Filippo Maria Visconti
Duca di Milano (Milano 1392-ivi 1447). Figlio di Gian Galeazzo e di Caterina Visconti, nel 1402, morto il padre, assisteva impotente allo sfacelo dello Stato, mentre Facino Cane, che già dominava sulla corte ducale di Giovanni Maria, s’impadroniva anche della contea di Pavia, di cui egli era stato insignito dall’imperatore Venceslao nel 1396. Costretto a restare nell’ombra dalla prepotente personalità di Facino Cane, ne riemerse nel 1412 con la morte quasi contemporanea di quel condottiero e del proprio fratello Giovanni Maria. Sposò allora Beatrice contessa di Tenda, vedova di Facino, assicurandosi così non solo i vasti possessi territoriali e le ricchezze di quest’ultimo, ma anche la fedeltà delle milizie che gli avevano garantito per anni il potere. Cacciati da Milano Astorre e Giampiccino, figlio e nipote di Bernabò Visconti, che si erano impadroniti del ducato, senza peraltro chiedere la convalida del suo potere, rivolse tutta la sua attività a ricostruire lo Stato paterno, servendosi dell’aiuto di famosi capitani di ventura come Niccolò Piccinino, Francesco Sforza, Francesco Bussone detto il Carmagnola. Ottenuta mediante un’abile preparazione diplomatica la neutralità benevola di Venezia, Genova, Firenze e dei Savoia, recuperò rapidamente Como, Lodi, Piacenza, Cremona, Bergamo e Brescia, obbligando infine Niccolò III a cedergli Parma. Stabilito questo saldo e compatto nucleo territoriale lombardo, ne volle assicurare anche gli sbocchi occupando Genova con l’aiuto del Carmagnola (1421) e le valli di Domodossola e Bellinzona, minacciate dagli svizzeri tedeschi (battaglia di Arbedo, 1422). È il momento culminante della potenza di F.M.V., il cui saldo Stato cominciava però a destare i sospetti di Firenze e Venezia: Firenze aprì le ostilità aiutando in Romagna i Malatesta, ma fu sconfitta a Zagonara (1424); Venezia, che si era assicurata i servigi del Carmagnola (fuggito da Genova, per i sospetti di F.M.V.), vinse a Maclodio (1426) e nella Pace di Ferrara (1428) ottenne Bergamo, Brescia e la libera navigazione sul Po, mentre i fiorentini si assicurarono il libero passaggio delle merci per le Fiandre e l’Inghilterra. La guerra antiviscontea, ripresa nel 1431 contro F.M.V. da fiorentini e veneziani, si concluse, dopo alterne vicende, con la seconda Pace di Ferrara (1433), che confermava i patti del 1428, impegnando F.M.V. a non ingerirsi in questioni politiche toscane. Le complicate vicende per la successione al trono di Napoli, dopo la morte di Giovanna II, indussero F.M.V. all’intervento armato, in appoggio a Renato d’Angiò contro Alfonso d’Aragona, anche per sostenere gli interessi genovesi contrari a un’espansione aragonese nell’Italia meridionale. La flotta genovese scontratasi con quella catalana, che assediava Gaeta, la vinse (Ponza, 1435), catturando lo stesso Alfonso che fu allora condotto a Milano. Ma la repentina alleanza di F.M.V. con Alfonso d’Aragona provocava la ribellione di Genova (Niccolò Piccinino falliva nel tentativo di riconquistarla a Barga, nel 1437); ripresa la guerra anche da Venezia e Firenze, F.M.V. mandò contro di loro ancora Niccolò Piccinino, che, dopo aver combattuto in Romagna e contro Verona, assediò vanamente Brescia, e, passato in Toscana, fu sconfitto ad Anghiari. Fu allora indotto alla pace (Cavriana, 1441) anche per i buoni uffici di Francesco Sforza che ebbe in compenso la città di Cremona, sposando inoltre la figlia del duca, Bianca Maria. Divenuto però minaccioso lo Sforza, si alleò contro di lui col papa; sconfitto a Montolmo (1444), cercò e ottenne anche l’appoggio degli Aragonesi di Napoli, mentre lo Sforza ebbe l’appoggio di Firenze e Venezia. Le due coalizioni stavano per scontrarsi quando F.M.V. morì senza lasciare eredi.