Filippo Pacini
Anatomista e istologo, a Filippo Pacini si deve la scoperta dei nervi della percezione tattile e del vibrione del colera, osservato grazie alle innovazioni da lui apportate nell’uso e nella costruzione dei microscopi. A lui si deve anche lo sviluppo di un nuovo metodo per la respirazione artificiale. Lo studio dell’anatomia è il campo in cui la sua competenza microscopica si unisce alla didattica, in un progetto formativo di ampio respiro.
Filippo Pacini nacque a Pistoia il 25 maggio 1812, figlio di Francesco, calzolaio, e di Umiltà Dolfi. Seguì studi religiosi presso il Seminario vescovile, studi filosofici e fisici nel Liceo della Sapienza e studi medico-chirurgici nella Scuola dell’Ospedale del Ceppo (1830-36). Matricolatosi a Firenze in chirurgia nel 1834, svolse dapprima l’incarico di giovine di camposanto, cioè di dissettore, giovine chirurgo di settimana e poi secondo giovine chirurgo di medicheria. Nel 1839 si laureò a Pisa in chirurgia e nel 1840 in medicina. Dissettore di anatomia comparata presso Paolo Savi, nel Museo di storia naturale di Pisa nel 1840-41, diventò dissettore e ripetitore di anatomia umana nel 1843, sostituendo a tutti gli effetti il titolare dell’insegnamento, Giovanni Bechelli, fino al 1845-46. Risalgono a questo periodo gli studi di anatomia comparata, proseguiti anche in seguito.
Dal 1847 si trasferì a Firenze, dove ottenne l’incarico dell’insegnamento di anatomia descrittiva nel liceo e di anatomia pittorica nell’Accademia di belle arti, per poi ricoprire, dal 1849 – anno in cui diventò membro del Collegio medico fiorentino – il ruolo di professore di anatomia sublime e delle regioni del corpo, mutato successivamente in anatomia istologica e delle regioni del corpo e, nel 1872, in anatomia topografica e istologica. Morì il 9 luglio 1883 a Firenze, nella sua abitazione in via Fiesolana. Fu sepolto nel cimitero della Misericordia, ma, nel 1935, i suoi resti furono traslati a Pistoia, insieme con quelli di altri due celebri anatomici pistoiesi, Atto Tigri (1813-1875) e Filippo Civinini (1805-1844), nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie, detta Chiesa della Madonna del Letto, nel complesso monumentale dell’Ospedale del Ceppo.
Pacini condusse le prime ricerche a Pistoia nella Villa di Scornio, di proprietà di Niccolò Puccini (1799-1852), celebre intellettuale, mecenate e filantropo, che mise a sua disposizione anche un microscopio, costruito da Giovan Battista Amici, direttore dell’Osservatorio astronomico «La Specola» di Firenze. Nel 1835 presentò alla Società medico-fisica fiorentina una relazione in cui illustrava la scoperta dei corpuscoli dei nervi digitali che oggi portano il suo nome, responsabili della percezione della sensazione tattile e della pressione profonda (Sopra un particolare genere di piccoli corpi globulari […], «Nuovo giornale de’ letterati», 1836, 32, pp. 109-14; Nuovi organi scoperti nel corpo umano, 1840). Li chiamò ganglii del tatto: il nome Pacinischen Körperchen venne proposto nel 1844 dall’istologo Rudolf Albert von Kölliker, che confermò la loro esistenza (Henle, Kölliker 1844). Nel 1862, però, l’anatomista viennese Karl Langer rivendicò la priorità di Abraham Vater (1741), i cui studi erano però sconosciuti a Pacini (Langer 1861, 1862). Pacini fu, in realtà, il primo a descriverne la distribuzione, la struttura microscopica, le connessioni nervose (Bell, Bolanowski, Holmes 1994, pp. 79-128), interpretandone il ruolo nella sensazione del tatto e della pressione profonda (Bentivoglio, Pacini 1995, pp. 161-65). Colpito dalla portata di questa scoperta, il granduca di Toscana Leopoldo II gli donò un microscopio molto più potente, la cui proprietà fu oggetto di una lunga querelle tra Pacini e l’Università di Pisa, nel momento del suo trasferimento a Firenze. Pacini introdusse l’uso del microscopio nella pratica quotidiana dell’anatomia, intervenendo personalmente nella progettazione degli strumenti.
Verso gli anni Trenta del 19° sec. erano state introdotte le lenti acromatiche. Il raffinamento delle tecniche di preparazione e colorazione, l’uso del microtomo e lo sviluppo della teoria cellulare fornirono nuovi elementi per l’approfondimento della ricerca. Le innovazioni apportate da Pacini nella costruzione dei microscopi sono innumerevoli: oltre a garantire una maggiore stabilità, il microscopio da lui ideato disponeva di un compressore più efficace e aveva un sofisticato e valido sistema di messa a fuoco: i filtri, inoltre, venivano inseriti in un disco nel piatto portaoggetti (si v. l’esemplare conservato al Museo Galileo di Firenze, Sala XIV, Inventario 2660). È attribuibile alla sua creatività anche un microscopio invertito, detto fotographico e chimico, dove il preparato veniva illuminato dall’alto e osservato dal basso: esso consentiva di osservare reazioni chimiche senza che i gas o le effervescenze disturbassero la visione (l’esemplare è conservato al Museo Galileo di Firenze, Sala XIV, Inventario 2655 bis). Nel 1845 Pacini dette alle stampe un testo programmatico, in cui motivava le innovazioni tecniche apportate, frutto di un lungo lavoro di affinamento delle sue abilità (Sopra un nuovo meccanismo di microscopio […]).
La straordinaria perizia nell’uso del microscopio consentì a Pacini di aprire la strada anche agli studi nel campo dell’infettivologia. Nel 1854, infatti, durante la pandemia di colera scoppiata a Firenze, in collaborazione con un altro medico e ricercatore pistoiese, Francesco Magni (1828-1888), futuro professore di oftalmologia e rettore dell’Università di Bologna, esaminò sistematicamente il sangue, le feci e le alterazioni delle mucose intestinali dei soggetti morti di colera. In questo modo, Pacini poté dimostrare la presenza, nella mucosa intestinale, di milioni di elementi che chiamò vibrioni (Franceschini 1971, pp. 324-32). Contro la teoria allora imperante dei ‘miasmi’, sostenne che il contagio era dovuto alla trasmissione interumana di questo microrganismo, gettando le basi dell’infettivologia. Descrisse la malattia come una perdita massiva di fluidi e di elettroliti, dovuta all’azione locale del vibrione sulla mucosa intestinale, e raccomandò, nei casi più gravi, l’iniezione endovenosa di cloruro di sodio diluito in acqua, misura dimostratasi più tardi molto efficace (Dini 1990, pp. 137-52). Dedicò a questo argomento diverse pubblicazioni, alcune delle quali in aperta polemica con il clinico Maurizio Bufalini (1787-1875).
Pacini introdusse, nello studio della malattia, un approccio ‘matematico’, descrivendo il colera come un «disordine di quantità» e non di qualità, in quanto «tutto il suo meccanismo non consiste che in una vicenda di perdite e di riparazioni» (Della natura del colera asiatico […], 1866, p. 7).
Ripercorrendo le tappe delle sue scoperte, Pacini ricorda come la prima osservazione fu dovuta alla «mancanza di una certa quantità di villi, e la presenza di alcune corrosioni più o meno superficiali della membrana medesima» negli «intestini di colerosi» (Osservazioni microscopiche e deduzioni patologiche sul cholera asiatico, 1854, p. 13), che assumevano l’aspetto di un «velluto intignato, vale a dire, mancante di filamenti o villi in alcuni punti», là dove sembravano «rasati alla base» (p. 14). Causa prossima della malattia era, quindi, il vibrione, che «esiste, si vede, e non è ipotetico», ma vero elemento di contagio, sostanza «organica, vivente, d’indole parasitica, comunicantesi, riproducentesi, e perciò producente una malattia di un carattere speciale» (pp. 26-27).
La sua scoperta, completamente ignorata dalla comunità scientifica, fu riabilitata nel 1884, quando Robert Koch, fondatore della batteriologia, all’oscuro dei lavori di Pacini, descrisse nuovamente il vibrione (Subba Rao, Howard-Jones 1978, pp. 32-38). Nel 1905, a Koch venne assegnato il premio Nobel, ma, nel 1966, il Comitato internazionale sulla nomenclatura adottò ufficialmente la denominazione di Vibrione del colera Pacini 1854, per indicare l’agente responsabile del colera.
Partendo dall’osservazione clinica dello stato di morte apparente dei colerosi, Pacini sviluppò nel 1870 un metodo per la respirazione artificiale (Sull’ultimo stadio del colera asiatico […], 1871), basato sulla mobilitazione ritmica degli arti superiori nel paziente privo di coscienza, che consigliò per resuscitare le persone annegate o avvelenate da narcotici (Della respirazione artificiale, «L’imparziale», 1880, 20, pp. 535-48 e 563-79). Nell’Ottocento, infatti, i casi di asfissia, dovuti a inalazione di gas tossici prodotti da inadeguati sistemi di riscaldamento domestico o da processi industriali senza protezioni per i lavoratori o ad annegamento, erano assai frequenti, e si era reso indispensabile adottare un sistema efficace per la loro rianimazione, al di là di quelli, ormai superati, di Leroy d’Etiolle (1829), di Marshall Hall (1856) o di Henry Robert Silvester (1863; cfr. Dall’Olio 2009).
Pacini suggeriva di distendere il soggetto da soccorrere sul dorso, sopra un piano inclinato con la testa posta sulla parte rialzata. Era poi necessario esplorare il cavo orale e faringeo, liberando le vie aeree e rimuovendo ogni impedimento, senza premere sul basso ventre per evitare il rigurgito e il passaggio dei liquidi dallo stomaco alle vie respiratorie. A questo punto l’operatore si doveva porre dietro la testa del paziente, afferrando le braccia in prossimità dell’articolazione scapolo-omerale, tirando verso di sé e sollevando il moncone delle spalle. Il movimento si sarebbe trasmesso per mezzo delle clavicole allo sterno, che avrebbe consentito il sollevamento delle costole. Nel caso di soggetti molto robusti, era consigliabile praticare le trazioni inspiratorie, servendosi di due anelli di tela o di cuoio, applicati alla sommità delle braccia dell’asfittico. Pacini contemplava anche altri casi specifici e, infine, a sostegno della validità dei suoi metodi, pubblicava nove «casi di resurrezione» (Del mio metodo di respirazione artificiale nella asfissia e nella sincope […], «Lo sperimentale», 1876, 37, pp. 39-71).
Con la riforma Giorgini del 1840 fu inaugurato in Toscana un periodo di intenso ripensamento nell’organizzazione degli studi. La durata del corso di laurea in medicina passò infatti da 4 a 5 anni: una volta ottenuto il conseguimento della laurea a Pisa, doveva seguire la frequenza degli studi pratici nell’ospedale fiorentino di S. Maria Nuova, dove fu istituita la Scuola di complemento e di perfezionamento, con undici cattedre che tornavano a dipendere da Pisa, ma nei cui ruoli erano di nuovo inseriti i docenti fiorentini. Tra queste, la cattedra di anatomia sublime e delle regioni, i cui corsi avevano la durata di cinque mesi. L’insegnamento dell’anatomia fu tuttavia al centro di accese discussioni. La didattica dell’anatomia rappresentava infatti un capitolo fondamentale nel percorso formativo degli studenti e il dibattito si incentrava sulle modalità in cui tale insegnamento avrebbe dovuto svolgersi. Dal 1844, anno in cui fu pubblicato il Regolamento per la sezione di studi medico pratici in Santa Maria Nuova, nei ruoli dell’università compare il nome di Pacini, supplente alla cattedra di Ferdinando Zannetti, insieme a quello di Ferdinando Lecchini, dissettore e custode del Museo fisiologico. Quando Giorgio Pellizzari assunse, nel 1847, l’incarico dell’insegnamento dell’anatomia patologica, quello di anatomia descrittiva al liceo e quello di anatomia pittorica per le Belle arti furono affidati a Pacini che, dal 1849-50, diventò professore di anatomia sublime e delle regioni del corpo in sostituzione di Zannetti.
Già dal 1851 Pacini mutò la titolazione del proprio insegnamento in anatomia istologica e delle regioni del corpo, dando dignità accademica a quella disciplina anatomica fondata nel corso del Settecento da Albrecht von Haller, Andreas Bonn, Marie-François-Xavier Bichat. Le vicende istituzionali, legate alle varianti della dizione del nome del corso e ai rapporti con l’ateneo pisano, contribuiscono a evidenziare la differenza di impostazione concettuale della disciplina e le modifiche interne a tutto il corso degli studi medici. Il 22 dicembre 1859 il governo provvisorio toscano chiuse la Scuola di Santa Maria Nuova, creando l’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento, organizzato in quattro sezioni, corrispondenti ai quattro Collegi dell’antico Studium fiorentino, imponendo che gli studenti di Pisa e Siena frequentassero il terzo biennio presso l’Istituto fiorentino, per ottenere l’abilitazione alla professione. Risalgono al 1860 le indicazioni fornite dal Regolamento per la Sezione medico-chirurgica dell’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento, in cui si stabiliva che il professore di anatomia corografica trattasse di questa scienza per regioni corporee, e procurasse che i praticanti si addestrassero nelle preparazioni anatomiche. Terminato il corso di anatomia corografica, lo stesso professore avrebbe cominciato quello di istologia, preparando gli studenti nell’uso del microscopio.
Su questa nuova impostazione, Pacini modellò il suo insegnamento, ribadendo la necessità di una laurea unica, in medicina e chirurgia (Sulla Scuola medico-chirurgica di Firenze, 1860). Le origini dell’anatomia microscopica, che considerava equipollente all’istologia, erano da ricercare, secondo Pacini, in Toscana, nell’opera di Felice Fontana: l’istologia è una parte dell’anatomia e si occupa della intima tessitura degli organi, e della chimica composizione dei loro tessuti (Cosa è ed a che è buona l’anatomia microscopica del corpo umano? Questione vivamente agitata in Toscana, ora un poco dilucidata da F.P., 1847). Pacini sottolinea, infatti, la limitatezza dell’anatomia pittorica descrittiva, sia che «fosse fatta per sistemi, sia che fosse fatta per regioni», ribadendo l’importanza dell’insegnamento di Bichat, che riuscì a svincolare l’anatomia dal campo della chirurgia, per avvicinarla a quello della medicina, creando l’anatomia generale. La nomenclatura, già di per sé poco soddisfacente secondo Pacini, rappresentava una questione non puramente terminologica, ma, in fondo, sostanziale. Anche la stessa definizione di anatomia sublime, inventata presso la Scuola fiorentina, poteva essere spiegata, secondo Pacini, solo nei termini di anatomia generale o dei tessuti, come la definiva Bichat, e quale Pacini aveva praticato nell’insegnamento, convertendola in istologia o anatomia microscopica.
Tale variazione nella didattica provocò una reazione negativa negli ambienti accademici. La durata del corso fu ridotta da cinque a due mesi, dispensando gli scolari dal frequentarlo, e provocando la risposta polemica di Pacini. L’impostazione di Pacini prevedeva una marcata differenziazione tra l’anatomia chirurgica o delle regioni, e l’anatomia descrittiva, che comprendeva sostanzialmente due parti, quella istologica, che riguardava il tessuto degli organi, e quella ‘organologica’, che riguardava la ‘conformazione esteriore’ degli organi stessi, facendo riferimento all’opera di Bichat, Alexis Boyer, Gaspard-Laurent Bayle. Dal 1872, l’insegnamento assunse il nome di anatomia topografica e istologica: nel 1874, l’insegnamento fu separato e Pacini rimase titolare del corso di anatomia topografica e istologica, lasciando a Luigi Paganucci quello dell’anatomia descrittiva. L’esempio di Pacini, che aveva sovvertito, a partire dal 1849, le regole di insegnamento tradizionali dell’anatomia, lasciò una profonda influenza, ma rappresentò il punto di arrivo di un processo che era cominciato molti anni prima; mentre si affermava la patologia cellulare di Rudolf Virchow (1821-1902) e il processo di localizzazione della malattia sembrava aver aperto la strada alla svolta diagnostica, Pacini anticipò la questione del rapporto tra diagnosi e terapia, sottolineando l’importanza della preparazione alla microscopia anatomica.
Innumerevoli furono i contributi di Pacini, dall’anatomia alla fisiologia e alla medicina legale, ma, nonostante gli innegabili successi delle sue ricerche, egli lamentò per tutta la vita la tangibile ostilità dell’ambiente scientifico, provata dalla mancata assegnazione del premio dell’Accademia dei Lincei per le scienze biologiche del 1879.
Le Carte Pacini sono custodite presso la Biblioteca nazionale di Firenze; a tale riguardo si v. A. Bianchi, Relazione e catalogo dei manoscritti di Filippo Pacini esistenti nella R. Biblioteca Nazionale di Firenze, Firenze 1889.
Sopra un particolare genere di piccoli corpi globulari scoperti nel corpo umano da Filippo Pacini, «Nuovo giornale de’ letterati», 1836, 32, pp. 109-14.
Nuovi organi scoperti nel corpo umano da Filippo Pacini di Pistoia, Pistoia 1840.
Nuove ricerche microscopiche sulla tessitura intima della retina nell’uomo, nei vertebrati, nei cefalopodi, e negli insetti: preceduta da alcune riflessioni sugli elementi morfologici globulari del sistema nervoso, «Nuovi annali delle scienze naturali di Bologna», luglio-agosto 1845.
Sopra un nuovo meccanismo di microscopio specialmente destinato alle ricerche anatomiche e fisiologiche, «Nuovi annali delle scienze naturali di Bologna», nov. 1845, pp. 1-24.
Cosa è ed a che è buona l’anatomia microscopica del corpo umano? Questione vivamente agitata in Toscana, ora un poco dilucidata, Firenze 1847.
Osservazioni microscopiche e deduzioni patologiche sul cholera asiatico, «Gazzetta medica italiana», 1854, pp. 397-401 e 405-12; poi come monografia, Firenze 1854.
Appendice alle Considerazioni sulla Scuola medico chirurgica di Firenze del Dottor Filippo Pacini, Firenze 1860.
Sulla Scuola medico-chirurgica di Firenze, Firenze 1860.
Della natura del colera asiatico, sua teoria matematica e sua comparazione col colera europeo e con altri profluvij intestinali, Firenze 1866.
Il mio metodo di respirazione artificiale per la cura della asfissia posto a confronto con gli altri metodi generalmente usati, «L’imparziale», 1870, 10, pp. 481-86.
Sull’ultimo stadio del colera asiatico o stadio di morte apparente dei colerosi e sul modo di farli risorgere, Firenze 1871.
Del mio metodo di respirazione artificiale nella asfissia e nella sincope, con nove casi di resurrezione, e risposta ad alcune obiezioni sperimentali del Prof. Maurizio Schiff, «Lo sperimentale», 1876, 37, pp. 39-71.
Di alcuni pregiudizi in medicina legale, ed. con alcune aggiunte, Firenze 1876.
Sopra il caso particolare di morte apparente dell’ultimo stadio del colera asiatico: appendice a Del mio metodo di respirazione artificiale nella asfissia e nella sincope, con nove casi di resurrezione; e Post-scriptum sugli impedimenti al sapere del sillabo bufaliniano, «L’imparziale», marzo 1876.
Della respirazione artificiale praticata secondo i principj salutari della vera scienza, «L’imparziale»,1880, 20, pp. 535-48 e 563-79.
Sul concorso al premio di 10000 lire istituito da S.M. Re Umberto per le scienze biologiche presso la R. Accademia dei Lincei in Roma, Firenze 1881.
La Reale Accademia dei Lincei ed il colera asiatico nel concorso al premio reale del 1879 per le scienze biologiche. Riflessioni morali, Firenze 1883.
J. Henle, R.A. von Kölliker, Über die Pacinischen Körperchen an den Nerven des Menschen und der Säugethiere, Zürich 1844.
C. Langer, Zur Anatomie und Physiologie der Haut, Sitzungsberichte der Akademie der Wissenschaften in Wien, «Mathematisch-naturwissenschaftliche Klasse», 1861, 44, pp. 19-46; 1862, 45, pp. 133-88.
L. Castaldi, Un manoscritto inedito di Filippo Pacini sull’ordinamento degli studi anatomici, «Rivista di storia delle scienze mediche e naturali», 1925, 16, pp. 13-17.
P. Franceschini, Filippo Pacini e il colera, «Physis», 1971, 13, pp. 324-32.
M. Subba Rao, N. Howard-Jones, Original observations of Filippo Pacini on vibrio cholera, «Bulletin of the Indian Institute of history of medicine», 1978, 8, pp. 32-38.
A. Dini, Teorie medico-patologiche a confronto: Maurizio Bufalini e Filippo Pacini, in Maurizio Bufalini, medicina, scienza e filosofia, Atti del convegno, Cesena (13-14 novembre 1987), a cura di G. Pancaldi, Bologna 1990, pp. 137-52.
D. Barsanti, L’Università di Pisa dal 1800 al 1860. Il quadro politico e istituzionale, gli ordinamenti didattici, i rapporti con l’Ordine di S. Stefano, Pisa 1993, pp. 169-83.
J. Bell, S. Bolanowski, M.H. Holmes, The structure and function of Pacinian corpuscles. A review, «Progress in neurobiology», 1994, 42, pp. 79-128.
M. Bentivoglio, P. Pacini, Filippo Pacini. A determined observer, «Brain research bulletin», 1995, 38, 2, pp. 161-65.
D. Lippi, Professionalità e scuole mediche a Santa Maria Nuova nell’Ottocento, in La bellezza come terapia. Arte e assistenza nell’Ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, Atti del Convegno di Studi, Firenze (20-22 maggio 2004), Firenze 2006, pp. 377-95.
G. Dall’Olio, Il soccorso agli ‘asfittici e sommersi’ nell’Ottocento. Il metodo di Filippo Pacini, «Rivista italiana della medicina di laboratorio», 2009, 5, 1, pp. 62-68.
D. Lippi, I medici fiorentini nel lungo ’800, in Professioni e potere a Firenze tra Otto e Novecento, a cura di F. Tacchi, Milano 2012, pp. 107-34.