ZAMBONI, Filippo
Nacque il 21 ottobre 1826 a Trieste, figlio unico di Antonio, console pontificio, e Luigia Amadio.
Educato sin da piccolo a un’austera fede cattolica, fu messo in seminario a Udine. Passò poi al liceo-convitto di Santa Caterina a Venezia, mostrando presto insofferenza nei confronti dei metodi educativi cui era sottoposto e maturando convinzioni laiche. Risale agli anni della scuola uno dei primi cimenti letterari, il poemetto Il coscritto, di ambientazione siciliana, percorso da afflati patriottici che condivideva con la letteratura coeva.
Trasferitosi a Roma assieme alla madre (il padre era rimasto a Trieste per lavoro), andò a vivere nel rione Campo Marzio.
L’ingresso nel Collegio Romano fu l’evento importante del 1846, patrocinato da papa Gregorio XVI, che teneva in grande considerazione Antonio Zamboni. Ma il ventenne Filippo, renitente alla disciplina della Compagnia di Gesù, s’interessò solo alle lezioni universitarie di Luigi Maria Rezzi, professore di eloquenza ed ex gesuita, che «declamava contro il romanticismo, come forma straniera», e «coll’inculcar di studiare la lingua, parlava dell’Italia» (Ricordi del Battaglione, 1926, p. 29). Durante questi anni si distinse per il suo ribellismo, che gli costò qualche punizione, e per le idee patriottiche, espresse durante le passeggiate con i compagni al cospetto delle rovine di Roma antica. Fu, questo, solo il preludio alla maggiore azione che si sarebbe compiuta di lì a poco. Nel marzo 1848, infatti, entrò a far parte di quel gruppo di volontari formato da studenti, professori e impiegati della Sapienza, che prese il nome di Battaglione Universitario romano e si mosse verso il Veneto austriaco, approvvigionandosi di armi e arruolando uomini durante il cammino. Combatté fra maggio e giugno a Cornuda, Treviso e Vicenza, partecipando allo scontro di Villa Valmarana sui Colli Berici.
Rientrato a Roma dopo la campagna veneta, fu membro della commissione per la riorganizzazione del battaglione, al quale venne preposto il professore di diritto romano Pasquale De Rossi. Zamboni, cui fu affidato il comando della prima compagnia, partecipò così alle vicende della Repubblica Romana contro le truppe francesi. Su ordine di Giuseppe Garibaldi, cui era legato da stima reciproca, il 30 aprile 1849 guidò la sua falange fuori Porta San Pancrazio, venendo ferito durante uno scontro a Villa Pamphilj. In talune occasioni ebbe anche l’incarico di condurre l’intero battaglione, come quando, il 1° giugno, occupò Villa Spada per contrastare i francesi che si trovavano al di là di Ponte Milvio e permettere l’ingresso di un convoglio di viveri da Porta Salaria. Nel corso di quei giorni, nei quali si rese protagonista di atti eroici ma anche, come avrebbe ammesso parlando della ritirata dai Parioli, di «casi di viltà» (ibid., 1926, pp. 100 s.), assunse la custodia della bandiera tricolore, che staccò dall’asta e nascose sotto la propria giubba allorché il 3 luglio 1849 i francesi, entrati a Roma, si accingevano a occuparne l’università (Serra, 2007, p. 51).
Alla fine della Repubblica Romana, costretto ad allontanarsi, partì con la madre e soggiornò in varie città d’Italia, vivendo in condizioni di povertà. Fu a Genova e poi a Torino, ove rivide il padre, che aveva perduto l’incarico consolare per via dell’acceso patriottismo del figlio, e si appassionò al magnetismo animale e all’ipnotismo. Nel 1851 fu a Milano e nei tre anni successivi Venezia, frequentatore delle lezioni di estetica all’Accademia di Belle Arti.
Quando i genitori si trasferirono a Mödling, alle porte di Vienna, dovendo il padre sottoporsi a cura idropatica, Zamboni li raggiunse nell’ottobre 1854. Mantenne sé e i genitori dando lezioni private di lingua e letteratura italiana e ottenendo quattro anni dopo la docenza delle medesime materie presso l’Accademia di Commercio viennese. Contemporaneamente riprese la stesura di un poema sulla Lega Lombarda che, iniziato da adolescente, rimase interrotto al XXIV canto. Fra le opere di questo periodo è la tragedia in cinque atti Bianca della Porta, in endecasillabi, che riportava la vicenda di colei che aveva resistito alle profferte amorose del tiranno Ezzelino, il quale l’aveva resa vedova. Dedicata ai genitori e alle donne padovane, concittadine della protagonista, l’opera venne pubblicata presso i tipi dell’editore viennese Ueberreuter nel 1859. Del medesimo torno d’anni è anche l’Antologia italiana ordinata per secoli ad uso specialmente di scuole mercantili, reali e tecniche, corredata di note in lingua tedesca, che raggruppava tematicamente i testi (per lo più in prosa) e apparve presso i tipi di Lechner (Vienna 1861).
La tragedia di Bianca, ripubblicata da Molini (Firenze 1862), rifluì in un volume che includeva anche lo studio storico-letterario Gli Ezzelini, Dante e gli schiavi presso il medesimo editore (ivi 1864). Esso verteva sulla presenza della schiavitù nella società italiana ed era «condotto su rigoroso fondamento archivistico-documentario e utilizzando fonti letterarie» (Norbedo, 2017, p. 4).
Il testo più noto di Zamboni, il poema drammatico Roma nel Mille (forse già concluso nel 1856), suddiviso in nove parti e accompagnato da dettagliate note storiche, fu edito da Le Monnier (Firenze 1875). L’opera piacque a Giosuè Carducci (già ammiratore del resto di Gli Ezzelini, Dante e gli schiavi), che la paragonò all’Arnaldo da Brescia di Giovanni Battista Niccolini e non esitò a definire l’autore uno degli scrittori più energici dell’Italia democratica in una lettera ad Arcangelo Ghisleri.
Sollecitato da Garibaldi (al quale avrebbe voluto donarla durante una visita a Caprera nel 1872), consegnò la bandiera tricolore del battaglione al Comune di Roma, dopo averla serbata per più di venticinque anni, prima addosso, cucita all’interno dell’abito, poi appesa al soffitto della sua camera. La cerimonia di consegna ebbe luogo il 15 settembre 1875 in Campidoglio, alla presenza del sindaco Pietro Venturi: in segno di gratitudine per la cura prestata e la custodia, lo scrittore quasi cinquantenne ricevette in dono un facsimile dello stesso tricolore, ora conservato al Museo Civico di Trieste. Il discorso pronunciato per l’occasione (Discorso di Filippo Zamboni capitano del Battaglione Universitario mobilizzato dopo che il dì 15 settembre ebbe consegnata in Campidoglio al Comune di Roma l’antica bandiera del suo Battaglione) fu pubblicato dalla Società tipografica dei compositori (Bologna 1877) un anno prima della morte del padre, le cui condizioni di salute si erano nel frattempo aggravate.
Gli anni successivi lo videro impegnato nella redazione di Sotto i Flavi, altro poema drammatico in nove parti, stavolta di ambientazione romana, che faceva convivere le voci di diversi personaggi, fra cui quelle dei Galli insorti. Affidato ai tipi della Tipografia dell’arte della stampa (Firenze 1885), si trattava del primo volume di una serie di Opere di Filippo Zamboni.
Prendendo una pausa dal lavoro poetico, si diede a scrivere articoli e saggi. Sul Corriere della Sera del 27 giugno 1886 comparve così L’ipnotismo a Milano, sotto forma di lettera al direttore del giornale, in cui Zamboni riandava le sue esperienze con il magnetismo animale e l’ipnotismo. Raccolse poi articoli e saggi già editi nel volume Di antichità e belle arti, che venne stampato dall’editore Landi (Firenze 1889). Aperto da una lunga lettera allo studioso Herman Grimm, in cui lamentava le demolizioni di Roma antica perpetrate per far posto a costruzioni moderne, la raccolta includeva fra l’altro I monumenti in Italia (che condensava le note di Roma nell’anno Mille) e un articolo su L’arte italiana all’Esposizione mondiale di Vienna. Fu quindi la volta della lettura pubblica Cristoforo Colombo nella storia dell’umanità e delle leggi universali, che apparve presso i tipi dell’editore Sambo (Trieste 1894).
Nonostante la cospicua produzione letteraria, il nome di Zamboni era poco noto e le sue opere, come lamentato da Benedetto Croce in una lettera indirizzata all’autore (25 dicembre 1901), penalizzate da una scarsa circolazione su cui influì certo anche il carattere poco conciliante dell’uomo (Norbedo, 2017, p. 2). Forse per questa ragione la fine del secolo e l’inizio del successivo avevano visto un significativo diradamento dell’attività scrittoria, se si eccettua il curioso Il fonografo e le stelle e la visione del Paradiso di Dante. Sogni d’un poeta triestino, la cui stampa si dovette ancora a Landi (Firenze 1901). Frutto di una lettura pubblica tenuta nella Sala di Minerva a Trieste (23 aprile 1900) e poi al Politecnico di Vienna (10 giugno), il volumetto sarebbe rifluito nel postumo Il bacio della luna. Pandemonio. Bizzarrie – altra pubblicazione di Landi (Firenze 1911) – figurando in seguito nella biblioteca personale di Italo Svevo. Di questi anni sono anche le liriche Dal Carso a Trieste, Il cocale e A Guglielmo Marconi, comparse su Pagine istriane, IV-VI (1904).
Si spense a Vienna il 30 maggio 1910.
Postumo uscì, a cura della vedova Emilia (nata Emilie Dagnen de Fichtenhain), il volume Ricordi del Battaglione Universitario romano (1848-1849), cui l’autore aveva atteso negli ultimi anni di vita, presso i tipi di Parnaso (Trieste 1926).
Archivio F. Z. del Civico museo di storia patria di Trieste.
Si vedano poi E. Gianelli, F. Z. e il suo poema..., Trieste 1907; A. Gentile, F. Z., in Archeografo triestino, XXXIV (1911), pp. 345-370; Lettere di F. Z. a E. Gianelli, a cura di E. Gianelli, Trieste 1911; Dalle opere di F. Z., a cura di F. Pasini, Lanciano 1916, pp. 7-37; L. Gasparini, Un’amicizia ignorata del Carducci..., in Nuova Antologia, LXX (1935), pp. 562-90; N. Serra, Il Battaglione Universitario..., in Informazioni della Difesa, IV (2007), pp. 47-51; R. Norbedo, Tra storia e letteratura..., in L’Italianistica oggi: ricerca e didattica. Atti del XIX Congresso dell’ADI..., Roma... 2015, a cura di B. Alfonzetti et al., Roma 2017, https://air.uniud.it/retrieve/handle/11390/1187422/487979/Zamboni%20tra%20storia%26amp%3bletterat.pdf.pdf.