FILIPPO IV il Bello, re di Francia
Filippo IV, nato nel 1268 da Filippo l'Ardito e da Isabella d'Aragona, e morto nel 1314, è passato alla storia con la reputazione di re energico, privo di scrupoli e spesso anche crudele; ma certamente egli deve molto di questa fama all'influenza dei suoi consiglieri. I contemporanei lo dipingono come un uomo buono d'animo, ma incapace di resistere alle suggestioni di coloro che lo circondavano, principalissimi tra questi Enguerrando de Marigny, Pierre Flotte e Guglielmo de Nogaret.
L'episodio più noto del governo di F. è la lotta con Bonifacio VIII (v), di cui qui si mette in particolare rilievo il punto di vista francese e la politica del re e della sua corte. Come risposta alla bolla Clericis laicos che aprì le ostilità (febbraio 1296), F. emanò un'ordinanza (17 agosto) che proibiva l'esodo dell'oro e dell'argento dalla Francia, colpendo così gravemente le risorse finanziarie della Santa Sede. Il papa replicò con la lettera Ineffabilis amor, che suscitò un vasto movimento di reazione nell'opinione pubblica francese. Mentre i giuristi e, in genere, i laici francesi riaffermarono con fermezza i principî della sovranità dello stato e quelli dei doveri che gli ecclesiastici avevano verso di esso come cittadini, il clero cercò di evitare una rottura che lo avrebbe costretto a prendere parte per l'uno o per l'altro dei contendenti e chiese al papa di dare un'interpretazione più indulgente alla costituzione Clericis laicos, permettendo in definitiva al re di Francia le necessarie esazioni sui beni ecclesiastici. Bonifacio VIII cedette (bolla Etsi de statu, luglio 1297); ma il suo non fu che un ripiegamento temporaneo, dovuto alle gravi preoccupazioni che gli davano i Colonna e gli Aragonesi di Sicilia. Nel 1301 la controversia riprese violentemente in occasione del processo di Bernardo Saisset, prelato amico di Bonifacio VIII, che lo aveva creato vescovo di Pamiers. Il Saisset fu accusato (probabilmente a torto, almeno in parte) di lesa maestà, per aver tenuto discorsi offensivi all'indirizzo del re, e di tradimento. Bonifacio VIII prese le difese del vescovo di Pamiers, e contemporaneamente con le bolle Salvator mundi e Ausculta fili ritirò tutte le concessioni fatte a F., e indisse un concilio di prelati francesi a Roma alla data del 1° novembre 1302, per giudicare della condotta del re. La bolla Ausculta fili provocò la più grande indignazione in Francia, tanto più che F., unicamente preoccupato di guadagnarsi il favore dell'opinione pubblica senza riguardo ai mezzi, ne fece fare un estratto tendenzioso che mise in circolazione (la falsa bolla Scire te volumus). Nell'aprile del 1302 F. convocò a Parigi una grande assemblea in cui tutti e tre gli ordini erano rappresentati. Pierre Flotte pronunciò una fiera requisitoria contro il papa, accusandolo di volersi asservire il regno di Francia, e incitando l'uditorio a reagire alle pretese di lui. La nobiltà e i comuni aderirono senz'altro al discorso di Pierre Flotte e spedirono indirizzi di protesta al collegio dei cardinali; il clero, secondo il solito, rimase incerto e fece tutti gli sforzi possibili per calmare l'animo dei contendenti. Esso fu aiutato da un fatto nuovo che indusse F. a moderarsi e a tentare un riavvicinamento col papa: cioè la guerra con la Fiandra, culminata con la battaglia di Courtrai (luglio 1302) in cui trovò la morte lo stesso Pierre Flotte. In tali frangenti F. non osò impedire la partecipazione dei vescovi francesi al concilio convocato in Roma per il 1° novembre, concilio da cui uscì la più completa affermazione della potestà universale del papato (bolla Unam Sanctam), ma la cui portata pratica fu grandemente ridotta dall'influenza moderatrice del clero francese. Questo riavvicinamento tentato da F., che il papa avrebbe accettato, sia pure ponendo condizioni rigorose, fu troncato bruscamente allorché s'incaricò della faccenda, per ordine del re, Guglielmo di Nogaret. Questi concepì subito il progetto audacissimo d'un colpo di mano sulla persona del papa, e cominciò intanto a preparare l'opinione pubblica, tenendo un violentissimo discorso contro il pontefice, in cui lo accusava fra l'altro di essersi impadronito abusivamente del papato; proponeva quindi la convocazione d'un concilio generale che lo sottoponesse a giudizio (assemblea del Louvre, 12 marzo 1303). Subito dopo Nogaret partiva per l'Italia con un gruppo di fedeli, mentre la sua opera veniva continuata in Francia dal cavaliere Guglielmo di Plaisians, suo amico e collaboratore, il quale ribadiva in una serie di 29 articoli le assurde imputazioni fatte al papa e rinnovava la proposta di un concilio generale (assemblea del Louvre, 13-14 giugno 1303). Il re approvò esplicitamente le parole di Plaisians e invitò i vescovi ad aderire, il che fecero quasi tutti. Dopo ciò F. spedì messi in tutta la Francia a raccogliere le adesioni delle varie classi di cittadini, e là dove la persuasione non era sufficiente, suppliva la violenza. Il 7 settembre questa politica trovava il suo coronamento nell'attentato di Anagni. Nemmeno la morte del papa placò l'animo del re: egli voleva che il nuovo papa Benedetto XI condannasse la memoria di Bonifacio per consacrare definitivamente il suo trionfo; ma Benedetto XI morì dopo aver cercato invano una formula di compromesso che soddisfacesse il re senza diminuire il prestigio della chiesa. La soddisfazione, e completa, fu ottenuta più tardi dal debole Clemente V, che annullò gli atti di Bonifacio VIII e assolse gli autori dell'attentato di Anagni (1311).
Ben più grave di conseguenze fu la debolezza di Clemente V nell'affare dei Templari, divenuti verso la fine del sec. XIII un poderoso organismo bancario che eseguiva le più diverse e importanti operazioni finanziarie nei paesi principali dell'Europa (v. templari). Le immense ricchezze dell'Ordine suscitavano la cupidigia dei re e dei signori, e contribuivano, insieme con l'apparato di segretezza che circondava le riunioni, a malfamarlo nell'opinione popolare. F. volle profittare del momento favorevole per sbarazzarsi del suo principale creditore e arricchirsi a sue spese, e di questa bisogna incaricò ancora Guglielmo di Nogaret. Il 23 ottobre 1307 tutti i Templari di Francia venivano arrestati sotto accusa d'eresia. Subito dopo, il re lanciava al popolo un manifesto in cui si giustificava del suo operato, denunciando i Templari come autori dei più nefandi delitti contro la morale e la religione; nello stesso tempo dava istruzioni ai suoi agenti perché s'impadronissero dei beni dell'Ordine e ne tenessero l'amministrazione fino a nuovo avviso. Sfiniti dal carcere e dalle torture i Templari finirono con il confessare tutto ciò che vollero gl'inquisitori. Clemente V, informato dell'arresto, protestò presso il re e dichiarò che avrebbe avocato a sé il processo, ma Nogaret intuendo il pericolo che rappresentava questa opposizione, iniziò subito una violenta campagna denigratoria contro il papa. Clemente V non ebbe il coraggio di venire a lotta aperta col re, e scese a trattative; nel convegno di Poitiers (1308) si stabilì che il re avrebbe tenuto in custodia i Templari in nome della Chiesa Romana, e che il loro processo, già iniziato davanti agl'inquisitori, avrebbe proseguito il suo corso normale; mentre invece il giudizio sulle sorti dell'Ordine e sulle colpe dei suoi maggiori dignitarî sarebbe stato riservato a un concilio da convocarsi verso la fine del 1310 a Vienne, nel Delfinato. In conclusione, Clemente V veniva ad abbandonare i Templari alla loro sorte. Il processo ricominciò e durò a lungo; soltanto nel maggio 1310 si ebbero le prime sentenze per le quali 54 Templari venivano condannati al rogo. Il concilio di Vienne riunitosi nell'ottobre del 1311 approvò la soppressione dell'Ordine, decretata con la bolla Vox in excelso (3 aprile 1312).
Altri avvenimenti importanti del regno di Filippo il Bello furono la guerra con Edoardo I d'Inghilterra, la lunga controversia coi Fiamminghi, e la spedizione di Carlo di Valois in Italia. Argomenti d'inimicizia non mancavano mai tra i re di Francia e d'Inghilterra, finché questi ultimi avevano possedimenti continentali: così avvenne che F., iniziando le ostilità, con un pretesto fece occupare la Guienna, feudo della corona d'Inghilterra. Edoardo I dal canto suo si preparò alla guerra e cercò alleati: uno ne trovò in Guido di Dampierre, conte di Fiandra e vassallo di F., il quale non esitò a porsi contro il suo sovrano per vendicarsi di tutte le umiliazioni che gli aveva fatto soffrire. Filippo il Bello invase la Fiandra e la vittoria gli fu resa facile dall'aiuto che gli portarono i vassalli ribelli di Guido di Dampierre, i cosiddetti leliaerts o seguaci del giglio. Edoardo I giunse soltanto in tempo per concludere una tregua, che fu patrocinata da Bonifacio VIII (1298). Nel 1303 fu stipulata la pace definitiva tra Francia e Inghilterra. Frattanto l'occupazione francese della Fiandra suscitava una sempre maggiore indignazione tra i Fiamminghi, specialmente tra le corporazioni dei mestieri che vedevano lesi in modo grave i proprî interessi, e condusse all'aperta ribellione (Mattine di Bruges, maggio 1302) e alla battaglia di Courtrai in cui fu distrutto il fiore della cavalleria francese. F. compì diverse altre spedizioni per vendicare l'onta subita, e condusse lunghe trattative; ma non si raggiunse nulla di veramente conclusivo, e la Fiandra rimase sempre uno dei guai maggiori della monarchia francese.
Con un insuccesso si concluse poi la spedizione di Carlo di Valois, fratello del re, in Italia, nella primavera del 1301 (v. carlo di Valois), cioè in quel periodo in cui F. e Bonifacio VIII apparivano non solo riconciliati dello screzio nato fra loro nel 1296, ma sembravano addirittura divenuti solidali nella loro politica.
La Francia sotto F. ci appare come un regno forte e tenuto saldamente dall'autorità del re: il clero, benché vessato dalle tasse, e la nobiltà, benché privata di tanti suoi privilegi, non si ribellano, ma seguono le sorti del re nelle alterne vicende delle sue lotte col papato e con gli stati vicini. Le frequenti consultazioni delle assemblee in questo periodo di tempo sono la prima origine degli Stati generali; vediamo il popolo partecipare attivamente alla vita politica della nazione e da esso sorgere un forte gruppo di giuristi e di scrittori (Giovanni di Parigi, Pietro Dubois, ecc.) che sono i capostipiti d'una forte tradizione giuspubblicistica in cui spuntano i primi lineamenti dello stato nazionale moderno.
Bibl.: Sulla controversia con Bonifacio VIII, v. la bibliografia citata a questa voce: si può aggiungere R. Scholz, Die Publizistik zur Zeit Philipps des Schönen und Bonifaz VIII., Stoccarda 1903, e K. Wenck, Philipp der Schöne von Frankreich, seine Persönlichkeit und das Urteil seiner Zeitgenossen, Marburgo 1905. Copiosissima è la letteratura sulla soppressione dei Templari: essa è riportata quasi per intero da G. Mollat, Les Papes d'Avignon, 6ª ed., Parigi 1930, pp. 229-30 e 425 (v. templari). Su argomenti speciali v. E. Boutaric, La France sous Philippe le Bel, Parigi 1861; A. Luchaire, Manuel des institutions françaises, Période des Capétiens directs, Parigi 1892; J. Petit, Charles de Valois, Parigi 1900. Di ottima consultazione sono Hefele-Leclercq, Histoire des Conciles, VI, i, Parigi 1914 e Ch.-V. Langlois, Saint Louis, Philippe le Bel, Les derniers Capétiens directs, in E. Lavisse, Histoire de France, III, ii, Parigi 1901.