NICCOLINI, Filippo
NICCOLINI, Filippo. – Nacque il 20 agosto 1586 da Giovanni di Agnolo (1544-1611) e da Caterina di Filippo Salviati (1570-1633).
Il casato, nato in età medievale come Niccolini de’ Sirigatti, godette di una crescente fortuna, che in età moderna si legò strettamente ai destini del nascente Stato mediceo. Il nonno Agnolo, molto vicino a Cosimo I de’ Medici, fu il primo governatore mediceo di Siena e in tarda età divenne cardinale. Il padre svolse diversi incarichi diplomatici (ambasciatore a Mantova nel 1574 e residente a Roma dal 1588 al1610) e nel 1586 fu fatto senatore. Il fratello primogenito, Francesco (1584-1650), fu prelato, cavaliere e gran cancelliere dell’Ordine di S. Stefano; ambasciatore residente a Roma (1621 al 1644), fu inoltre senatore nel 1629, divenne marchese di Campiglia nel 1643 e fu maestro di camera della granduchessa Vittoria nel 1644.
All’età di vent’anni, il 18 ottobre 1606, sposò Lucretia di Lorenzo Corsini, con dote di 22.000 fiorini. I due, secondo l’uso del tempo, si stabilirono a Roma, nella casa del padre di Filippo (in quel tempo ambasciatore mediceo presso il pontefice), con il quale, tuttavia, presto si aprirono profondi dissidi.
Secondo quanto raccontava Giovanni Niccolini, il figlio dopo il matrimonio aveva adottato comportamenti irrispettosi, pretendendo con toni arroganti di avere un fondo spese assai più ricco di quanto consentissero le entrate familiari e di prendere in mano le redini della casa, e sollevando continuamente aspre proteste fino a rendere insopportabile la convivenza sotto lo stesso tetto. Giovanni, per il quale il figlio aveva sempre «fuggito il viso delle persone di qualità et anche pari suoi, volendo intorno persone vili et da farle fare a suo modo» (Firenze, Arch. Niccolini di Camugliano, Fondo antico, 19, 67, s.d., cc. n.n., Istruttione), riteneva che le cause dei suoi pessimi comportamenti fossero da individuarsi sia nei rapporti che aveva allacciato con alcune persone di basso rango, fra cui un certo Simone servitore, sia nel cattivo influsso dei Corsini, in particolar modo «l’inclinatione che hebbero a principio […] la suocera di Filippo et la moglie, che lui si dividesse da me», sperando di riuscire in questo modo a «governare lui et le cose mie di Firenze a lor modo» (ibib., f. 19, 67, s.d., cc. n.n., Istruttione segreta). Dal canto loro i giovani coniugi (poiché la moglie Lucretia agiva, a dire di Giovanni, «anche ella con pari ardire» del marito (ibid., f.19, 67, s.d., cc. n.n. Istruttione) si lamentavano del modo in cui venivano trattati in casa, che era come «da turchi et da cani» (ibid.), disapprovavano lo stile austero di vita del padre e, dopo molti contrasti e liti in pubblico di fronte al palazzo abitato dai Niccolini a Roma, aspiravano ad andare a vivere per conto proprio.
In un primo tempo Giovanni chiese l’intervento del cardinale Ottavio Bandini a Roma, affinché con la sua autorità redarguisse il giovane e lo sollecitasse alla frequentazione di persone sue pari. Con il protrarsi dei conflitti, però, inviò Giovanni Finosini a Firenze con un’istruzione segreta (datata 3 dicembre 1607), affinché esponesse la questione al cavalier Belisario Vinta e attraverso di lui sollecitasse il granduca Ferdinando I a chiamare Filippo e la moglie a Firenze. Si diceva disponibile a conceder loro di vivere in un’abitazione autonoma e a sostenerne le spese, e chiedeva altresì di poter lasciare il servizio di ambasciatore a Roma per rientrare a Firenze con il resto della famiglia.
I dissidi fra padre e figlio e la richiesta di Giovanni di allontanare il secondogenito da Roma furono probabilmente alla base della decisione del vertice politico mediceo di chiamare Niccolini a Firenze con il titolo di gentiluomo di camera di Cosimo II nel 1610, quando anche il padre aveva concluso il periodo di servizio come ambasciatore.
Degli anni che passò al servizio dei granduchi sono note alcune missioni a carattere diplomatico. Nel 1617 fece parte, come coppiero, del seguito che accompagnò Caterina de’ Medici, figlia di Ferdinando I, a Mantova, dove avrebbe sposato il duca Ferdinando I Gonzaga. Nel gennaio 1618, fu mandato alla corte di Mantova per condolersi della morte di Margherita Gonzaga, moglie di Alfonso d’Este, duca di Ferrara. Il 15 aprile 1621 fu inviato presso Francesco Maria II della Rovere, duca di Urbino, per comunicargli la morte di Cosimo II e la successione del giovane Ferdinando II, ancora in età pupillare, sotto la reggenza della madre di Cosimo II, Cristina di Lorena, e della vedova, Maria Maddalena d’Austria. Nell’aprile 1626 fu ambasciatore presso la corte di Parma per portarvi le condoglianze del suo signore per la morte del cardinale Odoardo Farnese; nell’istruzione si legge che la scelta era ricaduta su Niccolini sulla base delle «nobili et virtuose maniere» delle quali era dotato (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, filza 2640, cc. n.n., 2 marzo 1626); poiché il cardinale aveva retto il governo nella fase di età pupillare del duca Odoardo insieme con la duchessa madre e la sua morte lasciava un vuoto anche nella gestione politica, Ferdinando II disponeva che Niccolini facesse sapere con discrezione che se la duchessa desiderava «qualche consiglio, et avvertimento», essendo «il signor duca rimasto privo della tutela et prontezza del signor cardinale suo zio», egli sarebbe stato disponibile, bastando «che ci accennino a tutto quel che noi possiamo fare per la casa loro e per servitio particolare del signor duca» (ibid.); nella bozza di relazione finale Niccolini ripercorreva le tappe della missione e forniva alcuni elementi per una descrizione del governo e dello Stato (forme del ricevimento dell’ambasciatore, descrizione delle forze della città, dell’organizzazione del governo ecc.). Nel 1628 fu membro del seguito che accompagnò il principe Ferdinando de’ Medici nel viaggio che volle intraprendere in Italia e in Europa prima di assumere gli incarichi di governo (sarebbe succeduto al trono granducale nello stesso anno).
Nei primi anni Venti le reggenti Cristina di Lorena e Maria Maddalena d’Austria avevano eletto Niccolini aio del principe Giovan Carlo de Medici. Tra i due si instaurò in quell’occasione un rapporto di profonda fiducia, destinato a durare per tutta la vita. Nel 1630 Giovan Carlo, ricordando gli anni dell’educazione e il modo in cui Niccolini aveva sempre «destramente et utilmente maneggiato qualsivoglia nostro interesse» (Arch. di Stato di Firenze, Miscellanea medicea, filza 416, ins. 6), disponeva che quanto era relativo alla «nostra persona, al governo della nostra casa, et al nuovo indirizzo delli nostri effetti» fosse affidato alla gestione di Niccolini «perché in tutto con piena autorità sopra tutti quasi un altro noi disponga, provveda e soprintaenda» (ibid.). Lo nominava pertanto suo primo maestro di camera, soprintendente e provveditore.
Il principe confermò questa nomina in occasione di viaggi che lo avrebbero tenuto lontano: così nel 1642 e ancora nel 1655 («intendiamo ancora di concedergli tutta quella di più che si possa aggiungere con amplissima plenipotenza di pagare, riscuotere, donare, dar ordine a nome nostro e qualunque altro atto che occorra», ibid.). Il rapporto fiduciario si estendeva al ventaglio di interessi del principe Giovan Carlo. Anche nelle attività di spettacolo, di cui molto si occupò, Niccolini gli fu accanto come intermediario con alcuni artisti e come soprintendente della costruzione del teatro della Pergola.
Niccolini fu appassionato cultore di opere d’arte e si dedicò ad abbellire i possedimenti familiari, accresciuti da lui con nuove acquisizioni.
Avendo il padre nel 1585 intrapreso la costruzione della cappella di famiglia nella chiesa di S. Croce a Firenze, si occupò di farne portare a compimento la costruzione (1664), ulteriormente arricchita. Fece anche erigere una cappella nella chiesa del Sacro Monte dell’Alvernia, con preziose decorazione marmoree, destinandola alla custodia delle reliquie.
Il 19 aprile 1625 era stato investito del marchesato di Montegiovi (o Monte Giovio) nel capitanato di Monte Amiata nello Stato di Siena, primo membro della famiglia a ottenere il titolo nobiliare. Ferdinando II, con diploma del 23 ottobre 1637, accolse la richiesta che tale marchesato venisse commutato con quello di Ponsacco e Camugliano.
Qui Niccolini aveva da poco acquistato dallo Scrittoio delle reali possessioni la fattoria e la villa di Camugliano, che fece ingrandire, aggiungendovi quattro torrette laterali, e ornare con i dipinti di Angiolo Michele, o Michelangelo, Colonna (al quale fece anche decorare lo sfondo della gran sala del palazzo che la famiglia aveva a Firenze in via dei Servi). Ferdinando II assegnò al marchesato un territorio circostante di 9 miglia che comprendeva circa 189 fuochi.
La concessione del titolo di marchese di Ponsacco e Camugliano, che sancì il riconoscimento dell’adesione della casata alla parte medicea e ne rappresentò anche il momento culminante in termini di successo familiare, fu importante sia perché spostò il titolo sui terreni che da tempo erano, almeno in parte, proprietà della famiglia Niccolini, sia perché in quell’occasione Ferdinando II cambiò le caratteristiche del titolo nobiliare e del feudo collegato. Se nel 1625 titolo e feudo erano stati concessi «tantum vita naturali durante», sicché alla morte di Niccolini sarebbero dovuti ritornare nelle mani del granduca, quando nel 1637 Ferdinando II permutò titolo e feudo da Monte Giovio a Ponsacco e Camugliano, concesse anche a Niccolini di poterlo trasmettere ai suoi discendenti e, in caso non ve ne fossero, di poterlo lasciare a un altro esponente maschio della famiglia. Al momento della concessione l’ipotesi della sua scomparsa senza discendenza non era affatto remota, poiché i coniugi Niccolini, sposati da quasi trent’anni, non avevano figli.
Morì il 21 giugno 1666 e fu sepolto nella chiesa di S. Croce a Firenze. Il marchesato passò a Lorenzo di Matteo Niccolini, proveniente dal ramo di Piero.
Fonti e Bibl.: Firenze, Arch. Niccolini di Camugliano, Fondo antico, 1, 10, cc. n.n. (note storiche sulla famiglia compilate nel secolo XVIII); ibid., 19, 67, s. d., cc. n.n., Istruttione e Istruttione segreta; ibid., 22,16, cc. n. n., Relazione dell’andata a Parma del signor ambasciatore Filippo del senatore Giovanni Niccolini speditosi dalla Corte di Toscana per complimentare quelle Altezze per la morte del signore cardinale Edoardo Farnese (minuta, 1626); ibid. 22, 77, s.d., cc. n.n. Ricordi; Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 6105, 86, 1617; 6107, 679 e ss., marzo 1617; 2633, I, 261 r; 2640, cc. n.n. (istruzione del 2 marzo 1626); Miscellanea medicea, 416, ins. 6; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Magl. Cl. 26 cod. 68 cc. n.n.: Monsignor Sommaia, Spoglio dei libri della gabella dei contratti di Firenze appartenenti a doti; R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana, III, Milano 1974 (rist. anastatica 1781), p. 364; Compendio storico-religioso del Sacro Monte dell’Alvernia, Firenze 1856, passim; L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia N., Firenze 1870, tav. XI; M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del Principato (1537-1737), Roma 1953, ad ind.; A. Moroni, L’archivio privato della famiglia N. di Camugliano, in Archivio storico italiano, CLVIII (2000), pp. 307-348; S. Mamone, Serenissimi fratelli principi impresari. Notizie di spettacolo nei carteggi medicei: carteggi di Giovan Carlo de’ Medici e di Desiderio Montemagni suo segretario (1628-1664), Firenze 2003, ad indicem.