filosofese
s. m. (iron.) Il linguaggio dei filosofi, percepito come astratto e di difficile comprensione.
• Chi vi critica sostiene che la rivista sia eccessivamente filosofica. Troppo elitaria. «È un’obiezione che condivido e che implica anche un aspetto di scrittura. Le molte proposte spontanee che arrivano in redazione sono spesso scritte in filosofese, che la dice lunga sull’idea astratta di filosofia che circola e su come l’università formi studiosi magari bravi ma spesso incapaci di comunicare» (Pier Aldo Rovatti intervistato da Antonio Gnoli, Repubblica, 22 dicembre 2011, p. 48, Cultura) • [Sossio] Giametta si muove nel vasto mare della filosofia, percorso dalle correnti dei grandi pensatori, come un provetto nuotatore, con un suo stile e capacità di resistenza. […] E qui la voce dell’autore si unisce alle altre e «porta la sua pietruzza». Che però a volte è una pietruzza che si insinua temerariamente nell’ingranaggio del pensiero altrui ‒ anche se appartiene a uno dei grandi maestri ‒ e lo fa inceppare scoprendone le contraddizioni e rivelandole senza timore. Sente di poterlo fare perché spesso i sacri vasi di erudizione quando si tratta di capire le cose della vita e quindi della «filosofia sostanziosa» cadono nel «filosofese». (Raffaele La Capria, Corriere della sera, 29 marzo 2013, p. 43, Terza Pagina) • Ma la questione non è ontologica (non riguarda cioè la natura di ciò che è), ma sostanzialmente pratica. Il che ‒ fuor di filosofese ‒ vuol dire che si tratta di vedere se sia opportuno o meno, e persino se sia eticamente giusto, infrangere le speranze, i sogni e i miti di tanti bambini, così semplicemente per fare un dispetto. (Sebastiano Maffettone, Messaggero, 31 dicembre 2016, p. 1, Prima pagina).
- Derivato dal s. m. filosofo con l’aggiunta del suffisso -ese.
- Già attestato nella Stampa del 16 dicembre 1978, Tuttolibri, p. 6 (Roberto Vacca).