Filippo Vassalli
Al di là dei cospicui contributi in campo romanistico e civilistico, Filippo Vassalli, per spessore culturale, rientra nel novero delle menti eccezionali capaci di rilevare perspicuamente i segni del mutamento e di aprire strade nuove. Convinto del ruolo attivo della scienza e della necessità di aggiornare le categorie, fin dal primo dopoguerra occupò un ruolo preminente anche come legislatore (è uno dei padri del vigente codice civile), per vastità di sapere, eleganza di stile, passione civile. In età repubblicana, fu una voce critica, pronta non solo a rivendicare nel merito la bontà di talune scelte codificatorie, ma anche a riproporre con lungimiranza alle generazioni future la sua aspirazione a un diritto civile (e a una dottrina) che superasse i confini statuali nazionali.
Vassalli nacque a Roma il 7 settembre 1885. Studiò all’Università di Siena, dove si laureò con lode il 3 luglio 1907 con il romanista Luigi Moriani e dove pubblicò i suoi primi lavori: la memoria La plebe romana nella funzione legislativa (1906), la tesi Concetto e natura del fisco (1908) e la monografia Obbligazioni di genere (1909). Decisivo fu l'incontro con Vittorio Scialoja che lo accolse nella sua scuola e lo stimò al punto da proporlo, giovanissimo, come docente a Camerino. Ebbe una carriera accademica brillante, dapprima all’insegna del diritto romano: libero docente a Siena (1909), incaricato e poi straordinario nella libera Università di Camerino (1910), straordinario e poi ordinario (1911) a Perugia (1910-14), straordinaro e poi ordinario (1918) a Cagliari (1915-18): qui, il 12 gennaio 1915, pronunciò la prolusione su L’origine della trasmissibilità ereditaria dei crediti e dei debiti condizionali (pubblicata nello stesso anno), concludendo con un’osservazione pungente sull’attitudine dei legislatori moderni, per i quali
troppo spesso la legislazione di Giustiniano ha costituito quelle colonne d’Ercole, che per l’ardimentoso riformatore bizantino […] non hanno costituito i libri della sapienza giuridica di Roma (in Studi giuridici, 1° vol., 1960, p. 318).
Con acutezza è stato scritto che questo è forse «il primo, se pure inconsapevole, contributo di Vassalli alla codificazione» (V. Arangio-Ruiz, Filippo Vassalli, 1957, in Studi giuridici in memoria di Filippo Vassalli, 1° vol., 1960, p. 5).
Vassalli univa già alla dimensione storica un interesse concreto per il diritto vigente e una predisposizione verso temi pubblicistici (fisco, demanio) e non solo privatistici (obbligazioni, successioni, condizioni). Nel 1918 fu chiamato all’Università di Genova, sulla cattedra di istituzioni di diritto civile, inaugurata il 22 novembre con la prolusione Della legislazione di guerra e dei nuovi confini del diritto privato. A questo periodo risalgono anche l’inizio dell’attività forense a Roma e le prime esperienze legislative.
Dal 1924 al 1928, Vassalli passò a insegnare diritto civile a Torino, succedendo a Gian Pietro Chironi; ritornò a Genova nel 1928, dopo la scomparsa di Paolo Emilio Bensa, e nel 1930 fu infine chiamato alla Sapienza di Roma, dove venne istituita per lui una terza cattedra di diritto civile, accanto a quelle di Roberto De Ruggiero e Alfredo Ascoli. Della facoltà giuridica romana fu anche preside dal 1944 fino al 16 maggio 1955, anno della sua prematura scomparsa. Esercitò anche l’ufficio di giudice costituzionale nell’Alta corte per la Regione siciliana.
Nella citata prolusione genovese del 1918, spartiacque della sua attività di studioso, Vassalli colse lucidamente nella legislazione di guerra, da lui conosciuta alla perfezione, il segno premonitore della trasformazione del diritto civile liberale, dovuta al ruolo più incisivo dello Stato come soggetto politico produttore di norme in un ambito prima riservato alla volontà dei privati.
Oltre a fornire una spiegazione aggiornata di questo interventismo statuale, Vassalli ebbe chiara coscienza delle ripercussioni dello sviluppo economico capitalistico sul sistema giuridico: il recente «tumultuoso legiferare» (Le riforme del codice civile in relazione alla proprietà fondiaria, «Rivista di diritto agrario», 1923, poi in Studi giuridici, 2° vol., 1960, p. 326) aveva ridisegnato i confini, sempre mobili, tra diritto privato e pubblico, determinando una crisi del diritto civile, inteso sia come diritto comune dei privati sia come deposito secolare di principi razionali. L’intelligente analisi del «moto» legislativo non andava disgiunta da una visione inquieta del futuro: «oggi la volontà individuale è soppressa nei campi dell’economia; anche i rapporti familiari potrebbero cedere di fronte all’eugenica» (Della legislazione di guerra e dei nuovi confini del diritto privato, «Rivista del diritto commerciale», 1919, poi in Studi giurudici, 2° vol., cit., p. 362). Occorreva sviluppare anticorpi adeguati per impedire gli abusi.
Ancora nel 1923, parlando di riforme del diritto di proprietà all’Accademia dei Georgofili, Vassalli tornerà a prospettare una netta alternativa:
O l’ordinamento giuridico si volge a potenziare la volontà de’ privati (con i limiti connaturati al diritto) o invece la libertà di ciascuno è piegata a fini che sono posti dallo Stato: è un ordinamento quest’ultimo che si risolve in una vasta amministrazione, di cui è organo ciascuno che sia compreso nella orbita dello Stato [...] non è che diritto amministrativo (Le riforme del codice civile, cit., p. 320).
Analoghe preoccupazioni si leggono nelle Lezioni di diritto matrimoniale (1932), contenenti una critica della costruzione pubblicistica del diritto familiare proposta da Antonio Cicu (Il diritto di famiglia, 1914):
una metafisica della famiglia [che] contrasta col diritto [...] e con la vita a cui il diritto per ora aderisce strettamente; niuno che si sposi o adotti una persona o riconosca un figlio naturale crede con ciò di attuare un fine pubblico (p. 28).
Sono tappe che conducono alla prolusione romana del 1930 su Arte e vita nel diritto civile (pubblicata in «Rivista di diritto civile», 1931, pp. 109-27, poi in Studi giuridici, 2° vol., cit., pp. 395-414). Si tratta di un discorso sul metodo, in cui Vassalli fa il punto sul rapporto tra diritto civile e legge statale, diritto e politica, diritto e scienza.
Prima affermazione fondamentale è la distinzione tra diritto civile e legge o codice. Il primo viene inteso come invisibile linea di confine disegnata da generazioni di legislatori, giuristi, tribunali, consuetudini, opera dell’arte che trasforma i dati della vita, mentre il codice è solo una rappresentazione astratta della realtà, che si è imposta per la sua utilità, ma che non va sopravvalutata. Già nel 1927, nell'orazione commemorativa su Chironi, Vassalli aveva detto che «il diritto vigente, il diritto codificato non è che una contingenza nello sviluppo storico» (Giampiero Chironi, 1927, in Studi giuridici, 2° vol., cit., p. 371). Ora ripete che il diritto civile è più pensiero che volontà e comando, e che non sussiste un legame naturale tra diritto civile e codice:
Chi vi parla non ne è un entusiasta. Rende omaggio alle esigenze pratiche a cui il codice corrisponde, ma avverte il disagio della costrizione della legge civile in un codice (Arte e vita, in Studi giuridici, 2° vol., cit., p. 400).
Da questa considerazione Vassalli fa discendere ulteriori corollari: adesione a metodi di interpretazione più liberi (eco di François Gény, Raymond Saleilles, Josef Kohler e altri precursori); concezione non positivistica e non statualistica dei principi generali del diritto, argomento molto discusso in passato e cruciale anche nei percorsi della politica legislativa fascista; favore per la costruzione sistematica del diritto, momento di autonomia della scienza giuridica, purché non si perdessero di vista la formazione storica dei concetti e la loro natura strumentale.
Vassalli indugiò con particolare stima sul sistema di Chironi, sulle Istituzioni di diritto civile (3 voll., 1911-1912) di De Ruggiero, sulle note aggiunte alla traduzione italiana del Lehrbuch des Pandektenrechts (1862-1870, la traduzione è stata fatta sulla sesta edizione del 1887) di Bernhard Windscheid, fatta tra il 1887 e il 1901 da Carlo Fadda e da Bensa, «pagine di minutissima nitida stampa, [...] trattazioni che sono la fibra stessa della nostra formazione professionale» (Paolo Emilio Bensa, 1929, in Studi giuridici, 1960, 2° vol., p. 385). Non a caso nei suoi agili e trasparenti corsi universitari dedicò ampio spazio alla comparazione e a
rintracciare nelle latebre della storia i fili sottili pe’ quali regole e concetti della legge attuali si rivelano legati all’una o piuttosto all’altra origine (Paolo Emilio Bensa, cit., p. 387).
Seconda affermazione: l’attribuzione ai giuristi del ruolo forte di legum conditores nel travaglio legislativo tipico del loro presente. L'originaria natura extrastatuale del diritto civile rendeva impensabile legiferare in questo settore senza ricondurre le soluzioni ai principi, facendo tabula rasa delle regole provenienti dal passato.
Vassalli ribadirà più volte con coerenza questa profonda convinzione: per es., in una lettera inedita al ministro della Giustizia Dino Grandi del 23 settembre 1939 («tutta la scienza del diritto, nel diritto privato, s’è sviluppata intorno ai codici: non si può fare un codice nuovo, non avendola presente») e nel 1942, a codice fatto. La distinzione tra materia (data dai politici) e forma (data dai giuristi) gli sembrava astratta. Il codice civile aveva comunque bisogno dell’arte del giurista, chiamato a fondere il vecchio con il nuovo in un sistema ordinato di regole.
Terza affermazione: la necessità di configurare dei limiti all’onnipotenza legislativa, poiché il tramonto della concezione liberale dello Stato
non implica menomamente che la vita sociale assorba l’individuo e addirittura lo annienti; [...] ne discende sicura la direttiva all’ordine giuridico, il quale ha da garantire nel tempo stesso le condizioni della vita e dell’elevazione degli individui e le condizioni dell’organizzazione sociale (Arte e vita, cit., p. 410).
Vassalli aspirava alla «necessaria reciprocanza dell’individuo e della collettività» (p. 410), ma senza essere disposto a sacrificare l’individuo sull’altare dello Stato.
Quanto ai contenuti delle riforme, nel 1930 si limitava a constatare il movimento legislativo favorevole a stabilire nuovi limiti alla volontà individuale, come l’azione generale di lesione e di risarcimento del danno per abuso del diritto, o a prevedere rimedi contro l’eccessiva onerosità sopravvenuta. A tal riguardo, già nelle addizioni alla terza edizione (1921) delle Istituzioni di diritto privato italiano (1914) di Vincenzo Simoncelli, aveva spezzato una lancia a favore di questa controversa causa di estinzione dell’obbligazione, introdotta in Italia dalla legislazione di guerra accanto alla tradizionale impossibilità della prestazione. Egli sottolineava anche l’urgenza di regolare nuove forme contrattuali, di superare il paradigma individualistico di contratto, di disciplinare il contratto di adesione.
In campo matrimoniale il suo contributo fu vastissimo: oltre all'essenziale riforma del rito, per la quale spese molte energie, anche come primo autorevole commentatore, Vassalli auspicò un più stretto rapporto tra diritto civile e canonico; non chiuse del tutto le porte al divorzio in caso di dissoluzione di fatto del vincolo, pur riaffermando il principio dell’indissolubilità, che riteneva irrinunciabile indipendentemente da motivi religiosi; invitò ad assumere come modello la «posizione fatta ai diritti dell’individuo nella dottrina della Chiesa» (Arte e vita, cit., p. 413).
Nel 1939, a un anno di distanza dalle leggi razziali italiane, Vassalli rinvenne nella recente legge matrimoniale nazista il superamento del limite oltre il quale il matrimonio non poteva più ritenersi appartenente alla sfera della volontà privata. A indurre a questa valutazione erano, tra le altre, le norme che per motivi razziali limitavano la libertà di contrarre. Sotto la scorza di un discorso tecnico, veniva formulata una critica severa.
L’altro campo di cui Vassalli si occupò a fondo è quello del diritto di proprietà e dei beni pubblici, di cui va ricordata la relazione al primo congresso giuridico italiano di Roma, nell'ottobre del 1932, nella quale egli precisò che il recente orientamento legislativo aveva cambiato il volto del diritto di proprietà in due direzioni: riduzione sia dei poteri riconosciuti al proprietario sia degli oggetti di proprietà nei privati. Il diritto tornava a fare perno sui beni piuttosto che sul soggetto proprietario (Grossi 1997). In questo contesto, pur auspicando «lenti e meditati trapassi» (Il diritto di proprietà, in Studi giuridici, 2° vol., cit., p. 441), la Carta del lavoro, con le sue dichiarazioni circa la responsabilità dell’imprenditore di fronte allo Stato e la tutela dell’iniziativa privata nell’interesse della nazione, superiore agli individui, assestava «il colpo mortale alla concezione liberale della proprietà» (p. 416) ma meritava un giudizio positivo, in quanto espressione di una tendenza generale, poiché, «almeno entro certi limiti, i procedimenti della politica economica d’ogni paese civile, in un dato ciclo storico, non divergono essenzialmente» (p. 445).
Anche al primo convegno del Comitato giuridico italo-germanico (Roma, 21-25 giugno 1938), Vassalli volle ribadire che la proprietà non era più unitaria, che si dovevano distinguere statuti diversi della proprietà, che occorreva integrare l’elenco dei beni e di conseguenza «costruire una definizione che menzioni il potere generale e indipendente della persona sulle cose nei limiti stabiliti dalle leggi» (Per una definizione legislativa del diritto di proprietà, in Studi giuridici, 2° vol., cit., p. 333) e dall’ordinamento corporativo, mentre egli riteneva
superflua la menzione, nella definizione, della funzione sociale della proprietà, propria di ogni potere riconosciuto dal diritto obiettivo: toglierebbe sicurezza e stabilità ad un rapporto giuridico d’importanza fondamentale (p. 334).
Con ciò siamo passati al Vassalli riformatore del codice civile, un’attività che lo occupò ininterrottamente dal 1918 al 1942. Un itinerario avviato con i problemi dell’unificazione legislativa delle nuove province e della revisione della legislazione di guerra, in seno alla Commissione per il dopoguerra (1918-19), e, per tappe intermedie, sfociato nella nomina nella Commissione reale per la riforma dei codici, creata in esecuzione della legge delega del 30 dic. 1923 nr. 2814 (alla cui genesi egli prese parte), e rimasta asse portante anche dopo la legge delega del 24 dic. 1925 nr. 2260.
Il suo contributo è talmente esteso che non si lascia racchiudere in una specifica realizzazione. Tra le parti del codice che recano la sua paternità, nella prima fase, si possono indicare il titolo del matrimonio e quello delle successioni legittime. Ma Vassalli influì anche sull’elaborazione dell’art. 3 del Concordato e della legge di attuazione 27 maggio 1929 nr. 810, il cui progetto fu in larga parte opera sua.
Presidente del sottocomitato dei libri della proprietà e della tutela dei diritti, egli lavorò senza risparmio di forze anche alla revisione dei progetti degli altri libri, al libro IV, Delle obbligazioni (tutela della buona fede e della sicurezza dei traffici erano criteri in cui credeva, non meno di Emilio Betti) e, dopo la capitale decisione di unificare il diritto delle obbligazioni civili e commerciali, in cui la sua parola fu determinante, si può dire che tutta la complessa orditura dei libri IV e V, Del lavoro, nel corso del vorticoso anno 1941, sia uscita dalla sua penna, tra progetti vari, rifiniture, ripensamenti, direttive dell'ultima ora. Accanto a questo sforzo di concezione, volto anche a sistemare l'eredità del soppresso codice di commercio, è da menzionare la stesura del libro VI, Della tutela dei diritti, di cui difese l’opportunità e al quale diede un’impronta originale, recuperando anche suoi precedenti interventi in tema di trascrizione.
Un'ottima guida per ricostruire l’apporto vassalliano è costituita dall'archivio Vassalli che (aperto agli studiosi dalla generosa e signorile disponibilità del prof. Giuliano Vassalli) è stato in grado di svelare parecchie notizie significative, attraverso l’esame delle annotazioni autografe apposte ai vari progetti e della densa corrispondenza con i colleghi o con il ministro Grandi. Fu Vassalli, per es., a porre la prima pietra della riforma del diritto delle obbligazioni, fulcro delicato della politica economica del regime (lettera a Dino Grandi del 14 agosto 1939); a sollevare garbate ma penetranti critiche al modo di concepire i principi generali del diritto alla vigilia del convegno pisano del 1940; e fu lui a reclamare, invano, la modifica dell’ordine dei libri del codice civile (lettera a Grandi del 19 marzo 1942).
Quanto al codice, si sa che Vassalli ne rivendicò esplicitamente la novità ‘politica’. Dallo studio assiduo del nuovo livello di legalità prodotto dall’intreccio tra diritto, politica ed economia, Vassalli aveva tratto la persuasione che il livello generale del codice dovesse essere conservato, ma rinnovato nelle fondamenta. A dispetto di ogni interpretazione in chiave di pura continuità, egli non esitò a presentare quel prodotto come frutto maturo del nuovo corso economico, sbocco di un’economia regolata e diretta dallo Stato, protesa a lasciare «margini assai limitati all’autonomia privata» (Motivi e caratteri della codficazione civile, «Rivista italiana per le scienze giuridiche», 1947, poi in Studi giuridici, 3° vol., 1960, t. 2, p. 622). Un codice consapevolmente teso a creare uno iato rispetto a quello del 1865,
«concepito come un sistema di diritti soggettivi, [mentre] in quello nuovo i diritti subiettivi s’inseriscono come un elemento del quadro più complesso» (p. 621).
Un codice, inoltre, che, per la sua maggiore concretezza, era meno di altri
appartato dalla vita e di continuo sopraffatto dalle leggi speciali, [dato che] all’astrazione dell’homo juridicus il codice attuale fa subentrare, in più regole, una considerazione più concreta dell’uomo, nella varietà dei suoi stati e delle sue attività: l’operaio, l’artigiano, il commerciante, il professionista, il domestico, l’impiegato (p. 625).
Un salto decisivo, dunque, rispetto al pur valido progetto italo-francese del 1927, di cui egli aveva dato a suo tempo un giudizio lusinghiero, benché, «sotto la specie di un omaggio alla storia» esso avesse finito piuttosto «per compiere una violenza alla medesima, non curando gli schemi nuovi che il pensiero s’è creato in quasi un secolo e mezzo di tormento» (Insegnamento e riforme del diritto civile, 1936, in Studi giuridici, 2° vol., cit., p. 472).
Nell’estate del 1943, al «tramonto sanguigno di una civiltà» (Del Ius in corpus, cit., p. 143), dopo che all’università Vassalli aveva proposto pagine del cardinale Giovanni Battista De Luca e del codice svizzero delle obbligazioni, compiendo «una specie di massaggio turco sulle mentalità anchilosate da oltre mezzo secolo di positivismo e nazionalismo giuridico» (Osservazioni di uomini di legge in Inghilterra, 1946, poi in Studi giuridici, 3° vol., cit., t. 2, p. 576 nota 1), egli compose una breve opera da lui definita «qualcosa di semiserio su certi indirizzi della dogmatica giuridica» (Serio e faceto, 1954, poi in Studi giuridici, 3° vol., t. 2, cit., p. 814), contro due recenti costruzioni alternative dello ius in corpus coniugale come diritto reale (F. Carnelutti, Replica intorno al matrimonio, «Foro italiano», 1943) e come diritto di credito (P. Fedele, Postilla, «Archivio di diritto ecclesiastico», 1943), con un excursus storico reso possibile dalla sua ricca biblioteca giuridica e letteraria, non priva di rarità (come Les arrêts d'amour di Martial d’Auvergne, del 15° sec.). In questa operetta in realtà molto seria, che è stata paragonata ai saggi di Montaigne, sotto la superficie di una prosa ironica, tagliente, cristallina, in cui la vena satirica varroniana si sposava a un amaro sorriso oraziano, Vassalli, constatando «l’avvilimento in che è caduto» (Del Jus in corpus, cit., p. 143), ribadiva la sua visione civile del diritto come strumento di elevazione e non di condizionamento dell’uomo, bollando come facezie le rozze esercitazioni riducenti la persona a «pura espressione corporea priva d’ogni umanità» (p. 111).
«Aberrazioni» (p. 126) sulle quali Vassalli tornerà nel suo ultimo scritto, la prefazione alla traduzione italiana (1954) della miscellanea Scherz und Ernst in der Jurisprudenz (1884) di Rudolf von Jhering, un classico della cultura tedesca, al quale lo univa una doppia consonanza: il rifiuto della dogmatica fine a se stessa e la tensione verso un circuito vitale tra teoria e pratica.
Non si può dire che Vassalli avesse accolto con entusiasmo l'ingerenza statuale nei rapporti privati: il suo dissenso, come si è visto, era stato netto nel diritto matrimoniale; più sfumato nel diritto di proprietà e patrimoniale, di cui assecondò il «moto», convinto comunque che ogni soluzione normativa fosse contingente e provvisoria.
Nel secondo dopoguerra, a fronte della difesa delle scelte operate con il codice, che continuò a non ritenere ricollegabili all'ideologia fascista o corporativa, il «giurista europeo» Vassalli non si sottrasse a un franco «esame di coscienza» (Esame di coscienza di un giurista euopeo, 1951, poi in Studi giuridici, 3° vol., t. 2, cit., pp. 765-77): emise una condanna senza appello del dogma statalista e dell’astrazione della personalità giuridica dello Stato, «strumento tecnico della più pesante tirannia dei tempi moderni» (Osservazioni, cit., p. 586 nota 3); irrise ai «progressi del diritto amministrativo, [...] una delle più grosse turlupinature dei tempi moderni» (p. 571 nota 2) e al mito della «sovranità della legge», fonte di «limiti meramente formali» (p. 571 nota 2); contestò la riduzione del diritto civile a «mancipio dello Stato» (Estrastatualità del diritto civile, in Studi in onore di Antonio Cicu, 2° vol., 1951, poi in Studi giuridici, 3° vol., t. 2, cit., p. 755), in nome della sovranità nazionale («un nome senza contenuto», p. 761); la «subordinazione di tutta l’attività economica alla politica degli Stati», «ingerenza passata al diritto delle persone e della famiglia» (p. 759), con grave pericolo di «soppressione della libertà individuale»; puntò il dito contro il rischio di arbitrio del legislatore e della mortificazione del diritto a «strumento d’una classe dominante» (p. 760); denunciò la «inflazione legislativa ad opera di governi, assai più atti a produr gride che a dar soddisfazioni ai bisogni del popolo» (Osservazioni, cit., p. 575), facendo «scadere all’infimo il prestigio della legge e disperdere quel tratto di civile educazione ch’è il rispetto della legge» (p. 575); ripeté il suo «disagio» nei confronti della codificazione, sottolineando
l’ironia del caso se proprio a me, che non sono affatto un entusiasta del sistema delle codificazioni ufficiali […] è toccato di collaborare per venticinque anni ai codici e di scrivere per buoni due terzi il codice civile che governa le nostre faccende (p. 576).
Vassalli accolse invece con favore fenomeni di uscita del diritto dall'«orbita statuale» (Esame di coscienza, cit., p. 776), come i diritti umani, la comparazione (fu particolarmente affascinato dal common law) e le iniziative di unificazione del diritto a livello europeo.
Ai «cultori del diritto», in Estrastatualità del diritto civile, punto d’arrivo di un itinerario coerente, lasciò come testamento spirituale questo messaggio:
Assecondare […] il movimento in atto verso il superamento del dogma statuale e verso il superamento delle barriere tra i popoli. Con che il diritto civile ritroverà appunto la sua indipendenza (p. 762).
In questi discorsi ritroviamo il pensatore che aveva scoperto il segreto del gioco sottile di Scialoja e l’oratore colto, dalla penna facile e scorrevole. Richiamare il diritto ai giuristi: non una formula vuota o a effetto, ma la sintesi coerente di un ideale di civiltà, che fa ascrivere pienamente Vassalli alla nobiltà del diritto.
Il corpus di riferimento per le opere di Vassalli è costituito dagli Studi giuridici, che egli scelse e ripartì in due volumi, pubblicati nel 1939, e che furono riediti dalla facoltà giuridica romana nel 1960, con l’aggiunta di un terzo volume in due tomi.
L’elenco completo delle opere figura in Studi giuridici in memoria di Filippo Vassalli, 2 voll., Torino 1960.
Da segnalare tra gli altri scritti: Del Ius in corpus, del debitum coniugale e della servitù d’amore, ovverosia la dogmatica ludicra, Roma 1944 (rist. anast. con lettura di S. Caprioli, Bologna 2001); In tema di 'epurazione' (Deduzioni alla commissione ministeriale), Roma 1945 .
G.B. Ferri, Le annotazioni di Filippo Vassalli in margine a taluni progetti del libro delle obbligazioni, Padova 1990.
P. Grossi, Il disagio di un ‘legislatore’ (Filippo Vassalli e le aporie dell’assolutismo giuridico), «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 1997, 26, pp. 377-405, poi in Id., Assolutismo giuridico e diritto privato, Milano 1998, pp. 293-321, e in Id., Nobiltà del diritto. Profili di giuristi, Milano 2008, pp. 415-44.
P. Cappellini, Il fascismo invisibile. Una ipotesi di esperimento storiografico sui rapporti tra codificazione civile e regime, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 1999, 28, t. 1, pp. 175-292.
N. Rondinone, Storia inedita della codificazione civile, Milano 2003.
G. Chiodi, Innovare senza distruggere: il progetto italo-francese di codice delle obbligazioni e dei contratti (1927), in Il progetto italo francese delle obbligazioni (1927). Un modello di armonizzazione nell’epoca della ricodificazione, a cura di G. Alpa, G. Chiodi, Milano 2007, pp. 43-146.
M. Stella Richter Jr, Filippo Vassalli preside e la chiamata di Tullio Ascarelli alla Facoltà giuridica romana, «Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni», 2010, 108, pp. 693-728.