FILOSOFI
1. Età greca e romana. - Il tipo figurativo del filosofo è destinato a rappresentare nell'antichità greca e romana non solo la categoria degli uomini di pensiero, ma quella più vasta dei poeti, dei letterati, degli oratori, dei sacerdoti, dei medici, delle persone cioè, che esplicano una attività intellettuale e formano, insieme agli strateghi e più tardi ai dinasti, la classe politicamente attiva del mondo antico. I singoli personaggi sono rappresentati in quanto appartenenti ad una classe sociale prima che come singoli individui. La conseguenza di tale premessa è la creazione di un tipo iconografico ben definito che presenta rare eccezioni: l'immagine di un personaggio anziano, dal volto segnato da rughe, con barba e capelli prolissi, dall'espressione concentrata (che già compare su numerose stele sepolcrali e rilievi attici dalla metà circa del V sec. a. C.). La nascita del tipo del filosofo, legata a quella del ritratto fisionomico (v. ritratto), è possibile in ambiente attico tra la metà e la fine del V sec. a. C. come conseguenza del fermento intellettuale determinato dal pensiero della sofistica.
Al primo ritratto della serie, quello ideale dell'Omero-Epimenide (v.), segue, al principio del IV sec., la creazione di ritratti di persone viventi o da poco defunte, che trova la manifestazione più caratteristica nel Socrate (v.) al quale si ricollega il Platone (v.) opera di Silanion (v.), che può considerarsi il primo vero e proprio ritratto individualizzato nei tratti fisionomici e nelle caratteristiche spirituali. In queste opere la caratterizzazione dei personaggi è contenuta in un gusto per la schematizzazione che predilige volti in veduta frontale, espressioni pacate, nessuna compiacenza per gli elementi naturalistici.
Ad un indirizzo diverso, più calligrafico, che si manifesta soprattutto nel trattamento dei capelli, a brevi ciocche, si rifanno i ritratti di Sofocle del III tipo (v.) e di Lisia (v.) contemporanei di quelli precedenti.
La fusione di queste due tendenze ha come risultato un naturalismo di impronta accademica che si avverte alla metà del IV sec. con i ritratti di Tucidide (v.) e di Periandro (v.) e soprattutto nelle immagini dei grandi tragici dedicate da Licurgo nel teatro di Dioniso ad Atene durante la sua amministrazione della città (338-327). Allo stesso indirizzo appartengono i ritratti di Biante (v.) e di Eschine (v.) databili alla fine del IV secolo.
Con Lisippo, l'approfondimento del contenuto psicologico dei personaggi rappresentati pone su una nuova base la ritrattistica dei filosofi. Tale mutamento in senso individualistico e naturalistico che trova una corrispondenza nel mutato atteggiamento della cultura greca al riguardo degli uomini di pensiero (i quali presentano una condizione più vicina a quella moderna, si isolano, creano scuole per pochi iniziati o partecipano della condizione di consiglieri e maestri di corte) si avverte nel ritratto di Socrate del II tipo, opera di Lisippo, ed in quelli lisippei di Aristotele (v.) e di Euripide (v.).
In questo stesso momento, forse ad opera dello stesso Lisippo, i tipi statuari della ritrattistica filosofica trovano una canonizzazione nella figura seduta ed in quella stante (quest'ultima ha un precedente in alcune sculture del IV sec.: ad esempio il Sofocle del teatro di Dioniso). In ambedue i casi il corpo dei personaggi è coperto da uno himàtion di lana che lascia scoperto il torace. Ancora al principio del III sec. la tradizione attica si manifesta nello pseudo-Aristippo (v.) e nel Demostene (v.). Il III sec. è dominato dal gusto lisippeo che si articola in varie tendenze nei vari centri dell'ellenismo.
I ritratti di Epicuro (v.) ed in generale quelli dei f. epicurei mostrano una adesione ai canoni della ritrattistica lisippea, arricchiti da elementi coloristici.
L'atticismo ellenistico partecipa anch'esso di motivi lisippei ridotti in schemi classicistici producendo opere come i ritratti di Crisippo (v.), Arato (v.), Ippocrate (v.), Carneade (v.).
Trasferito nel mondo asiatico, lo stile lisippeo trova manifestazioni quanto mai caratteristiche e determina la formazione di tipi iconografici di stile barocco quali possono essere documentati dalla figura di un filosofo appoggiato ad un bastone su un affresco della villa di Boscoreale, nel cosiddetto Bione di Boristene (v.), in una testa di bronzo da Anticitera. All'arte pergamena deve essere attribuita la creazione dei gruppi di f. e di una pittura con la rappresentazione dei Sette Sapienti, conservata attraverso copie in mosaico di età romana.
Allo stato attuale delle nostre conoscenze non è sempre possibile risalire dalle molte raffigurazioni di f. non identificati dell'ellenismo alle scuole cui essi appartenevano in quanto l'atteggiamento dei personaggi, l'espressione dei volti, sono dovuti alle tendenze stilistiche dei singoli scultori più che allo scrupolo di rappresentare i caratteri esterni tipici ai rappresentanti delle singole scuole filosofiche.
Il ritorno al classicismo che si determina alla metà del II sec. permette una ripresa di motivi classicistici che derivano dalla ritrattistica attica del IV sec., documentati nel I sec. dai ritratti di Posidonio (v.) e di Zenone (v.). In ambiente rodio asiatico i motivi barocchi si esauriscono nel rococò del Socrate del III tipo (v.), del Sofocle vecchio (v.) e dell'Omero (v.).
La conquista romana dei paesi di lingua greca determina lo spegnersi della ritrattistica filosofica. La natura moralistica del mondo romano impedisce l'adozione di una iconografia tipica di una professione considerata come otium.
Nel I sec. d. C. gli uomini di pensiero si fanno rappresentare secondo tipi iconografici allora in voga, caratteristico ad esempio il ritratto di Seneca (v.), e solo poche monete coniate in città della Grecia e dell'Asia con le immagini di cittadini di categoria filosofica particolarmente benemeriti, mostrano una sopravvivenza del tipo secondo i canoni del classicismo attico del IV secolo.
Ancora al principio del II sec. d. C. alcuni ritratti di Cosmeti (maestri del Ginnasio) di Atene, presentano tipi generici e non sarebbero identificabili come uomini di pensiero se le circostanze di ritrovamento e le epigrafi che accompagnano le erme non precisassero la loro natura.
Il rifiorire delle autonomie provinciali, l'importanza sempre maggiore dei paesi di lingua greca determina una ripresa dell'iconografia dei f. alla fine del regno di Traiano.
La politica amministrativa romana favorisce la produzione: il personaggio filosofico assume durante il II sec. un impegno politico ben definito, è l'espressione della cultura ufficiale dell'Impero, a volte, nelle province orientali, è lo stesso amministratore del culto imperiale. I ritratti di età adrianea, valga per tutti quello di Erode Attico, (v.), richiamano motivi della ritrattistica attica del IV sec., ma già alla fine del regno di Adriano la ritrattistica ellenistica di tradizione asiatica si inserisce nuovamente nella produzione ufficiale.
Dall'età di Antonino Pio i ritratti di filosofi si fanno sempre più frequenti, dapprima in Asia ed in Grecia, dove viene definito il nuovo tipo iconografico di tradizione ellenistica caratterizzato da un trattamento barocco che si manifesta in modo particolare nelle barbe e nei capelli incisi dal trapano, più tardi in tutto l'Impero.
Con Marco Aurelio, filosofo ed amico di filosofi, il tipo del sapiente si trasferisce nell'arte ufficiale ed influenza la iconografia dell'imperatore, dei senatori, degli stessi generali, come possono testimoniare i ritratti di T. Claudio Pompeiano sui rilievi scolpiti inseriti nell'arco di Costantino. L'iconografia del sapiente è scherzosamente ripresa in un dipinto ostiense (Terme dei Sette Sapienti). In questo momento inizia la produzione di sarcofagi con il colloquio tra le Muse e i sapienti che dapprima in Asia Minore, in un secondo momento a Roma, troverà larghissimo sviluppo nel III secolo. L'avvento di Settimio Severo e l'inserirsi nella cultura dell'Impero di motivi culturali orientali pone su base diversa la produzione della ritrattistica dei filosofi.
Se infatti il tipo del filosofo, quale era stato codificato nel II sec. d. C., continua nella pratica artigiana dei sarcofagi con il dialogo dei f. e delle Muse, destinato probabilmente ad una classe aulica, di parte senatoria, attaccata ai privilegi dell'impero degli Antonini; dall'altro la cultura misteriosofica della corte imperiale (si pensi alla vita di Apollonio di Tiana dedicata a Giulia Domna o a un larario dedicato da Alessandro Severo con le immagini, tra le altre, di Orfeo, Apollonio di Tiana, Cristo) contribuisce alla creazione di un nuovo tipo iconografico.
La tipologia ellenistica del filosofo viene elaborata secondo le norme stilistiche delle correnti del III sec.: i volti sono allungati, i capelli e le barbe schiacciati, trattati con lievi incisioni, gli occhi sono rivolti al cielo, le superfici levigate. Caratteristico di questa produzione che si manifesta per la prima volta in Siria è un gruppo di ritratti rinvenuti in Grecia databile prima del 275.
La intensa spiritualità che emana da queste opere trova un parallelo nelle fonti neoplatoniche (e anche, in parte, storiche dell'epoca) e specialmente nel motivo sempre ricorrente della evasione dal mondo, della ricerca di un diretto colloquio con la divinità. Una serie di ritratti attribuiti a Plotino (v.), dimostra l'adozione della iconografia neoplatonica in ambiente urbano, comprovata anche dai ritratti di alcuni defunti rappresentati sui sarcofagi con Muse e sapienti.
Espressione di una cultura aristocratica, isolata, che arriva ad influenzare solo sporadicamente l'iconografia imperiale, i ritratti dei neoplatonici terminano con l'avvento della tetrarchia quando al concetto umanistico dell'homo spiritualis, si sostituisce definitivamente quello della divina maiestas dell'imperatore. La ripresa della classe senatoria in Occidente durante il IV sec. e la creazione di una nuova nobiltà in Oriente determina la rinascita della iconografia filosofica nella seconda metà del IV sec. secondo i tipi iconografici stabiliti durante il Il sec. e forme stilistiche di età tardo-antica.
A motivi piu tipicamente realistici che si manifestano in Occidente corrispondono tipi di tradizione barocca in Asia e in Grecia.
In tutti e due i casi i caratteri fisionomici dei personaggi sono accentuati: i volti allungati, gli occhi enormi, l'espressione assorta e concentrata.
Il processo di spiritualizzazione si accentua durante il V sec. quando le forme dei personaggi appaiono completamente elaborate con intento espressivo ottenuto attraverso il rigonfiamento della parte superiore del capo e l'incisione delle pupille verso l'alto che fissa intensamente lo sguardo al cielo.
Bibl.: Scultori di statue di f.: Plinio, Nat. hist., XXXIV, 87. In generale: O. Jahn, Über Darstellungen griechischer Dichter auf Vasenbildern, in Abhad. Sächs. Ges., VIII, 1861, p. 697 ss.; P. Schüster, Über die erhaltenen Porträts der griechischen Philosophen, Lipsia 1876; si vedano le voci relative ai singoli filosofi, in J. J. Bernoulli, Griechische Ikonographie, I-II, Monaco 1901; L. Laurenzi, Ritratti Greci, Firenze 1941; K. Schefold, Die Bildnisse der antiken Dichter, Redner und Denker, Basilea 1943.
Sul gruppo del Serapeo di Memfi, databile al principio del III sec. a. C.: J. Ph. Lauer - Ch. Picard, Les Statues Ptolémaïques du Serapeion de Memphis, Parigi 1955; F. Matz, in Gnomon, XXIX, 1957, p. 84 ss. Sui mosaici con la rappresentazione dei Sette Sapienti: O. Brendel, Symbolik der Kugel, in Röm. Mitt., LI, 1936, p. i ss. Su una pittura della casa della Farnesina (copia da un originale elleistico) con la probabile rappresentazione del filosofo cinico Krates: H. Fuhrmann, Gespräche über Liebe und Ehe auf Bildern des Altertums; Krates und Hipparcheia, in Röm. Mitt., LV, 1940, p. 86 ss. I libri illustrati con ritratti di filosofi, creati per la prima volta in ambiente ellenistico asiatico (Pergamo?), sono ricordati a Roma, in età repubblicana (Plin., Nat. hist., XXXV, ii) da essi derivano forse le miniature di alcuni codici bizantini (ad es. Dioscuride, v.); A. v. Salis, Imagines Illustrium, in Eumusia, Festgabe für E. Howald, Zurigo 1947, p. 11 ss.
Sulle fonti relative ai filosofi di età romana: J. Keil, Vertreter der Zweiten Sophistik in Ephesos, in Oesterr. Jahreshefte, XL, 1953, p. 5 ss.; M. N. Tod, Sidelights on Greek Philosophers, in Journ. Hell. Studies, LXXVII, 1957, p. 132 ss. Filosofi della seconda sofistica: K. Gerth, in Pauly-Wissowa, Suppl. VIII, 1956, c. 719 ss.
Manca una trattazione adeguata dei ritratti dei filosofi in età romna. Si veda: A. Hekler, Philosophen und Gelehrtenbildnisse der mittleren Kaiserzeit, in Die Antike, XVI, 1940, p. 115 ss. Sui cosmeti è sempre fondamentale: P. Graindor, Les Cosmètes du Musée d'Athènes, in Bull. Corr. Hell., XXXIX, 1915, p. 241 ss. Sulle pitture con filosofi di Ostia: G. Calza, Die Taverna der Sieben Weisen in Ostia, in Die Antike, XV, 1939, p. 99 ss.
Sui sarcofagi con filosofi e muse: Ch. R. Morey, The Sarcophagus of Claudia Antonia Sabina, in Sardis, V, i, Princeton 1924; G. Rodenwaldt, Zur Kunstgeschichte der Jahre 220 bis 270, in Jahrbuch, LI, 1936, p. 82 ss.; id., Ein Lykisches Motiv, in Jahrbuch, LV, 1940, p. 44 ss.; R. Bianchi Bandinelli, Sarcofago da Acilia con la designazione di Gordiano III, in Boll. d'Arte, XXXIX, 1954, p. 200 ss.
Sui ritratti del III sec. d. C.: G. Rodenwaldt, Griechische Porträts aus dem Ausgang der Antike, 76. Winckelmannsprogramm, Berlino 1919; F. Poulsen, Portrait d'une Philosophe Néoplatonicien trouvé à Delphes, in Bull. Corr. Hell., LII, 1928, p. 245 ss.; H. P. L'Orange, Studien zur Geschichte des Spätantiken orträts, Oslo 1933; F. Poulsen, A Philosopher Head in the Museum of the American University, Beirut, in Berytus, IV, 1937, p. 111 ss.; H. P. L'Orange, Apotheosis in Ancient Portraiture, Oslo 1947, p. 95 ss.; E. B. Harrison, The Athenian Agorà, I, Portrait Sculpture, Princeton 1953, p. 98 ss.; U. Scerrato, Ritratto inedito del III sec., in Archeologia lassica, VII, 1955, p. 87 ss. Sul ritratto di Plotino si veda la bibl. citata a proposito della relativa voce.
Sui ritratti del IV e V sec. d. C.: H. P. L'Orange, Studien, cit.; J. Kollowitz, Oströmische Plastik der theodosianischen Zeit, Berlino 1941, p. 114 ss.; R. de Chirico, Nuova statua-ritratto del basso impero trovata a Ostia, in Bull. Com., LXIX, 1941, p. 113 ss.; G. Dontas, Kopf eines Neuplatonikers, in Ath. Mitt., LXVII-LXX, 1954-55, p. 147 ss.; W. Alzinger, Zwei spätantike Porträtköpfe in Ephesos, in Oesterr. Jahreshefte, XLII, 1955, pp. 27 ss., 36 ss.
(A. Giuliano)
2. Cristianesimo. Apostoli. - Nella processione isiaca che si avvicinava portando salvezza e salute al misero Lucio nei Metamorphoseon libri di Apuleio, non mancava qui pallio baculoque et baxeis et hircino barbitio philosophum fingeret. Questi pochi elementi erano dunque sufficienti, anche nell'accentuazione del costume propria di una mascherata, a far riconoscere popolarmente il filosofo, anzi (v. Lucian., Demonax, 19; cfr. Gerke, Christl. Sark., p. 271, 4) un tipo particolare di filosofo: il filosofo cinico, contro cui ancora interveniva Agostino: Et nunc videmus adhuc esse philosophos Cynicos; hi enim sunt, qui non solum amiciuntur pallios, verum etiam clavum ferunt. Col pallio che gli lascia scoperto l'omero, la barba irsuta, questo personaggio si ripresenta in un primo tempo nell'iconografia cristiana come espressione di un atteggiamento non meno radicale e di una vocazione missionaria.
Nei rilievi dei sarcofagi pagani il filosofo cinico appariva come esponente di una tumultuosa corrente di idee, ora in atteggiamento dialogico e forse derisorio (W. Amelung, a proposito di un sarcofago nella cripta del duomo di Palermo), ora in pacato contrapposto con rappresentanti di altre scuole (cosiddetto sarcofago di Plotino nel museo del Laterano; sarcofago 424 del Museo Torlonia a Roma). La dottrina dei f. rappresentati rimane però impenetrabile, chiusa nei rotuli ch'essi stringono nelle mani (a differenza del rotulo spiegato di Esdra nella pittura della Sinagoga di Dura Europos e dell'analoga rappresentazione di Gesù nella Lipsanoteca di Brescia). Per i cristiani, invece, il contenuto della loro filosofia è inequivocabilmente indicato dai simboli tipici del Buon Pastore, del Pescatore e dell'Orante, come sul sarcofago di La Gayolle, dove il Filosofo cinico (barbato, pallio che a stento lo ricopre, cane) alza la destra rivolto verso il Buon Pastore. Con l'introduzione di tali elementi la figura del filosofo cessa di essere interessante di per sé e tende a trasferirsi nel contesto delle scene bibliche che in una fase susseguente completano la simbologia dell'Orante e del Buon Pastore (sarcofago di S. Maria Antiqua a Roma). Così nel tardo III sec. il "filosofo" perde nei sarcofagi cristiani il carattere di spettatore, accentuando, nella partecipazione attiva alla scena rappresentata, il proprio valore simbolico e allusivo. In un frammento nel museo del Laterano (Gerke, tav. 25, 3) tra le raffigurazioni del Battesimo di Cristo e quella del banchetto è posto il segno, tipico dell'astronomo e quindi del sapiente, dell'orologio solare; nel sarcofago 172 del Laterano il tema così posto è sviluppato investendo i personaggi stessi: i partecipanti al banchetto son qui effigiati non con la dalmatica, ma con il pallio del filosofo. Il loro banchetto è quindi del tutto spirituale e talora il "vero Filosofo" che siede accanto al banchetto sta a dimostrare che Cristo è il vero pane della vita.
Il motivo del "filosofo" è poi lungamente attestato dalla pittura delle catacombe. Verso il 240 la decorazione della cappella del Sacramento in S. Callisto (Wilpert, Katakombenmal., tav. 39) ci dà una inequivocabile raffigurazione di filosofo cinico; ma quasi innumerevoli sono le figure in abito filosofico, solitamente di aspetto giovanile, che appaiono in arcosoli e lunette. L'interpretazione tradizionale vi riconosce gli apostoli, ma specialmente negli esempi più antichi può trattarsi di raffigurazioni generiche sul tipo di quelle note nei sarcofagi.
È interessante notare come, malgrado la trasformazione cristiana di questi schemi iconografici, nella realtà il costume del "filosofo" si trasformasse in divisa pagana. Durante la reazione pagana dei Nicomaci, l'imperatore Eugenio (v.), da loro sostenuto, compare infatti sulle monete come "filosofo", e il tipo barbato del ritratto imperiale non tornerà prima di Giustino (v.). Così ancora l'apoteosi di un "filosofo" compare nella valva di dittico del British Museum nel cui monogramma lo Hinks ha letto il nome di Nicomaco.
Oltre a questa ripresa del motivo del "filosofo" come tipo generico non mancò nell'arte cristiana la riflessione sul ritratto filosofico individuale. Questa si svolse in due direzioni; come riferimento dell'iconografia di un filosofo pagano ad una iconografia individuale cristiana, o come trasferimento al ritratto di un singolo personaggio cristiano degli attributi di un tipo iconografico di filosofo pagano. La preoccupazione di dare un volto ai fondatori della Chiesa fu particolarmente sentita in ambiente romano, e già nel sec. II gli Atti di Tecla ci dànno una descrizione dell'aspetto fisico di S. Paolo. Ma la rielaborazione "filosofica" di questo ritratto fu così profonda che l'iconografia di San Paolo non corrisponde alla tradizione letteraria, ma dipende piuttosto, secondo una ipotesi del L'Orange, da quella di Plotino (v.). A sua volta questo tipo non mancò di influenzare per un momento, nel V sec., il ritratto dello stesso S. Pietro (v. pietro), che pure poco prima della pace della Chiesa era arrivato a fissarsi in un tipo ben preciso che fu ripreso in seguito. Nell'altra direzione, la figura di Cristo (v.) come maestro fu assimilata a quella del filosofo, da cui mutuò molti caratteri e attributi. Tra il 270 e il 320 Giovanni Battista rivestì, nella scena del Battesimo, l'aspetto del filosofo cinico (il tipo più antico è conservato nel rilievo del sarcofago di S. Maria Antiqua già citato). L'allievo del Battista, Andrea, ebbe, come quello, aspetto irsuto e incolto, con barba e capelli grigi arruffati. La sua iconografia, stando alle testimonianze archeologiche, è però relativamente tarda, promossa soprattutto dal culto delle sue reliquie, trasportate da Costanzo nel 356 a Costantinopoli (oltrechè apostolo, Andrea era fratello di Simone-Pietro e ciò dava grande valore al carattere di sede "apostolica" che così derivava a Bisanzio nel confronto con Roma), ed è quindi con molta probabilità di origine costantinopolitana. I tratti inconfondibili dell'apostolo apparivano nel mosaico di papa Simplicio (468-83) in S. Andrea Catabarbara a Roma (già Basilica di Giunio Basso), noto da disegni (v. giunio basso), nel pressocché contemporaneo mosaico (perduto) di S. Agata dei Goti, chiesa ariana di Roma, e soprattutto si ritrovano a Ravenna in un clipeo musivo in S. Vitale (sec. VI) e, nella storia della sua vocazione, in un riquadro dei mosaici di S. Apollinare Nuovo. A Roma una imago clipeata di S. Andrea, con altre di altri apostoli, è dovuta a un papa di origine costantinopolitana, (Giovanni VII, 705-707, in S. Maria Antiqua). Nell'ipogeo di Karmuz ad Alessandria d'Egitto era raffigurato Andrea nella scena della moltiplicazione dei pani. E forse di origine egiziana un'ampolla per eulogia con busto di barbato con un volume e la scritta Ο ΑΓΙΟC ΑΝΔ ΡΕΑC ΑΠΟCΤΟΛΟC.
Pietro, Paolo e Andrea sono i soli apostoli i cui tratti individuali siano riconoscibili nell'iconografia più antica. Fuorché nella raffigurazione di episodî che li riguardano singolarmente, solitamente gli apostoli sono infatti rappresentati in gruppo - non sempre, ma il più delle volte, di dodici -, variati, più che distinti, per età e per il volto sbarbato o non (di aspetto giovanile dovrebbero essere Giovanni, secondo il Vangelo di Marco; Tommaso, secondo gli Atti di Tommaso; a questi si aggiunge, nel S. Vitale di Ravenna, Simone Cananeo). Il loro abito è generalmente quello, rispettato e quasi sacro (l'adozione di abiti sacerdotali è documentata in età più tarda nella chiesa cristiana), del senatore, o se si vuole, del filosofo nel senso di consigliere morale e politico che questo personaggio assume nella società romana già nel II secolo: tunica bianca, quasi sempre clavata, e toga ugualmente bianca; in mano hanno solitamente il rotulo. Le considerazioni già svolte spiegano come avvenisse l'adozione di un tale abito per gli apostoli. Tuttavia si può osservare che lo stesso svolgimento avveniva in ambiente ebraico. Nella sinagoga di Dura Europos, mentre Aaron ha l'abito sacerdotale e Davide quello regale, Mosè, Esdra, Abramo e gli stessi profeti di Ba῾al, indossano un corto chitone clavato e sopra di esso un himàtion drappeggiato sulla spalla sinistra (il Kraeling suppone, dubitivamente, che le frange all'estremità dell'himàtion di Mosè possano essere il rituale ṣīṣit; i profeti di Ba῾al hanno chitone e himàtion di due diversi colori). Il monumento maggiore di questo periodo sono le pitture murali dell'ipogeo degli Aureli, a Roma, dal Wirth datate circa il 240. Sulle pareti di un ambiente rettangolare si levano undici figure con tunica clavata e toga (una dodicesima figura doveva trovarsi dove successivamente fu aperta una porta). Sono separate tra loro, ciascuna fortemente individuata e tutte in atteggiamento attivo, talora concitato. I loro caratteri fisionomici sono tali che taluno ha addirittura supposto che si trattasse di autentici ritratti di membri della setta cui si deve l'ipogeo. Oltre a questa serie, dovuta ad un grande maestro, lo stesso ipogeo ha altre raffigurazioni di personaggi raccolti in gruppo in scene diverse, che qualche studioso ha interpretato per apostoli. Una formula che ebbe grande successo per i ritratti degli apostoli fu quella delle imagines clipeatae (v. clipeata, imago): esempî nella Lipsanoteca di Brescia (IV sec.), in S. Vitale a Ravenna. (VI sec.), a S. Maria Antiqua a Roma (VIII sec.). È lo stesso tipo dei ritratti dei vescovi e dei pontefici (S. Apollinare in Classe, antiche S. Paolo e S. Pietro) ed è naturalmente quello in cui sono più accentuati i caratteri individuali. Sono appunto questi che permettono, ad esempio, di distinguere nella Lipsanoteca di Brescia i "ritratti" degli apostoli entro clipei dalle figure più generiche dei dottori ebrei della scena di Gesù a Nazaret. La raffigurazione degli apostoli come file di personaggi a mezza figura, anzichè a figura intera, sembra soprattutto caratteristica della Gallia e dell'Italia settentrionale (H. H. Arnason, in Art Bull., xx, 1938). Non sembra che agli apostoli fosse dato il nimbo prima del VI sec. (E. Weigand, in Byz. Zeitschr., xxxix, 1939, p. 138 ss.).
Uno schema iconografico che ebbe grande fortuna fu quello degli apostoli raccolti intorno alloro Divino Maestro. Esso è ampliamento, di età pre-costantiniana, del tema, già noto nell'ultimo quarto del III sec., del Gesù maestro accompagnato dal vero filosofo (sarcofago di La Gayolle) o attorniato dalle virtù (lastra di loculo nel Palazzo dei Conservatori). La prima raffigurazione, anteriore alla pace della Chiesa, è nella vòlta di un ambiente della catacomba dei SS. Pietro e Marcellino (è incerto se sia raffigurato il Cristo nel collegio degli Apostoli nella cosiddetta "Lezione di anatomia "nell'Ipogeo Nuovo della via Latina). Ma poiché, a differenza delle precedenti composizioni, a questa è estraneo ogni significato funerario, sembra di potervi ravvisare un tema sorto negli ambienti di culto cristiani, già trattato in qualche abside di edificio costantiniano. Ritorna in absidi nelle catacombe, come ai Gordiani (in rapporto con ambienti sopraterra?), e negli edifici di culto (S. Aquilino presso S. Lorenzo; Milano, IV-V secolo). È stato supposto che derivasse dalla raffigurazione absidale della basilica costantiniana del Salvatore al Laterano (v. cristo). Mentre in S. Aquilino, ed ancora in S. Pudenziana, malgrado il Cristo abbia assunto alcuni caratteri simili a quelli della figura dell'imperatore, l'atteggiamento degli apostoli è quello di discepoli che ascoltano la parola del Maestro e la discutono tra loro, successivamente gli apostoli, pur seduti in cattedra e con il rotulo (affresco nella catacomba di S. Ermete a Roma, ecc.) alzano il braccio nel gesto dell'acclamatio, in una con la fissità impassibile assunta dalla figura del Cristo. Come in S. Pudenziana a Roma, gli apostoli sono raffigurati riuniti nella città santa, in Gerusalemme, così nel calice di Antiochia (sulla cui autenticità v. J. J. Rorimer-E. R. Caley, in Studies for B. Da Costa Greene, Princeton 1954), gli apostoli, in cattedra e acclamanti, sono addirittura nella vigna del Signore e salutano la Sua ascensione (confronta per la vigna e l'ascensione il mosaico nel sepolcro M sotto S. Pietro a Roma). Il consesso degli apostoli che appare talvolta sugli arcosoli (catacomba di S. Ermete a Roma, ecc.) è forse in riferimento all'assunzione dell'anima del defunto nel sacro collegio. Nella tarda età costantiniana gli apostoli acclamanti sono talora il coro che commenta la raffigurazione della consegna della Legge a Pietro (tipo iconografico che compare circa il 370: sarcofago di S. Sebastiano, Wilpert, Sarc., tav. 149), o a Paolo (Ravenna, S. Maria in Porto fuori, sarcofago di Pietro degli Onesti, età di Onorio) o a Paolo di fronte a Pietro insignito della croce e delle chiavi (Ravenna, sarcofago in S. Apollinare in Classe). In un sarcofago nel museo di Ravenna il posto degli apostoli accanto a Pietro e a Paolo è preso da un uomo e da una donna. Su sarcofagi di Roma (l'esempio più importante, già in Laterano, ora nelle Grotte Vaticane) mentre al centro è raffigurata la consegna della Legge, ai lati sono il Sacrificio di Isacco e Cristo davanti a Pilato, e gli apostoli sono disposti in modo che alcuni assistano ammirati alle scene storiche dei due Testamenti, altri all'avvenimento centrale della Traditio Legis. È influenzata dal cerimoniale dell'aureum coronarium la raffigurazione, in un sarcofago in S. Francesco a Ravenna, della consegna della legge a Paolo e a Pietro mentre due altri apostoli acclamano e altri due hanno corone sulle mani velate (sull'attributo delle corone agli apostoli, v. avanti).
In un sarcofago di Arles sono rappresentati gli apostoli stanti, contro un cielo stellato, presso una croce trionfale; in un altro sarcofago nella stessa città, appare il Cristo nel collegio degli apostoli (in numero di venti, seduti in cattedra) raccolto sotto un portico, mentre alle estremità si trovano i defunti e i familiari, avvicinati così al sacro consesso. Non può sfuggire, in questo caso come nel sarcofago di Ravenna sopra citato, il punto di contatto con il programma dei sarcofagi del III sec.: se ne conclude che gli apostoli hanno nel VI sec. completamente sostituito i f. anche come tema funerario, e la loro presenza non indica più un'aspirazione imprecisa all'immortalità, ma la speranza in un premio certo.
Infine gli apostoli furono spesso raffigurati simbolicamente: come colombe (battistero di Albenga); come agnelli (facciata teodosiana di S. Sofia di Costantinopoli; arco trionfale di Santa Maria Maggiore a Roma; sarcofagi di Ravenna), o anche come agnelli e come colombe nello stesso monumento (tavola di altare nel museo di Marsiglia). Nella basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, Costantino aveva innalzato dodici colonne sormontate da grandi urne d'argento (Eus., De vita Const., iii, c. xxxviii; P. G., xx, c. 1097); a Costantinopoli, intorno alla propria tomba, presso la basilica dei SS. Apostoli, pose altri dodici reliquari o sarcofagi (ibid., iv, c. lviii; P. G., xx, c. 1209). Così Costantino appariva quasi apostolo, e fu talora ricordato con il titolo di ἰσαπόστολος; altri imperatori furono anch'essi sepolti in SS. Apostoli. Soltanto una testimonianza letteraria, infine, ci ricorda una raffigurazione degli apostoli con corone d'argento, intorno al Salvatore sedentem in sella, (Liber Pontif., ed. Duchesne, i, c. 72) nel ciborio di Costantino nella basilica del Laterano. Questo tema trionfale costantiniano ritorna nel battistero di Napoli (430-440) dove gli apostoli, stanti, hanno corone nelle mani, e nei due battisteri di Ravenna dove è in rapporto con il trono del Signore. Nello stesso senso si può interpretare il mosaico di S. Pudenziana, dove, anziché direttamente gli apostoli, sono le personificazioni delle due chiese che presentano le corone al Signore in trono. Secondo Baumstark (Jahrb. f. Liturgiewiss., i, 1921, p. 32) il catalogo degli apostoli non fu completo prima del VII secolo.
3. Ritratti di autori nei manoscritti. - Un'altra elaborazione del tipo iconografico del "filosofo" avveniva in un campo del tutto diverso da quello sin qua considerato, e cioè nell'illustrazione dei libri, dove compare il ritratto dell'autore in vesti, naturalmente, di sapiente. Già Varrone, Seneca e Marziale ci parlano di edizioni con tali ritratti. Ce ne sono conservati due tipi diversi: quelli del busto-ritratto incluso in un clipeo e quello della figura intera.
Per il primo si ricordano il frontespizio di Terenzio I della Bibl. Vaticana, copia del sec. IX di originale forse del I (cfr. clipeate, immagini), dove al ritratto è data una vera cornice, come se si trattasse di un'icona; e l'impronta di un simile ritratto, ma senza la complicata cornice, nel Virgilio Vat. Lat. 3225, del V secolo. Il tipo della composizione, che è indipendente dal formato quadrato del codice, può essere originario dell'illustrazione del rotulo.
L'altro tipo è assai più elaborato. Comprende ritratti di un solo autore, come negli Agrimensores di Wölfenbuttel (in cattedra e sotto edicola), o come nel cod. Vat. Lat. 3860, dove la figura di Virgilio, seduto in cattedra, compare tre volte, o infine nella figura di Esdra intento a scrivere di fronte all'armadio (tēbāh) con i libri sacri nel Codice Amiatinus della Biblioteca Laurenziana di Firenze. Oppure si tratta di ritratti di più autori raccolti insieme (si ricordi il mosaico dei Sette Sapienti nel Museo Naz. di Napoli), o in una disposizione a sigma, come negli Agrimensores, Pal. Lat. 1586, della Biblioteca Vaticana, o disposti a due a due in registri sovrapposti, come nel Dioscuride (v.) della Nationalbibliothek di Vienna o nell'Evangeliario di Aquisgrana (carolingio, forse derivato da prototipo del VI sec.: secondo A. M. Friend jr. da un'illustrazione della Volgata anteriore al 547). Infine il ritratto dell'autore stante forma una classe a parte, ma non è testimoniato che in opere cristiane, come la Bibbia Syr. 341 della Bibliothèque Nationale di Parigi, i Profeti Chis. R., viii 54, della Biblioteca Vaticana (v. bibbia). Il ritratto dell'autore fu infatti un lascito del mondo antico al Medioevo, in Occidente come in Oriente (ancora nel 580 dell'Egira, cioè 1184-1185, sotto i Selgiuchidi, un'antologia di poeti veniva illustrata da Gamāl Naqqāsh Iṣfahānī con il ritratto di ciascun poeta). Nel mondo cristiano, il tipo fu rielaborato per raffigurare gli Evangelisti. A. M. Friend jr. ha dato una classifica dei vari schemi iconografici cercando di definire l'origine - efesina, alessandrina, antiochena - di ognuno.
Bibl.: A. Wikenhauser, in Reallexikon f. Ant. u. Christ., a cura di T. Klauser, I, c. 553 ss., s. v. Apostel; H. Paulus, in Die Religion in Gesch. u. Gegenw., I, c. 499 s., s. v. Apostelbilder; A. Katzenellenbogen, in Reallex. z. deutsch. Kunstgesch., I, c. 811 ss., s. v. Apostel; J. Ficker, Die Darst. d. Apostel in d. altchr. Kunst, in Beitr. z. Kunstg., n. s., V, 1887; J. E. Weis Liebersdorf, Christus- u. Apostelbilder, Lipsia 1902; F. Saxl, Frühes Christentum u. spätes Heidentum, in Wiener Jb. f. Kunstg., II, 1923, p. 63 ss.; E. Dinkler, Die ersten Petrusdarstellungen, Sonderdruck aus dem Marburger Inst. f. Kunstw., II (s. d.); F. Gerke, Die christlichen Sarkoph. der vorkonst. Zeit, Berlino 1940, v. indice; K. Wessel, Das Haupt der Kirche, in Arch. Anz., LXV-LXVI, 1950-51, c. 298 ss.; E. Stommel, Beiträge z. Ikon. der konst. Sarkophagplast., Bonn 1954; E. Kitzinger, in C. F. Battiscombe, The Relics of St. Cuthbert, Oxford 1956, pp. 265-273; G. De Francovich, I primi sarcofagi cristiani di Ravenna, in Corsi di cultura sull'arte rav. e biz., 1957, 2, pp. 17-46 (con bibl.).
Per i ritratti di autori nei mss., tema obbligato dell'illustrazione, v. la bibl. raccolta s. v. illustrazione, e codice. Sugli Evangelisti, oltre alla bibl. raccolta, s. v., v. per quanto riguarda l'aspetto trattato nel presente articolo: A. M. Friend jr., The Portraits of the Evangelists in Gr. and Lat. Mss., in Art Studies, Extranumber of Am. Journ. Arch., Cambridge, Mass. 1927, p. 115 ss.; id., The Picture of the Second Advent-Frontespiece of St. Jerome's Vulgare Gospels A. D. 384, in Am. Journ. Arch., s. II, XXX, 1926, p. 88 ss.
Per il costume dei sacerdoti nell'arte cristiana più antica, v. quanto esposto da H. Graeven, Die Madonna zw. Zacharias u. Johannes, in Byz. Zeitschr., X, 1901, p. 2 ss.
(C. Bertelli)