MONTI, Filippo
MONTI, Filippo. – Nacque a Fermo tra il 1625 e il 1626 da Antonio, esponente di una famiglia dell’aristocrazia cittadina, e da Angela Savino.
Si dedicò agli studi giuridici e filosofici presso l’università della sua città, conseguendo il 18 marzo 1647 il titolo di doctor utriusque iuris e la nomina a cavaliere della milizia aurata; il 23 marzo si addottorò anche in filosofia. Trasferitosi a Roma e intrapresa la carriera ecclesiastica, il 16 novembre 1653 fu nominato suddiacono nella chiesa dei Ss. Carlo e Ambrogio al Corso, il 30 novembre diacono nella chiesa dei Ss. Biagio e Nicolò in Campitelli, e infine, il 7 dicembre, presbitero nella basilica di S. Maria Maggiore. Le sue competenze giuridiche gli consentirono di entrare a far parte del tribunale della Sacra Rota alle dipendenze di Carlo Cerri, che, dal 14 ottobre 1657, ne era l’uditore decano: presso il suo studio Monti operò a partire da una data imprecisata, ma probabilmente successiva al 1657.
Il 5 gennaio 1661 fu nominato da papa Alessandro VII uditore generale della nunziatura nel Regno di Napoli in sostituzione di Giulio Lunadei e il 20 dello stesso mese era già a disposizione del nunzio Giulio Spinola. Il 12 aprile assunse ad interim anche la carica di inquisitore generale nel Regno in sostituzione di Camillo Piazza, vescovo di Dragonia in Macedonia, costretto ad abbandonare Napoli il 10 aprile in seguito alla sollevazione, contro di lui e il suo modo intransigente di procedere, dei seggi dei nobili e della piazza del popolo che avevano chiesto al viceré Gaspar de Guzmán de Bracamonte, conte di Peñaranda, di sollecitare il suo allontanamento dal Regno. Monti mantenne l’interim dell’Inquisizione fino all’aprile 1663, quando Alessandro Cosimo Crescenzi fu chiamato a succedere a Piazza. Continuò inoltre a operare come uditore generale fino al termine della nunziatura di Spinola il quale, nominato nunzio a Vienna presso l’imperatore, il 24 giugno 1665 gli affidò gli affari della nunziatura in attesa dell’arrivo del successore, Bernardino Rocci, insediatosi nei primi giorni del mese successivo.
La buona prova fornita da Monti nei suoi incarichi napoletani indusse Alessandro VII a concedergli, l’11 gennaio 1666, il vescovato di Teramo, con il compito precipuo di erigere la prebenda teologale e quella del penitenziere e di istituire nella città il seminario e il Monte di pietà. Dopo la nomina egli si trattenne qualche tempo a Fermo presso la sua famiglia e raggiunse la diocesi verso la metà di marzo.
Durante il suo vescovato non effettuò alcuna visita ad limina e non riuscì ad aprire il seminario; il 6 luglio 1666 procedette alla ricognizione delle reliquie di S. Berardo da Pagliara, protettore della città, sepolte fino al 1776 nella cripta della cattedrale e, il 17 aprile 1667, eseguì la consacrazione della cattedrale stessa e ne fissò la celebrazione per il 19 ottobre, proprio nel giorno della festa di S. Berardo. Tuttavia i problemi che tormentarono l’incarico teramano di Monti furono la recrudescenza del banditismo, che si manifestò a partire dal 1666, e l’azione di contrasto attuata dalle autorità del Regno. Il preside dell’Abruzzo citeriore, Michele de Almeida, dopo aver condotto, nel 1667, un’azione di repressione nella valle Castellana risoltasi in una sconfitta, era venuto a patti con i capibanda e ne aveva indotto molti a rientrare al servizio del viceré. Invece il suo successore, Giuseppe de Zunica, insediatosi il 21 luglio 1668, nell’intento di fare terra bruciata intorno ai banditi attaccò e distrusse, verso la fine di quell’anno, Rocca S. Maria e numerosi villaggi limitrofi che riteneva essere i loro covi, tutti situati all’interno di un feudo appartenente al vescovo di Teramo. Monti si ritenne colpito nelle sue prerogative e reagì fulminando la scomunica contro Zunica, ma questi, il 10 gennaio 1669, rispose vietando, sotto pena del bando per i nobili e della galera per i non nobili, la ricostruzione senza permesso dei villaggi e delle case di campagna, che sarebbero stati nuovamente abbattuti in caso di inadempienza. Monti, cui erano state inoltre sequestrate tutte le rendite nel Regno, si ritirò allora a Monsanpolo affidando la diocesi al suo vicario, Giovanni Riccanale, e si adoperò per ottenere il passaggio alla diocesi di Ascoli Piceno, vacante per il trasferimento del cardinale Giulio Gabrielli al vescovato di Rieti. Il decreto di traslazione (1° dicembre 1669) non poté tuttavia essere pubblicato in concistoro per la sopravvenuta morte di Clemente IX (9 dicembre) e fu necessario attendere l’elezione di Clemente X (29 aprile 1670) e il concistoro del 2 giugno perché Monti potesse considerarsi titolare della nuova diocesi.
Il 10 giugno 1670 prese possesso del nuovo vescovato per mezzo del suo vicario generale, mons. Falconi, e al suo arrivo in città da Fermo, dove si era recato per un breve periodo, fu accolto assai favorevolmente. Tuttavia, dopo qualche tempo, i suoi rapporti con il capitolo della cattedrale e con il Senato ascolano si deteriorarono soprattutto per una difesa strenua e spesso indebita che Monti faceva delle proprie prerogative.
Nel 1672, per esempio, sospese un predicatore nominato dal capitolo, ma fu smentito dalla Santa Sede cui il capitolo aveva fatto ricorso. Il 20 giugno 1676, durante una solenne cerimonia, consacrò la cattedrale di Ascoli; nello stesso mese approvò la fondazione, fatta dal sacerdote ascolano Pietro Nobili, del Conservatorio delle orfanelle, delle pericolanti e delle malmaritate le quali, dopo aver trascorso nell’istituto un periodo di educazione che poteva durare da quattro a sei anni, erano aiutate da alcune nobildonne della città a trovare marito, ad andare a servizio presso famiglie eminenti o a entrare in convento. Tenne il sinodo diocesano, l’undicesimo di Ascoli, nel 1677 e l’anno successivo ne pubblicò gli atti (Constitutiones Synodales ab Illustrissimo, et Reverendiss. D. D. Philippo Montio…in sua prima diocesana synodo anno domini 1677…editae et promulgatae..., Asculi 1678). Nel 1679 sostenne una durissima contesa con gli abitanti di Ancarano, suoi vassalli, che rivendicavano il diritto di appellarsi, contro le sentenze vescovili, al tribunale dell’Auditor camerae e agli altri tribunali di Roma, essendo Ancarano situata entro i confini dello Stato pontificio e quindi sotto il diretto dominio del papa. La Santa Sede gli diede torto anche in questa vertenza, in cui le ragioni degli Ancaranesi furono sostenute dal futuro cardinale Giovanni Battista De Luca. Per le sue cattive condizioni di salute fu esentato da papa Clemente X dalle visite ad limina del 1672 e del 1675. Per lo stesso motivo, nel 1678, si fece rappresentare a Roma da Giuseppe Maria Carpani di Ascoli, vicedecano dei canonici della cattedrale. Effettuò invece di persona la visita del 13 aprile 1680.
Morì ad Ascoli Piceno il 24 dicembre 1680.
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