PANANTI, Filippo
Poeta, nato a Ronta del Mugello nel 1766, morto quivi nel 1837. Viaggiò dall'Italia alla Francia, alla Spagna, all'Inghilterra, alla Germania, ora come insegnante, ora come poeta. Educato in seminario per diventare ecclesiastico, s'era invece dato agli studî giuridici conseguendone a Pisa la laurea; poi, sospettato di liberalismo, aveva cominciato i suoi viaggi: il più straordinario dei quali fu quello che gli fecero fare i pirati algerini, nel 1813, catturandolo mentre se ne tornava in patria e riducendolo, quasi un nuovo Cervantes, nella schiavitù donde fu riscattato dal console inglese. Tutto ciò egli o raccontò o accennò in versi e in prosa, sia nel testo e nelle note del suo maggiore lavoro, Il poeta di teatro, sia nelle Avventure e osservazioni sulle coste di Barberia. Ma il critico dovrà procedere sempre guardingo nel discernervi le parti veramente autobiografiche da quelle che mescolano al vero la materia desunta con agevolezza, forse talvolta soverchia, da quei tanti libri e libretti che il P., senza darvi molta importanza, metteva a profitto con molta larghezza.
Dopo minori rime giocose, si valse dell'esperienza viva per comporre il poemetto o "romanzo poetico" Il poeta di teatro (Londra 1808) in sestine, curioso impasto di umorismo inglese e di conversazione burlesca italiana, un po' Sterne e un po' Passeroni, da cui, del resto, lo Sterne aveva confessato d'essere stato mosso a scrivere la Vita e opinioni di Tristram Shandy. La dimora del P. a Londra spiega bene le occasioni e i modi di tale forma; ma il P. rimane sempre un toscano che sa e sente e vuole mostrarsi della sua terra, fino al punto da usare qua e là, per divertire sé e gli altri, le lepidezze linguistiche e motteggevoli della toscanità paesana. Il poemetto si legge con piacere, almeno nei canti migliori; da per tutto è una miniera di vocaboli e proverbî, anche se non tutto sia oro di zecca. Le negligenze appariscono frequenti, e alcune sono gravi, per quanto le diverse redazioni del testo e delle note mostrino che l'artista si diede molta cura di migliorare l'operetta. A. Guadagnoli, il Giusti stesso, impararono assai da lui. Vispo, se non atticamente elegante, nella prosa; destro, se non inventore, nell'epigramma e nel motto; accorto, se non acuto, nell'osservazione psicologica e più nella rapida caricatura; il P. è uno scrittore cui si torna con diletto e con utilità; e che conserva senza dubbio una certa importanza storica.
L'ediz. più compiuta delle sue Opere in versi e in prosa è la terza italiana, Firenze 1824-25. Scritti minori inediti o sparsi, con notizie della vita e delle opere sue, raccolse e pubblicò L. Andreani (Firenze 1897).
Bibl.: G. Mazzoni, L'Ottocento, 1ª e 2ª ed., Milano 1912 e 1934.