FILIPPO II re di Spagna (la numerazione continua quella dei re di Castiglia)
Nacque a Valladolid il 21 maggio 1527 da Carlo V d'Asburgo e da Elisabetta di Portogallo. Fu battezzato il 5 giugno, e gli fu dato il nome del nonno paterno: ma, a differenza di Filippo il Bello, fiammingo di educazione, egli sarebbe stato sovrano profondamente spagnolo e, ancor prima dello scoppio della rivolta nel loro paese, avverso ai Fiamminghi, che lo avrebbero ripagato di eguale moneta. Come nel 1559 riferiva al suo governo l'ambasciatore veneto Michele Suriano, egli "fu allevato con quel rispetto che pareva convenirsi ad un figliuolo del maggior imperatore che fusse mai tra i christiani". Nell'infanzia la sua educazione fu sorvegliata dalla madre, che egli perdette in Toledo il 1° maggio 1539; dipoi, come maestri ebbe D. Juan de Zuñiga, "comendador mayor" di Castiglia, e specialmente D. Juan Martínez Siliceo, professore dell'università di Salamanca e futuro arcivescovo di Toledo e cardinale. Il padre si riservò il compito di curare la sua educazione politica e diplomatica. Già il 19 aprile 1528 le Cortes di Castiglia lo avevano riconosciuto come principe ereditario e gli avevano giurato fedeltà in Madrid; nell'agosto del 1541 lo stesso fecero quelle di Aragona in Monzon; e il 21 ottobre seguente F. nella cattedrale di Saragozza giurò di rispettare i loro fueros, che però come re avrebbe in parte distrutti. Poi, nel maggio del 1543 ebbe modo d'iniziare la sua esperienza politica, perché avendo dovuto allontanarsi dalla Spagna, Carlo V affidò a lui il governo dello stato come reggente. Ma, in realtà, il padre, oltre a lasciargli ampie e precise istruzioni, gli mise accanto i migliori politici spagnoli dell'epoca, come il cardinale Juan Tavera, il segretario di stato D. Francisco de los Cobos, che anni e anni di vita negli uffici avevano reso dottissimo nell'arte di governo, e Fernando de Valdés, futuro arcivescovo di Siviglia ed inquisitore maggiore; e soltanto nel 1547, per la morte di alcuni di questi consiglieri, il giovane principe restò quasi solo alla testa dello stato. L'anno dopo, nel 1548, il padre lo volle presso di sé a Bruxelles, perché potesse acquistare esperienza visitando almeno alcuni di quelli che un giorno sarebbero stati i suoi dominî, e avere da parte delle Fiandre e dell'Impero il suo riconoscimento come futuro sovrano e imperatore. Ma se a Carlo V riuscì di ottenergli il giuramento di fedeltà dagli Stati fiamminghi (1549), a Ratisbona nel 1550 invano tentò di farlo riconoscere come re dei Romani: ai principi tedeschi non piacque lo spagnolo, che nella sobrietà e nella compostezza tradiva la sua origine e la sua educazione iberica, e che essi sentivano troppo lontano dal loro modo di pensare e di sentire. Allora, nello stesso anno, F. ritornò in patria, ove ricevette il giuramento di fedeltà del regno di Navarra (1551), e dove restò sino al 1554, quando, per volontà del padre, dovette recarsi in Inghilterra per sposare Maria la Cattolica, divenuta regina alla morte del fratello Edoardo VI. Era la sua seconda moglie, ché nel novembre 1543 aveva sposato in Salamanca la cugina Maria Emanuela, figlia di Giovanni III di Portogallo e, come lui, nipote di Giovanna la Pazza, e ne era rimasto vedovo l'8 luglio 1545. Ma egli non amò mai l'Inglese, più anziana di lui e priva di vezzi fisici; né il matrimonio diede quei frutti politici che Carlo V aveva sperato, perché dall'unione nessun figlio nacque che potesse impedire il passaggio del trono inglese nelle mani della protestante Elisabetta, con conseguenze che soltanto il tempo avrebbe mostrate nella loro effettiva gravità. F. non s'intromise nelle vicende interne del regno della moglie, pur approvando e sostenendo l'opera sua che tendeva a rafforzare il cattolicesimo in Inghilterra; e ne ricavò qualche aiuto soltanto nell'ultima fase della propria lotta con Enrico II di Francia. Il 10 settembre 1555 F. era di nuovo a Bruxelles. Fin dal 1546 era stato investito del ducato di Milano; nel 1554 gli era stato affidato il regno di Napoli; ma ora si trattava dell'effettiva cessione da parte del padre e in suo favore di tutto il potere. Il 25 ottobre solennemente Carlo V gli consegnava le Fiandre, il 16 gennaio dell'anno seguente gli assegnava ancora il governo della Castiglia, dell'Aragona, delle provincie dipendenti da questi regni, e il 13 settembre partiva per Yuste. L'impero restava invece affidato al fratello di Carlo V, Ferdinando.
La separazione delle due corone, l'imperiale dalla spagnola, facilitò nei primi anni di governo il compito politico di F., liberandolo dalla grande contesa tedesca, nella quale Carlo V aveva esaurito le sue forze e che aveva avuto una sosta con la pace di Augusta e con il Reservatum ecclesiasticum: il nuovo re, desideroso di ritornare nel proprio stato, donde gli giungevano notizie allarmanti perché il paese era stanco per le lunghe e dispendiose imprese militari e perché la Riforma stava per farvi proseliti, si preoccupò subito di chiudere l'ancora aperto conflitto con Enrico II di Francia. Nella famosa giornata del 25 ottobre 1555 Carlo V si era dichiarato dolente di dover abbandonare il potere prima di aver ricondotto la tranquillità in Europa. Ora le armi del duca d'Alba ebbero ragione delle truppe di papa Paolo IV Carafa, che avrebbe voluto togliere il regno di Napoli al suo nuovo sovrano, e anche di quelle del Guisa; fortunate azioni militari spagnole, specialmente la battaglia di San Quintino, nella quale rifulse il genio militare di Emanuele Filiberto di Savoia, persuasero la Francia a venire a un accordo, e la pace stipulata a Cateau-Cambrésis, attraverso il possesso delle Fiandre e di buona parte dell'Italia (i regni di Sicilia, di Napoli, di Sardegna, il ducato di Milano, lo stato dei Presidî), assicurò alla Spagna il predominio sull'Europa. Dipoi F., non più trattenuto nelle Fiandre da affari politici, essendo anche morta la regina Maria d'Inghilterra, il 20 agosto 1559 lasciò il paese per raggiungere e mai più abbandonare la Spagna, resa vero centro del nuovo grande stato non solo dalla forza degli avvenimenti, sibbene ancora dalla volontà del re, che era e si sentiva e da tutti era considerato profondamente spagnolo.
In Spagna fu instaurato il più rigido assolutismo. Sovrano eminentemente accentratore, F. volle che fossero regolati dalla sua volontà anche i minimi affari del suo regno. Ostile a tutte le tradizionali libertà che da secoli i suoi sudditi godevano, perché riducevano il suo potere che doveva essere illimitato, finì di distruggere la potenza dei nobili e del clero già scossa dall'opera di governo dei suoi predecessori; volle che la Spagna avesse una capitale unica e centrale, e come tale prescelse Madrid, sino allora cittadina quasi di nessuna importanza, ma che agli occhi suoi doveva possedere il merito di non avere tradizioni e privilegi di capitale di stato regionale; dominò con mano ferrea la Castiglia, togliendo quasi ogni potere alle sue Cortes e limitando le autonomie cittadine; e poi, approfittando della rivolta scoppiata nell'Aragona, insorta in difesa di Antonio Pérez, ma specialmente dei proprî fueros, rudemente riformò la legislazione aragonese nelle Cortes di Tarragona (giugno 1592), ove si decise che il Justicia mayor sarebbe stato di nomina regia e si riconobbe al monarca il diritto di designare come viceré anche uno straniero. Fermamente persuaso "che mai avvengono mutamenti di religione senza che avvengano nello stesso tempo mutamenti nell'organizzazione dello stato e senza che i poveri, gli oziosi, i vagabondi colgano il pretesto per depredare gli averi dei ricchi" accrebbe i poteri del Tribunale dell'inquisizione e distrusse sino all'ultimo i convertiti alla Riforma in Spagna. Inoltre tentò l'assorbimento nella popolazione spagnola dei moriscos del regno di Granata, cercando di farli convertire al cristianesimo, proibendo loro l'uso della lingua e dei vestiti nazionali e invece imponendo nuove abitudini e nuovi costumi; e poiché essi si rivoltarono con selvaggio furore e con il coraggio della disperazione (1568), D. Giovanni d'Austria, avuto incarico di domare l'insurrezione, per raggiungere lo scopo sottopose la loro terra a ferro e a fuoco e, internandoli, disperse nella Castiglia tutti i moriscos. Infine, ugualmente assoluto fu il governo imposto agli stati italiani e fiamminghi: specialmente a Napoli, ove già molto aveva fatto il marchese di Toledo negli anni precedenti, sì che l'autonomia non era più che un ricordo, e dove furono mandati severi "visitatori generali" per compiervi ispezioni in tutti gli uffici, e ancora di più, e molto di più, nelle Fiandre, che videro ridotte le loro innumerevoli e vastissime libertà.
Nelle sue relazioni con l'estero nei primi anni F. apparve nell'intimo, e forse anche lo era, uomo di pace: del resto, molto scarsa era la sua esperienza militare, ché nel 1541 aveva diretto una spedizione militare contro l'allora delfino Enrico II e non aveva incrociato le armi con il nemico che si era ritirato, ed era stato presente soltanto a una battaglia, quella di San Quintino, giungendo per altro sul campo della lotta a scontro quasi deciso. Per rafforzare la pace con la Francia sposò in terze nozze, nel 1559, Elisabetta di Valois, figlia di Enrico II e, per rendere difficile un possibile ritorno offensivo del tradizionale nemico di casa d'Asburgo e toglier valore alla lega franco-scozzese consolidata dal matrimonio di Francesco II con Maria Stuart, continuando la politica seguita da Carlo V negli ultimi anni del suo governo - e tale politica aveva condotto all'unione di F. con Maria la Cattolica -, si tenne amica la regina Elisabetta, sebbene fosse protestante e, per di più, sovrana di un paese che molte ragioni di contesa separavano dalla Spagna. Soltanto ai Turchi non fu dato quartiere, non concedendosi tregua alcuna nella lotta, che l'ardore religioso del re Cattolico e il suo meno mistico desiderio di liberare il Mediterraneo da ospiti così pericolosi tenevano continuamente desta. Infatti, fin dal 1560 le Cortes di Toledo avevano denunziato i gravissimi danni arrecati al commercio dai barbareschi che solcavano il Mediterraneo e che saccheggiavano le coste spagnole e italiane; gli Algerini avevano attaccato Orano, aiutato i moriscos, assalito Malta insieme con i Tripolini. Ma la cittadella dell'Ordine gerosolimitano fu salvata da D. Garcia di Toledo marchese di Villafranca (1565). E poi l'armata della lega italo-spagnola, promossa da papa Pio V e da F. e sostenuta da Venezia con tutta la sua flotta, sotto il comando di D. Giovanni d'Austria fiaccava a Lepanto la potenza navale turca (7 ottobre 1571).
Ma, sebbene ridotto a governare soltanto su una parte dell'impero di Carlo V, F. si considerava, e in effetti era, l'unico vero erede di suo padre. Nei suoi ultimi anni Carlo V aveva visto svanire il suo scopo di restaurare l'impero medievale universale e, o per volontà sua o, come anche si disse, per imposizione del figlio, aveva lasciato ad altri l'amaro e arduo ufficio di stipulare un compromesso tra l'ideale rivelatosi irraggiungibile e la realtà che non poteva mutarsi. Infatti, F. si attribuì il compito di continuare la grande politica inaugurata dal padre, tentando di adattare alla situazione del momento il programma da lui tracciato e mirando alla conquista e al rassodamento di un suo predominio effettivo sull'Europa. L'ideale imperiale non fu rinnovato; il sovrano si limitò ad assumere la direzione di casa d'Asburgo: tenne sotto il proprio controllo lo zio imperatore; volle presso di sé, per poterne dirigere l'educazione, gli arciduchi d'Austria - e in effetti furono suoi allievi coloro che poi iniziarono in Germania la riscossa cattolica -, tentò di far salire la sua famiglia sul trono polacco e rafforzò i suoi vincoli di parentela con il ramo tedesco sposando, in quarte nozze, Anna d'Austria, figlia di Massimiliano II imperatore, dalla quale ebbe Filippo III, suo erede. Invece, diede base nazionale allo stato e mirò sempre a rafforzarla, riuscendo nel suo continuo sforzo a dare una completa unità politica alla penisola iberica. Infatti, alle morti di Sebastiano, scomparso tragicamente nello scontro di Alcazarquivir (1578), e di Enrico (1580), essendo rimasto il regno di Portogallo senza sovrano, F. fece valere i suoi diritti su quel trono come nipote, da parte di madre, di Emanuele il Fortunato; e, dopo aver preparato il terreno a una sua successione con l'aiuto di un abile Portoghese al suo servizio, il De Moura, nel 1580 fece occupare il paese da un esercito comandato dal duca d'Alba, nell'anno seguente ottenne che gli si giurasse fedeltà come a re nelle Cortes di Tomar, e poi conquistò le isole Azzorre e almeno in teoria si assicurò il possesso delle immense colonie portoghesi che, unite alle spagnole, lo resero, almeno in apparenza, l'unico signore dei dominî coloniali dell'Europa. E, valendosi delle energie spagnole per assicurarsi il diritto d'intervento nelle vicende di tutti gli stati, nei quali la propaganda in favore della Riforma e della Controriforma nascondeva e faceva ridestare conflitti sociali e politici, si assunse l'enorme peso di difensore della fede cattolica.
Le interpretazioni più disparate si sono date sulla natura di questo suo sentimento religioso. Lo si disse figlio d'ipocrisia, ché egli si sarebbe servito di tal mezzo per realizzare il proprio programma politico: mentre la sua vita immorale era ben diversa da quella che i dettami della religione avrebbero imposto, e la sua opera di governo in politica interna ed estera era subordinata tutta a interessi temporali. E di contro si affermò che egli era mistico, degno contemporaneo di Luis de Granada, di Teresa di Gesù, di Luis de León, di Juan de la Cruz, valorizzando in favore suo la costruzione per voto del monastero di San Lorenzo dell'Escorial e gli atti di pietà che ivi egli compiva, assistendo di continuo agli uffizî divini, vivendo "quanto un monaco nell'oratorio", e, come riferiva un ambasciatore toscano a Madrid, "più da vescovo spogliato di ogni ornamento e comodità e con minor servitù e guardia della sua persona che molti piccolissimi e privati signori non tengono". In effetti, in lui erano mescolati il fervore degli Spagnoli, e la passione politica di Carlo V, la quale faceva tutto subordinare al trionfo del potere del monarca. Le imprese militari contro i moriscos e contro i Turchi, imprese compiute per raggiungere altri fini, furono presentate come vere e proprie crociate, e Cervantes poté definire la battaglia di Lepanto come la mas alta ocasión que vieron los siglos.
Per le insistenze di F. papa Pio IV tornò a riunire il Concilio di Trento, le cui ultime sedute ebbero luogo dal gennaio 1562 al dicembre 1563, e F. ne accettò i decreti per i suoi regni il 12 luglio 1564; ma in Spagna la chiesa, come al tempo di Ferdinando e di Carlo V, restò sotto il diretto controllo dello stato, e anzi si accrebbe il potere del monarca negli affari ecclesiastici; mentre in Napoli il viceré duca di Alcalá impediva che si pubblicassero nel regno alcuni decreti tridentini e la bolla In coena Domini. In Baiona nel 1565 Elisabetta di Valois e il duca d'Alba offrirono aiuti pecuniarî a Caterina de' Medici e a Carlo IX di Francia in lotta con gli Ugonotti; ma nel 1560 per impedire che nella Scozia, alleata della Francia, si consolidasse un qualsiasi dominio francese, F. in segreto aveva approvato che nel paese si sostenessero i calvinisti ribelli agli Stuart contro i cattolici amici dei Francesi. Poi, la passione religiosa e l'astuzia politica si trasformarono in vero e proprio fanatismo allorché gli avvenimenti interni in Francia, la rivolta nelle Fiandre e la politica offensiva dell'Inghilterra misero in serio pericolo il predominio spagnolo sull'Europa: rivoluzioni politiche e sociali assunsero l'aspetto di rivoluzioni religiose, guerre di religione divennero quelle di preponderanza; e fra i belligeranti, divisi dovunque in due uguali opposte schiere, da allora in poi apparve sempre il monarca spagnolo come capo del partito cattolico e supremo regolatore della chiesa romana, come già aveva fatto Carlo V con scarsi risultati. A Filippo forse in buona fede sembrò di dover divenire il grande difensore della fede minacciata.
L'intolleranza religiosa e l'assolutismo politico, se erano stati sopportati in Italia, ove la dominazione spagnola o era di vecchia data, o era sostenuta dalla forza militare, applicati in paesi, come le provincie settentrionali dei Paesi Bassi, che avevano accolto con gran favore il calvinismo e che godevano di secolari privilegi, in virtù dei quali il governo era affidato a istituzioni locali, determinarono la rivolta a carattere politico-religioso, alla quale sul principio presero parte anche i cattolici, insofferenti del dispotismo spagnolo che minacciava le risorse economiche della regione e, come i calvinisti, fieramente avversi a F. che sentivano, per la sua educazione spagnola, troppo diverso dal nonno e dal padre. La rivolta era di per sé gravissima, perché se avesse trionfato, F. avrebbe perduto lo stato suo più ricco e che al tempo di Carlo V era stato spesso il centro vitale dell'impero. Ma essa sconvolse anche tutta la politica estera della Spagna. La Francia si schierò contro la Spagna, e non solamente la Francia ugonotta, sibbene anche la cattolica, ché Caterina, nella speranza di assicurare un trono al figlio, mandò nelle Fiandre, nel 1582, Francesco duca di Alençon. Già da parecchi anni l'Inghilterra rivolgeva il suo cupido sguardo alle colonie spagnole e, nell'impossibilità d'iniziare traffici regolari con esse, pur non venendo a guerra aperta, aveva armato flotte di corsari che danneggiavano il commercio tra le colonie e la madre patria. Ma l'insurrezione fiamminga segnò lo scoppio delle ostilità, ché nel 1568 gl'Inglesi catturarono le navi spagnole che portavano la paga dell'esercito delle Fiandre. F. contro gli ugonotti sostenne i Guisa con forti aiuti finanziarî; poi nel 1584 riconobbe come erede di Enrico III il cardinale di Borbone, e infine, alla morte del Borbone, tentò di far valere i diritti al trono di Isabella, figlia sua e di Elisabetta di Valois. Molto più grave ancora fu la guerra con Elisabetta, che, di contro alle pretese di F., si elevò a campione del protestantesimo, e aiutò gli ugonotti, e si schierò dalla parte degl'insorti dei Paesi Bassi, e seminò i mari di pirati, primo fra tutti F. Drake, per danneggiare sempre più il commercio spagnolo e per saccheggiare le coste del Chile, del Perù, della Colombia. Ma la politica estera di F. fu tutto un fallimento, mentre gran parte delle Fiandre rafforzava la propria indipendenza. Una flotta da guerra imponente, che rappresentava il massimo sforzo militare della più grande potenza navale dell'epoca, fu diretta contro l'Inghilterra per proteggere lo sbarco di un esercito che avrebbe dovuto colpire la monarchia di Elisabetta nel suo cuore: la comandava il duca di Medina Sidonia e aveva ricevuto il nome di Invincibile Armata; ma fu distrutta dalle tempeste del Mare del Nord senza poter sbarcare un uomo sul territorio nemico (1588); e il suo disastro segnò il crollo della potenza marittima spagnola e l'avvento dell'inglese, che poté compiere incursioni molto più fortunate sulle coste e nei porti della penisola iberica. La conversione al cattolicesimo di Enrico IV distrusse tutti i progetti di F. sulla Francia; e inutilmente F. mosse guerra al nuovo monarca, ché nel trattato di Vervins (1598) fu costretto a riconoscerlo come re e a confemiare le conclusioni della pace di Cateau-Cambrésis. E finalmente, la Chiesa, come già aveva fatto con Carlo V, reagiva al tentativo compiuto da F. per farla suo strumento di politica e finì per battere una sua propria strada, sicché, se le armi di F. giovarono al cattolicesimo, la direzione effettiva di quest'ultimo e l'utilità pratica della sua diffusione sfuggirono dalle mani del sovrano spagnolo, che esaurì le forze del suo stato in difesa di una causa che non era la sua peculiare. L'ideale di Carlo V si rivelava irraggiungibile anche nel nuovo adattamento tentato da F.
Nella storia moderna sarebbe difficile trovare un monarca più esaltato e al tempo stesso più odiato di F. Da taluni fu detto el mejor hombre, el mas prudente príncipe; e da altri fu accusato di essere stato fosco, vizioso, fanatico tiranno, avido di potere e di ricchezza, cattivo amico, cattivo sposo, cattivo padre, e fu chiamato "il demonio del Mezzogiorno". E senza dubbio il suo carattere fu una stranissima mescolanza di difetti e di virtù, talmente confusi tra loro da rendere vano ogni tentativo di separazione; e, quasi ciò non bastasse, a far divenire ancor più oscura la sua figura morale contribuirono numerosi drammatici episodî della vita della sua corte, e, primi fra tutti, la fosca tragedia che ebbe come protagonista D. Carlos, il suo primogenito, figlio della prima moglie, e il tradimento dell'uomo di fiducia del re, Antonio Pérez. Tempra meravigliosa di lavoratore, sì che nel suo regno nulla mai si fece senza che egli non ne fosse informato, diresse la vita dello stato in tutte le sue manifestazioni, non escluse quelle intellettuali, alle quali prese parte di persona. Ma, pure accarezzando nella sua mente ideali non meno vasti, egli non ebbe il genio del bisnonno Ferdinando il Cattolico e del padre Carlo V, e non seppe neppur conservare intatta la loro eredità. Appunto negli ultimi anni della vita di F., che morì nel monastero dell'Escorial il 13 settembre 1598, anche la Spagna, che pure aveva vissuto sotto il suo governo i giorni più belli della propria storia, iniziava la sua fatale decadenza.
Fonti: Le più importanti raccolte documentarie che servono a lumeggiare il governo di Filippo II sono la Correspondance du cardinal de Granvelle, 1565-1568, pubbl. da E. Poullet e Ch. Piot, voll. 12, Bruxelles 1877-96; la Correspondencia diplomática entre España y la Santa Sede durante el pontificado de S. Pio V, pubbl. da L. Serrano, voll. 4, Madrid 1914; i Calendars of State Papers, Foreign Series, Elisabeth, Londra, 1863-1901; gli Actes des états généraux des Pays Bas, 1576-1585, pubblicati da L.-P. Gachard, voll. 2, Bruxelles 1861-66; la Correspondance de Philippe II sur les affaires des Pays Bas, pubbl. da L.-P. Gachard, voll. 2, Bruxelles, 1878-79; la Correspondance de Marguerite d'Autriche avec Philippe II, 1559-1565, pubbl. da L.-P. Gachard, voll. 3, Bruxelles 1867-1881; le Relations politiques des Pays Bas et de l'Angleterre sous le règne de Philippe II, pubbl. da Kervyn de Lettenhove e Gilliodts v. Severen, voll. 14, Bruxelles 1882-1901. Nella Colección de documentos inéditos para la historia de España, Madrid 1842 segg., si trovano poi moltissimi documenti (specialmente epistolarî) su Filippo II e i suoi ministri; ricordiamo qui solo la Correspondencia entre Fernando I de Alemama y Felipe II desde mayo de 1562 hasta enero de 1563 (II); la Correspondencia de Felipe II sobre asuntos concernientes a la sucesión de la corona de Portugal (VI); la Correspondencia de Felipe II con el duque de Medina Sidonia sobre su derecho a la corona de Portugal (XXVII); la Correspondencia de Felipe II con don García da Toledo y otros, de los años 1565 y 1566 (XXIX e XXX); la Correspondencia de los Príncipes de Alemania con Felipe II y de los embajadores de Este en la corte de Vienna (1556 a 1598; XCVIII, CI, CIII, CX e CXI); la Correspondencia de Felipe II con los hermanos d. Luis de Requesens y don Juan de Zuñiga (1573), (CII); la Correspondencia de Felipe II con sus embajadores en la corte de Inglaterra (1558 a 1584; LXXXVII, LXXXIX, XC, XCI, XCII). Cfr. pure la Instrucción que dió a los del Consejo de Italia en Toledo a 3 diciembre de 1559 (ibid. XXI); le Cartas de Juan Andrea Doria con Felipe II (ibid., II) e le Lettere... a Giovanni Andrea Doria I, pubblicate da A. Doria Pamphili, Roma 1896; la Corrispondenza particolare di Carlo d'Aragona con Filippo II (giugno 1574-maggio 1575), pubbl. da S. V. Bozzo, Palermo 1879. Per la conoscenza dell'uomo cfr. le Lettres de Philippe II à ses filles Isabelle et Catherine, pubbl. da M. Gachard, Parigi 1882. Per le altre fonti v. B. Sánchez Alonso, Fuentes de la historia española e hispanoamericana, 2ª ed., Madrid 1927, n. 5788 segg.
Bibl.: Della bibl. più antica ricorderemo soltanto le due opere di L. Cabrera de Córdoba, Felipe II rey de España, Madrid 1619, e di C. Campana, La vita del Cathólico... don Filippo II, voll. 3, Vicenza 1605. La nuova storiografia su F. s'inizia con l'opera, celebre, di W. Prescott, History of the reign of Philip the Second, King of Spain, voll. 3, Boston 1855-59, a cui seguì l'opera, pure assai nota, di H. Forneron, Histoire de Philippe II, voll. 4, Parigi 1881-84. Ultime quelle di M. Hume, Philippe II of Spain, Londra 1897 e di C. Bratli, Filipp II of Spanien, Copenaghen 1909 (trad. francese, Parigi 1912 e spagnola Madrid 1927). Sono le quattro opere d'insieme fondamentali. Nessuna però è pienamente soddisfacente: invecchiati i lavori del Prescott e del Forneron, né il Hume né il Bratli offrono un quadro completo. Il Bratli è anzi eccessivamente biografico. Per quanto concerne le questioni particolari, le condizioni degli stati di Filippo II ecc., si rimanda alla bibl. del Sánchez Alonso, cit., e alla bibl. delle voci: belgio; milano, ducato di; napoli, regno di; olanda; paesi bassi; spagna.
Per l'azione di F.: P. Herre, Papsttum und Papstwahl in Zeitalter Philipp II., Lipsia 1907; F. Rachfahl, Margaretha v. Parma, Statthalterin der Niederlande (1559-67), Monaco 1898; E. Gossart, L'établissement du régime espagnol dans les Pays-Bas et l'insurrection, Bruxelles 1905; id., Espagnols et Flamands au XVIe siècle. La domination espagnole dans les Pays Bas à la fin du règne de Philippe II (1572-1578), Bruxelles 1906; E. Marks, Die Zusammenkunft von Bayonne, Strasburgo 1889; L. Serrano, La Liga de Lepanto entre España, Venecia y la Santa Sede, voll. 2, Madrid 1918-19; M. Hume, Two English queens [Mary and Elisabeth] and Philip [II], Londra 1908; L. v. Pastor, Storia dei papi, ed. ital., VI-XI, Roma 1926-29.