tibetana, filosofia
La filosofia t. si sviluppa a partire da testi e presupposti del buddismo indiano e quasi esclusivamente in ambito buddista, offrendo interessanti soluzioni e sviluppi alle correnti Madhyamaka, Pramāṇavāda e, in misura minore, Yogācāra. Risalgono infatti alla scolastica t. alcuni concetti chiave utilizzati dagli interpreti contemporanei della filosofia indiana e buddista, quali la distinzione fra una corrente *svātantrika e una *prāsaṅgika nel Madhyamaka, e la nozione di «testo radice» (mūla) di una certa scuola. Nell’autorappresentazione della propria tradizione, i pensatori tibetani conferiscono un ruolo determinante al dibattito tenutosi a bSam yas verso la fine dell’8° sec., durante il quale si decise quale forma di buddismo adottare in Tibet. A contrapporsi erano la corrente gradualista, di origine indiana, legata a Śāntarakṣita e Kamalaśīla (➔ Madhyamaka) e risultata vincitrice del dibattito, e una istantaneista, di origine cinese e legata al buddismo Chan. L’istantaneismo rimase poi una chiave di lettura costante e fu applicato a varie forme, sempre minoritarie, del buddismo tibetano. Propugnata a bSam yas era l’idea che non servisse alcuna pratica per raggiungere il risveglio (bodhi), giacché la natura di Buddha è già presente ab initio in ciascuno ed è solo necessario realizzarla tramite una forma di anagnosis intuitiva. Sul piano più propriamente filosofico, centrale per la filosofia t. è il dibattito fra i sostenitori della «vacuità in sé» e della «vacuità di ciò che è altro» (➔ śūnyatā). Tre delle quattro maggiori scuole religiose t., la Sa skya, la bKa’ brgyud e la rNying ma, aderiscono all’interpretazione del Madhyamaka chiamata «vacuità di ciò che è altro», la quale sostiene che l’assoluto sia privo di tutte le sovraimposizioni concettuali e dipendenti, e quindi «vuoto» rispetto a queste, ma non vuoto in sé. Gli scritti di Nāgarjuna – secondo questa lettura – negherebbero ogni realtà al livello della realtà convenzionale (saṃvr̥ti-satya), ma non a quello della realtà assoluta (paramārtha-satya). Questa consisterebbe in una conoscenza (in t. ye shes) che travalica la distinzione fra soggetto e oggetto ed è identificabile con la natura del Buddha al di là della sua manifestazione storica. Tale interpretazione è decisamente avversata dalla scuola dGe lugs, dalle cui file proviene l’importante pensatore Tsong kha pa (1357-1419), che accusò i sostenitori della «vacuità di ciò che è altro» di trasformare il buddismo in una filosofia sostanzialista. Tsong kha pa si rifà perciò a Candrakīrti e alla corrente *prāsaṅgika del Madhyamaka (➔). Tuttavia, lo stesso Tsong kha pa avversa Pa tshab (n. 1054 o 1055) e i suoi discepoli, i quali, seguendo la corrente *prāsaṅgika, negano ogni proposizione del tetralemma di Nāgārjuna (➔) sostenendo che ogni cosa né «esiste», né «non esiste», né «esiste e non esiste», né «né esiste né non esiste». Tale rappresentazione, sostiene Tsong kha pa, è autocontraddittoria e non spiega che cosa venga appreso dai mezzi di valida conoscenza (pramāṇa). Se infatti ogni oggetto è ultimativamente vuoto e illusorio, non esiste alcuna distinzione fra il contenuto di una conoscenza corretta e quello di un errore, cioè fra un vaso e un pezzo di madreperla che venga confuso con argento. Per evitare tali conseguenze, Tsong kha pa precisa le prime due proposizioni del tetralemma, che viene perciò ad affermare che ogni cosa né «esiste dal punto di vista della realtà assoluta» né «non esiste dal punto di vista della realtà convenzionale». Nelle università monastiche tibetane il cursus studiorum si compone di epistemologia (➔ pramāṇa), Prajñāpāramitā (➔ Madhyamaka), Madhyamaka, Vinaya e Abhidharma (➔ Theravāda). Per l’epistemologia la filosofia t. elabora una letteratura propria, detta bDus grwa, mentre gli ultimi cinque argomenti vengono studiati sulla base di testi indiani, ma per il tramite di manuali che si fondano sulla terminologia del bDus grwa. Questo sviluppa discussioni circa la vyāpti (➔ anumāna), la negazione e le classificazioni di conoscenza corretta o erronea sulla base di un’ontologia Sautrāntika come rappresentata in Dharmakīrti. Costante è l’attenzione a produrre definizioni formalmente corrette e al loro impiego nei dibattiti. Soprattutto nei suoi esordi, legati alla figura di Phya pa (1109-1169), il bDus grwa elabora ambiti di indagine distinti da quelli trattati in India, mentre Sa skya Paṇḍita (1182-1251), fra i più importanti pensatori della filosofia t., si sforza di riportare l’epistemologia all’interno del solco di Dharmakīrti. Sviluppata nella filosofia t. è pure la teoria dell’apoha.