MANTEGAZZA, Filippo (detto il Cassano)
Nacque, probabilmente intorno alla metà del XV secolo, a Cassano d'Adda, presso Milano, come suggerirebbe il suo soprannome, adottato successivamente anche dal figlio Pietro Martire. Entrambi furono stampatori a Milano e accompagnarono le loro sottoscrizioni editoriali con quel nomignolo. Come si deduce dagli estremi cronologici delle 45 edizioni a lui riconducibili (cfr. The illustrated incunabula short-title catalogue [=ISTC], s.v.), il M. fu attivo, in modo continuativo tra il 1490 e il 1497, sempre a Milano, senza lasciare tracce nei centri minori, come spesso accadeva ai tipografi itineranti del tempo.
La maggioranza delle sue stampe presenta note tipografiche esplicite e complete che informano non solo delle varianti del suo nome - "Philippum Mantegatium dictum Cassanum", "Cassanum de Mantegaziis", "Philippo di Mantegazi dicto el Cassano", "Philippo Mantegatio dicto el Cassano" - ma indicano anche i nomi di alcuni committenti delle stampe realizzate: i due preti Andrea Lelio e Francesco Tanzio per Galeotto Marzio (1490); Giovan Pietro Lomazzo per Franchino Gaffurio (1492); il prete Bernardino Scarlione per Lucidarius (1493); Guglielmo Rolandi per Bernardo Bellincioni (1493); Giovanni da Legnano per Paulinus Mediolanensis (1494; s. Paolino da Nola secondo l'Indice generale degli incunaboli [=IGI], 7261); Pietro Giustino Filelfo per Francesco Filelfo (1494) e Agostino Maria Conago per Cristoforo Landino (1494). Il M. intrattenne anche rapporti di collaborazione con altri tipografi cittadini: lavorò in società con Bernardino Castiglione per la traduzione latina di Esopo (1491), con Paolo Rognoni da Taegio per i Fasti maiores di Pietro Apollonio Massimo Collazio (1492), con Alessandro Pellizzoni per l'Antichristus (1496) e con Iacopo Sannazzaro per Ubertino da Busti (1496).
È stata avanzata l'ipotesi che la sua azienda avesse sede o nell'ambiente del Castello Sforzesco dove aveva dimorato la duchessa Bianca Maria Visconti, o nelle case presso il duomo dove era stata Bianca di Savoia, moglie di Galeazzo (II) Visconti. Così si spiegherebbe la particolare sottoscrizione dell'Apollonio di Tiro, tradotto in italiano da P. Rognoni nel 1492: "In Milano, […] per piacer del popolo stampata per Magistro Cassano de' Mantegatii de la Cablanica de' Visconti" (cfr. IGI, 760; Vichi Santovito).
Nel panorama della tipografia quattrocentesca milanese la sua officina, sebbene non fosse tra le più produttive, certamente seguì una linea editoriale rigorosa, distinguendosi nel privilegiare opere in volgare di autori coevi, volgarizzamenti di autori classici ma anche brevi opuscoli storici, d'occasione o di edificazione religiosa. I testi di maggior rilievo per cui il M. è più spesso ricordato sono, per esempio, le traduzioni italiane del poema Pharsalia di Lucano (1492), del De arte amandi di Ovidio (1494), delle Vitae et sententiae philosophorum di Diogene Laerzio (1497). Si aggiungono altre edizioni di rilievo come la Theorica musicae di Franchino Gaffurio (1492), che inaugurò il genere della stampa musicale a Milano (Sartori); le Rime del poeta fiorentino Bernardo Bellincioni (1493) con la famosa xilografia raffigurante il poeta nel suo studio - opera peraltro non più stampata durante il XVI secolo e addirittura, pare, fino al 1876 (Fanfani, p. VII) -, o le ottave del Di Paulo e di Daria amanti di Gasparo Visconti (1495). La preferenza del M. verso opere e autori coevi e verso la letteratura più popolare fece sì che molte delle sue stampe "a buon mercato" - nell'epistola ai lettori che precede il testo del Di Paulo e di Daria il curatore, riferendosi alle 1000 copie tirate, avverte: "le habiamo misso a pretio tale che nessuno animo gentile non se potra se non di nui summamente laudare" - circolassero copiosamente e che fossero oltremodo lette, usate e abusate. Conseguenza di ciò fu che delle 45 edizioni di cui si ha notizia, due terzi sono sopravvissute in non più di tre esemplari al mondo (cfr. ISTC, s.v.).
La tipografia del M. disponeva di quattro tipi di carattere romano e due di gotico, mentre un solo tipo di carattere greco si trova impiegato occasionalmente nei testi di Galeotto Marzio e Giorgio Merula del 1490 (ISTC, ig00043000); disponeva di una serie di iniziali decorate con motivi floreali su fondo nero e di pochi altri capilettera narranti, di cui rimane una scarsa testimonianza (Miraculi de la gloriosa Verzene Maria del 1496; ISTC, im00619380). Il M. non utilizzò mai alcuna marca tipografica e questo è probabilmente indice del fatto che egli gestiva solo la stamperia ma non aveva una bottega libraria che smerciasse la sua produzione.
Poco si conosce della sua vita familiare: era congiunto a Giovannina da Gaiate, madre di Pietro Martire e di altri figli (uno dei quali si chiamava Battista), che con questo collaborarono nella tipografia milanese; abitò a Milano, forse a Porta Ticinese nella parrocchia S. Michele alla Chiusa e a Pavia ebbe anche una figlia, Elisabetta.
L'ultimo lavoro datato del M. come maestro di tipografia è il Diogene Laerzio del 25 nov. 1497 (ISTC), ma gliene viene attribuito anche un altro intorno al 1498 (i Sonetti di Narnese Romano, ISTC); in seguito pare che la sua bottega sia stata rilevata da Pietro Martire, che iniziò la sua attività nel 1499.
Il M. si era trasferito a Pavia, dove fu bidello all'Università; qui il 25 giugno 1505 costituì una società con il tipografo G. Pocatela e il mercante A. Castelli per la stampa e lo smercio degli statuti pavesi ("pro stampatura Statutorum comunis Papiae", Gasparrini Leporace ed Edit16, 60111). Il M., nella nuova veste di libraio, si impegnava a fornire la carta di due qualità e a provvedere alla vendita delle 625 copie previste al prezzo concordato fra i tre; l'edizione fu completata l'11 agosto ma la distribuzione fu effettuata in gran parte da Gasparino Nebbi, che comprò la bottega del M. (ubicata nel broletto a piazza della Vittoria) dalla figlia Elisabetta.
Il M. morì a Pavia nel 1505, tra il 28 agosto, data del testamento, e il 30 settembre, data in cui in un atto notarile (Gasparrini Leporace) risulta già morto.
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