Filtro in appello e ricorso per cassazione
Si mettono qui a confronto le decisioni di legittimità intervenute tra il 2014 ed il 2016 sul tema del filtro in appello, introdotto nel 2012: l’atteggiamento prevalentemente critico della dottrina e l’intervento delle Sezioni Unite mostrano che la disciplina che n’è derivata non è riuscita ad attingere il risultato di un’effettiva semplificazione del sistema delle impugnazioni.
La l. 7.8.2012, n. 134 – di conversione del d.l. 22.6.2012, n. 83 – ha introdotto come si sa rilevanti cambiamenti nella disciplina delle impugnazioni1.
Quanto all’appello sono risultati modificati gli artt. 342, co. 1, e 345, co. 3, c.p.c., sulla forma, ma meglio si direbbe sul modo della formulazione dei suoi motivi, e sulle nuove prove. Sono stati ancora introdotti gli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c. in tema di decisione dell’appello e del rapporto tra questa ed il successivo ricorso per cassazione, anch’esso modificato dall’art. 348 ter, co. 4 e 5, c.p.c. quanto alla possibilità di impugnare la decisione di merito per difetto di motivazione ed alla struttura del relativo motivo previsto nell’art. 360, n. 5, c.p.c.
In particolare, quanto alla forma dell’appello, l’intervento sul co. 1 dell’art. 342 c.p.c. si è indirizzato a far emergere in modo specifico le modifiche che la parte chiede siano apportate alla sentenza di primo grado ed il loro perché. A questo riguardo l’art. 342, co. 1, c.p.c. recita ora, tra l’altro: «L’appello deve essere motivato. La motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione di legge e della loro rilevanza ai fini della decisione».
Quanto invece all’art. 345, co. 3, c.p.c. esso è venuto a disporre che «Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile». Sicché nuovo mezzo di prova per sé ammesso è solo il giuramento decisorio.
Ulteriori modifiche hanno inoltre interessato – come si è detto – il procedimento d’appello e i modi per la relativa decisione.
Dispone l’art. 348 bis, co. 1, c.p.c. che «Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta»2.
Nel successivo art. 348 ter c.p.c. si regola, al co. 1, il procedimento per la decisione con ordinanza: vi si dice che all’udienza di cui all’art. 350 – la prima udienza fissata per la trattazione – il giudice prima di procedere a questa, «sentite le parti, dichiara inammissibile l’appello, a norma dell’art. 348 bis, primo comma, con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi. Il giudice provvede sulle spese a norma dell’articolo 91».
Nel co. 2 dell’art. 348 ter c.p.c., si contempla, per escluderlo dall’ambito di applicazione della nuova disciplina, il caso che sia stato proposto anche un appello incidentale ed il giudizio non si possa chiudere su ambedue le impugnazioni nello stesso modo e cioè per mancanza di ragionevole possibilità di accoglimento; al co. 3 si individua nel ricorso per cassazione contro il provvedimento di primo grado il successivo possibile svolgimento del processo.
Al co. 3 si stabilisce ancora che, quando l’appello è dichiarato inammissibile perché il giudice ne ritiene mancare una ragionevole possibilità di accoglimento, potrà solo essere proposto ricorso per cassazione contro il provvedimento di primo grado e al co. 4 si prevede che quando «l’inammissibilità è fondata sulle stesse questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente» può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai nn. da 1 a 4 dell’art. 360 c.p.c., non anche perciò per difetto di motivazione.
Balza evidente, già alla loro sola lettura, che dalle disposizioni richiamate non è contemplato in modo specifico il caso che alla pronuncia di inammissibilità dell’appello abbia dato occasione la violazione o falsa applicazione d’una norma sul procedimento, occorsa nel giudizio d’impugnazione e quindi tale da non poter essere dedotta come motivo d’impugnazione della sentenza di primo grado mediante ricorso per cassazione.
Nel caso3, il giudice di secondo grado aveva chiuso il giudizio davanti a sé con ordinanza dichiarando inammissibile l’appello per mancanza di una ragionevole possibilità d’essere accolto: dunque, applicando gli artt. 348 bis, co. 1, e 348 ter, co. 1, c.p.c.
Il ricorso per cassazione veniva rivolto insieme contro l’ordinanza e contro la sentenza di primo grado; la Corte esamina il primo, così ritenendolo ammissibile, non esamina il ricorso proposto contro la sentenza di primo grado e cassa con rinvio la decisione adottata dal giudice d’appello.
La Cassazione dice che, per come le due disposizioni sono formulate, il campo d’applicazione dell’ordinanza di inammissibilità regolata dall’art. 348 ter c.p.c. è quello dell’impugnazione che, ammissibile sotto il profilo delle norme che regolano la proposizione dell’appello, non è ora considerata tale quando non ha ragionevole possibilità d’essere accolta: ciò in base al confronto tra decisione di primo grado e censure che la riguardano.
Quando invece l’appello è inammissibile per ragioni che attengono al rispetto delle norme sul procedimento, ciò deve essere dichiarato con sentenza. E nel caso, nota la Cassazione, l’inammissibilità era stata pronunciata per una ragione che atteneva non al fondamento della critica mossa alla sentenza di primo grado, ma per la sostanziale assenza d’una critica.
Si sconti che l’interpretazione seguita nel caso dalla Cassazione sia quella pertinente alla formulazione letterale delle due disposizioni, lette nel loro insieme.
Merita tuttavia interrogarsi su come la vicenda processuale si può sviluppare, una volta che la Cassazione accolga, come è stato, il ricorso proposto contro l’ordinanza, giudicandolo perciò ammissibile da un lato e fondato dall’altro per non essere state osservate le norme sul procedimento attinenti alla decisione con sentenza.
La violazione della norma sul procedimento in cui in un caso come quello su cui ci si viene soffermando sia incorso il giudice di appello seguendo un rito diverso da quello dovuto – che peraltro impone l’audizione delle parti (art. 348 ter, co. 1, c.p.c.) – impedisce alla Corte, dopo avere detto ammissibile il ricorso contro l’ordinanza, di accedere al confronto tra decisione di primo grado e atto di appello per decidere se l’appello a sua volta fosse o no ammissibile?
Che l’art. 384, co. 2, c.p.c. si applichi anche quando la cassazione è pronunciata per violazione di norme sul procedimento è principio acquisito nella giurisprudenza di legittimità4. Il rilievo è di Cass., ord. 17.4.2014, n. 8940 che di seguito è richiamata e per quanto s’è appena osservato va condiviso.
In conclusione, detto ammissibile il ricorso e cassata l’ordinanza, prima di rimettere al giudice di rinvio, la Corte dovrebbe verificare se l’appello sia ammissibile o procedibile. Resta che, quando lo fosse, la Corte deve disporre il rinvio della causa anche per consentire il doppio vaglio del merito, invece mancato e la conseguente pertinente decisione in diritto.
Detto questo, va però avvertito che il tema affrontato dall’ordinanza appena commentata ha riguardato la ritenuta violazione della norma sul procedimento di decisione dell’appello.
Non invece – ad esempio – la violazione della norma sui limiti dell’attività probatoria esperibile in appello (art. 345, co. 3, c.p.c.), con la conseguenza da parte del giudice d’appello di non aver omesso di dare ingresso ad una prova al contrario ammissibile, pervenendo poi ad un giudizio di manifesta infondatezza dell’impugnazione condotto sulla base degli elementi già valutati dal giudice di primo grado e come tale impugnabile.
È la deducibilità del vizio di violazione della norma sul procedimento attinente ai limiti di deducibilità di nuove prove in appello a consentire la riapertura eventuale del giudizio sul merito e questo è vizio incorso nel giudizio di appello.
Il caso in cui è pronunciata questa seconda decisione5 trae parimenti origine dalla congiunta impugnazione con ricorso per cassazione dell’ordinanza del giudice dell’appello, che ne ha dichiarato l’inammissibilità, e della sentenza di primo grado.
Due sono le affermazioni centrali fatte dalla Corte.
La prima – già espressa nella relazione prevista dall’art. 380 bis, co. 1, c.p.c. – ha riguardato il punto se l’inammissibilità dell’appello, quando deve essere pronunciata per violazione delle norme sul procedimento e non perché il giudice ritenga mancare serie possibilità per un suo accoglimento, debba esserlo necessariamente con sentenza e perciò nel rispetto delle norme sul procedimento che regolano la decisione con sentenza.
La risposta è stata negativa.
La Corte espone la seguente come possibile decisione sul punto: «… la declaratoria di inammissibilità ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c. è possibile anche ove l’appello non sia rispettoso dell’art. 342 c.p.c.».
Come principio di diritto a sostegno della decisione sul punto, la Corte espone il seguente: «L’art. 348 bis, quando allude all’ipotesi in cui l’appello non ha ragionevole probabilità di essere accolto intende comprendervi sia il caso in cui esso sia tale per manifesta infondatezza nel merito, sia il caso in cui esso sia manifestamente infondato per una qualsiasi ragione di rito, ivi comprese cause di inammissibilità o improcedibilità espressamente previste dalla legge aliunde».
La spiegazione che segue l’enunciato è la seguente: «L’inciso “fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello”, infatti, allude all’ipotesi in cui il giudice dell’appello abbia dato corso alla trattazione dell’appello in via normale e non abbia rilevato la mancanza di ragionevole probabilità di essere accolto in limine litis all’udienza di cui all’art. 350 c.p.c., come gli impone l’art. 348 ter c.p.c. In tal caso detto inciso impone al giudice dell’appello di decidere con il procedimento di decisione normale e, dunque, con le garanzie connesse alla pronuncia della sentenza, impedendo una regressione del procedimento all’ipotesi degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c.».
La seconda questione concerne il diverso punto se, quante volte il giudizio di appello sia chiuso con ordinanza, anziché con sentenza, rimedio esperibile sia il ricorso per cassazione contro l’ordinanza o il ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado ed in questo caso se col ricorso sia dato però discutere anche della legittimità dell’ordinanza sotto il profilo della presenza o assenza delle ragioni per dirlo inammissibile o improcedibile.
La Corte – con l’ordinanza – dichiara inammissibile il ricorso, lo fa in base ai principi di diritto di seguito riportati:
a) «L’ordinanza ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., sia quando è stata emessa in un caso consentito, sia quando è stata emessa al di fuori dei casi in cui l’ordinamento ne consente l’emissione (che si individuano in quelli esclusi dal secondo comma dell’art. 348 bis e in quello risultante a contrario dal secondo comma dell’art. 348 ter) non è impugnabile con il ricorso per cassazione, né in via ordinaria, né in via straordinaria»;
b) «In entrambi i casi l’impugnazione possibile è solo quella della sentenza di primo grado»;
c) «Tale impugnazione è soggetta al controllo della Corte di cassazione sia sotto il profilo dell’art. 329 c.p.c. in relazione all’appello a suo tempo esercitato, sia sotto quello dell’eventuale abbandono con lo stesso appello di questioni per difetto di riproposizione ai sensi dell’art. 346 c.p.c.»;
d) «La Corte di cassazione, investita del ricorso contro la sentenza di primo grado non può esaminare la ritualità della decisione del giudice di appello dichiarativa della sua inammissibilità per ragioni inerenti la tecnica e lo svolgimento del giudizio di appello, ma può rilevare che, in ragione della tardività dell’appello o per essere ammesso contro la sentenza di primo grado un mezzo di impugnazione diverso da quello dell’appello, la sentenza di primo grado era passata in cosa giudicata e ciò anche quando lo stesso giudice di appello con l’ordinanza ai sensi dell’art. 348 ter abbia detto inammissibile a sua volta l’appello per una di tali ragioni».
e) «L’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. non è impugnabile nemmeno quanto alla statuizione sulle spese».
Le Sezioni Unite6 – all’esito di un primo tratto del percorso decisorio – giungono in fine del punto 3 della motivazione in diritto ad affermare che dalle disposizioni dettate dagli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., insieme considerate, emerge la conclusione del doversi ritenere l’impugnabilità ex art. 111 Cost. dell’ordinanza che chiude il giudizio di appello, se affetta da vizi propri consistenti in violazione della legge processuale.
Nella sentenza è proposta l’elencazione d’una serie dei casi in cui il diretto ricorso contro l’ordinanza deve essere ammesso; vi è però premesso l’avvertimento che «… non tutti gli errores in procedendo astrattamente ipotizzabili con riferimento ad una decisione giurisdizionale sono tuttavia compatibili con la peculiare disciplina introdotta dagli artt. 348 bis e 348 ter citati e che, d’altro canto, non sempre avverso tali errori il ricorso straordinario si rivela l’unico rimedio esperibile».
In sintesi, gli errores in procedendo segnalati dalla sentenza sono i seguenti:
a) l’ordinanza d’inammissibilità dell’appello è bensì adottata nel caso consentito, quello cioè previsto dall’art. 348 bis, co. 1, c.p.c. ma lo è violando le pertinenti norme sul procedimento: è il caso della pronuncia, da un lato non preceduta dall’audizione delle parti prevista dall’art. 348 ter, co. 1, c.p.c., dall’altro resa dopo aver dato corso alla trattazione;
b) ovvero, lo è in violazione delle norme che esplicitamente ne escludono la pronuncia, stabilendo in modo espresso che il procedimento di appello debba seguire le norme generali sue proprie e chiudersi con sentenza, secondo quanto prescrivono gli artt. 348 bis, co. 2, e 348 ter, co. 2, c.p.c.
Soffermandosi poi ed in particolare su quanto dettato dal co. 1 dell’art. 348 bis c.p.c. (ma nella sentenza è richiamato l’art. 348 ter c.p.c.) la Corte richiama l’attenzione sul dato che l’ordinanza lì prevista lo è solo per l’ipotesi in cui è dato emettere un giudizio prognostico sfavorevole circa la possibilità di accoglimento dell’impugnazione nel merito. Sicché «la decisione che pronunci invece l’inammissibilità dell’appello per ragioni di carattere processuale – ancorché erroneamente con ordinanza, richiamando l’art. 348 ter c.p.c. e, in ipotesi, pure nel rispetto della relativa procedura – è impugnabile con ricorso ordinario per cassazione, perciò senza neppure la necessità di valutare la sussistenza dei presupposti per la proposizione del ricorso straordinario, trattandosi, nella sostanza, di una sentenza di carattere processuale che non contiene alcun giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito della impugnazione e perciò differisce dalle ordinanze in cui tale giudizio prognostico negativo viene espresso»7.
La decisione delle Sezioni Unite viene incontrando in dottrina commenti variegati.
Tiscini8 si mostra preoccupata dall’evenienza che la giustificazione della scelta compiuta dalle Sezioni Unite, che traspare dalla motivazione della decisione, possa finire col rimettere in discussione risultati interpretativi acquisiti circa l’ambito di operatività del ricorso straordinario per cassazione.
Mette però in rilievo che nella disciplina strutturata con gli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., il legislatore ha finito col lasciare privo di un’espressa regolazione il caso che l’ordinanza, che definisce il giudizio di appello per l’affermata mancanza d’una ragionevole possibilità di accoglimento, presenti vizi di violazione di norme regolatrici del processo di secondo grado. È dunque per porre rimedio a questo buco di disciplina – che d’altro canto avrebbe potuto dare occasione ad arbitrii del giudice d’appello – che le Sezioni Unite si sono fatte a riconoscere la diretta ricorribilità per cassazione dell’ordinanza.
Nel soffermarsi sui singoli punti espressamente considerati dalla sentenza, generalmente condivise, Tiscini dedica tuttavia un preoccupato e condivisibile cenno critico alla soluzione di assumere a motivo d’impugnazione dell’ordinanza il fatto in sé che la pronuncia non sia avvenuta nel contesto della prima udienza di trattazione: «ben venga l’impugnazione dell’ordinanza filtro per vizi propri» – osserva – «ma non al punto da irregimentare oltremodo un meccanismo per sé farraginoso, imponendo regole di cui si potrebbe fare a meno».
Considerazione questa affatto condivisibile: se l’ordinanza è previsto sia pronunciata nella udienza di cui all’art. 350 c.p.c. e prima di procedere alla trattazione, dunque sulla scorta delle difese consegnate dalle parti nei reciproci atti introduttivi, la pronuncia in un momento successivo del processo dovrà bensì essere preavvertita, ma potrebbe trovare ostacolo solo in un mutamento del quadro degli elementi di giudizio rilevanti rispetto a quelli dedotti con l’appello.
Tra le riflessioni della dottrina a proposito del regime dell’ordinanza che chiude il giudizio di appello, riflessioni che in larga misura coincidono con la decisione assunta nei suoi diversi aspetti dalle Sezioni Unite, è da segnalare ancora quella9, esposta problematicamente, a proposito del potersi dare situazioni che giustificherebbero il diretto ricorso per cassazione contro l’ordinanza, che il giudice dell’appello pronuncia in applicazione dell’art. 348 ter, co. 4, c.p.c., quando ne dichiara l’inammissibilità per la mancanza di una ragionevole probabilità di essere accolta.
Si prospetta l’ipotesi che la valutazione si presenti corroborata «con riferimenti ad elementi di fatto e/o di diritto non corretti». In questo caso «il presupposto dell’assenza di una “ragionevole probabilità” di accoglimento, pur formalmente affermato sussistente, nella sostanza mancherebbe, aprendo ancora una volta la strada alla possibilità di ricorso diretto avverso l’ordinanza-filtro».
Il rilievo da ultimo esposto rimanda alla necessità di individuare lo spazio che può essere coperto dal ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado e quale spazio ne esorbiti e però non possa essere sottratto a sindacato, da operare in questo caso con ricorso contro l’ordinanza di inammissibilità (anche se l’errore nella collocazione del vizio decisorio in una o altra area finisce per esser nella pratica privo di rilievo se si sia abbastanza avveduti da sperimentarli ambedue).
Orbene, un ragionamento decisorio che sfoci in una statuizione di inammissibilità ex art. 348 bis, co. 1, c.p.c. in base ad un ragionamento in diritto, fermi gli elementi di fatto valutati dal primo giudice e non assoggettati a critica in appello, non presenta residui rispetto a quanto si presta ad essere oggetto della critica in diritto che si può svolgere contro la sentenza di primo grado, le cui statuizioni la parte soccombente avesse interesse a rimuovere10.
Si tratta allora di vedere se altro non sia invece il discorso, a proposito di un appello che abbia messo in questione anche il giudizio sul fatto, in particolare individuando le circostanze di fatto di cui sia stata omessa la considerazione e che si sarebbero prestate invece da un punto di vista logico a diversa ricostruzione della vicenda fattuale, col desiderato effetto d’altra decisione in diritto, decisione che invece è mancata per avere il giudice di appello del tutto trascurato le circostanze o averle considerate non provate o comunque irrilevanti.
Si ipotizzi che le circostanze di fatto, dedotte come tali da imporre una diversa ricostruzione del fatto siano state riproposte con l’appello, ché, altrimenti, la loro valutazione non si presterebbe più a costituire oggetto di discussione. Se la loro valutazione sia affatto mancata anche in secondo grado, la critica della sentenza di primo grado sul punto – non ostacolata dalla doppia valutazione, che è mancata – parrebbe prestarsi ad essere affidata al ricorso per cassazione proposto in base all’art. 360, n. 5, c.p.c., col risultato di anticipare il vaglio della loro idoneità, sotto l’aspetto logico, a inficiare o meno la decisione assunta dal giudice di primo grado.
Del resto non sarebbe diverso il risultato del dire invece ammissibile il ricorso contro l’ordinanza, perché, mancato dal giudice di appello il vaglio anche delle circostanze che si sono tornate ad allegare, la cassazione dell’ordinanza, per il vizio di violazione di norma sul procedimento, non potrebbe da sola innescare il rinvio al giudice d’appello, se nella sede di decisione sul ricorso non fosse affrontata e risolta in senso positivo la questione della idoneità, delle circostanze dedotte con l’appello e non esaminate, a determinare dal punto di vista logico, se provate, una diversa decisione in diritto.
Pare allora che, oltre ai casi in cui il giudice di appello abbia violato specifiche norme che richiedono si pronunci con sentenza, norme che regolano il procedimento davanti a sé, lo spazio proprio del ricorso per cassazione contro l’ordinanza di inammissibilità sia ancora quello della denunzia del vizio di violazione di norme sul procedimento attinenti ai poteri delle parti e del giudice.
Ancora una considerazione, questa volta sul regime delle spese, su cui il giudice di appello, secondo l’art. 348 ter, co. 1, c.p.c., dispone con l’ordinanza che dichiara l’impugnazione inammissibile o improcedibile.
Le Sezioni Unite nella sentenza di cui si è venuti discorrendo, della pronuncia contenuta nell’ordinanza hanno affermato l’impugnabilità con ricorso per cassazione, in coerenza con l’impostazione generale, per cui l’ordinanza che chiude il giudizio d’appello non può essere sottratta a impugnazione quanto ai vizi derivanti dall’applicazione della legge occorsa nel giudizio di appello: così è stata rifiutata la diversa soluzione proposta dall’ordinanza n. 8940/2014.
Il ricorso sarà esperito nell’eventualità che non lo sia o non venga accolto quello contro la sentenza di primo grado.
A questo punto, pare che della nuova disciplina ha un senso la previsione dei co. 4 e 5 dell’art. 348 ter per il caso che la decisione dell’appello sia fondata sulle stesse ragioni di fatto poste a base della decisione impugnata.
Per il resto, la decisione resa dal giudice di secondo grado dovrebbe tornare ad essere assoggettata a ricorso per cassazione.
Quanto poi alle modalità della fase di decisione, se questa appaia evidente, il modo del decidere dell’appello potrebbe convenientemente essere la modalità decisoria prevista dall’art. 281 sexies c.p.c., così ricollegandosi a proposte formulate in dottrina11.
Note
1 V., tra gli altri, Balena, G., Le novità relative all’appello nel d.l. 83/2012, in Giusto proc. civ., 2013, 335 ss.; Gasperini, M.P., La formulazione dei motivi di appello nei nuovi artt. 342 e 434 c.p.c., in Riv. dir. proc., 2014, 914 ss.; Poli, R., Il nuovo giudizio di appello, ivi, 2013, 136 ss.
2 Sulle prime applicazioni da parte dei giudici di merito, v. i provvedimenti commentati da Panzarola, A., Le prime applicazioni del c.d. filtro in appello, in Riv. dir. proc., 2013, 715 ss.
3 Cass., ord. 27.3.2014, n. 7273, in Riv. dir. proc., 2014, 1582 con nota adesiva di Ciccarè, M., Sull’impugnazione dell’ordinanza ex artt. 348 bis e ter c.p.c.; in Foro it., 2014, I, 1413 per le massime, 1444 per il testo e 1451 ss. per le note adesive di Costantino, G., La riforma dell’appello tra nomofilachia e hybris, e Scarselli, G., Brevi osservazioni sul ricorso per cassazione avverso l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c.; in Giur. it., 2014, 1110, con nota di Carratta, A., Ordinanza sul filtro in appello e ricorso per cassazione.
4 V. Cass., 15.2.2005, n. 2977; Cass., 28.3.2006, n. 7073.
5 Cass., ord. 17.4.2014, n. 8940, in Giur. it., 2014, 1109, con nota di Carratta, A., op. cit.; in Foro it., 2014, I, 1452, con note di Costantino, G., op. cit., e Scarselli, G., op. cit.
6 Cass., S.U., 2.2.2016, n. 1914, in Giur. it., 2016, 1371, con nota di Carratta, A., Le Sezioni Unite e i limiti di ricorribilità in Cassazione dell’ordinanza sul ‘‘filtro’’ in appello.
7 Nella sentenza se ne richiama altra delle stesse Sezioni Unite – Cass., S.U., 2.10.2012, n. 16727, in Giur. it., 2013, 1623, con nota di Di Cola, L., L’impugnazione dell’ordinanza ex art. 789, comma 3, c.p.c. emessa nonostante la presenza di contestazioni, resa in tema di scioglimento di comunioni, secondo la quale l’ordinanza che, ai sensi dell’art. 789, co. 3, c.p.c. dichiara esecutivo il progetto di divisione in presenza di contestazioni, ha natura di sentenza ed è quindi impugnabile con l’appello.
8 Tiscini, R., Impugnabilità dell’ordinanza filtro per vizi propri. L’apertura delle Sezioni unite al ricorso straordinario, in Corr. giur., 2016, 1132.
9 Carratta, A., Le Sezioni Unite, cit., 1378 ss.
10 Così, tra gli altri, già Tedoldi, A., Il maleficio del filtro in appello, in Riv. dir. proc., 2015, 751 e 762, il quale appunto osserva che «quando l’ordinanzafiltro sia errata nel contenuto, il regime di impugnabilità in Cassazione per saltum della sentenza di primo grado soddisfa appieno le esigenze di tutela della parte soccombente».
11 Si veda Tedoldi, A., op. cit., 770.