MAZZEI, Filippo (Philip)
– Nacque a Poggio a Caiano, presso Firenze, il 25 dic. 1730 da Domenico e da Elisabetta del Conte.
Di famiglia benestante, frequentò dal 1747 i corsi di medicina presso l’ospedale fiorentino di S. Maria Nuova da cui fu espulso dopo il 1751 per miscredenza. Nel 1754 lasciò la Toscana per trasferirsi in Turchia, a Smirne, da dove nel 1756 passò a Londra. Qui avviò un redditizio commercio di prodotti alimentari con l’Italia e frequentò letterati e musicisti italiani, tra cui G. Baretti. Durante un viaggio d’affari in Toscana nel 1765 fu accusato di aver introdotto libri proibiti ed esiliato. Fu riammesso dal granduca Pietro Leopoldo di Lorena nel 1766.
Di nuovo a Londra nel 1767, entrò in contatto con i circoli politici radicali di J. Wilkes e con agenti delle colonie inglesi nel Nordamerica, in particolare B. Franklin. L’osservazione della vita politica inglese, la migliore conoscenza delle colonie americane e i dissidi con alcuni italiani a Londra, uniti a una irrequietezza sua propria, spinsero il M. a trasferirsi nel 1773 in Virginia, passando per Livorno, dove tentò, con notevoli difficoltà e scarso successo, di reclutare artigiani setaioli e contadini esperti e di rifornirsi di sementi, strumenti e animali, da portare con sé Oltreoceano.
Il M. progettava di introdurre nella colonia della Virginia coltivazioni e allevamenti europei per avviare un intenso e lucroso commercio attraverso l’Atlantico. Così facendo si ricollegava ai progetti di insediamento e sfruttamento produttivo dei territori a ovest delle 13 colonie, che circolarono ampiamente a Londra all’indomani della guerra dei Sette anni (1756-63).
Nella contea di Alberarle acquistò una tenuta che chiamò Colle, a poca distanza dai terreni di Monticello, di proprietà di Th. Jefferson. Per fondare e avviare una compagnia «allo scopo di coltivare e produrre vino, olio, piante d’agrumi e seta» (The papers of Thomas Jefferson, a cura di J.P. Boyd, Princeton 1950, I, p. 156) il M. raccolse capitali locali; si impegnò al contempo nel commercio internazionale, inviando in Toscana carichi di tabacco e grano. Per tali attività dovette acquistare alcuni schiavi neri.
Le vicende politiche che portarono alla proclamazione dell’indipendenza delle 13 colonie il 4 luglio 1776 monopolizzarono presto le attenzioni e le energie del Mazzei. L’amicizia che lo legò a Jefferson iniziò allora e rimase viva per tutta la loro vita, malgrado qualche momento di incomprensione. Il loro legame si formò negli avvenimenti che in Virginia portarono all’espulsione del governatore inglese J. Murray conte di Dunmore; il M. prese parte nel 1775 agli scontri che opposero le milizie dei «patrioti» alle truppe regolari inglesi e ai coloni lealisti e fu attivo in particolare nella pubblicistica e nell’agitazione politica a favore dell’indipendenza e della creazione di un sistema di governo repubblicano a base rappresentativa. Scrisse articoli per le gazzette virginiane e toscane, anonimi o firmati con diversi pseudonimi.
Nel contesto della politica virginiana rivoluzionaria il M. difese ripetutamente il principio rappresentativo: stese nel 1776 un piano di governo basato sul suffragio censitario, sul principio della rappresentanza proporzionale della popolazione, sulle elezioni annuali, sul divieto di esercitare cariche pubbliche per più di due anni di seguito. Per evitare i rischi della demagogia, propose l’elezione dei rappresentanti da parte di un’assemblea, a sua volta elettiva. In questo modo si sarebbe evitata la trasmissione delle cariche di governo all’interno delle medesime famiglie più potenti e favoriti il merito individuale e la dedizione alla cosa pubblica.
La costituzione della Virginia, promulgata il 28 giugno 1776 dall’Assemblea senza un’esplicita approvazione popolare, rimase tuttavia nel solco della tradizione politica coloniale, deludendo così le attese di rinnovamento profondo nutrite dal Mazzei.
Nel settembre del 1776 egli scrisse, e forse fece circolare, un testo di critica alla costituzione (Le istruzioni per i delegati alla Convenzione…, pp.42-54) in cui ribadiva che il popolo nel suo insieme è l’unica fonte del potere e ricordava l’importanza della difesa dei diritti umani contro le usurpazioni. Tra i diritti naturali che il nuovo Stato doveva rispettare rientrava la libertà religiosa.
All’inizio del 1779 il governatore della Virginia Patrick Henry incaricò il M. di recarsi in Europa per ottenere prestiti in denaro e merci per sostenere le spese militari necessarie a combattere contro l’esercito inglese. Dopo un periodo di prigionia a New York e varie peripezie il M. giunse infine a Parigi all’inizio del 1780. Nella sua qualità di agente della Virginia in Europa fu estremamente solerte, malgrado l’ostilità e l’ostruzionismo di altri più autorevoli diplomatici americani, tra cui Franklin, e tentò di mettersi in contatto con il responsabile della politica estera della monarchia francese, Ch. Gravier de Vergennes, per convincerlo dell’opportunità di stabilire scambi commerciali con gli Stati Uniti. Sosteneva che tra Europa e America si sarebbe stabilita una complementarità: gli Stati Uniti sarebbero diventati il fornitore di prodotti agricoli a buon mercato dei Paesi europei, che a loro volta avrebbero rifornito di manufatti la crescente popolazione americana.
Secondo il M., questo sistema di scambi avrebbe emancipato l’Europa continentale e l’America dal controllo inglese sul commercio mondiale. Pur tuttavia questi tentativi, come gli abboccamenti con finanzieri in Francia e in Italia, non ebbero esito positivo. Giunto a Firenze nel settembre del 1780, il M., per influire sul granduca Pietro Leopoldo in favore degli Stati Uniti, entrò in aperto contrasto con l’ambasciatore inglese H. Mann. Al contempo, per orientare l’opinione pubblica colta toscana in senso antinglese, scrisse relazioni su diversi temi della storia e della politica americana, insistendo sui vantaggi che i Paesi europei avrebbero ricavato dall’indipendenza americana. Argomentò inoltre, riprendendo la tesi di Jefferson, che gli Americani non si erano ribellati alla monarchia inglese, bensì avevano ripreso una libertà di decisione e governo che avevano detenuto sin dall’origine della loro storia e che gli Inglesi avevano lungamente tentato di strappare loro, in particolare con il Navigation Act del 1660 e il Declaratory Act del 1767, in forza dei quali nelle colonie «veniva estinta fino l’ombra della libertà e tutto ciò che possedevano [i coloni] poteva essere loro tolto a forza di contribuzioni, qualora piacesse all’Inghilterra, la quale sgravando se stessa a proporzione di quel che avesse aggravate le colonie, è probabile che non le avrebbe risparmiate» (Tortarolo, p. 81). In tal modo il M. stornava dagli Americani l’accusa di dare un esempio di eversione pericoloso per l’Europa. In una memoria sulla mendicità il M. propose l’esempio americano per abolire il monopolio ecclesiastico dell’assistenza e introdurre la partecipazione dei laici nella gestione dei fondi parrocchiali. La riforma granducale del 1785 sull’assistenza ai poveri riprese alcuni elementi del progetto del M., che aveva partecipato ad alcune sedute della deputazione destinata a studiare la questione.
Nel 1782 il M. lasciò Firenze. Privo delle credenziali ufficiali di agente virginiano, gettate nel momento in cui era stato preso prigioniero dagli Inglesi, impoverito, respinto dal granduca Pietro Leopoldo, alla fine del 1782 si recò in Olanda, dove gli Stati Uniti erano rappresentati da J. Adams. Per suo tramite il M. entrò in contatto con J. Luzac, la cui Gazette de Leyde era portavoce delle posizioni americane. Di lì si spostò a Parigi per un breve soggiorno che non risolse affatto le sue difficoltà.
Alla fine del 1783 maturò la decisione di tornare in Virginia, dove riuscì a ottenere che gli fossero risarcite le spese sostenute come agente dello Stato. Il 15 giugno 1784 a Richmond fu tra i fondatori della Constitutional Society, un’associazione politica volta a consolidare la libertà conquistata e a promuovere la conoscenza della cultura politica repubblicana. In un saggio sulle leggi suntuarie, scritto per una riunione della Constitutional Society, il M. argomentò a favore di una ragionevole frugalità garante di costumi repubblicani, pur rendendosi conto che questo modello stava perdendo rapidamente di attrattiva. Nella decisione di rientrare in Europa, realizzata a luglio 1785, fu risolutivo il rinnovato rapporto di fiducia e collaborazione con Jefferson, da poco nominato ambasciatore americano in Francia. Dopo il periodo di militanza repubblicana in Virginia e i difficili anni da inviato in Europa, il M. si inserì stabilmente nel mondo politico e intellettuale francese che gravitava intorno a Jefferson, per incarico del quale compì anche missioni in Olanda, sia per favorire la realizzazione di una rete di finanziamenti a favore degli Stati Uniti in grave difficoltà finanziaria sia per influire sulla stampa periodica e dare un’immagine rassicurante della situazione americana. Il fulcro della sua attività rimase tuttavia a Parigi, dove divenne personaggio noto e stimato nei circoli illuministi interessati a conoscere nei dettagli la realtà d’Oltreoceano.
Lì si legò durevolmente agli esponenti più autorevoli del tardo illuminismo politico: M.-J.-A. Caritat de Condorcet, L.-A. de la Rochefoucauld d’Enville, A. Morellet, P.-S. Dupont de Nemours, J.-Fr. Marmontel. Conobbe giovani come P.-J.-G. Cabanis, J.A. Gauvin Gallois (traduttore della Scienza della legislazione di G. Filangieri), A. Chénier, J.-L. Ferri de Saint-Constant. Intrattenne cordiali rapporti con gli italiani residenti a Parigi, tra cui l’abate toscano S. Piattoli. Si urtò con il giovane J.-P. Brissot del quale intuì la propensione rivoluzionaria. Da questa rete di rapporti personali e di discussioni emerse l’idea di dedicare ai diversi elementi della realtà degli Stati Uniti un’opera impegnativa e dettagliata, fondata sia sulla sua esperienza diretta sia su una documentazione accurata.
Nel gennaio del 1788, dopo una lunga fase di redazione e alcuni rinvii da parte dell’editore J.-Fr. Froullé dovuti alle obiezioni dei censori (il testo era in gran parte pronto alla fine del 1786), il M. pubblicò le Recherches historiques et politiques sur les États-Unis de l’Amérique septentrionale (Paris).
L’opera, in quattro volumi, comprendeva anche un saggio di Condorcet: De l’influence de la révolution d’Amérique sur l’Europe, e, nel terzo volume (pp. 217-282), una memoria ufficiale di M.-E. Turgot, pubblicata per la prima volta dal M.: Réflexions rédigées à l’occasion du Mémoire sur la manière dont la France & l’Espagne doivent envisager les suites de la querelle entre la Grande-Bretagne et ses colonies.
Le Recherches intendevano reagire alle imprecisioni, talvolta ritenute tendenziose, contenute nelle numerose opere sugli Stati Uniti pubblicate in Francia durante la guerra d’indipendenza e dopo la conclusione della pace nel 1783. In particolare il M. confutò le Observations sur les lois et le gouvernement des États-Unis d’Amérique (Amsterdam 1784) di G. Bonnot de Mably e le parti relative all’America settentrionale contenute nella Histoire philosophique et politique des établissements des Européens dans les deux Indes, coordinata da G.-T. Raynal e pubblicata in tre versioni tra il 1770 e il 1780 (proprio quest’ultima, Genève 1780, fu l’edizione utilizzata dal Mazzei). Nella raccolta del materiale necessario e nell’elaborazione della tesi complessiva aiuto e approvazione vennero da Jefferson, impegnato contemporaneamente nella stesura delle Notes on the State of Virginia, destinate inizialmente alla circolazione manoscritta. Analogie di argomentazione accomunano quindi le Recherches del M. agli scritti, privati e pubblici, di Jefferson degli anni Ottanta.
Contro Mably il M. ribadiva che i coloni americani non erano mai stati soggetti alla sovranità della madrepatria, cui erano legati piuttosto da legami di alleanza e continuità istituzionale. L’indipendenza era quindi l’esito di un processo di maturazione e di riconoscimento dei difetti insiti nel sistema politico inglese. Quando gli Americani si sottrassero alle pretese di supremazia del sovrano inglese, si trovarono «senza governo, tutti egualmente liberi, come in uno stato di natura, tutti egualmente interessati alla causa pubblica» ma anche «generalmente istruiti dei diritti dell’uomo e dei più sani principi d’un governo libero» (Recherches, II, pp. 174 s.). La creazione di una Repubblica era stata la logica conseguenza dell’eccezionale consapevolezza politica e dell’alto grado di sviluppo culturale degli Americani: consci che la sovranità popolare era la base del potere politico, essi riconoscevano la necessità per tutti di obbedire alle leggi. La struttura sociale americana rendeva la pratica repubblicana non solo possibile ma efficace e produttiva. Esisteva, secondo il M., una concordia di interessi tra i vari gruppi sociali perché mancavano le distinzioni basate sulla nascita: i poveri non costituivano una classe condannata alla miseria, ma potevano accedere alla prosperità con il loro lavoro ed esercitare una funzione di controllo politico. La libertà di stampa e di religione garantiva un futuro di libertà, perché ogni disegno d’oppressione sarebbe necessariamente fallito: «Abolite l’ingiusta e odiosa parzialità in tutto ciò che riguarda i diritti naturali dell’uomo; che ognuno possa egualmente ottenere soddisfazione dei torti che subisce, e non avrete affatto bisogno di altra base per assicurare la tranquillità pubblica […]. Là dove regna la libertà di discussione, gli insensati non abbondano: il buon senso domina e non la follia» (ibid., pp. 138 s.). Il quadro di maturità politica degli Americani descritto nella confutazione delle Observations di Mably si completava con la polemica verso l’opera di Raynal. Gli errori materiali nella descrizione della natura americana vi erano corretti minuziosamente, in particolare quelli relativi alla presunta degenerazione di piante, uomini e animali che Raynal riprendeva da C. de Pauw (Recherches sur les Américains…, Berlin 1768). Soprattutto il M. si sforzava di negare che l’indipendenza americana rappresentasse il primo episodio di una generale sollevazione dei popoli della Terra contro l’oppressione. A suo dire l’alleanza tra gli Americani e la monarchia francese non incideva sulla politica interna dei due Stati: gli Stati Uniti erano parte legittima del sistema diplomatico internazionale.
Nel primo e nel quarto volume delle Recherches il M. fornì una dettagliata descrizione delle istituzioni americane, mostrando predilezione per mandati di breve durata ai deputati e per il monocameralismo, sostenendo la necessità del suffragio universale maschile per assicurare la tutela dei diritti naturali e polemizzando con ogni forma di anglofilia. I conflitti tra i tre poteri e il rispetto della Costituzione dovevano essere composti da una magistratura apposita, ispirata ai censori della Pennsylvania. In capitoli di impostazione tematica il M. trattò infine le questioni aperte della società e della politica americane. Temi come gli orientamenti filomonarchici di una parte della classe dirigente, l’inflazione provocata dall’emissione di carta moneta, le pressioni centrifughe nei territori di più recente insediamento, l’opportunità di aprire nuovi rapporti commerciali con la Francia erano affrontati dal M. con l’intento palese di rafforzare il prestigio internazionale della repubblica. Egli non nascondeva tuttavia l’esistenza di problemi reali, come la schiavitù, nei cui confronti assunse una posizione di prudente critica raccomandando di rimandare la liberazione degli schiavi e di impedirne l’introduzione dall’estero. Un cauto umanitarismo informava anche il suo atteggiamento verso i pellerossa indigeni, mentre l’ostilità verso la nuova costituzione federale, resa pubblica poco prima della pubblicazione delle Recherches e discussa in un capitolo aggiunto all’ultimo momento, era motivata dal rimando ai principî di un repubblicanesimo attento a conformarsi agli orientamenti degli elettori.
L’opera ebbe un certo successo di critica in Francia e all’estero e fu seguita nel 1789 dall’edizione, cui il M. partecipò attivamente con note di commento, della traduzione francese di una breve opera di J. Stevens (Examen du gouvernement d’Angleterre, comparé aux constitutions des États-Unis, London-Paris 1789).
Pochi mesi dopo la pubblicazione delle Recherches il M. fu nominato agente a Parigi del re di Polonia Stanislao Augusto Poniatowski. Al contempo entrò con vivacità nella discussione politica che accompagnò gli eventi seguiti alla convocazione degli Stati generali nel 1788. Nella sua corrispondenza bisettimanale con il re di Polonia il M. analizzò con attenzione lo sviluppo degli avvenimenti e dei progetti di riforma. Pur essendo recisamente favorevole a una rigenerazione della monarchia e all’abbandono dell’assolutismo, optò per una strategia di moderato riformismo che lo portò, già nell’autunno del 1788, a tensioni con Condorcet, che più di lui confidava nella possibilità di una rapida trasformazione istituzionale. Nelle lettere al re di Polonia gli avvenimenti politici e le agitazioni di piazza furono descritti con vivacità e simpatia per i gruppi che miravano a ottenere una monarchia costituzionale, fondata sulla concordia nazionale. Il 19 ott. 1789 il M. annunciò per lettera al re di Polonia che «la rivoluzione è fatta» e che il ritorno alla società divisa in ordini era impossibile. Temeva che la lotta politica si radicalizzasse nello scontro tra clero e aristocratici da una parte e dei giacobini, «deputati ardenti, l’eccessivo zelo dei quali (se per altro è puro zelo) è disapprovato da molti savi e degni cittadini che aborriscono sinceramente gli antichi abusi» (lettera del 26 apr. 1790); per evitarlo profuse impegno nella Société de 1789, dove erano attivi tra gli altri M.-J. de La Fayette e Condorcet e dove fu commissario e direttore della corrispondenza con l’estero. Nel settembre del 1790 intervenne con una relazione sul progetto di introdurre gli assegnati, ai quali si dichiarò nettamente contrario, chiedendo attenzione nella gestione della transizione tra antico regime e monarchia costituzionale. Nel 1791 si consumò il distacco tra il M. e Condorcet, la cui scelta repubblicana fu vissuta dal M. come il tradimento di una linea politica di responsabilità e continuità istituzionale, a favore della demagogia irrazionale di Brissot, J.-P. Marat e G. Danton. Per il M., infatti, la forma repubblicana era inadatta alla Francia, come più in generale ai Paesi europei: il potere esecutivo doveva avere «un’esistenza tale da fare effetto sulla moltitudine» (lettera dell’8 ag. 1791).
Prima di lasciare Parigi per Varsavia nel dicembre del 1791, sperò che la proclamazione della costituzione fosse la premessa per un ritorno all’ordine, se necessario attraverso l’uso della forza. A Varsavia, dove incontrò il re, consolidò i rapporti con Piattoli e divenne membro della Società degli amici della costituzione, formata dai sostenitori della politica di rafforzamento del potere monarchico all’interno e della potenza militare della Polonia, avviata dal sovrano con la costituzione del 3 maggio 1791.
Riflettendo sulla natura della politica finanziaria del governo rivoluzionario in Francia, il M. scrisse un breve trattato di economia politica, apparso dapprima a Varsavia, nel 1792, in traduzione polacca, poi nell’originale testo italiano (Riflessioni sulla natura della moneta e del cambio di Filippo Mazzei autore d’un altro opuscolo intitolato Riflessioni su i mali della questua, e su i mezzi d’evitarli, Pisa 1803).
Entrato nella cerchia dei consiglieri più vicini al re, per il suo attivismo politico il M. si attirò l’accusa fantasiosa da parte degli ambasciatori russo e prussiano di essere un cospiratore rivoluzionario filo-giacobino. Di fronte all’imminente invasione russa di cui intuiva il successo, chiese e ottenne l’autorizzazione a partire per l’Italia. Dotato di una pensione polacca, si stabilì a Pisa dove mantenne un’attiva corrispondenza con Jefferson (del quale fece circolare una lettera di critica ai federalisti nel 1796) e seguì da presso le vicende politiche toscane, attraverso un cordiale scambio di lettere con G. Fabbroni e F.M. Gianni e la discussione con il gruppo di giovani liberali protagonisti della municipalità pisana insediata dai Francesi nella primavera del 1799. Si difese con successo nel processo ai giacobini toscani nel gennaio del 1800 che ne seguì, ricevendo solo un’ammonizione. Nel 1802 si recò a San Pietroburgo per sollecitare il pagamento della pensione polacca di cui era titolare. Rientrato in Italia, trascorse gli ultimi anni di una vita inquieta e intensa raccogliendo i materiali sulla base dei quali dettò le sue Memorie, terminate il 5 marzo 1813.
Il M. morì a Pisa il 19 marzo 1816, assistito dalla seconda moglie Antonia Antoni, sposata nel 1796, e dall’unica figlia Elisabetta (1798-1868).
Il suo ritratto, opera di J.-L. David (1790), è al Musée du Louvre (cfr. P. Bordes, Un portrait de David identifié: l’insurgé américain F. M., in La Revue du Louvre et des Musées de France, XXXI [1981], pp. 159-162).
Opere. Gli scritti di varia natura, editi e inediti, del M. sono riprodotti, con poche lacune, in Philip Mazzei. The comprehensive microfilm edition of his papers, 1730-1816, a cura di M. Marchione, New York 1982; Istruzioni per essere liberi ed eguali, a cura di M. Marchione - G. Gadda Conti, Milano 1984; Parigi: luglio 1789. Scritti e memorie del fiorentino Filippo Mazzei, a cura di R. Gradi, Poggio a Caiano 1989; Un bastimento carico di… roba bestie e uomini in un manoscritto inedito…, a cura di R. Gradi, ibid. 1991; Ricerche storiche e politiche sugli Stati Uniti dell’America settentrionale, Firenze 1991; Del commercio della seta fatto in Inghilterra dalla Compagnia delle Indie Orientali (manoscritto inedito di F. M. - 1769), a cura di S. Gelli, ibid. 2001; Le istruzioni per i delegati alla Convenzione, maggio-settembre 1776, Firenze 2001.
Fonti e Bibl.: Fondamentale punto di partenza per lo studio della personalità del M. sono le Memorie della vita e delle peregrinazioni del fiorentino F. M., a cura di G. Capponi, I-II, Lugano 1845-46 (nuova ed. annotata, a cura di A. Aquarone, Milano 1970; scelta di brani in Libro mastro di due mondi. Memorie di F. M., a cura di B. Romani, Roma 1944; traduzioni inglesi: Memoirs of the life and peregrinations of the Florentine Philip M. 1730-1816, a cura di H.R. Marraro, New York 1942 e 1973; My life and wanderings, a cura di M. Marchione, Morristown, NJ, 1980). Utile la Bibliografia su F. M. avventuriero della libertà, a cura di L. Corsetti - R. Gradi, Poggio a Caiano 1993. Cfr., inoltre, per l’epistolario: R.C. Garlick jr, Philip M., friend of Jefferson: his life and letters, Baltimore-London-Paris 1933; Un osservatore italiano della Rivoluzione francese: lettere inedite di F. M. al re Stanislao Augusto di Polonia, a cura di R. Ciampini, Firenze 1934; Lettere di F. M. alla corte di Polonia (1788-1792), a cura di R. Ciampini, I (Luglio 1788 - marzo 1790), Bologna 1937 (il previsto II volume non fu poi pubblicato); Testamento del «Cittadino degli Stati Uniti» F. M. esistente nell’Archivio dei suoi eredi, in Boll. stor. pisano, XXXVI-XXXVIII (1967), pp. 270-272; Lettres de Philippe M. et du roi Stanislas-Auguste de Pologne, Roma 1982; F. Mazzei, Selected writings and correspondence, a cura di M. Marchione - S.J. Idzerda - S.E. Scalia, I-III, Prato 1983 (trad. it., Scelta di scritti e lettere, I-III, ibid. 1984); F. M. tra pubblico e privato. Raccolta di documenti inediti, a cura di L. Di Stadio, Poggio a Caiano 1996. Sul M.: S. Tognetti Buriana, Tra riformismo illuminato e dispotismo napoleonico. Esperienze del cittadino americano F. M. con appendice di documenti e testi, Roma 1965; G. Guelfi Camajani, Un illustre toscano del Settecento. F. M.: medico, agricoltore, scrittore, giornalista, diplomatico, Firenze 1976; I. Imberciadori, Per l’indipendenza degli Stati Uniti: ricordo di F. M. (1730-1816), l’amico di Thomas Jefferson, Firenze 1977; M. Montorzi, I processi contro F. M. ed i liberali pisani del 1799: ragguagli bio-bibliogr. su un ritrovamento archivistico, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, X (1981), pp. 54-80; F. Venturi, Settecento riformatore, IV, La caduta dell’Antico Regime (1776-1789), I, I grandi Stati dell’Occidente, Torino 1984, pp. 83-106; E. Tortarolo, Illuminismo e rivoluzioni: biografia politica di F. M., Milano 1986; F. M.: mostra di cimeli e scritti (catal.), a cura di A. Bolognesi - L. Corsetti - L. Di Stadio, ibid. 1996.