FILODRAMMATICI o Dilettanti
A differenza dei comici professionisti del teatro (v. attori), i dilettanti sono attori che recitano per passione o diletto, senza proporsi scopi di lucro. Col nome di filodrammatici in Italia si sono poi designati dilettanti più o meno stabilmente organizzati.
Dal fatto che, almeno nei paesi i quali hanno avuto una letteratura spontanea e non importata dall'estero, le origini del teatro drammatico sono state sempre strettamente connesse al rito religioso, è venuto di conseguenza che i primitivi attori non sono stati professionisti, ma, sia pure in varia misura, ministri del culto o persone a esso partecipi, i quali hanno agito per fini spirituali o edificanti. Alla citata voce attori è detto come, dall'alto Medioevo fino al Rinascimento, i comici professionisti si riducessero quasi esclusivamente alla classe dei buffoni e dei giullari; mentre il più importante teatro, sia quello sacro, affidato a corporazioni e a organizzazioni religiose, sia quello erudito, normalmente interpretato da studiosi, sia stato campo riservato quasi per intero ai dilettanti (nel senso di non professionisti).
Italia. - Dilettanti e commedia dell'arte. - Anzi è importante notare che se questo stato di cose viene, per la prima volta, interrotto in Europa da quegli attori italiani di mestiere, detti perciò appunto comici "dell'arte", anche nel Rinascimento certi spettacoli che si sogliono considerare come precursori appunto della commedia dell'arte furono creazioni di dilettanti. Dilettante era, per es., l'attore-autore Angelo Beolco, che apparteneva a famiglia benestante, e si dilettava di prodursi nel suo prediletto tipo del "Ruzzante" soltanto durante la stagione di carnevale, escludendo da coteste sue rappresentazioni l'immediato scopo del guadagno. Pratica a cui accedettero anche altri uomini insigni dei secoli successivi: come Salvator Rosa, il quale si divertiva a presentarsi al pubblico romano fuori di Porta del Popolo, in compagnia di giovani della società agiata, nella maschera di "Pascariello"; o come, nel sec. XVIII, il marchese Francesco Albergati-Capacelli che, prima di divenire amico del Goldoni e fautore della sua riforma, si compiaceva di partecipare, come dilettante, a commedie dell'arte.
Teatro erudito. Accademici. - Ma di dilettanti son pieni anche i secoli del maggior fervore del teatro, ossia quelli che vanno dal Rinascimento a tutto il Settecento, specialmente per merito dei cultori delle varie branche del teatro erudito: commedia classica antica; commedia degli umanisti, e in genere degli autori italiani del Cinque e del Seicento; dramma pastorale; tragedia, ecc. Primi tra essi i membri delle innumerevoli accademie. Alla fine del Quattrocento, Pomponio Leto faceva rappresentare, dai suoi compagni dell'Accademia Romana, in più sedi della città papale e anche a Castel Sant'Angelo e nel Foro, opere drammatiche della classicità greca e latina. Nel 1514 i soci dell'Accademia degl'Immobili, costituenti la Compagnia della calza, recitavano in latino il Miles Gloriosus di Plauto. Sarebbe inutile fare qui l'interminabile elenco delle commedie plautine e terenziane che accademici e studenti si dilettarono, tra la fine del sec. XV e il principio del XVI, di rappresentare nei principali centri italiani, in traduzioni generalmente fiacche e prolisse ma pregiate dall'intellettualità del tempo. Talvolta si trovavano fra essi membri dell'aristocrazia, gentiluomini e letterati di rango anche principesco: a Ferrara il prologo della Lena dell'Ariosto fu detto dal principe Francesco; e negli Adelfi di Terenzio (recitato in latino) figuravano figli e figlie di Ercole II. Poeta e dilettante fu un pittore insigne, Giulio Romano; Giraldi Cinzio afferma che nell'Orbecche, nella Cassaria e nella Lena, fu eccellente Sebastiano di Montefeltro. Nel 1555 l'Accademia dei Fantastici di Firenze rappresentava con gran successo l'Assiuolo del Cecchi, L'errore del Gelli, ecc. E quando i comici di mestiere, col progredire dei meccanismi teatrali e in genere dell'apparato scenico, profittano largamente delle spettacolose meraviglie care al gusto barocco del Sei e del Settecento, anche i dilettanti accademici non esitano a seguirli su questa via. Gli accademici gareggiano con i comici dell'arte, e con gli stessi artisti lirici, anche nel campo musicale; legando così, talvolta, le iniziative di questa o quella accademia alla storia del teatro, sia drammatico sia lirico. Basti ricordare che un genere dei più originali, e importante anche per i suoi postumi sviluppi, la Commedia rusticale, fu largamente favorito dalle rappresentazioni dei membri dell'Accademia dei Rozzi in Siena.
Teatri dei collegi. - Altro vasto nucleo di dilettanti è quello fornito, per costumanza durata lunghi secoli, e tuttora in vita, dagli allievi dei collegi, maschili e femminili. Una tradizione tipicamente cattolica, che può rannodarsi a certe pratiche musicali favorite tra i fanciulli dal Savonarola a Firenze (sec. XV) e poi da San Filippo Neri in Roma (sec. XVI) ma che in seguito fu coltivata specialmente dai gesuiti e dalle altre congregazioni religiose foggiate sul loro modello, fu quella dei teatrini negli istituti d'istruzione e di educazione. In Italia questa pratica, quantunque non raggiungesse l'importanza cui pervenne in Germania e anche in Francia, ebbe un carattere più moraleggiante o ricreativo che non propriamente artistico, il suo principale prodotto letterario, di valore documentario meglio che estetico, sono forse le tragedie scritte per soli personaggi maschili dal gesuita Saverio Bettinelli. (E del resto si conosce a quali strani ripieghi, non di rado involontariamente comici, siano giunte per forza di cose certe scolastiche rappresentazioni di opere drammatiche, originariamente scritte con personaggi dei due sessi, in riduzioni con tutti i personaggi di un sesso solo).
Società filodrammatiche. - Alla fine del sec. XVIII accanto alle accademie, talvolta sorte da esse e tal'altra assolutamente distinte, fioriscono in tutta Italia le cosiddette società filodrammatiche, le quali s'ingegnano a recitare dovunque trovano posto: nei cortili e nelle osterie, negli alberghi e nelle sale dei palazzi aristocratici. È da allora che gli antichi dilettanti cominciano ad assumere con predilezione il nome di "filodrammatici"; e le loro organizzazioni si studiano d'imitare, in parte, le costituzioni degli attori di mestiere. Questi filodrammatici, provenienti da varie classi sociali, non sempre erano in grado di sostenere le spese degli spettacoli; donde i compensi richiesti sovente in varie forme al pubblico: compensi che servivano soltanto a sostenere le spese, in tutto o in parte.
Ricordare i filodrammatici italiani, anche i più celebri, sarebbe impossibile; nei loro elenchi si dovrebbe annoverare gran parte delle più insigni casate italiane, del nord, del centro e del sud; e si sa che una vasta letteratura, della cui sincerità ci è impossibile giudicare oggi, ha dispensato lodi magniloquenti a dame e gentiluomini, proclamandoli rivali fortunati dei veri attori. A questo genere di dilettanti appartengono anche insigni autori: si veda ciò che racconta il Goldoni, nei primi capitoli delle sue Memorie, delle sue prove d'attore adolescente (in un ruolo femminile, La sorellina di Don Pilone del Gigli) nel palazzo Antinori di Perugia; si ricordino le recite dell'Antigone di Vittorio Alfieri nel palazzo del duca Grimaldi in Roma, dove l'autore sostenne la parte di Creonte, avendo a compagni gentiluomini dell'aristocrazia romana. Anche Vincenzo Monti fece rappresentare il suo Aristodemo nel teatrino dell'Accademia degli Imperiti, al quale affluiva la borghesia. E Teresa Pickler, sposa del Monti, e il Monti stesso figurarono in altri lavori, specie a Milano, nel Caio Gracco.
Importanza delle Filodrammatiche. - Nell'Ottocento l'attività delle filodrammatiche, pure essendo sempre grandissima, diminuisce tuttavia d'importanza letteraria, nel senso che esse non hanno influenza molto notevole né sulla creazione né sulla divulgazione di opere nuove; il caso del Goldoni e le sue sedici commedie di Paolo Ferrari, rivelato per la prima volta dai dilettanti della fiorentina Accademia dei Fidenti, è affatto eccezionale; le novità degli scrittori di qualche importanza sono, come avviene anche oggi, affidate all'interpretazione degli attori di mestiere. Ma importanza grande seguitavano ad avere le società filodrammatiche: come focolare e vivaio di futuri attori; ché in quel secolo, se due terzi forse degli artisti ammirati sul palcoscenico italiano provenivano dalla cosiddetta "famiglia d'arte" e dalla ribalta, l'altro terzo vi giungeva dalle filodrammatiche, a cui spesso non difettavano buoni ed eccellenti maestri. L'Accademia dei Filodrammatici di Milano sorse addirittura con l'ambizioso scopo di risollevare le sorti del teatro nazionale; ed Eugenio Beauharnais, anch'esso ex-dilettante, la proteggeva e l'incoraggiava, sognando di farne una scuola per attori e un teatro sperimentale per autori. Ed essa ebbe, infatti, una serie di direttori più o meno celebri; prima Pietro Andolfati, poi F.A. Bon, Giacomo Landozzi, Alamanno Morelli, ecc.: tradizione non del tutto spentasi nemmeno ai tempi nostri, ché tra la fine del secolo scorso e il principio di questo essa ha avuto ancora a capo artisti noti, come Teresa Boetti, Enrico Reinach, Ettore Berti. A Firenze la citata Accademia dei Fidenti ebbe a direttore un Filippo Berti, che educò molti attori poi passati con fama sulle tavole del palcoscenico: il Ferrati, la Boetti, Virgilio Talli. Tra gl'insegnanti delle filodrammatiche di Torino (cui in origine appartenne anche il commediografo Alberto Nota), troviamo Carolina Malfatti; tra i suoi dilettanti Cesare Rossi, Giacinta Pezzana, Ciovanni Emanuel. A Roma fu celebre la Filodrammatica Romana, che anche dopo la caduta del potere temporale continuò per lungo tempo a essere prediletta dalla società aristocratica e da quell'alta e media borghesia rimaste anche politicamente fedeli al pontefice: ne uscirono attori noti, come la romana Ida Carloni Talli e l'istriano Antonio Gandusio. Infine, dalle filodrammatiche fiorite in moltissime altre città (da Napoli a Vicenza, da Reggio Emilia a Noto di Sicilia) uscirono molti attori che hanno grandemente onorato l'arte italiana: Giuseppe Moncalvo, Ernesto Rossi, Edoardo Ferravilla, Ferruccio Garavaglia, Virginia Reiter, Ruggero Ruggeri, Maria Melato, ecc.
Oggi una delle più vaste istituzioni del regime fascista, l'O.N.D., ha inquadrato nei suoi ranghi la maggior parte delle filodrammatiche esistenti in Italia, circa tremila: e alla sua organizzazione hanno acceduto anche molte delle filodrammatiche cattoliche che pure costituiscono, numericamente, un forte nucleo. Frequentate da un pubblico domenicale numerosissimo, esse occupano ormai, quantitativamente, un posto assai ragguardevole (anche ai fini dei diritti d'autore) nella vita del teatro italiano, in grazia dei bassi prezzi che possono praticare, con grandi agevolazioni per quelle classi del popolo e della piccola borghesia respinte per ragioni finanziarie dagli spettacoli regolari. Sana tendenza sarebbe quella di servirsene, non solo come d'un passatempo onestamente ricreativo ed eventualmente anche educativo, ma anche come d'una forza che disciplinata, potesse collaborare nel campo artistico col vero teatro.
Francia. - Medioevo. - Nella voce attori si parla delle organizzazioni religiose d'attori non professionisti, che recitavano il dramma sacro, e di quelle di studenti, scrivani, ecc. (Basochiens, Enfants sans soucy, Cornards, ecc.). Queste organizzazioni di dilettanti in Francia, come in genere fuori d'Italia, durarono più a lungo che in Italia, dove veramente s'inizia la tradizione degli attori professionisti.
Teatri di studenti. - Il nuovo teatro francese sorge tuttavia, in buona parte, per opera di dilettanti, e segnatamente di studenti. Nel collegio Boncourt esso si afferma con due lavori di Jodelle: Cléopâtre captive, tragedia, ed Eugène ou la rencontre, commedia: alle cui rappresentazioni partecipano professori e personaggi notissimi. Nei collegi di Beauvais (1558) e di Harcourt (1576) si recitano tragedie e commedie. E non è affatto da escludere che qualche scolaro da dilettante si sia trasformato in attore, soprattutto quando Jodelle passa a fornire lavori ai commedianti che si vanno fissando a Parigi. La vita teatrale nei collegi seguita a svilupparsi, rinnovando attori-dilettanti e autori: tra i quali è Montaigne, che ha studiato a Bordeaux, e serberà i suoi successi di comico-dilettante tra i ricordi più cari. Lo sviluppo del teatro pubblico produce una modificazione nel repertorio dei collegi, nei quali sull'esempio di altre nazioni s'introduce, al principio del sec. XVI, la tragedia latina.
Tragedie e commedie latine scrivono e fanno recitare dai loro allievi i gesuiti. Al 1579 si suole ascrivere l'inizio del loro teatro - che durerà a lungo e si svilupperà con magnificenza - al Collegio Clermont, con Hérode. Il teatro dei gesuiti tende a correggere e moralizzare, in contrasto con la licenza, talvolta eccessiva, dei teatri pubblici: e acquista tale credito che è onorato qualche volta dal re e dalla corte, mentre i suoi allievi sono invitati a dare rappresentazioni alle Tuileries. Gli spettacoli assumono una tale magnificenza, che il teatro del Collegio di Louis-le-Grand è detto "scuola di buon gusto" e i suoi attori-dilettanti, di fronte ai "comédiens du Roi", sono detti i "comédiens du Pape". Al collegio dei gesuiti hanno i loro inizî Molière e Dancourt. Ma nel 1762 i gesuiti sono costretti a chiudere i loro collegi e quindi a sospendere le loro rappresentazioni.
Il teatro non si era ristretto al Collegio dei gesuiti, ma in determinate occasioni si affermava in tutti i collegi aristocratici. Per quello delle Demoiselles de Saint-Cyr, che ha dato alla scena varie brillanti attrici, Racine scrisse, su invito della Maintenon, Esther e Athalie. Poi con la crescente affermazione del teatro pubblico e con la tolleranza per i comici di mestiere, i dilettanti, sia di collegi e congregazioni, sia di società private, perdono la loro influenza sullo svolgimento del teatro letterario: sebbene da essi escano spesso attori e attrici che acquistano notorietà nell'arte, fin sulle scene della Comedie.
Dilettanti gentiluomini e "teatro di società". - I saloni del Settecento videro, un poco in tutta la Francia, dame e gentiluomini recitare la commedia, assai di frequente istruiti e diretti da commedianti; lo stesso Luigi XIV aveva salito le scene per figurare in un ballet en vers. Sotto Luigi XVI nell'imminenza del crollo politico si sa che un'accolta di patrizî recitava lavori di dubbia ortodossia come L'honnête criminelle e famosissimo, Le mariage de Figaro del Beaumarchais: la stessa Maria Antonietta vi figurava come Susanna. Anche il Direttorio e l'Impero conobbero dilettanti principeschi, a Saint-Cloud e alla Malmaison: tra essi Ortensia ed Elisa emergevano per effettivo valore, specie nella tragedia. Il cosiddetto "teatro di società" a Parigi, e in tutta la Francia, non ebbe mai soste: per esso si scrissero commedie apposite; e tra questi teatri levò gran rumore quello di madame Rattazzi, durante il Secondo Impero.
Verso la fine del secolo scorso i tentativi di rinnovamento del teatro e dell'arte della scena furono in parte opera di dilettanti: dalle loro schiere provenne Antoine (v.) e il suo Théâtre Libre, che così grande influenza ha avuto sull'arte non solo francese ma europea. Anche oggi non è raro che iniziative d'innovazioni artistiche, anche feconde, partano dai dilettanti. Né mancano autori disposti ad affidar loro la propria produzione: e non solo con intenti di riforme, ma anche per consuetudine elegante, come, per es., F. de Miomandre, che scrive tuttora per i collegi aristocratici.
Notevole importanza hanno i dilettanti anche nella storia del teatro di altri paesi: essenziale nella storia del teatro degli Stati Uniti d'America, che anzi per lungo tempo non poté contare se non sulla loro attività. Anche ora (dopo la nascita di un vero e proprio teatro americano, originale come dramma e come attori, affermatosi dopo la guerra mondiale), l'opera dei dilettanti, specie studenti, continua a essere fiorente e feconda.