Sacchi, Filippo
Giornalista, scrittore e critico cinematografico, nato a Vicenza il 6 aprile 1887 e morto a Pietrasanta (Lucca) l'8 settembre 1971. Negli anni Trenta, quando l'interesse per la nuova forma d'arte fece mobilitare scrittori e letterati nell'osservazione del cinema come fenomeno culturale e di costume, ponendo le basi della 'critica di gusto', S. fu giudice accorto e scrupoloso nell'offrire uno sguardo critico sugli stimoli e le emozioni cui veniva sottoposto lo spettatore più che sulle caratteristiche tecniche dei film. Filologo di formazione, seppe soddisfare e al tempo stesso orientare gli interessi del pubblico, unendo sensibilità morale a un gusto moderato e a una raffinata cultura letteraria.
Laureatosi in lettere a Padova, esercitò per un breve periodo l'insegnamento, per poi dedicarsi al giornalismo; al 1914, infatti, risalgono le sue prime esperienze in testate locali, "La provincia di Vicenza" e "L'intesa liberale", periodico padovano alla cui fondazione S. contribuì attivamente. Trasferitosi a Milano, fu assunto dal "Corriere della sera", avviando una collaborazione professionale che avrebbe segnato la sua carriera; fu corrispondente dall'estero e inviato speciale finché venne licenziato e addirittura radiato dall'albo dei giornalisti nel 1926 per le sue posizioni antifasciste. Proprio in questo periodo S. cominciò a scrivere di cinema, inizialmente come attività occasionale; nel 1929, fu ricontattato dalla nuova direzione del quotidiano milanese per occuparsi delle rubriche Rassegne cinematografiche e Corriere di Cinelandia, pur se con l'obbligo di firmare i suoi articoli con uno pseudonimo, condizione che S. dovette rispettare fino al 1933. L'acume e l'intuito nel cogliere il gusto del pubblico e l'astuta umiltà con la quale faceva trasparire i suoi giudizi, gli permisero di trasformare i suoi articoli in vere rubriche di punta del giornale, nelle quali si intravede l'indipendenza e l'anticonformismo del suo pensiero e al tempo stesso l'intento di 'educare' alla critica cinematografica.
Divenuta la sua posizione politica troppo manifesta ‒ S. mostrò, infatti, sempre un atteggiamento di aperto dissenso verso il regime, anche quando, negli anni Trenta, dovette iscriversi al Partito nazionale fascista, condizione necessaria per aderire al sindacato dei giornalisti ‒, nel 1940 fu sollevato dall'incarico, anche se rimase al giornale fino a quando nel 1943 fu costretto a espatriare in Svizzera, dove rimase come rifugiato politico fino al 1945. Negli anni di lontananza dall'Italia trascrisse le impressioni dell'esilio, raccolte in un volume edito postumo (Diario 1943-1944. Un fuoruscito a Locarno, a cura di R. Broggini, 1987), e continuò a inviare recensioni sul cinema, costretto dal veto fascista a rimanere nell'anonimato. Tornato in patria, dopo aver lavorato per diverse testate tra cui, dal 1948, "La stampa", nel 1950 passò a curare la rubrica cinematografica del settimanale "Epoca", della quale si sarebbe occupato fino al 1970; nella raccolta delle sue recensioni migliori, pubblicate con il titolo Al cinema col lapis (1958), si coglie la sua predilezione per un tipo di cinema che sappia mantenere vivo il contatto con la semplicità della vita, nonché la sua avversione per le 'emozioni estreme' e per la ricerca del sensazionalismo ottenuto dalle produzioni statunitensi ricorrendo al Cinemascope.
Autore di diversi romanzi, tra cui La casa in Oceania (1932), sugli emigrati italiani in Australia, S. partecipò alla sceneggiatura di La primadonna (1943) di Ivo Perilli, tratto dal suo romanzo omonimo.
Biblioteca Civica Bertoliana, Filippo Sacchi e Silvio Negro. Scrittori-giornalisti vicentini del Novecento, a cura di A. Chemello, Venezia 2001.