filosofo
Termine esclusivo della prosa e, tranne due occorrenze della Vita Nuova, sempre ricorrente nel Convivio. L'uso è nel senso proprio di " chi professa la filosofia ".
L'etimologia e le caratteristiche del vero f. sono esposte da D. in Cv III XI 3-12 (il termine ricorre 15 volte). Primo ad attribuirsi il nome di f., dice D. secondo una nozione tradizionale, fu uno filosofo nobilissimo, che si chiamò Pittagora (§ 3): se prima di lui li seguitatori di scienza erano chiamati non filosofi ma sapienti (§ 4), sentitosi chiedere se si reputava anch'egli sapiente negò a sé questo appellativo e disse di essere non sapiente, ma amatore di sapienza, come a dire che non aveva acquisito la sapienza, ma tendeva a essa (la correlazione f.-savi è in II VIII 8; cfr. Agostino Civ. VIII 2 " Italicum genus [philosophorum] auctorem habuit Pythagoram Samium, a quo etiam ferunt ipsum philosophiae nomen exortum. Nam cum antea sapientes appellarentur, qui modo quodam laudabilis vitae aliis praestare videbantur, iste interrogatus, quid profiteretur, philosophum se esse respondit, id est studiosum vel amatorem sapientiae; quoniam sapientem profiteri arrogantissimum videbatur "; e anche Cicerone Tusc. V III 7-9).
L'appellativo di f. nasceva così da un atto di umiltà, poiché " sapientem profiteri arrogantissimum videbatur ", cioè appariva un atto di estrema presunzione ritenersi degno del nome di sapiente. Di qui derivò, aggiunge D., che ciascuno studioso in sapienza... fosse ‛ amatore di sapienza ' chiamato, cioè ‛ filosofo '; ché tanto vale in greco ‛ philos ' com'è a dire ‛ amore ' in latino, e quindi dicemo noi: ‛ philos ' quasi amore, e ‛ soph[os] ' quasi sapien[te]. Per che vedere si può che questi due vocabuli fanno questo nome di ‛ filosofo ', che tanto vale a dire quanto ‛ amatore di sapienza ': per che notare si puote che non d'arroganza, ma d'umilitade è vocabulo (III XI 5). In tutto il passo è chiara la lettura di Uguccione da Pisa: " Filos graece, latine dicitur ‛ amor '... et componitur cum sophos vel sophia, quod est ‛ sapientia ', et dicitur hic philosophus -phi, idest ‛ amator sapientiae '... Et nota quod philosophus dicitur proprie qui divinarum et humanarum rerum habet scientiam et omnem bene vivendi tramitem tenet. Et fertur hoc nomen primum esse exortum a Pitagora. Nam Graeci veteres cum ante sophos vel sophistas, idest ‛ sapientes ' , vel ‛ doctores sapientiae ', semetipsos iactancius nominarent, iste, interrogatus quod profiteretur, verecundo nomine philosophum, idest ‛ amatorem sapientiae ' se esse respondit. Ita deinceps posteris placuit ut quisque qui de talibus rebus ad sapientiam pertinentibus doctrina vel sibi vel aliis videretur excellere, non nisi philosophus vocaretur " (cfr. anche Isidoro Etym. VIII VI 1-3).
Dal termine di f. doveva poi nascere quello di filosofia come amistanza a sapienza, o vero a sapere, e in essa si determinava l'atto o perfezione del f.; pertanto, chiunque abbia insito il naturale amore che nasce dal desiderio di sapere, merita il nome di filosofo(Cv III XI 6;cfr. I I 1 Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini… desiderano di sapere; D. inserisce nella tradizionale nozione di f. amante della sapienza, quella aristotelica del ‛ naturale ' desiderio di sapere degli uomini: " Omnes homines natura [φύσει] scire desiderant ", Arist. Metaph. I 1, 980a 21). Ma a questo generale e naturale desiderio di sapere, a questa naturale amicizia per la sapienza (e appunto tale nozione corre parallela all'analisi aristotelica dell'amicizia), va aggiunto il singolare, speciale amore per essa che nasce dall'esercizio disinteressato: non si dice filosofo alcuno per lo comune amore [al sapere] (III XI 7), ma acciò che sia filosofo, conviene essere l'amore a la sapienza che fa l'una de le parti benivolente, e in aggiunta occorre lo studio, la sollicitudine, e la familiaritade, perché sanza amore sanza studio non si può dire filosofo (§ 8). Né l'amore per la sapienza dev'essere un passeggero diletto per una parte di essa: non si deve dire vero filosofo alcuno che, per alcuno diletto, con la sapienza in alcuna parte sia amico: il f. infatti deve abbracciare la sapienza nella sua totalità in cui sono comprese le scienze che sono tutte membra di sapienza (§ 9). Né può dirsi t. chi è amico della sapienza per utilitade, così come lo sono li legisti, [li] medici e quasi tutti li religiosi, che non per sapere studiano ma per acquistare moneta o dignitade (§ 10, un'invettiva, questa, che ritorna in più luoghi: cfr. Pd IX 133 ss., XI 4 ss., XII 83 ss., Cv I IX 3, Ep XI 16). Costoro, infatti, incapaci per interesse ad abbracciare la sapienza in sé e per sé, meno participano del nome del filosofo che alcuna altra gente (Cv III XI 11) e pertanto, privi dell'essenza del f., non sono ‛ veri ' , f. ma ‛ per accidente ' (§ 15). Il vero filosofo è chi ciascuna parte de la sua sapienza ama, e la sapienza ciascuna parte del filosofo, in reciproco e totale amore; la sapienza tutto a sé lo riduce, e nullo suo pensiero ad altre cose lascia distendere (§ 12); è questo il culmine della filosofia, nel totale possesso di essa e della felicità che per contemplazione de la veritade s'acquista (§ 14). L'uomo che ha la filosofia per donna dovrà così esser chiamato f. anche se non è ne l'ultimo atto di filosofia, anche se non è in ispeculazione attuale; a essere così denominato basta infatti l'abito di f. acquisito con l'esercizio della filosofia (XIII 7-8). D. stesso additerà in Socrate, Aristotele, Platone, Democrito, Zenone e Seneca i filosofi eccellentissimi che attuarono pienamente l'ideale della sapienza (III XIV 8).
Accanto a questa nozione di f. che riassume tutto ciò che di specifico D. sente in essa, va notato l'uso più tradizionale del termine. Così f. indica chi professa la filosofia rispetto a chi professa una religione, o pagana, o ebraica, o cristiana (Cv II IV 9 Nessuno dubita, né filosofo né gentile né giudeo né cristiano). In questo senso molto forte è la contrapposizione di IV XV 9, tra f., pagano e cristiano, il quale ultimo, professando la vera religione, è illuminato dalla verità eterna che rende la sua opinione superiore in autorità (vigore) a ogni altra (dice ‛ cristiani ' e non ‛ filosofi ' o vero ‛ Gentili '... però che la cristiana sentenza è di maggiore vigore, ed è rompitrice d'ogni calunnia, mercé de la somma luce del cielo che quella allumina). Ancora, i f. sono distinti dai medici (IV XXIV 3), dagli astrologi (II V 15) e, al loro interno, sono indicati i morali filosofi che parlarono dei benefici (IV XXII 1). Un riferimento al linguaggio tecnico del f. è in III XIV 5.
D., secondo una comune tecnica dossografica, riporta più volte ‛ auctoritates ' dei f. della tradizione pagana e cristiana, arrecandole come argomenti di ragione all'interno delle sue dimostrazioni: così in Cv II IV 3-4 sono riassunte le diverse opinioni sulle Intelligenze celesti (cfr. Pd XXIX 43-45), in Cv II VIII 8 è sottolineato l'universale accordo dei filosofi e dei savi sull'immortalità dell'anima, in XIII 5 il consenso sui cieli come causa della generazione sostanziale, in XIV 5 sono introdotte le varie opinioni dei f. sulla Via Lattea e in IV XXI 2 quelle sull'anima. In III II 14 è citata la definizione dell'uomo come divino animale data da li filosofi, mentre in IX 10 l'opinione di Aristotele sulla vista è confrontata con quella di Plato e altri filosofi e in IV XVII 3 è accolta la suddivisione aristotelica delle virtù rispetto a quelle dei vari f. (gli antichi filosofi sono ricordati in IV XXVII 10 per la loro opinione sulla giustizia come caratteristica della vecchiaia; in IX 16 è proprio del f. parlare della giovinezza come colmo della naturale vita).
Se, conformemente alla suddivisione canonica della filosofia antica, D. ricorda le sette degli stoici ( filosofi molto antichi, IV VI 9), degli epicurei (Altri filosofi... che videro e credettero altro che costoro, § 11; di Epicuro filosofo è detto in IV VI 11 e XXII 4) e degli accademici (VI 13), soprattutto nei peripatetici e nel loro capo Aristotele egli vede realizzata pienamente la ragione e condotta a perfezione la filosofia morale (§ 15). Ciò spiega il larghissimo uso dell'appellativo lo Filosofo, con cui D. indica, per antonomasia, Aristotele (Vn XXV 2, XLI 6; Cv I I 1, XII 3 e 10, XIII 4, II I 13, III 2, IV 16, IX 7, XII1 6, XIV 14, XV 11, III I 7, II 11 e15, III 11, IV 6, V 7 glorioso filosofo, VI 11, VIII 10 e 17, IX 10, X 2, XI 1, XIV 10, XV 5, IV III 9, IV 1 e 5, VI 1 e 17 filosofo sommo, VII 14, VIII 4[due volte], 5, 6, 8 e 10, X 8 e 9, XII 12, XV 5, 6 e 16, XVI 5 e 7, XVII 1, 4, 8 e 9, XIX 9, XX 7, XXII 2, XXVII 5; in IV VIII 15 è designato come Maestro de li filosofi). Tale uso era ormai in gran voga nel Medioevo. Giovanni di Salisbury (Metalogicon II 16), ricorda come ai suoi tempi Aristotele " antonomastice, id est excellenter, Philosophus appellatur ". Ma già Avicenna aveva chiamato lo Stagirita " magister primus " (Nat. animal. III 1, XV 1, XVI 1; Metaph. ne 2). Averroè aveva più di ogni altro celebrato la superiorità assoluta di Aristotele, dicendolo addirittura " regula in natura et exemplar quod natura invenit ad demonstrandum perfectionem humanam in materiis " (An. III t.c. 14); " Aristotelis opinio est summa veritas " (Destr. destruct. III ad dub. 13; cfr. anche Phys. proem.; Meteor. III 2; Gen. et corrupt. I t.c. 18), mentre Alberto Magno non esitava a designarlo come " archidoctorem philosophiae " (Propriet. element. I I 1). Gualtiero Burley così giustificava il suo primato filosofico: " [Aristotele] Tractavit enim omnes philosophiae partes et praecepta dedit in singulis, sed prae ceteris sic racionalem redegit in ius suum ut a possessione sua videatur omnes alios exclusisse ita ut commune nomen omnium philosophorum anthonomatice sibi proprium meruerit ", De Vita et moribus philosophorum LII. Aristotele infatti non incarnava soltanto il Filosofo per eccellenza, ma altresì la ‛ filosofia ' in quanto tale. Egli offriva al tardo Medioevo un organico corpus dottrinale sia filosofico che scientifico che, nella coscienza culturale del tempo, tendeva a identificarsi con le strutture stesse del sapere. D. non si sottrasse a questa fondamentale influenza, tanto che ogni invocazione dell'‛ auctoritas ' del Filosofo tocca punti nodali della sua argomentazione dottrinale.