teste che raffigurano la regina Elisabetta, l’elettore di Sassonia e, infine, il papa. Più di ogni parola, quest’immagine rende l’idea dell’isolamento ideologico in cui Filippo II sceglie di muoversi nell’Europa di fine Cinquecento, un’Europa che sempre più tende a sfuggire al suo controllo, se si pensa al fallimento dell’Invencible Armada, al Sacco di Cadice ad opera degli Inglesi e alle sconfitte in Olanda.