MERLINI, Filippo.
– Nacque a San Benedetto del Tronto il 28 apr. 1887 da Giovanni Battista, appartenente a una famiglia di cordai da generazioni, e da Benedetta Ottaviani.
Primo di sette figli, il M. ereditò il nome del nonno paterno, titolare di una piccola impresa artigiana di reti e cordami per la pesca.
In seguito all’arresto del padre durante una sommossa popolare nel maggio 1898, il M. dovette sospendere la scuola e affiancare la madre nella conduzione dell’impresa familiare. Nel 1906, alla morte del padre, ne assunse la direzione, sempre seguito e sostenuto dalla madre che incoraggiava lo spirito di iniziativa del M., dimostrato sin da giovanissimo quando, contro il parere paterno, aveva voluto recarsi in alcuni importanti centri pescherecci della Puglia per ampliare la clientela. Durante il primo conflitto mondiale la ditta Merlini ottenne una commessa per la fornitura di reticelle da foraggio per l’esercito e altre commesse per il governo; tuttavia fu solo all’inizio degli anni Venti, con l’avvio della meccanizzazione del settore, che riuscì a elevare la produzione a standard industriali.
Già agli inizi del Novecento San Benedetto del Tronto si configurava come uno fra i maggiori porti pescherecci dell’Adriatico per la consistenza del naviglio, il numero degli addetti e le imprese dell’indotto; sul suo litorale, nel 1912, aveva preso avvio in Italia, in netto ritardo rispetto ad altre nazioni europee, la motorizzazione della pesca. Uscita dalla fase di sperimentazione alla fine del conflitto, la pesca meccanica cominciò a svilupparsi pienamente e, negli anni tra le due guerre, San Benedetto divenne la maggiore base adriatica con 27 battelli a motore su 54 (1937). Le prospettive di sviluppo e i vantaggi che la pesca meccanica offriva furono immediatamente colti dal M. che riuscì a trasformare radicalmente il settore, ancora vincolato da una realtà produttiva a carattere familiare e artigianale, dando un contributo decisivo allo sviluppo dell’industria della pesca marittima e alla meccanizzazione della produzione di reti e cordami.
Il 30 ag. 1923, a Roma, dove frattanto si era trasferito con la moglie Luigia Grossi, il M., insieme con i fratelli Volga, Raffaele e Francesco, fondò – con atto del notaio G. Venuti e un capitale di 5.000.000 di lire – la Società anonima pesca e reti italiana (SAPRI), di cui fu presidente.
Le attività contemplate dallo statuto prevedevano la pesca in alto mare praticata con moderni pescherecci, il trasporto del pesce fresco in vagoni refrigerati e la commercializzazione nelle principali città del Regno; infine, la fabbricazione di spaghi, corde e reti e quanto si rendesse necessario all’industria della pesca.
Alla costituzione della società seguì l’acquisto di sei grandi piroscafi – consegnati dalla Germania all’Italia in conto riparazioni per i danni di guerra – che, con opportune modifiche, vennero adibiti alla pesca in Adriatico e nel Mediterraneo. Il M. tentò anche di impiantare un retificio meccanico a San Benedetto ma l’iniziativa fu fortemente osteggiata dalle maestranze locali, che vedevano nella modernizzazione proposta dalla nuova ditta il rischio di una crisi occupazionale; le autorità comunali, quindi, nel timore di disordini, rifiutarono la concessione alla SAPRI che trasferì i suoi interessi a Zara, assegnata all’Italia dopo il trattato italo-iugoslavo di Rapallo (1920) e porto franco dal 1923.
Nella città dalmata la SAPRI acquistò, per 400.000 lire, un’ampia estensione di terreno a Val de Ghisi dove, nel dicembre del 1924, fu terminato il primo stabilimento di 4600 m2. I macchinari e i telai meccanici, costruiti in Germania e costati 6 milioni di lire, giunsero ad Ancona su ottanta vagoni merci e di lì furono traghettati sino a Zara sui piroscafi della Società. Annesso allo stabilimento, alimentato da due gruppi elettrogeni da 700 HP, venne costruito un grande deposito di carbone per rifornire i piropescherecci e una fabbrica di ghiaccio per la conservazione del pesce. La produzione principale, oltre ai cordami, era costituita dalle reti «manilla», fabbricate con particolari filati di canapa, prodotti solo in Italia, che le rendevano superiori per robustezza e leggerezza a quelle inglesi e tedesche. Negli stabilimenti SAPRI vennero impiegati circa 400 operai, con una produzione media giornaliera di 3000 kg di reti; le maestranze, in maggioranza donne e di cittadinanza zaratina, furono addestrate dalla madre del M., trasferitasi appositamente a Zara per dirigere il lavoro delle reti insieme con il figlio Raffaele.
Il M., a Roma, si occupò della commercializzazione e curò gli interessi della Società; oltre alla lungimiranza dimostrata nell’avere creduto in una tecnologia fortemente innovativa, egli ebbe il merito di avere aperto per primo la via alla grande pesca atlantica.
Nel 1925-26 la SAPRI, dopo un primo tentativo lungo le coste mediterranee del Marocco spagnolo, spinse quattro dei suoi piropescherecci sui pescosissimi banchi delle coste atlantiche dell’Africa nordoccidentale. La pesca si rivelò molto redditizia, ma la conservazione del prodotto, refrigerato ancora con strati di ghiaccio, sulle lunghe distanze presentava problemi di non facile soluzione, superati solo negli anni Trenta quando vennero costruite imbarcazioni dotate di impianti per la congelazione del pescato.
Nel 1933 al nucleo originario della flotta SAPRI si aggiunsero altri tre più potenti e moderni piropescherecci, ma il M. si ritirò, infine, dalla pesca atlantica, ritenuta ancora poco conveniente anche per la diffidenza dei consumatori verso il prodotto congelato, concentrando tutte le energie nella pesca mediterranea e nella commercializzazione del pesce fresco.
Nel 1936 fu lanciata una massiccia campagna promozionale con manifesti e opuscoli pubblicitari, seguita dall’apertura di sette rivendite nella città di Roma e altre nelle filiali di Ancona, Zara e San Benedetto del Tronto, il maggiore tra i fornitori della capitale, da cui giungevano, in media, 80 quintali di pesce al giorno.
Gli anni Trenta rappresentarono una stagione di grandi successi per la SAPRI, che raggiunse una posizione leader anche nel settore della fabbricazione di reti e cordami, esportati in numerosi paesi esteri, con un incremento della produzione che toccò punte di 8000 kg di reti al giorno. Nel 1937 il M. intraprese una campagna sperimentale sulle rotte polari della pesca al merluzzo per la produzione di baccalà, alimento di largo consumo interamente importato dall’estero.
I problemi di carattere logistico, legati alla mancanza di basi di approdo che i Paesi nordici negavano nel timore di rivalità commerciali, furono superati utilizzando una nave appoggio per le operazioni di rifornimento e trasbordo del pescato. Nel maggio del 1937 il M., con il figlio Elio e il fratello Volga, partì con tre piropescherecci, muniti di speciali rinforzi per il ghiaccio: la stagione iniziò sui banchi di Terranova con base a Harbour Grace, per poi proseguire in un’area compresa tra le isole degli Orsi, le isole Spitsbergen e la costa murmana sul mare di Barents, dove si trova il porto di Murmansk. All’inizio del 1938 il campo di pesca fu spostato nelle acque della Groenlandia occidentale, sul banco di Fillas fino all’isola di Disko, con base nel fiordo di Faeringhavn dove venne inviata la nave d’appoggio per rifornire gli equipaggi di viveri, sale e carbone e trasbordare il merluzzo pescato da inviare in Italia. Dopo quindici mesi trascorsi tra i ghiacci polari, il M. con la sua flotta rientrò nel porto di Zara, il 30 ag. 1939, con un carico di 1565 tonnellate di baccalà e 500 quintali di olio di fegato di merluzzo. La campagna fu ripetuta anche l’anno successivo nelle acque della Groenlandia con sistemi di pesca perfezionati, equipaggi scelti e specialisti per la preparazione del baccalà.
Il secondo conflitto mondiale segnò l’inizio del declino delle attività commerciali della Società con la requisizione della flotta, andata poi distrutta, mentre lo stabilimento di Zara, ampliato nel 1942, venne gravemente danneggiato dai bombardamenti che colpirono la città dal novembre 1943 all’ottobre 1944 e, infine, requisito dalle autorità iugoslave insieme con la villa di famiglia. Al termine della guerra il bilancio dei danni e delle perdite subite risultò schiacciante e la SAPRI, dopo alcuni tentativi di ripresa, nel 1955 fu messa in liquidazione.
Il M. trascorse gli ultimi anni a San Benedetto del Tronto dove morì il 23 dic. 1968.
Fonti e Bibl.: La documentazione relativa alla SAPRI è stata messa a disposizione da Raffaele Merlini; inoltre presso la famiglia (il nipote del M., Giorgio Morelli) è conservato il manoscritto Le mie memorie, redatto dalla madre del M. nel 1952; Roma, Archivio storico dell’Istituto Luce (cfr. www.archivioluce.com/archivio/), Giornale Luce (1927-1945), B.1574, 30 ag. 1939: Pescherecci italiani nel mare del Nord per il rifornimento ittico (doc. digitalizzato). Si vedano inoltre: Patriottica e titanica impresa a Zara. La posa della prima pietra per gli stabilimenti della «Società anonima pesca e reti italiana», in Il Messaggero, 3 giugno 1924; A. Mori, Note sulla pesca a Zara ed a Làgosta e sull’emigrazione peschereccia nell’Adriatico, in Boll. della R. Società geografica italiana, s. 6, X (1933), 9-10, pp. 661-680; Id., La pesca meccanica in Italia, I, ibid., s. 7, V (1940), 5, pp. 241-261; II, ibid., 7-8, pp. 457-476; U. Marinangeli, I pionieri della pesca atlantica, in Viaggio nel mondo della pesca: itinerari di storia, ricerca scientifica, arte e tradizioni, Ancona 1999, pp. 151-175; G. Merlini, Il nostro mare. Storie, fatiche e passioni, Acquaviva Picena 2004, ad indicem.
M. Ciotti