LANGOSCO, Filippone di
Figlio del conte palatino di Lomello Riccardo e di una Beatrice, di ignoto casato, la sua nascita può essere collocata intorno al 1250.
Il L. ereditò il programma politico del padre, morto nei tumulti di Pavia del marzo 1288, in seguito ai quali egli fu esiliato dalla città; qui tuttavia rimasero i suoi sostenitori, fra cui Guizzardo Isimbardi, che nel 1289 assunse la carica di podestà dei milites, mentre il L. stringeva rapporti politici con il marchese di Monferrato Guglielmo VII. La sua azione impedì a Manfredi Beccaria di impadronirsi del potere. In quell'anno, il L. e il suo partito, forti dell'alleanza con Guglielmo VII, riconquistarono la città, obbligando Beccaria a rifugiarsi presso l'arcivescovo di Milano, Ottone Visconti. La rottura dei Langosco e di Guglielmo VII con Ottone era ormai definitiva: i due eserciti si fronteggiarono in Lomellina, fra Bassignana e Lomello, senza scontri militari. Le trattative si conclusero attribuendo al marchese di Monferrato la carica di capitano di Pavia per dieci anni. Tuttavia il suo governo fu breve, in quanto nel 1290 egli fu preso prigioniero dagli Alessandrini; a Pavia rientrarono subito i Beccaria e Manfredi fu nominato capitano del Popolo per dieci anni, mentre il L. e il suo schieramento abbandonavano di nuovo la città. Il potere dei Beccaria durò per cinque anni, ma già a partire dal 1294 si erano riaperte le controversie tra i due partiti politici per assicurare la successione al vescovo Guido Zazzi, che era morto. I Beccaria imposero il loro congiunto Ottone, preposito del capitolo cattedrale, che tuttavia venne presto a morte. I Langosco conseguirono allora un successo, perché Guido, fratello del L., divenne vescovo nel 1295 con l'aiuto di un motu proprio di Bonifacio VIII, che in precedenza si era servito delle sue capacità diplomatiche per due importanti legazioni religiose.
Gli scontri tra i due gruppi politici si accentuarono e il L. riuscì a bandire da Pavia gli avversari. Iniziava la sua signoria sulla città, ma egli acquisì il comando gradualmente, così da garantire la formale continuazione delle autonomie comunali; sembrava che governasse con l'accordo dei cittadini, senza sovrapporre la propria autorità.
Inoltre la carica episcopale del fratello era utile per garantire stabilità al suo potere e per favorire i fautori della famiglia comitale. Per esempio, nel gennaio 1296, Guido cedette in beneficio il castello di Trivolzio con i diritti giurisdizionali e con tre quarti delle decime a una famiglia di potenti alleati del L., i Bellingeri di Bassignana. Era così possibile realizzare accordi politici con i milites del contado per consolidare, con clientele armate, il predominio sulla città. Infine il L. mirava ad attribuire le principali cariche pubbliche a membri del proprio casato o a persone del suo partito politico.
La sua abilità gli permise anche di richiamare dall'esilio Manfredi Beccaria, che per qualche tempo accettò di sottomettersi al potere del rivale. Tuttavia, nel 1299, con un colpo di mano Manfredi fu eletto capitano del Popolo e forte di questa carica tentò di riacquisire il potere, costringendo il L. e i Langosco a far lega con il marchese Giovanni I di Monferrato. A loro volta i Beccaria si appellarono a Matteo Visconti di Milano, il quale si interpose come mediatore tra le parti. Nel 1300 il L., che si era ritirato con i suoi armati a Lomello, accettò l'arbitrato di Matteo, che prevedeva la consegna di 20 ostaggi e la possibilità di rientrare in Pavia con 900 soldati. La tregua fu subito rotta e il L. con le sue milizie sconfisse ancora una volta i Beccaria, restando unico signore della città. Matteo apprezzò l'azione e per legare a sé il nuovo signore propose il matrimonio di sua figlia Zaccarina con Ricciardino (o Riccardino), primogenito del L.; si trattò però di una breve parentesi di pace, poiché il Visconti, per allearsi con Pietro Rusca di Como, diede poi in sposa la figlia a Ottorino Rusca. Il L. ne rimase offeso e guidò un esercito contro Milano, che fu validamente difesa da Galeazzo Visconti. Nel 1302 Galeazzo tentò di impadronirsi di Pavia, ma il L. lo respinse e si adoperò per costituire una lega contro Milano, di cui fecero parte il marchese di Monferrato e le città di Novara, Vercelli, Piacenza, Lodi e Cremona. Dopo alcuni scontri, Matteo Visconti fu costretto ad abbandonare il centro metropolitico, ove era scoppiata una rivolta.
A Milano, con l'esercito della lega, desideravano rientrare i Torriani; infatti Fissiraga, signore di Lodi, aveva convocato su sollecitazione del L. una riunione di aderenti alla medesima lega, chiamata Talea militum et peditum partis Ecclesiae Lombardiae, e i due avevano convinto gli alleati a permettere agli eredi di Napoleone Della Torre di ritornare nella loro città. Se il padre del L. aveva favorito la vittoria di Ottone e dei Visconti, suo figlio impose la loro cacciata da Milano e il ritorno dei Torriani. Si creava in questo modo un'alleanza tra i Langosco e i Della Torre, cementata nel 1302 dal matrimonio tra Brumisunde, figlia del L., e il capo di quel gruppo parentale, Guido, il quale, sotto la protezione della lega, nel 1307 divenne capitano del Popolo e nel 1308 signore perpetuo di Milano.
La guida della Talea nel 1304, dopo un incontro a Cremona nel settembre, era passata nelle mani del L., che tra il settembre e il novembre di quell'anno lottò contro Alberto Scotti e contro i Piacentini, uniti ai Beccaria, e riuscì a sconfiggerli e a conquistare Bobbio, il castello di Arena e altre fortezze nell'Oltrepò. Sempre nel 1304 egli aiutò Giovanni I di Monferrato a combattere contro gli Astigiani. Il 1305 fu un anno fortunato per il L., in quanto ottenne dal Consiglio di credenza il titolo di governatore dei milites, del Popolo e dei paratici (le arti), che, secondo Vaccari, gli permetteva di scegliere podestà di sua fiducia, pur lasciando sussistere le precedenti istituzioni; inoltre suo figlio Ricciardino fu eletto podestà di Milano.
Il 18 genn. 1305 Giovanni I di Monferrato, nel suo testamento, redatto poco prima di morire senza eredi diretti, affidò la protezione del suo Marchesato al L. e al Comune di Pavia sino all'insediamento del suo successore, che fu Teodoro I Paleologo, figlio dell'imperatore di Bisanzio. Il L. nel maggio dello stesso anno fu eletto, con Guido Della Torre, arbitro per risolvere una vertenza tra il Marchesato e il Comune di Vercelli per il possesso della località di Trino.
Durante il corso della vertenza, il L. guidò vittoriosamente l'esercito della Talea contro i Visconti, che tentavano di rimettere in Bergamo i Suardi. Il suo potere subì una scossa nel 1307, quando egli si oppose a Carlo II d'Angiò, re di Napoli, e alle città e ai signori che lo favorivano. Un esercito di Angioini, comandato da Filippo di Savoia, lo sconfisse e il L., preso prigioniero, fu rinchiuso nelle carceri sabaude per sei mesi.
In questo periodo il potere a Pavia fu esercitato dal figlio Ricciardino, che assunse la carica di governatore e difensore dei milites, del Popolo e dei paratici. Accanto a lui agiva come vicario Rufino di Mede, appartenente a un altro ramo dei conti di Lomello.
Liberato, il L. nel 1308 si accordò di nuovo con gli altri capi della lega e con Guido Della Torre, che ormai era in lite con il suo parente Cassone, divenuto arcivescovo di Milano. Essi, per garantire stabilità al loro dominio, rinnovarono per altri dieci anni la Talea, ma un improvviso evento scosse la sicurezza dei collegati: il 6 genn. 1309 ad Aquisgrana i grandi elettori tedeschi incoronarono re di Germania Enrico VII di Lussemburgo, che dichiarò di voler scendere in Italia per assumere la corona imperiale.
Per portare a termine il progetto, il re inviò in Italia alcuni commissari con il compito di far cessare gli scontri tra le fazioni e di preparare le condizioni per la pace tra le città e tra i casati in lotta. Nella primavera 1310 i commissari giunsero a Pavia e furono ricevuti dal vescovo Guido di Langosco e dal L., signore della città. Gli ambasciatori scrissero a Enrico VII che i due conti erano disposti ad accoglierlo, nel suo viaggio verso Roma, come loro signore naturale.
Tuttavia, a giugno, dopo la visita dei commissari a Guido Della Torre, in Milano si riunirono tutti i capi della Talea, fra cui il L., Fissiraga, Guglielmo Cavalcabò di Cremona e Simone Avogadro di Vercelli e forse Guglielmo Brusati di Novara: il L. si mostrò indeciso, poiché, in quanto conte palatino, non voleva ribellarsi al sovrano. La sua famiglia aveva ricevuto dall'Impero iura et honores e quindi egli riteneva che fosse necessario accordarsi con Enrico VII.
La stessa posizione tenne Fissiraga; a convincere il L. non valsero le parole di Cavalcabò e di Avogadro, che sostenevano che solo una comune decisione di combattere il re avrebbe permesso alla Talea di sopravvivere. La riunione si sciolse senza conclusioni chiare, mentre Guido Della Torre non riusciva a imporre la sua volontà di resistere a Enrico VII.
Ai primi del novembre 1310 i signori di Lombardia, fra cui il L., che comandava 400 cavalieri pavesi, raggiunsero il re a Torino, mentre Guido Della Torre, seguendo i consigli del L., rimaneva a Milano. Enrico VII espose loro il suo progetto di pacificazione generale, che comportava il rientro nelle città dei fuorusciti politici, allo scopo di eliminare per sempre gli odi. Le parole del re turbarono il L., per il timore di un ritorno dei Beccaria, che non aspettavano altro per ripagare i Langosco con la stessa moneta dell'esilio; egli allora consigliò Enrico VII di rimandare il provvedimento a un periodo successivo all'incoronazione romana. Qualche giorno dopo il re raggiunse Asti, ove si presentò alla sua corte Matteo Visconti per rappacificarsi con i suoi nemici, il L. e Fissiraga, che respinsero questo tentativo, tanto che il sovrano sostenne che essi avevano fatto pace solo a metà.
Il 29 novembre il L. entrava a far parte del Consiglio reale, insieme con Avogadro, Fissiraga, Matteo Visconti e Beccaria. In quel momento i capi della Talea compresero che occorreva rompere gli indugi e organizzare subito la lotta contro il re e contro i loro antichi nemici. Solo l'arcivescovo Cassone Della Torre ad Asti firmava una pace apparentemente vantaggiosa con Matteo Visconti. Il 23 dic. 1310 il re, la corte e l'esercito giunsero a Milano, dopo aver rifiutato il consiglio del L. di recarsi a Pavia.
Il L. sperava con quella proposta di togliere il genero Guido Della Torre dall'imbarazzo di dover ricevere il re e di giurargli fedeltà. Guido si trovò infatti in gravi difficoltà ed Enrico VII il 27 dicembre - nel palazzo del Broletto, alla presenza anche del L. - pronunciò la sentenza arbitrale con cui si rappacificavano in modo forzato i Visconti con i Torriani, permettendo a Matteo di rientrare in città con tutti i suoi antichi diritti e possessi.
Il giorno dopo, il L. era presente al giuramento di fedeltà al re, prestato nel medesimo luogo da parte dei rappresentanti dei Comuni di Parma e di Piacenza, ma fu registrato solo negli atti di quest'ultima città con il titolo di conte di Lomello. Intanto il 3 genn. 1311 a Pavia il podestà Pelavicino dei marchesi Pelavicini decise di inviare i giuristi Benvenuto da Campisio e Musso dei Guasconi a Milano presso il re per consegnargli la città con tutti i poteri giurisdizionali, compreso quello di istituire e di destituire i podestà, i consoli di Giustizia e i magistrati. Il dominio del L. nel territorio pavese era finito.
Il 6 gennaio egli assistette in S. Ambrogio alla solenne incoronazione di Enrico VII, poi, qualche giorno dopo, dovette sottoscrivere la pace, forse mediata da Matteo Visconti, tra i rappresentanti del Comune di Pavia e i Beccaria, che in questo modo furono riammessi in città. Le parti politiche si riorganizzarono e la sicurezza venne meno dovunque: il 12 febbraio Guido Della Torre e Matteo Visconti con le loro rispettive fazioni si scontravano in Milano, mentre nella mischia intervenivano anche i cavalieri tedeschi in favore dei Visconti. I Torriani furono sconfitti e cacciati, tuttavia Enrico VII, per desiderio di giustizia, allontanò da Milano anche Matteo e suo figlio Galeazzo. Il L. non si lasciò coinvolgere negli eventi e il re dovette ricompensarlo con la concessione in feudo di Casale Monferrato. Inoltre gli chiese di intervenire su Guido Della Torre, insieme con Amedeo V di Savoia, per stabilire le condizioni del perdono e per poterlo in questo modo riportare a corte. Il 27 febbraio il L. giurò di svolgere correttamente la sua opera di mallevadore verso gli impegni presi da Guido e di combattere il genero, se questi si fosse di nuovo comportato da traditore nei confronti del re. Tuttavia, per togliere il L. dalle difficoltà, il Della Torre, sottoscritti i patti, fuggì subito a Cremona presso Guglielmo Cavalcabò, che organizzava la resistenza contro i Tedeschi, e fu pertanto solennemente condannato.
Mentre le città della Talea a una a una si ribellavano ai vicari di Enrico VII, il L. continuava a rimanere a corte, anche quando Fissiraga, inviato per calmare gli animi dei cittadini dei Comuni lombardi in rivolta, non ritornò a Milano dalla sua Lodi, affermando di essere stato imprigionato dai Lodigiani. Il L., che aveva garantito per lui, si trovò in difficoltà, ma protestò la sua continua fedeltà al re.
Fissiraga ritornò in seguito a corte e, su intercessione del vicario generale Amedeo V di Savoia, fu perdonato, a patto che assicurasse la resa di Lodi al sovrano, evento che, dopo qualche difficoltà, si realizzò puntualmente.
L'11 apr. 1311, giorno di Pasqua, Enrico VII armò cavalieri il L. e suo figlio Ricciardino a Pavia, dove il re si era recato con l'esercito per le celebrazioni pasquali, essendo Milano interdetta, e dove rimase sino al 15 aprile.
Il 2 aprile, a Milano, Enrico VII aveva rinnovato ai rappresentanti del consorzio familiare dei conti di Lomello, fra cui il L., tutti i loro possessi, entro i quali spiccavano Langosco e Sparvaria, Gambarana, Mede, Nicorvo, Ceretto, località da cui avevano preso il nome i diversi casati comitali. Nel documento si confermava il privilegio di portare la spada imperiale, ma solo in Lombardia, e lo ius constituendi iudices ordinarios (e i notai) in tutto il territorio dell'Impero. Inoltre essi avrebbero potuto estrarre l'oro dalle sabbie del Po, dalla confluenza del Tanaro sino a quella dell'Agogna.
Alla fine della primavera 1311 anche Brescia si ribellò; pertanto il re, l'esercito e la corte si trasferirono davanti alle mura della città, ove il 13 luglio, nonostante le opposizioni del L., il sovrano concesse il vicariato regio su Milano a Matteo Visconti per 50.000 fiorini d'oro. La carica avrebbe avuto durata illimitata, ma sarebbe scaduta quando il re avesse restituito il denaro datogli a titolo di mutuo. Due giorni dopo l'arcivescovo Cassone Della Torre si riconciliava di nuovo con Matteo e garante delle buone intenzioni del prelato fu ancora una volta il L. che, dopo la capitolazione di Brescia, avrebbe dovuto ospitare il re a Pavia, per la celebrazione di una Dieta nell'ottobre 1311.
Il L. ora dominava la città; il suo potere perdurò anche dopo la morte del vescovo Guido, suo fratello, avvenuta nel giugno 1311, quando era stato cacciato Manfredi Beccaria, che in ottobre era poi rientrato. Il re fu solennemente accolto dal L. entro le mura, ma poiché era accompagnato da un esiguo numero di milites e non si fidava del L., chiese a Matteo Visconti di raggiungere Pavia con un piccolo esercito di fedeli cavalieri. Il L. chiuse allora le porte della città e non volle far entrare Matteo, se prima non avesse licenziato i suoi milites, con la giustificazione che egli era venuto non per difendere il re, ma per restaurare il potere dei Beccaria. Con queste premesse la Dieta si sciolse senza definire nulla. Nel frattempo a Bologna Guido Della Torre, Giberto da Correggio e i Fiorentini riorganizzavano la Talea guelfa e si impegnavano a sostenere finanziariamente l'esercito della stessa, la cui guida fu affidata a Giberto, che nel gennaio 1312 sposò Elena, figlia del L., che aveva finalmente rotto i rapporti con Enrico VII, passando insieme con la Comunità di Pavia nel campo della Chiesa. In primavera il L. intervenne a Vercelli e cacciò i Tizzoni dalla città, restaurando il potere degli Avogadro; in seguito realizzò insieme con i confederati guelfi e Ugo Del Balzo (de Baux), senescalco del re di Napoli, Roberto d'Angiò, un trattato di alleanza con cui questo sovrano si impegnava a rimettere i Torriani in Milano ed essi in cambio gli avrebbero ceduto la signoria perpetua della città. Iniziarono le guerre anche contro Casale Monferrato, che si era ribellata al L., e contro i domini di Filippo di Savoia Acaia, vicario imperiale, il quale sconfisse ripetutamente il L. e prese prigioniero il figlio Ricciardino. Tuttavia il dominio del L. su Pavia era sempre saldo, ma Enrico VII, dopo essere stato incoronato imperatore a Roma il 29 giugno 1312, da Pisa dichiarava guerra ai Pavesi e poneva al bando tutti i membri della consorteria dei conti di Lomello.
L'attività militare del L. non cessò, anzi, alleatosi con Giberto da Correggio organizzò un grande attacco contro Piacenza, tenuta da Galeazzo Visconti. I Pavesi, navigando con una flotta sul Po, avrebbero dovuto attaccare la città dalla parte del fiume, mentre i Parmensi e gli estrinseci di Milano, Lodi, Piacenza e Cremona avrebbero scalato le mura sugli altri lati; ma gli assalitori non coordinarono la loro azione e Galeazzo il 9 agosto riuscì a fronteggiare i Pavesi e a sgominarli. Il cavallo del L. venne ferito ed egli fu catturato; tentò di suicidarsi, ma fu salvato e condotto prigioniero a Milano, ove fu rinchiuso in un carcere del broletto.
I suoi figli, Gherardino, Ricciardino e Guido, aiutati da Niccolò Malaspina, vicario a Pavia di re Roberto d'Angiò, continuavano a mantenere la signoria sulla loro città, mentre Luchino Visconti nell'ottobre 1314 assaliva la Lomellina. Furono conquistati i castelli di Ottobiano e Ferrera, mentre Robbio e Nicorvo resistettero. Ad Albonese avvenne un durissimo scontro, durante il quale Guido fu catturato e inviato nella stessa prigione del padre, nella quale era pure detenuto Fissiraga. Stretti da ogni parte, Gherardino e Ricciardino resistettero ancora un anno; tuttavia, nella notte del 6 ott. 1315, Stefano Visconti entrò di sorpresa in Pavia, i due si difesero eroicamente, ma furono uccisi. Con i Visconti ritornavano in Pavia i Beccaria, che cercarono di impadronirsi anche del castello di Lomello e delle proprietà dei Langosco, ma ormai la signoria sulla città era passata di fatto a Matteo Visconti, che nominava direttamente il podestà.
Il L. rimase a lungo prigioniero nel broletto, poiché il signore di Milano il 28 novembre e il 3 dic. 1317 rifiutò di obbedire all'ordine dei legati di papa Giovanni XXII, di liberarlo con il figlio Guidotto e con Fissiraga. Per questo Matteo fu scomunicato; tuttavia era chiaro che il papa, chiedendo la liberazione del L., non intendeva compiere un atto di pietà, bensì utilizzarlo contro i Visconti.
Nel 1320 il L. era ancora vivo, ma era di certo già morto quando il cardinale Bertrand du Poujet, l'8 nov. 1322, riuscì a cacciare per breve tempo Galeazzo Visconti da Milano e a liberare tutti i prigionieri politici.
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