STROZZI, Filippo
– Nacque a Firenze il 4 luglio 1428, quarto dei nove figli di Matteo di Simone e di Alessandra di Filippo Macinghi.
Nel novembre del 1434 suo padre rimase coinvolto nella vasta epurazione seguita al ritorno a Firenze di Cosimo de’ Medici dopo la revoca del suo esilio. Confinato per cinque anni a Pesaro, Matteo Strozzi vi trovò la morte meno di un anno dopo a causa di un’epidemia di peste, che fu fatale anche a tre dei suoi figli. La famiglia fu ricondotta precipitosamente a Firenze dalla vedova Alessandra; ma la vita di Filippo Strozzi e dei suoi fratelli minori Lorenzo (nato nel 1432) e Matteo (venuto al mondo dopo la morte del padre, del quale assunse il nome) fu segnata dagli eventi sopra ricordati, e nel giro di pochi anni, raggiunta l’età adolescenziale, i tre fratelli furono costretti a migrare da Firenze verso ambienti più favorevoli a una rinascita, anzitutto economica, della famiglia.
Anche se è un errore (ricorrente nella storiografia) quello di ritenere che Filippo Strozzi e i suoi fratelli vivessero fin da allora in una condizione di esuli – essi furono realmente colpiti da una condanna all’esilio, ma molti anni più tardi, nel 1458 – tuttavia è innegabile che il provvedimento del 1434 avesse di fatto sancito la loro emarginazione dalla società fiorentina, con effetti tangibili non solo sullo status sociale, ma anche e soprattutto sull’attività economica e sul patrimonio. L’allontanamento volontario da Firenze, ben prima che una sentenza lo rendesse forzato, fu dettato dall’esigenza primaria di ricostituire altrove le risorse familiari. In Filippo Strozzi, tuttavia, fu sempre presente anche un altro impulso, quello di restituire al proprio casato l’onore e la preminenza sociale di cui godeva in patria. Fu questa ferrea volontà di riscatto a guidare in buona misura le sue scelte di vita, inducendolo negli ultimi anni a iniziative eclatanti.
La vedova Alessandra dovette fare i conti con pesanti ristrettezze economiche, aggravate da vessazioni fiscali e dal peso di cinque figli ancora in tenera età, dei quali Filippo era il maggiore. Pose le premesse per un rilancio delle fortune familiari vendendo i beni immobiliari del marito e riscattando la dote, così da costituire un capitale da investire nelle future attività dei figli. Si avvalse, inoltre, della vasta rete di amici e parenti, ramificata anche fuori d’Italia, di cui poteva disporre un grande casato come gli Strozzi. Già nel marzo del 1441, all’età di soli dodici anni, Filippo Strozzi fu mandato a Palermo presso l’azienda di un amico del padre, il fiorentino Matteo di Giorgio Brandolini, per avviarsi all’arte della mercatura. La sua educazione prese da allora una piega ben diversa da quella, letteraria e filosofica, che il padre Matteo aveva coltivato per tutta la vita, indirizzandosi verso un profilo più marcatamente imprenditoriale.
In questa fase fu determinante l’appoggio che Filippo Strozzi, con i fratelli Lorenzo e Matteo, trovò in tre cugini di secondo grado: Jacopo, Filippo e Niccolò, figli di Leonardo di Filippo Strozzi. Costoro erano rimasti immuni dalle epurazioni del 1434, ma il clima sfavorevole che si era creato per il casato li aveva spinti a emigrare per poter sviluppare al meglio i propri traffici (già in passato, d’altronde, avevano operato sulla piazza di Avignone). La loro prima scelta fu la Catalogna, in particolare Barcellona e Valencia, dove impiantarono una serie di compagnie mercantili a partire dal 1437. Successivamente estesero la loro rete alle Fiandre, a Napoli e a Roma.
Filippo Strozzi si pose al loro servizio, trasferendosi a Valencia all’inizio degli anni Quaranta, subito dopo la breve parentesi siciliana, per poi passare a Barcellona nel 1445. Lo imitarono Lorenzo e Matteo, rispettivamente nel 1446 e nel 1450, al raggiungimento dell’età di tredici anni, secondo un programma di espatrio chiaramente pianificato. Il legame quasi filiale che i figli di Matteo di Simone Strozzi instaurarono con i figli di Leonardo Strozzi fu il motore di ulteriori spostamenti. Lorenzo seguì Jacopo a Bruges, dove avrebbe operato per oltre dieci anni; Matteo, condotto inizialmente a Barcellona, si ritrovò pochi mesi più tardi a Napoli. Qui Niccolò aveva aperto un banco nel 1447, portando con sé Filippo, il quale, avendo completato il suo apprendistato, agiva ormai da suo braccio destro.
La capitale del Regno di Napoli sarebbe divenuta per Filippo Strozzi una seconda patria, terreno ideale per una rapida ascesa economica e sociale. Nonostante ciò, egli non considerò mai l’idea dsi trapiantarvi le proprie radici, seguendo l’esempio di tanti altri nella sua condizione, perché – come scrisse alla madre nell’agosto del 1446 – ebbe sempre «pensiero di rifare la nostra chasa» (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. III, 131, c. 29r).
Il filo conduttore della sua vita si dipanò, da allora, lungo un doppio binario, tra un forte legame con la corte aragonese e una ferma volontà di riscattare a Firenze il nome del casato.
Tale indirizzo non fu turbato neppure dall’abbattersi su di lui e sui suoi fratelli di un’inattesa condanna all’esilio da parte del governo fiorentino. Nel quadro di una serie di riforme, varate l’11 agosto 1458 con l’obiettivo di stabilizzare il regime, gli Otto di guardia avevano introdotto severe misure contro i potenziali oppositori di Cosimo de’ Medici, culminate il 13 novembre nell’espulsione, per ben venticinque anni, di tutti i figli e discendenti di coloro che erano stati allontanati nel 1434. L’esilio volontario, che i figli di Matteo di Simone Strozzi avevano dovuto abbracciare negli anni Quaranta, si trasformò così in un vero e proprio confino di lunga durata. Se per il minore dei tre fratelli, Matteo, non vi fu quasi il tempo di sperare nell’annullamento dell’iniqua pena, giacché la morte lo colse il 23 agosto dell’anno successivo, sia Filippo sia Lorenzo profusero invece ogni sforzo per ottenere la riammissione in patria.
Tuttavia, solo con la scomparsa di Cosimo de’ Medici, il 1° agosto 1464, le prospettive dei fuoriusciti cominciarono a rinvigorirsi. Il fitto carteggio di Filippo e Lorenzo Strozzi con la madre Alessandra e il fedelissimo cognato Marco Parenti ci restituisce una viva testimonianza delle manovre e delle strategie che da quel momento furono messe in atto, a Firenze come a Napoli, per conseguire la grazia.
Le pressioni furono esercitate prevalentemente su Piero de’ Medici, detto il Gottoso, primogenito ed erede politico di Cosimo, ma anche su altre figure eminenti del regime, quali Agnolo Acciaiuoli, Luca Pitti, Niccolò Soderini e Dietisalvi Neroni. Nella questione intervenne a più riprese il re di Napoli Ferdinando I (Ferrante) d’Aragona, assicurando il suo autorevole sostegno alla causa di Filippo Strozzi, assurto in quegli anni a suo banchiere di fiducia. L’istanza degli Strozzi divenne in tal modo argomento della comunicazione diplomatica, raggiungendo anche le corti di Milano e di Ferrara, strettamente legate a quella napoletana.
Per risolvere la questione fu però necessario un evento esterno, ossia il fallimento di una congiura che alcuni ottimati fiorentini (inclusi i quattro sopra menzionati) ordirono contro Piero de’ Medici nell’estate del 1466, scatenando una nuova ondata di condanne politiche. I provvedimenti punitivi contro i responsabili furono infatti controbilanciati da misure volte a puntellare il regime con nuovi vincoli di fedeltà, fra cui un’amnistia generale varata il 20 settembre in favore di un gruppo selezionato di fuoriusciti, compresi Filippo e Lorenzo Strozzi.
La campagna per la revoca dell’esilio s’intrecciò a quella, non meno complessa, per procurare moglie ai due fratelli, ormai ultratrentenni. Le opzioni variavano a seconda delle prospettive di rimpatrio, ma su un punto le idee erano molto chiare: il duplice matrimonio doveva servire a rinsaldare i legami con le famiglie del patriziato fiorentino, contribuendo a risollevare gli Strozzi al rango dei grandi mercanti e imprenditori della città, dal quale erano stati estromessi trent’anni addietro. L’operazione, condotta a Firenze dalla madre e dal cognato, insieme ad altri familiari e amici, rientrava quindi in una più ampia strategia di reinserimento nella gerarchia sociale della città d’origine.
Dopo una lunga fase di indagini e negoziati l’accordo, per quanto riguarda Filippo, fu trovato nel 1466, quasi in contemporanea con il richiamo in patria. La scelta cadde su Fiammetta, una giovane donna di casa Adimari, antico e prestigioso lignaggio, benché un po’ declinato rispetto ai fasti due-trecenteschi. Il 30 novembre Filippo Strozzi fece finalmente ritorno a Firenze e in gennaio celebrò le nozze.
In modo simile si concluse pochi anni più tardi, nel 1470, la ricerca per Lorenzo, cui toccò in moglie Antonia Baroncelli, appartenente anch’essa a una schiatta di illustri tradizioni. Si trattò in entrambi i casi di operazioni che obbedivano all’imperativo di imparentarsi con ottimati fiorentini, ma che nel contempo venivano incontro alle aspettative del mondo aristocratico napoletano.
Dopo gli avvenimenti del 1434-35, l’anno 1466 rappresentò nella vita di Filippo Strozzi una nuova cesura, stavolta benigna. La svolta fu repentina, ma costituì lo sbocco finale di una lunga fase di ricostruzione portata avanti con ben venticinque anni di tenace operosità nel campo degli affari, durante i quali egli riuscì a imporsi come uno dei principali mercanti-banchieri del Regno di Napoli. Per gran parte di questo periodo, tuttavia, Filippo Strozzi continuò a sottostare al cugino Niccolò, che lo aveva preso sotto la sua protezione, ma che nel contempo ne limitava l’indipendenza. Nella stessa condizione venne a trovarsi Lorenzo, rimasto a Bruges alle dipendenze di Jacopo Strozzi fino alla morte di questi, sopraggiunta nel 1461. A quel punto, piuttosto che mettersi in proprio nella città fiamminga, egli preferì raggiungere il fratello maggiore a Napoli.
La riunione dei due fratelli giovò probabilmente alla loro autonomia da Niccolò, ultimo superstite dei tre figli di Leonardo Strozzi, i cui affari si stavano peraltro trasferendo a Roma. Negli anni Sessanta le individualità di Filippo e Lorenzo Strozzi emersero più chiaramente nel panorama imprenditoriale napoletano. È del 28 gennaio 1463 un atto del re Ferrante d’Aragona che concedeva a Filippo il privilegio di poter condurre affari nel Regno di Napoli. Due anni più tardi Lorenzo fu nominato console della ‘nazione’ fiorentina sulla piazza napoletana, a riprova della considerazione di cui godeva fra i mercanti suoi concittadini, malgrado lo status di esule. Perfino i Medici, dopo la morte di Cosimo, mostrarono una crescente stima nei confronti dei due fratelli facendo spesso affidamento su di loro per funzioni di rappresentanza presso la corte regia napoletana.
Nel maggio del 1465, ad esempio, Piero de’ Medici si servì di Filippo Strozzi per consegnare in dono una galea al re Ferrante, e un anno più tardi, pochi mesi prima della revoca dell’esilio, fu ancora lo Strozzi ad accogliere e accompagnare il giovane Lorenzo de’ Medici nella sua visita a Napoli. D’altronde, fin dal 1455 Filippo Strozzi, benché ancora sotto l’egida di Niccolò, agiva come uno dei corrispondenti dei Medici per i loro affari nel regno. Ma il rapporto di collaborazione si spinse ben oltre, se è vero che verso la metà degli anni Sessanta si costituì una sorta di joint venture fra i Medici, il banco napoletano di Filippo Strozzi e il locale gruppo mercantile dei Coppola per l’acquisto e l’esportazione del grano di Puglia verso Venezia, Firenze e altri lidi.
All’epoca la compagnia dei due fratelli Strozzi si era già assicurata una posizione di primissimo piano nell’orizzonte economico e finanziario del Regno di Napoli. Determinante fu il credito che Filippo Strozzi seppe guadagnarsi presso Ferrante d’Aragona, che lo fece suo consigliere, e il di lui figlio Alfonso duca di Calabria, divenuto suo amico personale: un patronato di altissimo livello che gli garantì il conseguimento della grazia nel 1466 e un ruolo centrale nell’amministrazione delle finanze del Regno, ma che nel contempo fu ampiamente ripagato con l’erogazione generosa e tempestiva di forti prestiti alla Corona, in anni di elevatissime spese militari per contrastare il revanscismo angioino e l’aggressività dei baroni.
La compagnia Strozzi, il cui capitale era di 16.000 monete di Napoli (tre quarti investiti da Filippo e un quarto dal fratello Lorenzo), si articolava in due gestioni separate: il fondaco, ovvero l’impresa commerciale, diretto dal fratello minore, e il banco guidato dal maggiore. Il banco non era incorporato nel fondaco, come di consueto, ma indipendente, configurandosi come una pura azienda di credito dedita alla raccolta del risparmio e al suo investimento. Tale fisionomia è ben riconoscibile fin dal 1466, quando inizia la documentazione aziendale superstite. L’attività commerciale aveva come cardini da un lato l’acquisto di prodotti agricoli e materie prime provenienti da varie aree del Regno, che venivano collocati nella capitale o nei maggiori centri della penisola italiana e, dall’altro, l’importazione di manufatti, soprattutto toscani. Fu tuttavia il banco a far registrare il successo più eclatante, al punto da affermarsi come il più importante del Regno. L’aspetto qualificante della sua attività fu il servizio di cassa per conto dello Stato, come si evince chiaramente da due libri-giornale del banco del 1473 e 1476, che documentano i rapporti sistematici con la tesoreria generale e l’ufficio del percettore generale del Regno. I sovrani aragonesi si affidarono al banco Strozzi non solo per la sua capacità di fornire prontamente il necessario sostegno finanziario, ma anche per la razionalizzazione dei conti pubblici che esso era in grado di assicurare con la sua organizzazione e il suo avanzato know-how tecnico-contabile.
Un decisivo impulso alla compagnia fu impresso dall’eredità di Niccolò Strozzi, il quale, venuto a mancare verso la fine del 1469 senza lasciare né moglie né figli, nominò Filippo e Lorenzo Strozzi suoi successori. Essi ne acquisirono non soltanto l’immenso patrimonio, ma anche la vasta clientela. Gli anni Settanta videro perciò una forte crescita dell’azienda, in controtendenza con il trend generale del periodo, quando molte banche fiorentine, compresa quella dei Medici, entrarono in crisi e, in molti casi, chiusero del tutto. Gli effetti sono ben visibili nell’espansione del patrimonio di Filippo Strozzi, che si accrebbe di quasi quattro volte (da 31.000 a 112.000 fiorini d’oro) fra il 1471 e il 1483. Nei successivi otto anni – gli ultimi nella vita di Filippo Strozzi – si registrò un assestamento (fino a 116.000 fiorini), che tuttavia ne consolidò l’altissimo livello malgrado le ingenti spese sostenute in campo edilizio.
Sull’onda del successo il raggio d’azione di Filippo Strozzi si allargò oltre il Regno di Napoli. Nel 1470 egli aprì una filiale a Firenze, di cui prese personalmente le redini, lasciando a Lorenzo la direzione dell’azienda napoletana. Benché qui fosse ancora concentrata la gran parte delle risorse, neppure la morte del fratello, avvenuta il 9 ottobre 1479, lo indusse a cambiare i suoi programmi, cosicché la compagnia di Napoli fu affidata a Gioacchino Guasconi, già socio degli Strozzi. Nel 1482 l’impero finanziario di Filippo Strozzi si arricchì di una terza filiale a Roma.
Per Filippo Strozzi il destino futuro del suo patrimonio e delle sue aziende, alla cui crescita aveva affidato il pieno rilancio del casato dopo la prolungata esclusione, furono fonte di costante preoccupazione. Indubbiamente egli fece del suo meglio per assicurarsi una discendenza, diventando padre per ben tredici volte.
Da Fiammetta Adimari nacquero sette figli, tre dei quali raggiunsero l’età adulta: il maggiore, Alfonso, nato nel 1467, ebbe come padrino di battesimo il duca di Calabria, dal quale trasse il nome; le sue sorelle, Marietta e Fiammetta, andarono in moglie rispettivamente a Simone Ridolfi e a Tommaso Soderini, figure di primissimo piano dell’élite fiorentina.
La morte della moglie il 23 agosto 1476, probabilmente per le conseguenze del parto dell’ultima figlia (che perciò ne assunse il nome), spinse Filippo Strozzi a risposarsi. La scelta cadde su Selvaggia, figlia di Bartolomeo Gianfigliazzi, con la quale convolò a nozze già nel settembre del 1477.
Dal secondo matrimonio nacquero altri sei figli, quattro dei quali andarono oltre l’infanzia: due femmine, Alessandra (1479) e Caterina (1485), destinate a unirsi in matrimonio con due membri della famiglia Capponi, Niccolò e Gino; e due maschi, Lorenzo (v. la voce in questo Dizionario), che avrebbe raggiunto una certa notorietà come letterato e come biografo del casato, e Giovan Battista, al quale due anni più tardi, a causa della morte del padre, sarebbe stato mutato il nome in Filippo (v. la voce in questo Dizionario). Protagonista della storia politica fiorentina dei primi decenni del Cinquecento, quest’ultimo divenne noto come il Giovane per distinguerlo dal padre, indicato come il Vecchio.
L’integrazione nella Firenze medicea passava naturalmente dalle buone relazioni con Lorenzo il Magnifico e con il suo entourage. Le fonti non lasciano molti dubbi sulla stima reciproca che intercorreva fra il signore de facto di Firenze e il facoltoso banchiere, grazie anche alla prudenza del secondo al quale la lunga esperienza napoletana aveva insegnato a trattare con i capi di Stato. Strozzi era l’unico fiorentino che potesse competere con Lorenzo de’ Medici in fatto di ricchezza, ma proprio questa consapevolezza lo indusse probabilmente a dimostrarsi sempre leale nei suoi confronti. Ciò potrebbe spiegare la perdurante marginalità di Strozzi nella vita politica attiva, frutto verosimilmente di una scelta ben precisa.
La sua partecipazione agli uffici, benché di alto livello, appare infatti molto ridotta, limitandosi a un mandato con gli Ufficiali del banco nel 1478, un bimestre nella Signoria (novembre-dicembre 1485) e un’elezione fra i Sei di Mercanzia nel 1486. Fu inoltre per due volte console dell’Arte di Calimala (1484 e 1488).
La sua assenza dagli elenchi delle balìe straordinarie e dell’importante magistratura degli Otto di Pratica ne certifica la scarsa rilevanza nei ruoli strategici di governo. Tuttavia, gli stretti rapporti con i vertici politici di tanti Stati italiani – a cominciare, ovviamente, dalla monarchia napoletana – fecero di lui un prezioso elemento di raccordo per l’azione diplomatica del regime laurenziano, pur senza dar luogo al conferimento di ambascerie. L’esempio più noto in questo senso è la delicata missione che Filippo Strozzi svolse a Napoli nel novembre 1479, quando fu inviato da Lorenzo de’ Medici con il compito di preparare la storica visita che egli stesso avrebbe reso al re Ferrante d’Aragona per negoziare la pace dopo la guerra scaturita dalla congiura dei Pazzi.
Intorno alla metà degli anni Settanta Filippo Strozzi si pose a ricostituire il patrimonio immobiliare di famiglia, dopo che nei decenni antecedenti l’eredità paterna, a eccezione della casa in città, era stata gradualmente alienata per favorire gli investimenti imprenditoriali. In particolare, egli rivolse lo sguardo verso la Val di Bisenzio, nella campagna a ovest di Firenze, procedendo all’acquisto di case e terreni a Capalle (1475), Santuccio (1477) e Maglio (1484), dove in breve tempo sarebbero sorte altrettante ville signorili, conformi al rango sociale del loro proprietario. Negli stessi anni, e a breve distanza, nel territorio di Lastra a Signa, Filippo fece anche i suoi primi investimenti pro remedio animae, acquisendo il giuspatronato sull’oratorio di Lecceto (1475) e su due cappelle di S. Maria delle Selve (1476), per la cui ristrutturazione e decorazione furono impiegati artisti del valore di Domenico Ghirlandaio, Benedetto da Maiano e Neri di Bicci.
Tali imprese non erano tuttavia sufficienti ad appagare le aspettative di un uomo che con il suo straordinario successo personale aveva saputo riscattare l’esclusione sofferta dalla sua famiglia e che ora – come egli stesso scrisse al fratello Lorenzo nel 1475 – desiderava «fare qualche chosa di memoria» (Borsook, 1970, p. 14, doc. 16). Con questo spirito negli ultimi anni della sua vita egli concepì i due progetti più ambiziosi, di cui poté seguire solo i primi passi: la cappella di famiglia in S. Maria Novella e, soprattutto, il grandioso palazzo.
Pur disponendo già di un luogo di sepoltura nella grande basilica domenicana, Filippo Strozzi volle assicurare ai propri resti e a quelli dei suoi discendenti uno spazio più onorevole, ottenendo, nel 1486, di subentrare alla famiglia Boni nei diritti di patronato sulla cappella posta alla destra del coro.
Nella primavera dell’anno seguente aveva già ingaggiato i due artisti che avrebbero dovuto eseguire le opere più significative: Benedetto da Maiano, per la realizzazione del monumento funebre, dell’altare e del pavimento, e Filippino Lippi per gli affreschi delle pareti e della volta e per i cartoni della vetrata istoriata, la cui fattura fu affidata ai frati gesuati. Alla morte di Filippo Strozzi nel 1491 il ciclo pittorico era stato appena abbozzato, mentre una parte delle opere scultoree, fra cui il sarcofago, erano state ultimate. Per il completamento dei lavori sarebbero occorsi altri dodici anni.
Per un periodo ancor più ridotto – poco più di venti mesi – fu concesso a Filippo di assistere alla sua impresa più temeraria, il maestoso palazzo, autentica apoteosi della sua missione di redenzione familiare, la cui prima pietra fu posata il 6 agosto 1489.
L’idea aveva radici profonde, se è vero che già nel 1474 si era cominciato ad acquistare beni immobiliari nell’area destinata a fare spazio all’enorme mole dell’edificio. Al superamento delle inevitabili difficoltà che un simile progetto comportava per un’intera area cittadina contribuì l’abilità del committente nel guadagnarsi il favore di Lorenzo de’ Medici rispetto a un’iniziativa che rischiava di essere letta come un attentato simbolico al suo primato.
Concepito inizialmente secondo un modello di Giuliano da Sangallo (o di Benedetto da Maiano secondo alcuni), ma di fatto realizzato da Simone del Pollaiolo detto il Cronaca, il palazzo Strozzi fu portato a termine nel 1504, eccetto alcune parti completate nel 1538. Con una spesa di oltre 30.000 fiorini e un’imponente organizzazione del lavoro esso costituì la massima impresa edilizia privata del Rinascimento fiorentino.
Filippo Strozzi morì a Firenze il 14 maggio 1491 all’età di quasi sessantatré anni.
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