RENAZZI, Filippo Maria
RENAZZI, Filippo Maria. – Nacque a Roma il 4 luglio 1745 (anziché 1747 come indicato da lui stesso nella sua nota autobiografica) da Ercole Maria e da Barbara Mantacheti.
Il padre era avvocato e docente universitario di diritto a Bologna, dove la famiglia, che vi risiedeva dall’XI secolo ascritta nella categoria dei cittadini gentiluomini, era ormai in decadenza. Per rimediare alle difficoltà, Ercole Maria si era trasferito a Roma su invito di due illustri suoi maestri, il letterato Jacopo Martello e lo scienziato e poeta Eustachio Manfredi, che erano stati inviati presso il governo pontificio dal Senato bolognese per lavorare alla soluzione della secolare controversia tra Bologna e Ferrara sulla gestione delle acque del fiume Reno. Nel trattare la parte legale della questione, si fece apprezzare per la sua competenza ed efficienza, tanto che entrò a far parte dei procuratori del Palazzo apostolico e fu nominato da Benedetto XIV sostituto commissario della Camera apostolica.
Ercole Maria dedicò molta cura all’educazione del figlio, iscrivendolo al Collegio Ghislieri di Roma dove Renazzi compì tutti gli studi, compresi quelli legali sotto la guida di un insegnante particolare. Tra i suoi professori più autorevoli vanno ricordati Giuseppe Maria Mazzolari (Mariano Partenio) per l’eloquenza, Ruggero Boscovich per la matematica e Giovanni Battista Faure per le scienze sacre. Quest’ultimo riuscì a ricondurre all’impegno intellettuale il giovane, che si era dato alla dissipazione dopo l’uscita dal collegio e la morte del padre, e continuò privatamente a perfezionare la sua formazione. La preparazione in campo giuridico venne approfondita grazie all’insegnamento del padrino di cresima, l’avvocato concistoriale Carlo Alessio Pisani, e del votante della Segnatura di giustizia Prospero Franceschi, il primo dei quali assunse Renazzi nel suo studio come aiutante.
Nel 1763 fu ammesso nel collegio dei procuratori del Palazzo apostolico, ma seguitò con passione a coltivare la letteratura e le scienze suscitando i rimproveri di alcuni togati secondo i quali avrebbe dovuto impiegare il suo tempo esclusivamente nello studio e nella pratica del diritto. Per difendersi dalle accuse, Renazzi affrontò «l’ingrata fatica» di rivedere alcune addizioni inedite alle dissertazioni ecclesiastiche di Francesco Maria Pittoni, avvocato della Curia romana e uditore di Benedetto XIII, pubblicandole con dedica a Pisani (Additiones ad primas XXIV disceptationes ecclesiasticas Francisci Mariae Pitonii, Romae 1767). Poco dopo compilò e stampò un indice ragionato delle conclusioni della Sacra Rota, dedicandole all’uditore dello stesso tribunale Innocenzo Conti (Index conclusionum quae continentur in decisionibus Sacrae Romanae Rotae anno 1760 in lucem editis alphabetico ordine digesto, Romae 1767).
Questi lavori rassicurarono i superiori circa il suo impegno nella giurisprudenza ed egli poté da allora occuparsi indisturbato delle sue predilette materie letterarie ed erudite. Frequentò le accademie degli Infecondi e dell’Arcadia, dove ebbe occasione di conoscere importanti intellettuali, stabilendo in particolare rapporti di amicizia con l’abate e giurista fiorentino Giuseppe Bandini. Questi era fratello dell’illustre bibliotecario della Laurenziana, Angelo, e durante i suoi viaggi in Europa come uditore di monsignor Gregorio Salviati si era procurato numerosi libri di moderni giuspubblicisti stranieri ancora del tutto sconosciuti a Roma. Renazzi, attraverso l’assidua frequentazione della sua raccolta, poté acquisire una vasta conoscenza delle moderne tendenze della scienza giuridica europea indirizzandosi verso teorie innovative. Nel gennaio del 1768 vinse il concorso per il posto di lettore sopranumerario di diritto alla Sapienza e l’anno dopo, in seguito al pensionamento del professor Pietro Antonio Danieli, fu nominato titolare della cattedra di istituzioni criminali. Il giovane docente si preparò intensamente all’incarico attraverso l’approfondimento della dottrina recente, consolidando in tal modo metodi avanzati che introdusse nell’insegnamento. Ciò suscitò opposizioni nell’ambiente conservatore dell’Archiginnasio romano, ma il sostegno di alcuni professori più aperti e il grande successo del suo corso presso gli studenti lo incoraggiarono a proseguire per la via intrapresa.
Le sue posizioni trovarono espressione nel vasto trattato Elementa iuris criminalis (Romae 1773-1786), in quattro libri.
Nel primo (De delictis generatim) la prefazione chiarisce subito le idee dell’autore, che rifiuta energicamente il metodo formalistico di suoi famosi predecessori come Prospero Farinacci e Domenico Ursaya, considerandolo irrazionale, barbaro e foriero della decadenza della scienza criminale, mentre dimostra deciso apprezzamento per i giusnaturalisti e gli illuministi. Renazzi si prefigge di conferire autonomia e dignità alla sua disciplina fondandosi su principi chiari, organici e sistematici e ricorrendo non solo al diritto romano e canonico ma anche a quello naturale e a molteplici altri saperi. Viene così respinta la secolare visione meramente tecnica e autoreferenziale della giurisprudenza per affermarne il ruolo trainante nel progresso sociale secondo la nuova concezione illuministica. Tuttavia, Renazzi non mira a scardinare interamente il sistema passato ma a mantenerne l’intelaiatura correggendone i difetti attraverso soluzioni moderne. La sua opera rivela il costante sforzo di conciliare gli istituti del diritto comune con le esigenze di riforma della sua epoca.
Tra le sue fonti, Beccaria riveste un ruolo rilevante, ma il saldo attaccamento al diritto romano e alla Chiesa cattolica lo induce a distanziarsi talvolta dal suo modello. Così, accoglie il concetto di contratto sociale ma considera la religione come la migliore garanzia per la tranquillità della vita pubblica, respinge la concezione puramente oggettiva del reato per tenere conto anche degli aspetti soggettivi e, nella classificazione dei delitti, assegna il primo posto a quelli contro la religione e la morale. Nel secondo volume (De poenis generatim) la definizione della pena e la trattazione della tematica relativa appaiono largamente ispirate ai principi illuministici. Renazzi aderisce alla teoria della divisione dei poteri e sostiene la laicità del diritto di punire, la funzione di prevenzione delle sanzioni, la necessità della loro certezza e della proporzione rispetto al crimine, l’opportunità di mitigare i crudeli sistemi in uso e di ridimensionare la discrezionalità del giudice. Esprime inoltre cautamente il suo dissenso nei confronti della pena di morte e dedica ampio spazio ai mezzi atti a distogliere dai delitti, come, in particolare, le buone leggi, la libertà civile, la diffusione delle scienze, il progresso economico e l’istruzione.
Il terzo volume (De judiciis criminalibus) fu preceduto da un opuscolo (De ordine seu forma judiciorum criminalium diatriba, Romae 1777) nel quale Renazzi traccia la storia del processo dall’antichità al presente e interviene nella accesa disputa intorno all’abolizione del metodo inquisitorio sostenendo la sua sostanziale validità e la sua maggiore efficienza rispetto all’accusatorio. Tale posizione è ripresa negli Elementa, dove il contesto del meccanismo processuale vigente è sostanzialmente confermato ma vengono suggerite significative riforme tendenti a ridurre i poteri del giudice e ad ampliare le garanzie dell’imputato, a semplificare e modificare il sistema delle prove, a sostituire il criterio del valore legale di alcune di esse con quello del libero convincimento del giudice. L’uso della tortura è decisamente respinto per la sua crudeltà, irrazionalità e inutilità e la sua abrogazione è auspicata con forza.
Il quarto volume (De delictis et poenis speciatim) descrive i singoli crimini e le relative pene, rimanendo in gran parte aderente alla morale cattolica e al sistema del diritto comune. Istanze di rinnovamento emergono tuttavia nella tendenza alla mitigazione delle sanzioni e nella maggiore considerazione dei diritti e delle condizioni sociali del reo. Fra l’altro Renazzi si pronuncia in modo deciso per la depenalizzazione della stregoneria, purché non connessa ad altri delitti, riprendendo il contenuto del suo scritto De sortilegio et magia liber singularis (Venetiis 1782). Auspica l’eliminazione del giuramento processuale e deplora l’uso di esporre i banditi alla violenza dei cittadini, di premiare l’uccisione dei contumaci, di punire atrocemente anche i complici delle sedizioni e di perseguire severamente i furti compiuti da soggetti indigenti.
Gli Elementa ebbero numerose edizioni (Venezia 1776; Napoli 1787; Siena 1794; Roma 1802-1803, 1819-1821; Bologna 1826; Firenze 1842), commenti, riassunti e traduzioni in italiano e rimasero fino al 1870 il libro di testo per il corso di diritto criminale alla Sapienza. Subito dopo la pubblicazione riscossero un grande successo in Europa, tanto che la zarina Caterina II invitò Renazzi a S. Pietroburgo per partecipare alla stesura del codice penale e il governo di Vienna gli offrì una cattedra a Pavia. Renazzi, obbedendo a Clemente XIV, rifiutò e rimase a Roma, dove insegnò per oltre un trentennio, esercitò la professione di avvocato e divenne sottosegretario della Reverenda Fabbrica di S. Pietro.
Nell’ambito di quest’ultima carica pubblicò il Compendio di teorica e di pratica per uso de’ Commissari ed altri uffiziali della Rev. Fabbrica di S. Pietro (Roma 1793) e lo Stato della Rev. Fabbrica di S. Pietro dall’anno 1785 al 1792 (Roma 1795). Tra le orazioni pronunciate alla Sapienza in quegli anni, la De laudibus Leonis X Pont. Max. oratio (Roma 1793) contiene una esaltazione di maniera, mentre altre rispecchiano la sua passione per la letteratura e le scienze. La Oratio de studiis literarum ad bonum Reipublicae referendis (Roma 1781), la Oratio de optimo scientiarum fine assequendo (Roma 1796) e il Ragionamento sull’influenza della poesia nella morale (Roma 1797), in contrasto con Jean-Jacques Rousseau, esaltano la funzione civilizzatrice di tutte le discipline se liberate da sterili sottigliezze e alimentate dalla morale. L’opuscolo Notizie storiche degli antichi vicedomini del patriarchio lateranense e de’ moderni prefetti del sagro Palazzo Apostolico ovvero maggiordomi pontifizi (Roma 1797) ricostruisce dettagliatamente la storia di questa istituzione da Costantino in poi.
Renazzi sposò Maria Eugenia Doria, dalla quale ebbe cinque figli: Felice, Cleto, Paolo, Carolina e Agata. Durante la Repubblica Romana del 1798-99 fu nominato senatore e prefetto della Giustizia civile e criminale; prestò giuramento civico, ma la sua adesione al nuovo regime va attribuita probabilmente più a opportunismo e alle insistenze del cognato Ennio Quirino Visconti che a una vera convinzione. Di fatto egli mantenne un atteggiamento moderato, come dimostrano la sua relazione sulla guardia nazionale (Discorso del cittadino Filippo Maria Renazzi Senatore pronunziato nella seduta dei 9 Fiorile anno VI dell’Era Repubblicana, Roma 1798), l’impegno nella salvaguardia del patrimonio e delle attrezzature della Fabbrica di S. Pietro e la ritrattazione del giuramento dopo la condanna di Pio VI.
Al ritorno del papa fu destituito dai suoi incarichi che cercò di recuperare attraverso insistenti suppliche e, per dimostrare il rifiuto dell’ideologia rivoluzionaria, compose una confutazione del contratto sociale in una lettera all’abate Settimio Costanzi, che però rimase inedita. Riammesso all’insegnamento nel 1801, fu pensionato nel 1803 e lo stesso anno Napoleone gli offrì una cattedra di diritto criminale a Bologna, ma Renazzi rifiutò e rimase a Roma, dove ottenne l’iscrizione alla nobiltà. Nel 1805 pubblicò una sintesi degli Elementa, la Synopsis elementorum juris criminalis che ebbe numerose edizioni (Roma 1828, 1835, 1859; Siena 1804, Bologna 1826, trad. it. Gubbio 1843-1844). Nel 1806 inviò una serie di osservazioni al gran giudice e ministro della giustizia, Giuseppe Luosi, che aveva richiesto il suo parere sul progetto di codice penale del Regno d’Italia, ma dedicò gli ultimi anni di vita soprattutto agli interessi storici e antiquari.
Nella Lettera al ch. Monsignor Vincenzo Brenciaglia protonotaro apostolico e presidente dell’Accademia Ecclesiastica in cui si illustra l’intaglio d’un niccolo antico (Roma 1805), ricerca origine, datazione e significato di un’antica pietra intagliata e nelle Ricerche sulle varie maniere di contrar le nozze e su i di loro diversi effetti presso gli antichi Romani (Siena 1807), descrive le forme del matrimonio romano con stile chiaro e scorrevole. Il risultato più significativo di questo periodo fu l’imponente Storia dell’Università degli Studi di Roma detta comunemente la Sapienza (I-IV, Roma 1803-1806), che fornisce un ampio e articolato quadro non solo delle vicende accademiche, ma anche della vita intellettuale romana dal XIII al XVIII secolo. Il monumentale lavoro, ispirato a Tiraboschi, rispecchia lo stile settecentesco erudito, talvolta sovrabbondante e poco sistematico, ma testimonia una vasta cultura e offre tuttora una ricchissima miniera di informazioni.
Morì il 29 giugno 1808 a Roma, dove fu sepolto nella chiesa di S. Eustachio.
Fonti e Bibl.: Documenti manoscritti sulla famiglia, le attività e le vicende biografiche di Renazzi sono conservati a Roma, Biblioteca Alessandrina, Carte Renazzi, e nell’Archivio di Stato di Roma, soprattutto nei fondi Università e Congregazione degli Studi.
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