CANUTI, Filippo Maria
Nato a Bologna il 2 apr. 1802 da Pietro e da Matilde Faggioli, vi si laureò in utroque iure nel 1822 e dal 1824 si dedicò alla libera professione di avvocato. Frattanto, appassionato di studi musicali, concretò tale interesse scrivendo la Vita di S. Mancini (Bologna 1829; 2 ed., Reggio Emilia 1830), celebre teorico e compositore di musica, maestro di Rossini.
Ben presto il C. fu attratto dalla propaganda patriottica ed entrò in contatto con Ciro Menotti e con altri liberali delle vicine regioni, prendendo poi parte attiva alla preparazione della rivoluzione del 1831 per propagare il moto insurrezionale nelle città della Romagna e dell'Italia centrale. La mattina del 4 febbraio il C. fu il primo ad essere informato a Bologna dell'arresto del Menotti: inviato dalla commissione provvisoria in missione straordinaria a Castelfranco, vicino al confine del ducato estense, per seguirvi da vicino gli avvenimenti e riferire, e perciò escluso dal governo provvisorio formatosi nella città il giorno 5, invano chiese che si intervenisse in difesa degli insorti di Modena: gli fu opposta l'inopportunità di ingerirsi negli affari interni di altri Stati. Tornato a Bologna, gli venne affidata la carica di giudice supplente nel Tribunale criminale (11 febbraio); ma fu ben presto privato anche di questo incarico, e solo dopo la costituzione del governo provvisorio delle Province unite italiane fu nominato il 16 marzo 1831 prefetto di Ascoli. Raggiunta la sede il 26 marzo, il giorno stesso della capitolazione di Ancona, il 28 marzo, il C. dovette abbandonare la carica e lasciare l'Italia. Passò quindi a Corfù, a Malta, a Marsiglia e infine a Parigi, dove rimase fino al 1848 dedicandosi ad una intensa attività giornalistica.
Scrisse articoli per L'Esule (1832-33), Per il Polonais e per Les Débats; ma la collaborazione più importante fu quella, nel decennio 1837-1947, a Le Commerce, sul quale pubblicò numerosi articoli riguardanti le condizioni politiche, economiche e morali dell'Italia, inquadrandole in un ambito europeo. Nel 1841 collaborò anche a Le Temps, nel 1843 a La Patrie, nel 1844 al Courrier français, nel 1846 a Le Siècle e a Le Messager.
Dei propri principî politici, costituzionali e moderati, il C. diede prova nella primavera del 1845 quando, preparandosi il moto di Rimini, egli entrò in contatto con gli inviati della Romagna a Parigi, raccomandando loro di estendere l'azione a tutta l'Italia: se questo non fosse stato possibile - consigliava -, "piuttostoché perder tutto, sarà prudente stabilire un governo del Papa, ma secolare, liberale, rappresentativo e, appoggiandosi al noto Memorandum presentato nel 1831 alla Corte di Roma, chiedere riforme" (Consigli ai nostri cittadini, successivamente edito in G. Montanelli, Memorie sull'Italiae specialmente sullaToscana..., I, Torino 1853, p. 102).
Questi suggerimenti furono alla base del noto Manifesto dellepopolazioni dello Stato romanoai principi e ai popoli d'Europa, che, redatto da L. C. Farini, fu reso noto il 23 sett. 1845, quando scoppiò il moto. Contemporaneamente il C. pubblicava a Parigi un opuscolo intitolato La questione italiana, col quale si proponeva di dimostrare all'Europa la necessità delle riforme giustamente chieste dalle popolazioni dello Stato pontificio.
Non avendo voluto firmare l'impegno imposto dall'amnistia di Pio IX del 16 luglio 1846, "di non volere in nessun modo, né tempo abusare di questa grazia e di voler anzi fedelmente adempiere ogni dovere di buon suddito", il C. non poté rientrare in Italia come la quasi totalità degli altri esuli e rimase a Parigi. Qui, al principio del 1848, pubblicò l'opuscolo Réflexions surles affaires d'Italie. Il 5 marzo di quello stesso anno partecipò a una riunione degli esuli italiani convocata da Mazzini, allo scopo di costituire l'Associazione nazionale italiana, e della quale il C. sarà vicepresidente insieme con P. Giannone.
Subito dopo (15 marzo) partì per Torino, donde, dopo l'inizio della prima guerra d'indipendenza, si recò a Cremona, ove ebbe un colloquio con Carlo Alberto al suo quartier generale. Ai primi di maggio era a Milano, sostenitore della costituzione di un grande Regno dell'Alta Italia derivante dall'annessione al Regno di Sardegna del Lombardo-Veneto e dei ducati di Parma e Piacenza, di Modena e Reggio.
Successivamente, grazie all'intervento di T. Mamiani, allora ministro degli Interni del governo pontificio, il 1º giugno 1848 ottenne l'incarico di commissario generale straordinario del contingente dell'esercito pontificio che aveva passato il fiume Po.
Il 6 giugno prese possesso del nuovo ufficio e l'8 si recò a Padova, dove iniziò la sua azione indirizzando un elevato proclama ai soldati e ai cittadini. Dopo breve tempo, però, in seguito alla caduta di Vicenza e di Treviso, il C. si trovò in gravi difficoltà a causa della mancanza di fondi e della generale disorganizzazione seguita alla ritirata delle truppe pontificie nelle Legazioni. Con la nomina del conte Carlo Pepoli ad alto commissario governativo (25 giugno), incaricato di riorganizzare le truppe capitolate, il C. si ritenne messo in disparte e fu sul punto di dimettersi, ma fu persuaso a rimanere e a collaborare col Pepoli nel riordinamento delle truppe di linea ripiegate a Ferrara, Bologna e Ravenna. Alla fine di agosto poté recarsi a Roma, dove fu ricevuto dal papa, al quale presentò una lunga relazione giustificativa sull'attività svolta. Vi rimase fino al novembre, quando cessò dall'incarico che gli era costato tanta fatica e gli aveva dato così poche soddisfazioni.
Dopo la fuga di Pio IX da Roma, per interessamento del Mamiani, divenuto ministro degli Esteri, il C. fu designato il 5 dicembre a svolgere incarichi ufficiosi presso gli incaricati d'affari a Londra e a Parigi. Anzi in quest'ultima capitale, per la defezione del titolare, esercitò le mansioni di incaricato d'affari. Questa missione rappresentò, nella sua vita, il momento culminante, che gli diede forse la speranza di potere, in avvenire, occupare una posizione regolare nei ranghi della diplomazia. Ma fu un'illusione di breve durata perché, con l'avvento della Repubblica romana, egli fu esonerato dalla carica e rientrò in Italia. Con la restaurazione dello Stato pontificio, escluso dall'amnistia come elemento compromesso nel periodo rivoluzionario, dovette riprendere la via dell'esilio tornando a Parigi. Qui ebbe modo di conoscere più strettamente il Gioberti e frequentare la colonia degli esuli italiani, fra i quali era il suo vecchio amico Guglielmo Pepe.
La sua vita d'esilio, povera e stentata, migliorò nel 1851, quando il Farini gli procurò l'incarico di addetto all'ambasciata sarda in qualità di corrispondente; contemporaneamente il C. cominciò ad inviare notizie politiche al giornale Risorgimento. Ormai legato all'ambiente ufficiale piemontese, ne condivise del tutto gli orientamenti, specialmente dopo l'ascesa al potere del Cavour.
Alla fine del 1858 rientrò in Italia e nel dicembre 1859 il Farini, dittatore delle RR. Province modenesi e parmensi, lo chiamò a Modena in qualità di direttore del Foglio ufficiale. Quando poi lo stesso Farini assunse la carica di ministro degli Interni (24 marzo 1860), affidò al C. la direzione della Gazzetta ufficiale del Regno.
Dopo qualche tempo, nel 1865, il C. dovette lasciare questo ufficio ed ebbe, quale piccolo compenso per la sua travagliata vita di patriota, prima il posto di consigliere di prefettura a Parma, poi quello di segretario capo di prefettura a Forlì, dove morì il 21 ag. 1866.
Fonti e Bibl.: Carteggio Tommaseo-Manin, a cura di G. Gambarin, in La Repubblica veneta nel 1848-49, I, Documenti diplom., Padova 1954, p. 531; Dal carteggio di Iacopo Cantelli, a cura di R. Cessi, ibid., pp. 687, 690, 693; G. Maioli, Lettere di L.C. Farini e di F. C., in Il Risorg. e L. C. Farini, I (1959), pp. 65-74; L. C. Farini, Lo Stato romano, I, Firenze 1850, pp. 59, 102-116; L'arch. dei governi provvisori di Bolognae delle Provincieunite del 1831, a cura di L. Pásztor-P. Pirri, Città del Vaticano 1956, ad Indicem; A. Dall'Olio, La difesa di Venezia nel 1848 neicarteggi di C. Berti Pichat e A. Aglibert, Bologna 1920, pp. 42 e, passim; L. Menghini, R. Andreini e i moti di Romagna nel 1845, in Rass. stor. del Risorg., III (1916), pp. 445-516 passim; O. Montenovesi, I casi di Romagna (23-30 sett. 1845),ibid., VIII (1921), pp. 307-426 passim; A. Sandonà, I moti del 1844 e ilcarteggio di A. Partesottie di altri confidenti dell'Austria, in Nuova Antologia, 16 nov. 1926, pp. 160 ss.; A. M. Ghisalberti, Giuseppe Galletti ministrodi Pio IX, in Rass. stor. del Risorg., XVI (1929), pp. 333, 348 s.; L. Cavina, Il Manifesto del Moto di Rimini, in Rass. nazionale, s. 3, LVI (1934), pp. 355-366; G. Maioli-P. Zama, Patrioti e legittimisti delle Romagne nei registri e nelle memorie della polizia, Roma 1935, pp. XI-XIX, XXVIII-XXXI, XXXVIII-XL, 125-169; A. Berselli, Movim. polit. aBologna dal 1815 al 1859, in Boll. del Museo del Risorg. diBologna, V (1960), p. 215; P. Zama, L. C. Farini nel Risorg. italiano, Faenza 1962, pp. 207-209 e passim; Diz. del Risorg. nazionale, II, pp. 524-526.