NALDI, Filippo
(Pippo). – Nacque a Borgo San Donnino, oggi Fidenza, il 30 maggio 1886, da Giovanni, capostazione, e da Teresa Bigotti.
Nel 1907 sposò la poetessa e traduttrice russa Raisa Grigor’evna Ol’kenickaja, compagna di studi all’Università di Padova. Dal matrimonio nacquero tre figli. Naldi passò successivamente all’Università di Bologna e lì si laureo in giurisprudenza nel 1917.
Dopo un’intensa attività di giornalista di testate locali o regionali, fu chiamato a dirigere il giornale bolognese La Patria e alla fine del 1913 ottenne la direzione del Resto del Carlino, con l’impegno di dargli una linea liberale, e ne seppe incrementare enormemente tirature e popolarità.
Nell’autunno 1915 aiutò Mussolini, transfuga dal Partito socialista italiano, a fondare Il Popolo d’Italia: lo presentò alle Messaggerie italiane che dovevano incaricarsi della rivendita del giornale, gli organizzò la rete dei servizi di informazione dall’Italia e dall’estero, infine lo mise in contatto con l’Agenzia italiana di pubblicità, preziosa per la raccolta dei finanziamenti. Dietro a Naldi vi erano gruppi industriali, come quelli gli zuccherieri, i siderurgici e gli elettrici, che si battevano per l’entrata dell’Italia in guerra.
Naldi sostenne Mussolini poiché vedeva nella nascita di un giornale ostile al PSI un’occasione per indebolire il movimento socialista. In seguito rivelò di avere agito su direttive del ministro degli Esteri Antonino Paternò Castello, marchese di San Giuliano. Tuttavia già nei primi mesi del 1915 Mussolini prese le distanze da lui.
Entrato in conflitto con Giuseppe Pontremoli, proprietario del Secolo, che voleva acquisire il Resto del Carlino, e sfiorato dalla vicenda spionistica a favore della Germania legata al nome di Bolo Pascià (Paul-Marie Bolo), il 12 dicembre 1917 fondò a Roma Il Tempo, avendo tra i suoi finanziatori l’amministratore delegato del Banco di Roma, Giuseppe Vicentini. Tentò anche l’avventura parlamentare, presentandosi candidato in una lista nittiana alle elezioni del 1919, ma non fu eletto. Nel 1921 cercò di entrare in una lista dei cosiddetti Blocchi nazionali, ma si dovette accontentare di una lista fiancheggiatrice.
In entrambe le circostanze gli fu compagno di lista Tullio Benedetti che, eletto nel 1921 e riconfermato nelle elezioni del 1924, finì per aderire ai demosociali di Gabriello Carnazza.
Ceduto Il Tempo a Giovanni Agnelli, che lo trasformò poi nel Giornale di Roma, affidandone la direzione a Tommaso Monicelli, nell’autunno 1921 riuscì a prendere la proprietà del Resto del Carlino, indebitandosi con la Banca italiana di sconto per la somma di 7 milioni, ma il sopraggiunto fallimento della BIS gli impose la liquidazione delle pendenze. Sfruttando i suoi buoni rapporti con Carnazza, ministro dei Lavori pubblici, cercò di inserirsi nell’affare della direttissima Firenze-Bologna, ma l’intervento di Gino Baroncini, ras del fascismo bolognese, impedì che la manovra andasse a buon fine. Un’altra occasione gli fu offerta dalla costituzione a Roma di un grande quotidiano filofascista, il Corriere italiano di Filippo Filippelli, il quale s’era rivolto a lui affinché convincesse Monicelli a chiudere il Giornale di Roma. Naldi acconsentì, cedendo a Monicelli la sua quota del Resto del Carlino e la direzione del giornale bolognese. Con i soldi così ottenuti liquidò la passività con la BIS.
Da allora i rapporti con Filippelli si fecero molto stretti. A Naldi interessava non tanto avere il controllo della linea politica del Corriere italiano, quanto piuttosto la partecipazione ai numerosi affari che ruotavano attorno al giornale: Filippelli costituiva il prezioso trait d’union con il fascismo moderato, rappresentato da Cesare Rossi, Giacomo Acerbo e Gino Finzi, i protettori politici del quotidiano, a finanziare il quale Naldi tra l’agosto 1923 e il febbraio 1924 fece intervenire più volte e generosamente il socio Benedetti.
La caduta di Naldi fu determinata dal parziale coinvolgimento nelle vicende secondarie del delitto Matteotti, avvenuto nel giugno 1924. Inizialmente l’istruttoria si interessò a lui, poiché alcune indagini suggerirono che una sua attività lobbistica potesse essere stata dietro la convenzione Sinclair Oil, in forza della quale il governo fascista aveva concesso alla compagnia petrolifera americana il monopolio della ricerca del petrolio nel sottosuolo italiano, come Matteotti avrebbe avuto intenzione di denunciare. Inoltre Filippelli, chiamato in causa dagli inquirenti per aver fornito l’automobile usata dagli assassini di Matteotti, sentitosi abbandonato dai suoi protettori politici, si rivolse a Naldi, al quale aveva confidato ciò che sapeva del delitto. Naldi gli suggerì di stendere un memoriale a salvaguardia della propria incolumità fisica e di riparare in Francia. Filippelli fu arrestato mentre su un natante cercava di raggiungere la costa francese, mentre Naldi venne messo agli arresti a Roma, con l’accusa di favoreggiamento. Dopo la scarcerazione, nell’ottobre 1924, fece giungere il memoriale Filippelli nelle mani delle opposizioni, che cercarono di farlo valere presso il re a sostegno della loro richiesta di dimissioni di Mussolini.
Nel giugno 1926, inseguito da un mandato di cattura per la bancarotta del Banco adriatico di cambio, si rifugiò in Francia.
Lì nel 1930 svolse mansioni di dirigente e consulente di compagnie petrolifere facenti capo al gruppo Saint-Gobain. Più tardi operò nel settore della chimica, riuscendo a trovare appoggi finanziari presso case e gruppi importanti come la Banca Dreyfus e le società petrolifere Pechelbronn e la Pechiney, già socie della BIS.
Dopo 18 anni in Francia, riapparve improvvisamente a Roma nei confusi giorni seguiti alla caduta di Mussolini, esibendo grande dimestichezza con gli ambienti di corte. Dopo averlo ricevuto, Vittorio Emanuele III espresse apprezzamento sul suo conto per la conoscenza del mondo politico francese e anglo-americano, e per i contatti con alti esponenti del mondo ebraico. Raggiunta a Brindisi la corte sabauda, fu nominato capo dell’ufficio stampa di Badoglio.
Aveva dato vita nel frattempo al Partito democratico liberale, un raccogliticcio partito filomonarchico che fornì al governo diversi ministri, e di cui il 5 gennaio 1944 organizzò a Bari il primo e unico congresso. Tra i ministri vi era, alla guida del dicastero delle Finanze, Guido Jung, già esponente del regime fascista e tra i protagonisti dell’affare Sinclair. È difficile stabilire quali forze politiche ed economiche si muovessero dietro Naldi. Molto spesso fu apertamente accusato di essere un agente degli interessi massonici; certamente, l’autorità che mostrò di possedere tra l'autunno 1943 e l'inverno 1944 poteva provenirgli solo dagli occupanti alleati.
Tra le figure di spicco del Partito democratico liberale non poteva mancare Benedetti, inseparabile socio in affari di Naldi, che in seguito entrò a far parte anche dell’assemblea costituente. Dirigeva l’organo del partito, il quotidiano Giornale della Sera, anche se era noto che dietro di lui vi fosse Naldi.
Nei pochi mesi in cui Naldi fu responsabile dell’ufficio stampa di Badoglio, i partiti e gli organi di stampa antifascisti lo accusarono insistentemente di gravi responsabilità nel delitto Matteotti, tanto che alla fine dovette intervenire la commissione alleata di controllo. La sua situazione precipitò quando un’interpellanza sulla questione fu addirittura presentata alla Camera dei comuni e il ministro Anthony Eden dovette impegnarsi a risolvere al più presto l’imbarazzante caso. A quel punto a Naldi non rimase che dimettersi, come fece alcuni giorni dopo la chiusura del congresso barese dei partiti del CLN. I suoi guai non erano finiti, poiché nel frattempo era stata avviata l’istruttoria per il secondo processo Matteotti, che lo vide accusato di favoreggiamento dell’imputato Filippelli. L’istruttoria terminò il 27 marzo 1946 con la richiesta di rinvio a giudizio. Il 22 giugno, un mese dopo la sentenza istruttoria, fu emanato il decreto presidenziale di amnistia e indulto, con il quale la Corte di Appello di Roma, con sentenza 6 agosto, dichiarò estinto il reato.
Morì a Roma nel 1972.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 3477; Polizia politica, Fascicoli personali, b. 928; Ministero della Real Casa, b. 21; Archivio di Stato di Roma, Atti istruttori del processo Matteotti; P. Puntoni, Parla Vittorio Emanuele III, Milano 1958; R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino 1965; M. Canali, Cesare Rossi. Da rivoluzionario a eminenza grigia del fascismo, Bologna 1991; A. degli Espinosa, Il regno del Sud, Milano 1995; M. Canali, Il delitto Matteotti, Bologna 2004.