MELLANA, Filippo
– Nacque a Casale Monferrato il 7 marzo 1810 da Giovan Francesco, commerciante, e da Vincenza Roncalli.
Compiuti i primi studi a Carcare in un collegio degli scolopi, tornò a Casale per l’istruzione superiore e s’iscrisse poi all’Università di Torino, dove si laureò in legge il 18 luglio 1834 con una tesi in utroque iure. Poi entrò nella professione legale, il che, approfittando della recente istituzione a Casale di una corte d’appello, gli consentì di avvicinare e frequentare altri giovani colleghi e concittadini: U. Rattazzi, R. Sineo, C. Cadorna, G. Lanza, tutti più tardi destinati a confluire nella Sinistra subalpina. Per molti di loro, e anche per il M., il tramite per accostarsi alla politica fu costituito dall’adesione alla Associazione agraria subalpina, organizzazione nata per favorire la diffusione delle più recenti tecniche agricole ma presto deputata – in assenza di una rappresentanza parlamentare – a esprimere attraverso i suoi congressi la domanda di riforme delle popolazioni del Regno sardo. Ciò si verificò in particolare all’epoca del V congresso, tenutosi a Casale dal 30 agosto al 3 sett. 1847, cui il M. partecipò senza mettersi in particolare evidenza, ma stringendo rapporti di amicizia e collaborazione; da uno di questi rapporti, quello con P.D. Pinelli, prese piede la collaborazione a un giornale locale, Il Carroccio, fondato nel 1848 e diretto dal 1849 dal M. che ne consolidò la linea nazional-patriottica e l’orientamento decisamente liberale.
La sua appartenenza, soprattutto fin verso il 1852, allo schieramento ultraradicale ha indotto taluni a parlare di una sua giovanile militanza mazziniana. Il M. stesso, in un discorso della maturità, inserì un accenno a quando «sortito dal Collegio mi educai alla scuola di quella generosa gioventù che diede vita alla Giovine Italia» (Torre, p. 37); non c’è tuttavia alcun riscontro documentario su tale affermazione, a sostegno della quale può esser fatto valere solo il fugace incontro che nel 1847 egli ebbe con G. Lamberti, allora segretario dell’organizzazione mazziniana. Va detto, peraltro, che alla vigilia del moto milanese del 6 febbr. 1853 Mazzini, ipotizzandone la riuscita, indicò nel M. il possibile ministro di un futuro governo «lealmente nazionale» (Scritti editi e inediti di G. Mazzini, LI, Scritti politici, Imola 1928, p. 3).
La concessione dello Statuto da parte di Carlo Alberto trovò il M. pronto a inserirsi nei meccanismi di selezione della rappresentanza parlamentare: fece infatti parte più volte del comitato elettorale provinciale presieduto da C. Cadorna e, sin dalle prime consultazioni dell’aprile 1848, risultò eletto nel collegio di Casale che gli avrebbe confermato il mandato per altre 11 legislature. Nel programma da lui presentato figurava l’impegno a seguire quattro principî: «Unione, libertà, ordine, avvenire», e non mancava un elogio a Pio IX e alla funzione del clero patriottico: di tali principî cercò sempre di tenere conto, schierandosi all’estrema sinistra e facendosi subito notare per la sua eloquenza appassionata, anche se non sempre ineccepibile quanto a rispetto della grammatica (certi suoi strafalcioni divennero addirittura proverbiali); della considerazione per il Papato, invece, si dimenticò subito dopo l’allocuzione del 29 apr. 1848 che segnò il ritiro di Pio IX dall’impegno bellico contro l’Austria. Sempre pronto a dare battaglia al governo, parve spesso aggressivo fino alla protervia (molto citata una sua truculenta bordata del 1849: «O l’Italia sarà o di questa terra del genio e delle arti faremo un deserto»; cfr. Mongibello, p. 59).
Ebbe come modello A. Brofferio e il suo stile tribunizio e, soprattutto nei primi anni, intervenne spessissimo nella discussione mettendosi bene in vista con le critiche alla conduzione della seconda fase della guerra e al trattato di pace con cui essa si era chiusa, in luogo del quale invocò l’insurrezione armata e la guerra di popolo: fu lui, tra l’altro, l’autore della proposta che subordinava la ratifica della pace con l’Austria al mantenimento della cittadinanza sarda ai lombardo-veneti rifugiatisi in Piemonte, con ciò costringendo il governo e il re al proclama di Moncalieri. Un polemista del tempo pensò di metterlo in difficoltà con presunte rivelazioni sulla sua fuga da Casale nei giorni in cui la città era stata assalita dalla controffensiva austriaca: il M. replicò con una serie di argomenti – non sempre convincenti – intesi a dimostrare che, se non aveva preso parte al fatto d’armi, si era dato molto da fare per organizzare la difesa e i soccorsi alla popolazione.
Soprattutto Cavour, dapprima come ministro e poi come presidente del Consiglio, ebbe in lui un oppositore implacabile, puntualmente contrario ai suoi progetti di riforma (per esempio, nel 1850, quello sull’imposta fondiaria e sulla perequazione catastale) che il M. trovava troppo inclini a scaricare sulla massa della popolazione, anziché su nobili e possidenti, il deficit statale. Ma il settore in cui si misurò con maggiore veemenza fu quello dei rapporti Stato-Chiesa, che andava affrontato, a suo dire, con un più deciso orientamento giurisdizionalista, come dimostrò nei dibattiti sulle leggi Siccardi, sul matrimonio civile e, più ancora, sulla chiusura dei conventi, provvedimento che il M. avrebbe voluto applicare anche agli ordini dediti all’insegnamento e alla predicazione. Pur tuttavia, un graduale avvicinamento al governo ci fu, in parte perché il M. era entrato nell’orbita di U. Rattazzi (del quale con il tempo divenne uno dei collaboratori più fidati), in parte per una strana sinergia con il ministro della Guerra A. Ferrero Della Marmora.
L’ammorbidimento del M. ebbe inizio quando, nel marzo 1852, si discusse, su proposta di Ferrero Della Marmora, la legge sulle fortificazioni di Casale: un impegno finanziario di più di 4 milioni di lire imposto, secondo il ministro, dalla funzione strategica che la città aveva avuto nel 1849 senza che la si fosse potuto sfruttare appunto per le carenze difensive della zona. Il M. garantì col suo voto e la sua azione che la legge ottenesse la maggioranza necessaria per passare.
Agì, confessò poi, per la «santità dell’italiana causa»; perché «il M. e i suoi amici erano personalmente interessati nelle fortificazioni di Casale in quanto davano lavoro e danari ai propri concittadini», corresse un informatore austriaco (Relazioni diplomatiche, p. 282), proponendo una spiegazione che lo stesso M. aveva smontato quando aveva sostenuto che i lavori, affidati al genio militare, non avrebbero arrecato alcun vantaggio ai Casalesi; per essi, quindi, chiedeva un tratto di ferrovia e un ponte fisso sul Po.
Sempre per tener fede a questo rapporto preferenziale con il ministro, il M. prima si dichiarò favorevole all’alleanza di Crimea staccandosi dalla Sinistra; poi, al ritorno del corpo di spedizione, propose in veste di relatore la legge con cui il Parlamento faceva omaggio a Ferrero Della Marmora di 50 ettari di terreno edificabile sugli spalti della cittadella di Torino.
Per due anni (1856-58) il M. fu anche sindaco di Casale. Con l’uscita di Rattazzi dalla maggioranza tornò a fare dell’opposizione a Cavour una questione quasi personale, ricevendone in cambio toni molto sprezzanti e talvolta offensivi («lo schifoso Mellana» lo definì Cavour in una lettera a C. Nigra del 13 genn. 1861; e, a suo tempo, anche V. Gioberti non era stato avaro di pesanti apprezzamenti), nonché una forte ma sempre inefficace azione di contrasto alle sue candidature elettorali, nella quale sin dal 1858 Cavour fu appoggiato da un Lanza spostatosi decisamente a destra. I momenti più caldi di questa opposizione riguardarono l’approvazione del trattato di cessione di Nizza alla Francia, l’annessione delle province meridionali (il M. chiedeva che si andasse a Roma), la questione romana e l’offesa alla dignità nazionale che era sua convinzione fosse stata inflitta all’Italia dalla passività verso i voleri di Napoleone III. Da tale linea, conservata verso tutti i governi di destra, il M. si staccò solo durante le due tormentate presidenze del Consiglio di Rattazzi, che alla fine del 1867 accompagnò in un viaggio nel Mezzogiorno volto a riconquistargli i consensi perduti dopo le ambiguità con cui aveva gestito l’emergenza dell’impresa garibaldina finita a Mentana.
Lanza, presidente del Consiglio, tentò qualunque via pur di liberarsi dello scomodo avversario che nel 1870 non aveva perso l’occasione per rinfacciargli clamorosamente le esitazioni di cui aveva dato prova nella soluzione finale della questione romana.
Nel 1871 Lanza arrivò a rimuovere il prefetto di Alessandria «perché servo del Mellana» (Carte Lanza, VII, p. 316); come disse più tardi, era certo che il M. con la protezione di Rattazzi avesse organizzato sul piano locale un sistema di potere basato sulla distribuzione di incarichi amministrativi (nelle banche e nelle opere pie) a persone di sua fiducia, arrivando così a esercitare una piena egemonia «pure nel Consiglio e nella deputazione provinciale» (ibid., IX, p. 225).
A lungo malato di cuore, il M. morì a Casale il 29 nov. 1874: ebbe funerali civili e fu sepolto nel cantone di S. Giovannino.
Con testamento del 19 sett. 1874 aveva lasciato gran parte dei suoi beni all’istituto tecnico municipale Leardi, il primo di questo genere creato in Italia e da lui aperto nel 1858; con un altro lascito impegnava il Comune a costruire un monumento a Rattazzi, che, con quello dedicato al M. dalla sua città, fu inaugurato il 23 ott. 1887.
Fonti e Bibl.: Uno spezzone di Carte Mellana è conservato nel fondo Ente Leardi depositato nell’Archivio stor. del Comune di Casale Monferrato. Dei Discorsi parlamentari del M. fu edito solo il I volume, relativo al periodo 1847 - 7 luglio 1851 (Casale 1880); per gli altri interventi si vedano gli Atti del Parlamento subalpino, Discussioni, legislature I-VII, e gli Atti del Parlamento italiano, legislature VIII-XII (per la consultazione si veda l’indice dei nomi posto alla fine di ogni legislatura); Le carte di Giovanni Lanza, I-II e VII-IX, Torino 1935-40; XI, Appendice e indici, ibid. 1943, ad ind.; Relazioni diplomatiche fra l’Austria e il Regno di Sardegna, s. 3 (1848-1860), III, a cura di F. Valsecchi, Roma 1963, ad ind.; G. Asproni, Diario politico 1855-1876, I-VII, Milano 1974-91, ad indices; C. Cavour, Epistolario, VII, 1850, a cura di R. Roccia, Firenze 1982; XIV, 1857, a cura di C. Pischedda - R. Roccia, ibid. 1994; XV, 1858, a cura di C. Pischedda, ibid. 1998; XVI, 1859, a cura di C. Pischedda - R. Roccia, ibid. 2000, ad indices; G. Mongibello, Panorama politico ossia la Camera subalpina in venti vedute, Torino 1849; J. Comin, Il Parlamento e il Regno nel 1860. Schizzi e profili politici, Milano 1860, p. 45; L. Torre, F. M. Memorie biografiche, Casale 1887; F. Petruccelli della Gattina, I moribondi del palazzo Carignano e Memorie di un ex deputato, a cura di G. Fonterossi, Roma 1960, pp. 58, 113, 220; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, I-III, Roma-Bari 1977-84, ad ind.; La cittadella di Casale da fortezza del Monferrato a baluardo d’Italia: 1590-1859, a cura di A. Marotta, Alessandria 1990, pp. 109 s.; S. Cavicchioli, L’eredità Cadorna. Una storia di famiglia dal XVIII al XX secolo, Torino 2001, ad indicem.
G. Monsagrati