“Filtro” in appello: prime applicazioni
La novità più significativa della riforma sul giudizio di appello, introdotta con il d.l. 22.6.2012, n. 83 (conv. dalla l. 7.8.2012, n. 134), è data dalla possibilità che il giudice d’appello dichiari, con ordinanza, l’inammissibilità dell’appello per mancanza di una «ragionevole probabilità di essere accolto», secondo la formula utilizzata dall’art. 348 bis c.p.c. In questi due anni di applicazione si sono andati formando ‒ anche presso la giurisprudenza della Cassazione ‒ orientamenti interpretativi divergenti su alcuni dei più rilevanti profili del nuovo istituto. È su questi differenti orientamenti che si sofferma il contributo e sulle «ricadute» che potranno aversi dal loro consolidarsi sul piano applicativo.
Nella convinzione che l’appello costituisca un ostacolo alla «ragionevole durata» del processo civile, il legislatore degli ultimi anni ha cercato di limitarne l’accesso. Ciò è accaduto, in particolare, con l’introduzione degli artt. 348 bis e ter c.p.c., ad opera dell’art. 54 del d.l. n. 83/2012 (conv., con modificazioni, dalla l. n. 134/2012). Così, riprendendo una disposizione già presente nell’ordinamento tedesco1, ha previsto che «fuori dei casi in cui deve essere dichiarata
con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta». Alla prima udienza, dunque, il giudice d’appello può procedere a questa dichiarazione di inammissibilità con ordinanza perché ritiene – sulla base di una valutazione meramente prognostica ‒ che l’appello proposto, inteso nella sua interezza2, (pur non potendo essere dichiarato inammissibile o improcedibile con sentenza) non sembra presentare, prima facie, elementi per poter essere accolto.
La nuova fattispecie di inammissibilità non si applica – aggiunge il co. 2 dello stesso art. 348 bis ‒ «quando: a) l’appello è proposto relativamente a una delle cause di cui all’art. 70, primo comma; b) l’appello è proposto a norma dell’art. 702 quater». Vale a dire, essa non si applica ai giudizi di appello delle cause per le quali è previsto l’intervento necessario del p.m. ed a quelli proposti nell’ambito del procedimento sommario di cognizione. Le nuove disposizioni non si applicano neanche al processo tributario di cui al d.lgs. 31.12.1992 n. 546 (così il co. 3 bis dell’art. 54 d.l. 83/2012).
Quanto alle modalità per pervenire a questa pronuncia di inammissibilità, l’art. 348 ter, co. 1, prevede che «il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiara inammissibile l’appello, a norma dell’art. 348 bis, primo comma, con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi.
Il giudice provvede sulle spese a norma dell’art. 91»3. Va anche aggiunto che, nell’ipotesi in cui avverso la medesima sentenza sia stato avanzato appello sia principale che incidentale ai sensi dell’art. 333, l’ordinanza di inammissibilità in questione può essere pronunciata solo laddove ricorrano sia per l’una che per l’altra impugnazione i presupposti di cui all’art. 348 bis, co. 1, e cioè manifestino entrambe una «ragionevole probabilità» di essere infondate.
In caso contrario, il giudice procederà alla trattazione degli appelli, comunque proposti, contro la sentenza (co. 2 dell’art. 348 ter). E identica conclusione dovrebbe valere anche nell’ipotesi che sia proposto appello incidentale tardivo ex art. 334 c.p.c., in quanto in questo caso non dovrebbe trovare applicazione il co. 2 dello stesso art. 334, in base al quale l’impugnazione incidentale tardiva perde efficacia, ove l’impugnazione principale venga dichiarata inammissibile (in senso proprio, per carenza delle condizioni previste per l’impugnazione).
Le nuove disposizioni riguardano i giudizi d’appello instaurati dopo l’11.9.2012 e sono state viste come un esempio dell’“invadenza” della norma processuale sul piano dell’effettività della tutela giurisdizionale dei rapporti sostanziali4. D’altro canto, le stesse, che nelle intenzioni del legislatore avrebbero dovuto portare ad un’accelerazione dei giudizi di appello, in realtà non hanno sortito finora alcun effetto pratico rilevante5. Le ragioni di un simile, sostanziale, fallimento dell’ennesimo intervento legislativo sul processo civile sono molteplici.
2.1 Obiettivi dell’introduzione del “filtro in appello”
Anzitutto, al di là delle numerose e rilevanti divergenze interpretative che esse hanno suscitato, come vedremo, non si può trascurare il fatto che appare un’inutile complicazione – in contrasto con la ragionevole durata del processo ‒ la previsione che il giudice d’appello debba decidere con ordinanza l’inammissibilità per probabile infondatezza, essendo ragionevole pensare che, siccome in tal caso il giudice deve comunque studiarsi la causa per poter valutare la probabile infondatezza dell’appello proposto, egli possa preferire la pronuncia della sentenza di merito che respinga l’appello.
Certo, si potrebbe dire che l’ordinanza comunque agevola l’operato del giudice con riferimento all’obbligo motivazionale.
Ma se questo era il punto si poteva pensare a soluzioni alternative, come pure era stato avanzato in sede di discussione parlamentare, e cioè all’estensione anche all’appello dell’utilizzazione della sentenza semplificata di cui all’art. 281 sexies c.p.c. D’altra parte, siccome il giudizio preliminare sull’inammissibilità dell’appello presuppone il contraddittorio con e tra le parti, ai sensi degli artt. 111 Cost. e 101 c.p.c., nonché in base all’inciso «sentite le parti», non può affatto escludersi, ai sensi dell’art. 83 bis disp. att. c.p.c., che in sede di prima udienza le parti chiedano e che il giudice conceda termini per il deposito di memorie sulla questione. Determinando, di conseguenza, un ulteriore allungamento dei tempi processuali.
In realtà, con i nuovi artt. 348 bis e ter c.p.c., ad una forma alquanto discutibile dal punto di vista della “sintassi processuale” e dell’utilizzazione degli istituti a cui questa “sintassi” accede, si accompagna una soluzione processuale molto discussa e discutibile.
Ciò perché il disegno che sta dietro una norma come questa – al di là dei difetti di fattura, che pure assumono una loro rilevanza – è evidente: intervenendo sul profilo dell’ammissibilità dell’appello, e dunque su un istituto che è connesso alla sussistenza o meno dei presupposti per esercitare l’impugnazione, si vorrebbe limitare di fatto lo stesso accesso al rimedio dell’appello – facendo così un utilizzo alquanto distorto dello stesso istituto dell’inammissibilità.
2.2 La natura decisoria dell’ordinanza-filtro
In secondo luogo, l’art. 348 bis definisce impropriamente come dichiarazione di inammissibilità una pronuncia che attiene (non alla mancanza delle condizioni per proporre l’appello, come tradizionalmente viene qualificato il vizio di inammissibilità, ma) alla valutazione prognostica del giudice competente di infondatezza nel merito dell’appello proposto.
E dunque, checché ne dica il legislatore, si tratta non di una decisione in rito, come normalmente è quella che dichiari inammissibile l’impugnazione, ma di una decisione che respinge nel merito (sia pure sulla base di una valutazione meramente prognostica e non all’esito dell’ordinario giudizio) l’appello proposto.
Se così è, non v’è dubbio che l’ordinanza in questione assuma – dal punto di vista sostanziale – i connotati propri della decisione di rigetto nel merito dell’appello proposto e che con questa “sostanza” occorra inevitabilmente confrontarsi quando si tratti di individuare i rimedi, costituzionalmente garantiti alle parti, esperibili in concreto o, se si vuole, per valutare se i rimedi previsti dal legislatore ordinario possano ritenersi pienamente conformi a questa “sostanza” sul piano delle garanzie costituzionali.
2.3 Il presupposto della “non ragionevole probabilità” di accoglimento dell’appello
In terzo luogo, la formula «non ragionevole probabilità» di accoglimento dell’appello proposto, che si ritrova nell’art. 348 bis, si presenta sostanzialmente come una norma in bianco, che il giudice può riempire come meglio crede; come tale si pone in contrasto con la riserva di legge dell’art. 111 Cost. ed anche con il principio affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per cui la concessione del grado d’impugnazione, una volta che il legislatore decida di riconoscerla, non può essere sottoposta a condizioni incardinate su valutazioni eccessivamente discrezionali6 ed il relativo giudizio deve essere comunque conforme all’art. 6, par. 1, della CEDU7. È difficile negare che la formula utilizzata nell’art. 348 bis ecceda proprio nel senso dell’eccessiva discrezionalità come condizione per accedere all’impugnazione stessa.
Ed a conferma di ciò possono essere richiamate le conclusioni alle quali pervengono le linee guida predisposte da alcune Corti d’appello ai fini dell’applicazione del nuovo istituto. Di fatto si delineano due linee di tendenza nettamente contrapposte.
Secondo un primo orientamento, decisamente maggioritario, la formula «non ragionevole probabilità» di accoglimento dell’appello proposto coinciderebbe, nella sostanza, con la valutazione di manifesta infondatezza nel merito dell’appello.
E così, ad es., le linee guida predisposte dalla Corte di appello di Napoli, dopo avere convenuto che il tenore della disposizione de qua «concede un margine di apprezzamento forse eccessivo al giudice dell’impugnazione», sostengono che vada «respinta una prospettiva ermeneutica che… giunga ad un parallelismo con il fumus boni juris, quasi che il giudice d’appello possa dichiarare inammissibile il gravame tutte le volte che questo, a una prima delibazione prognostica, pur non apparendo manifestamente infondato, non mostri ragionevoli chances di successo», e concludono affermando che «solo un self-restrainment ermeneutico, teso a restringere l’applicazione del criterio posto dall’art. 348 bis ad ipotesi di manifesta carenza di significative prospettive di successo del gravame, e ciò all’esito di un’attenta disamina del fascicolo,…può scongiurare il pericolo… di un ‘volontarismo giudiziale difficilmente tollerabile’». Questo stesso sembra essere l’orientamento della Corte d’appello di Roma8.
Stando, invece, ad un secondo orientamento, minoritario, delineatosi nella pratica, la valutazione del presupposto della «non ragionevole probabilità di accoglimento» si sostanzierebbe in una valutazione molto simile a quella alla base della pronuncia di un provvedimento cautelare, ovvero in una valutazione meramente superficiale di sussistenza/insussistenza del fumus boni iuris o, per essere più precisi, del fumus del diritto alla riforma della sentenza appellata.
È l’impostazione seguita nelle linee guida predisposte dalla Corte di appello di Milano, dove si sostiene che «in ordine ai criteri per la valutazione prognostica di insussistenza della probabilità di accoglimento dell’appello, la prescrizione dettata dall’art. 348 ter c.p.c. va letta, quanto alla ragionevolezza della prognosi, alla stregua della valutazione del fumus boni juris».
È quanto si legge anche nella recente ordinanza della Corte d’appello di Milano del 22.1.20149. Secondo i giudici milanesi, infatti, «Gli artt. 348 bis e ter c.p.c., introdotti con il d.l. n. 83/2012 (conv. dalla l. n. 134/ 2012), esigono che il giudice d’appello, fuori dai casi in cui debba dichiarare con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello, prima di procedere alla trattazione della causa, sentite le parti, effettui una delibazione (sommaria) delle argomentazioni poste a fondamento del gravame.
Ove all’esito di questo esame preliminare, avuto altresì riguardo a precedenti conformi, non ravvisi una «ragionevole probabilità» di accoglimento dell’impugnazione proposta, pronuncia ordinanza di inammissibilità dell’appello proposto».
D’altro canto, di «pronuncia a cognizione sommaria» parlano anche alcune pronunce della Cassazione, nelle quali si sottolinea – sia pure attraverso meri obiter dicta interni alla motivazione – che «affinché sia coerente con le finalità della novella, la valutazione (n.d.a.: di cui all’art. 348 bis c.p.c.) debba essere davvero sommaria e risolversi in una schematica – e cioè estremamente sintetica, benché certamente non apodittica, né meramente tautologica – conferma della validità delle ricostruzioni in fatto e delle decisioni in diritto operati dal primo giudice»10.
Comunque sia l’ordinanza-filtro non avrebbe natura definitiva, visto che è sempre possibile impugnare ulteriormente il provvedimento di primo grado, sia pure coi termini e nelle forme previsti dal nuovo art. 348 ter c.p.c.
Ora, i due orientamenti colgono due diversi profili della valutazione pretesa dal giudice nel pronunciare l’ordinanza-filtro. Sulla base delle conclusioni alle quali siamo pervenuti con riferimento alla natura dell’ordinanza di inammissibilità pronunciata ai sensi degli artt. 348 bis e ter, è indubbio che la valutazione compiuta dal giudice in sede di pronuncia dell’ordinanza sia una valutazione di (apparente) fondatezza o meno dell’appello proposto.
Questa decisione nel merito – stante il riferimento alla valutazione di «ragionevole probabilità» di accoglimento – sembra dover essere fondata su una valutazione discrezionale, superficiale e sommaria (del resto, essendo prognostica essa non può che essere tale). E tuttavia, siccome tale valutazione determina di fatto la decisione nel merito dell’appello proposto, questo non significa anche che il giudice d’appello si debba limitare a valutare il fumus di sussistenza del diritto di vedere accolto l’appello proposto. Piuttosto, sulla base dell’approfondito esame degli atti di causa11, compiuto dal giudice d’appello prima di arrivare alla prima udienza, gli si consente, laddove dovesse emergere che l’appello proposto non presenti alcuna «ragionevole» (quindi, motivata) probabilità di essere accolto, di chiudere immediatamente l’appello proposto con ordinanza, piuttosto che attendere lo svolgimento del normale giudizio di appello.
Di riflesso, ciò sta anche a significare che, laddove dall’esame compiuto prima facie dal giudice dovesse emergere una sia pur minima probabilità di accoglimento dell’appello proposto, non dovrebbe esserci spazio per la pronuncia dell’ordinanza-filtro.
Ciò del resto, spiega anche la cautela con la quale i giudici d’appello, in questi primi due anni di vigenza degli artt. 348 bis e ter, hanno fatto ricorso alla loro applicazione.
2.4 Il ricorso per cassazione della sentenza di primo grado appellata
Infine, particolare attenzione merita poi il regime dei rimedi esperibili a seguito della pronuncia di inammissibilità dell’appello per effetto dell’applicazione del «filtro». Come già detto, in tal caso si apre sicuramente la possibilità di proporre, avverso la sentenza di primo grado già appellata, una sorta di ricorso per saltum per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c. In proposito, il co. 3 dell’art. 348 ter c.p.c. chiaramente prevede che «quando è pronunciata l’inammissibilità (rectius: manifesta infondatezza), contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell’art. 360, ricorso per cassazione», aggiungendo che «in tal caso il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità», salva comunque l’applicazione, in quanto compatibile, dell’art. 327 sui termini lunghi, ove non vi sia stata né comunicazione, né notificazione dell’ordinanza.
Ora, per quanto riguarda tale ricorso proposto avverso la sentenza di primo grado, sembra prevalere tanto in giurisprudenza, quanto in dottrina, la convinzione che esso sia proponibile nel pieno rispetto degli effetti del «giudicato interno», che si siano eventualmente prodotti nel passaggio dal giudizio di primo grado a quello d’appello, poi dichiarato inammissibile12.
Valgono, d’altro canto, con riferimento a questo particolare ricorso per cassazione avverso una sentenza di primo grado, giustificato dalla dichiarata inammissibilità dell’appello, le ordinarie regole sul ricorso per cassazione. In particolare vale l’onere, a pena di improcedibilità del ricorso proposto, di produrre copia autentica della sentenza impugnata, fissato dall’art. 369, co. 2, n. 213, non potendosi supplire a tale mancata produzione – come ha riconosciuto la stessa Cassazione ‒ con la conoscenza che della stessa sentenza si attinga da altri atti del processo e, in particolare, dalle copie fotostatiche, depositate per la formazione del fascicolo d’ufficio, prive della garanzia di autenticità14.
Inoltre, sempre in applicazione delle regole sul giudizio di cassazione, il ricorso avverso la sentenza di primo grado deve anche contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dello svolgimento del giudizio di appello, di cui all’art. 366, n. 3, c.p.c., anche se questo in realtà non si è svolto per essere stato dichiarato inammissibile l’appello proposto15 e lo stesso ricorso deve fare espressa menzione sia dell’integrale motivazione dell’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità, sia dei motivi di appello,mentre tanto l’atto d’appello che l’ordinanza-filtro devono essere prodotti ai sensi dell’art. 369, n. 4, c.p.c.16
Le nuove disposizioni, d’altro canto, hanno fatto emergere, pur nei limitati tempi di applicazione, numerosi problemi interpretativi, risolti in maniera diversificata dai giudici d’appello e, per alcuni profili, anche dai giudici di legittimità. In ciò rispecchiando in pieno le divergenze che, ancor prima, erano emerse nel dibattito dottrinale.
3.1 L’ordinanza-filtro anche per il rigetto in rito? Critiche
Un primo problema attiene alla questione dell’utilizzabilità dell’ordinanza-filtro anche per respingere l’appello proposto per ragioni di rito (e non solo per la insussistenza di una «ragionevole probabilità» di essere accolto nel merito). Su questo profilo occorre registrare le posizioni contrastanti che sono emerse dalle prime pronunce della Cassazione.
Seguendo l’orientamento senz’altro maggioritario, una parte dei giudici della Cassazione rileva che «il tenore letterale dell’art. 348 bis c.p.c. evidenzia che il campo di applicazione dell’ordinanza di inammissibilità è quello dell’impugnazione manifestamente infondata nel merito»17. E alla stessa conclusione, del resto, era pervenuta in precedenza anche la maggioranza dei giudici di merito nell’applicare il nuovo istituto18.
Invece – stando alle ordinanze “gemelle” del 17.4.2014, nn. 8940-8943, sempre della stessa Cassazione – gli artt. 348 bis e ter si applicherebbero anche laddove si tratti di pronunciare l’inammissibilità per ragioni di rito o l’improcedibilità dell’appello proposto. Secondo quest’orientamento, infatti, l’art. 348 bis, quando allude all’ipotesi in cui l’appello non ha ragionevole probabilità di essere accolto intende comprendervi sia il caso in cui esso sia tale per manifesta infondatezza nel merito, sia il caso in cui esso sia manifestamente infondato per una qualsiasi ragione di rito, ivi comprese le cause di inammissibilità o improcedibilità espressamente previste dalla legge aliunde.
«L’inciso “fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello”, infatti, ‒ osservano i giudici della legittimità ‒ allude all’ipotesi in cui il giudice dell’appello abbia dato corso alla trattazione dell’appello in via normale e non abbia rilevato la mancanza di ragionevole probabilità dell’appello di essere accolto in limine litis all’udienza di cui all’art. 350 c.p.c., come gli impone l’art. 348 ter c.p.c. In tal caso detto inciso impone al giudice dell’appello di decidere con il procedimento di decisione normale e, dunque, con le garanzie connesse alla pronuncia della sentenza, impedendo una regressione del procedimento all’ipotesi degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c.». Conclusione, questa, che tuttavia ci pare smentita da diversi elementi.
In primo luogo, dall’incipit dello stesso art. 348 bis («Fuori dai casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità…»), che sembra diretto ad escludere proprio l’applicabilità del meccanismo semplificato di decisione alle ipotesi in cui debba essere dichiarata l’inammissibilità per ragioni di rito o l’improcedibilità.
In secondo luogo, dal fatto che gli artt. 348 bis e ter parlano di impugnazione «dichiarata inammissibile» quando non sussista una «ragionevole probabilità di essere accolta», chiaramente escludendo che tale inammissibilità possa derivare dalla sussistenza dei presupposti per dichiararne l’inammissibilità per ragioni di rito o l’improcedibilità.
In terzo luogo, dalla circostanza che lo stesso art. 348 ter, co. 1, nel richiamare la motivazione «succinta» dell’ordinanza-filtro, espressamente prevede che essa possa anche limitarsi al «rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa».
Ciò che presuppone, appunto, la decisione nel merito dell’ordinanza-filtro.
Infine, dalla circostanza che l’art. 358 esclude la riproponibilità dell’appello dichiarato inammissibile per ragioni di rito o improcedibile, facendo così scaturire il passaggio in giudicato della sentenza appellata, mentre così non sarebbe ove si ammettesse l’applicazione degli artt. 348 bis e ter anche a queste ipotesi, come ritenuto appunto dalle ordinanze della Cassazione nn. 8940-8943/2014.
3.2 Il problema della natura “definitiva” dell’ordinanza-filtro
Un secondo profilo problematico riguarda la natura definitiva o no dell’ordinanza-filtro.
La questione, già discussa in dottrina, è stata affrontata anche dalle prime pronunce in argomento della Suprema Corte, le quali, tuttavia, sono approdate a conclusioni fra loro contrapposte.
Da una parte, infatti, è stato ritenuto ammissibile il ricorso proposto avverso l’ordinanza-filtro, riconoscendo che la ricorribilità per cassazione di detta ordinanza non possa essere esclusa tutte le volte che essa sia stata pronunciata senza che ne ricorressero i presupposti di legge (nel caso di specie, per dichiarare l’inammissibilità ex art. 342 c.p.c. per non specificità dei motivi d’appello)19. Una conclusione, questa, inevitabile, una volta che si condivida l’opinione ‒ già espressa in altra occasione20 ‒ secondo la quale l’ordinanza in questione assume i connotati propri del definitivo provvedimento decisorio nel merito dell’appello proposto21.
Dall’altra parte, invece, affrontando la medesima questione, altra parte dei giudici di legittimità ha escluso la ricorribilità per cassazione dell’ordinanza di cui all’art. 348 bis c.p.c., ritenendo che l’unico rimedio esperibile in tal caso sia il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, il cui appello sia stato dichiarato inammissibile per «mancanza di una ragionevole probabilità di accoglimento »22. Seguendo, in questa conclusione, quanto sostenuto da altra parte della dottrina intervenuta sull’argomento23.
Ora, non v’è dubbio che, come abbiamo visto, per effetto della dichiarazione di «inammissibilità» dell’appello «per ragionevole probabilità di non accoglimento» si apre la possibilità di proporre, avverso la sentenza di primo grado già appellata, una sorta di ricorso per saltum per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., secondo quanto dispone il co. 3 dell’art. 348 ter c.p.c.; sentenza di primo grado che, di conseguenza, è destinata a riprendere “vita”24.
È da chiedersi, tuttavia, se questo rimedio sia di per sé idoneo a salvaguardare il diritto di difesa della parte che abbia proposto l’appello dichiarato inammissibile.
Sulla risposta al quesito ancora una volta i giudici di legittimità appaiono divisi: alcuni ritengono che la proponibilità del ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado non consenta alla parte di sindacare il corretto operato del giudice d’appello, giustificando, di conseguenza, l’“apertura” alla ricorribilità per cassazione quando si ritenga che il giudice d’appello abbia applicato non correttamente il “filtro”25; altri, invece, ritengono l’esatto contrario26.
3.3 I limiti dell’impugnabilità della sentenza di primo grado
Ora, soffermandoci sulla prevista ricorribilità per cassazione della sentenza di primo grado – in conseguenza della pronuncia dell’ordinanza-filtro ‒, è facile rilevare come questa possibilità non consenta comunque di sindacare la sentenza di primo grado con la stessa ampiezza con la quale il soccombente avrebbe potuto sindacarla se l’appello non fosse stato dichiarato inammissibile per mancanza di una «ragionevole probabilità» di accoglimento.
Infatti, essendo il ricorso per cassazione un rimedio di legalità e cioè diretto al controllo di legittimità del provvedimento impugnato, avverso la sentenza di primo grado la parte potrà far valere solo vizi che rientrano fra quelli espressamente indicati dall’art. 360 e non anche quei motivi proposti con l’atto d’appello, ma «non convertibili» in uno dei motivi di ricorso per cassazione.
Né, per smentire ciò, ci si può limitare a replicare che il «ridimensionamento» che subirebbe in tal caso l’appellante, per essere costretto a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, «concerne in definitiva il dover articolare l’impugnazione…con la deduzione di vizi specifici riconducibili al paradigma dell’art. 360 c.p.c. e, quindi, la tecnica di esercizio del diritto di impugnazione, ma non certo il possibile oggetto dei vizi deducibili, salvo per i vizi motivazionali concernenti la ricostruzione della quaestio facti. Infatti, i vizi tipizzati di cui all’art. 360, nn. 1, 2, 3 e 4, non sono dissimili da quelli corrispondenti che si possono dedurre con l’appello»27.
In realtà, è ben difficile ammettere che i motivi d’appello (tipico mezzo di impugnazione a motivi illimitati o a critica libera) coincidano nella sostanza con i motivi di ricorso per cassazione dell’art. 360 c.p.c. E ciò ‒ a tacer d’altro ‒ per l’evidente ragione che «l’impugnazione a critica libera ha attitudine ad investire la precedente sentenza sotto ogni profilo, sicché, nella disciplina positiva, essa non si caratterizza dal motivo di censura»,mentre «ove l’impugnazione costituisca rimedio per motivi specificamente indicati, è deduzione consequenziale che il mezzo si adegui, nella sua funzione e struttura, a questa previsione istitutiva»28.
D’altro canto, non si può affatto tralasciare ‒ nel momento in cui si prende in considerazione il ricorso per cassazione proponibile avverso la sentenza di primo grado ‒ il profilo della limitazione dei vizi motivazionali, deducibili ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Ciò, tanto più in considerazione della riformulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., che oggi consente la proposizione del ricorso solo «per omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione fra le parti» e che, dunque, limita notevolmente le possibilità di far valere vizi motivazionali con il ricorso per cassazione29.
Va anche rilevata ‒ sempre con riferimento alla non coincidenza fra appello e ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado ‒ la circostanza che la sindacabilità in cassazione della sentenza di primo grado per il profilo dell’eventuale vizio motivazionale di cui al n. 5 dell’art. 360 è comunque esclusa, ai sensi del co. 4 dell’art. 348 ter, «quando l’inammissibilità (n.d.a.: dell’appello proposto) è fondata sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata». In questo caso, quindi, il ricorso avverso la sentenza di primo grado sarà proponibile solo per imotivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360. Ciò che porta a ritenere che un eventuale vizio della stessa natura di quello indicato dal n. 5 dell’art. 360, presente nella sentenza di primo grado e reiterato dal giudice d’appello nel pronunciare l’ordinanza di inammissibilità, non sarà comunque suscettibile di essere oggetto del ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, che dovesse essere proposto dopo la pronuncia dell’ordinanza di inammissibilità.
È vero che la stessa limitazione vale anche, ai sensi del co. 5 dell’art. 348 ter, nei confronti della sentenza d’appello, che «confermi la decisione di primo grado», quando l’appello riguardi sempre questioni di fatto della sentenza di primo grado. Ma ‒ a parte la discutibilità di questa soluzione normativa30 anche alla luce della garanzia costituzionale del ricorso per cassazione avverso tutte le sentenze «per violazione di legge» di cui all’art. 111 Cost.31 ‒ è parimenti vero che, nel caso della pronuncia dell’ordinanza di inammissibilità (a differenza di quanto accade per la pronuncia della sentenza), la valutazione compiuta dal giudice d’appello è pur sempre una valutazione meramente prognostica e adottata non all’esito dell’ordinario giudizio di appello. Ciò che non solo aumenta in tal caso il rischio di errore del giudice d’appello,ma fa sorgere ulteriori dubbi sulla conformità all’art. 3 Cost. della stessa soluzione normativa, la cui applicabilità è prevista per situazioni profondamente diverse fra loro: sia in caso di «doppia conforme» derivante dalla dichiarazione di «inammissibilità» dell’appello ex art. 348 bis, sia in caso di ordinaria trattazione dell’appello e decisione con sentenza.
Infine, non può neanche trascurarsi la circostanza che il rimedio del ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado non coinvolge in alcun modo il controllo sulla correttezza dell’operato del giudice d’appello nel pronunciare l’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità. In effetti, attraverso questo ricorso per cassazione il ricorrente, sebbene possa sindacare la decisione del giudice di primo grado (sia pure nei limiti indicati nel precedente paragrafo), non potrà comunque tutelarsi nei confronti della decisione assunta dal giudice d’appello.
Decisione, quindi, che da questo punto di vista non può non considerarsi (oltre che ‒ come già detto ‒ di natura decisoria) definitiva, in quanto non sottoponibile ad alcun rimedio diretto per ottenere da parte di altro giudice il controllo sul corretto operato del giudice che l’ha pronunciata. È evidente, infatti, che la possibilità di impugnare la sentenza di primo grado comunque non consente né di sindacare direttamente la valutazione compiuta dal giudice d’appello per pronunciare l’ordinanza di inammissibilità, né di sottoporre al controllo dei giudici di legittimità eventuali vizi emergenti dalla stessa ordinanza.
Di conseguenza, anche proponendo il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, il ricorrente non può far valere censure attinenti a tutti gli eventuali errores (in procedendo o in iudicando) commessi dal giudice d’appello nel non dare ingresso all’appello proposto. Per poter ottenere una pronuncia su questi errores l’unica strada percorribile è quella di riconoscere l’impugnabilità dell’ordinanza che ha posto termine al procedimento d’appello, dichiarandolo erroneamente inammissibile per mancanza di una «ragionevole probabilità» di essere accolto.
3.4 La ricorribilità per cassazione dell’ordinanza-filtro
Alla luce delle divergenti valutazioni applicative evidenziate nelle pagine che precedono, si comprende agevolmente come esse si ripercuotano poi sul problema della ricorribilità per cassazione avverso l’ordinanza-filtro. A questo proposito due sembrano gli orientamenti che vanno delineandosi, sia in dottrina che in giurisprudenza.
Secondo un primo orientamento, meno restrittivo, occorre riconoscere che, stante la sua natura decisoria (perché, come detto, decide sul merito dell’appello e liquida le spese del giudizio a norma dell’art. 91 c.p.c.) e definitiva (perché non altrimenti impugnabile), avverso la stessa dovrebbe comunque ammettersi l’esperibilità del ricorso per cassazione, garantito dall’art. 111, co. 7, Cost. A fortiori, poi, l’esperibilità del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza-filtro andrebbe ammessa ove la parte ritenga che il giudice d’appello abbia emesso l’ordinanza in questione senza che ne sussistessero i presupposti previsti dall’art. 348 bis: in tal caso, l’applicazione del tradizionale orientamento giurisprudenziale della prevalenza della sostanza sulla forma del provvedimento porta ad assimilare l’ordinanza, dal punto di vista sostanziale, ad una sentenza d’appello e, come tale, sottoponibile al ricorso per cassazione (art. 360, co. 1, c.p.c.)32.
A questo primo orientamento, tuttavia, se ne contrappone altro, sempre più diffuso presso la giurisprudenza della Cassazione, che invece nega comunque l’esperibilità del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza-filtro. E questo sia in considerazione del fatto che l’art. 348 ter ammette la sola esperibilità del ricorso avverso la sentenza di primo grado, senza dire alcunché circa la ricorribilità dell’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello, sia perché comunque tale ordinanza, sebbene di natura decisoria, viene considerata non dotata di definitività; ciò che ne impedirebbe qualsiasi riconsiderazione in sede di legittimità.
La conclusione alla quale si perviene, sulla base delle considerazioni che precedono, è scontata, ma anche ‒ come già rilevato altrove da chi scrive33 e come riconosciuto dalla Cassazione nell’ord., 27.3.2014, n. 727334 ‒ necessitata: siccome l’ordinanza di cui agli artt. 348 bis e ter è assimilabile, nella «sostanza», alla definitiva decisione di rigetto nel merito dell’appello, va ammessa ‒ pena il contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. ‒ la sua piena ricorribilità per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, c.p.c. (e senza alcun bisogno di scomodare l’art. 111, co. 7, Cost.)35, come per qualsiasi sentenza che decida sull’appello. Restando inteso che ciò che assume rilevanza decisiva, al fine di giustificare una simile conclusione non espressamente prevista (ma neanche esplicitamente esclusa) dall’art. 348 ter, è la circostanza che l’ordinanza in questione si ritenga essere stata assunta dal giudice d’appello in maniera viziata o fuori dall’ortodosso ambito applicativo dei suoi presupposti. E dunque, non v’è dubbio che la ricorribilità per cassazione dell’ordinanza in questione debba essere ammessa sia con riferimento al profilo della liquidazione delle spese del giudizio in essa contenuta36, sia con riferimento all’ipotesi in cui emergano violazioni delle regole processuali previste per il giudizio d’appello.
Ma va parimenti ammessa ‒ ed a fortiori ‒ anche laddove la parte intenda sindacare la sussistenza dei presupposti, individuati dall’art. 348 bis, perché il giudice d’appello possa pronunciare l’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità, e cioè ‒ come correttamente rilevano i giudici della legittimità sempre nell’ord. n. 7273/2014 ‒: «1) l’uno, negativo, “fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello”; 2) l’altro, positivo, quando l’impugnazione “non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”». In effetti, proprio tenendo presente il primo dei due presupposti, essi arrivano ad ammettere il ricorso proposto avverso l’ordinanza pronunciata in un’ipotesi in cui il giudice d’appello avrebbe dovuto pronunciare sentenza dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello per la non specificità dei motivi, ai sensi dell’art. 342 c.p.c.
Identica, infine, dovrebbe essere la soluzione ‒ ci pare ‒ anche con riferimento alla contestazione di sussistenza del secondo presupposto richiamato dall’art. 348 bis. Se con la pronuncia dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello proposto per mancanza di una «ragionevole probabilità di essere accolto» il giudice d’appello di fatto decide sulla fondatezza omeno di un diritto sostanziale (lo stesso sul quale si è pronunciata la sentenza appellata)37 e in maniera definitiva (ovvero con un provvedimento non direttamente sindacabile), la sindacabilità in cassazione dell’ordinanza del giudice d’appello va ammessa con riferimento all’assenza o alla non corretta applicazione di tutti i presupposti richiamati dall’art. 348 bis per consentire al giudice d’appello di pervenire ad una decisione “semplificata” dell’appello
proposto.
È indubbio, infatti, che anche con riferimento ad una simile ipotesi (non corretta valutazione della mancanza di una «ragionevole probabilità» di accoglimento dell’appello proposto) l’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità è stata emessa «all’esito del procedimento decisorio semplificato previsto per il filtro, senza la piena e completa esplicazione del diritto di difesa e del contraddittorio ‒ funzionali alla garanzia del giusto processo ‒ che si sarebbe avuta ove la sentenza fosse stata emessa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. … ovvero seguendo il procedimento ordinario ex art. 352 c.p.c.»38. Ed anche in questo caso, di conseguenza, l’ordinanza assume, nella «sostanza», l’efficacia propria della sentenza di rigetto nel merito dell’appello proposto39.
1 Il riferimento è al § 522 (Zulässigkeitsprüfung; Zurückweisungsbeschluss), della Z.P.O. tedesca, come riformato dapprima dalla Zivilprozessreformgesetz del 27.7.2001 e poi dalla Gesetz zur Anderung des § 522 der Zivilprozessordnung del 21.10.2011. Il § 522, Abs. 2, n. 1, prevede che: «Das Berufungsgericht soll die Berufung durch Beschluss unverzüglich zurückweisen, wenn es einstimmig davon überzeugt ist, dass…1. die Berufung offensichtlich keine Aussicht auf Erfolg hat». Aggiunge lo stesso § 522, Abs. 3, che «Gegen den Beschluss nach Absatz 2 Satz 1 steht dem Berufungsführer das Rechtsmittel zu, das bei einer Entscheidung durch Urteil zulässig wäre». In argomento v. Leonhardt, F., Die ZuruJckweisung der Berufung durch Beschluss, Berlin, 2013, 14 ss.; Hess, B., Deutsches Zivilprozessrecht: prozessuale Filter- und Rechtsbehelfe, Palazzo di Giustizia di Milano, 22.4.2013, in www.ca.milano.giustizia.it.
2 Così anche Verde, G., La riforma dell’appello civile: due anni dopo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 978; in senso contrario, Consolo, C., Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul processo civile: le impugnazioni a rischio di «svaporamento», in Corr. giur., 2012, 1138.
3 Cfr., in proposito, Verde, G., Diritto di difesa e nuova disciplina delle impugnazioni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 507 ss.; Grossi, D., Il diritto di difesa ed i poteri del giudice nella riforma delle impugnazioni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 1021 ss.;Dondi, A.,Nuova composizione del giudiziario in appello come soluzione dei problemi della giustizia civile, in Nuova giur. civ. comm., 2014, II, 229 ss.
4 Cavallini, C., Verso una giustizia “processuale”: il “tradimento” della tradizione, in Riv. dir. proc., 2013, 325; v. anche Panzarola, A., Tra “filtro” in appello e ‘doppia conforme’: alcune considerazioni a margine della l. n. 134 del 2012, in Giusto proc. civ., 2013, 189.
5 V. anche Verde, G., La riforma dell’appello civile, cit., 977. Per alcuni dati sull’applicazione dell’istituto v. Canzio, G., Prefazione, in Maffeis, D.-Raineri, C.R.-Maniaci, A.-Tedoldi, A., a cura di, Il filtro dell’appello, Torino, 2013; per altri dati statistici ivi, 95 ss.
6 C. eur. dir. uomo, 27.7.2007, Ješina c. Repubblica Ceca; C. eur. dir. uomo, 21.6.2011, Dobrić c. Serbia.
7 C. eur. dir. uomo, 17.1.1970, Delcourt c. Belgio.
8 App. Roma, 30.1.2013, 23.1.2013, 11.1.2013, tutte in Riv. dir. proc., 2013, 711 ss., con nota di Panzarola, A., Le prime applicazioni del c.d. filtro in appello.
9 In www.ilcaso.it.
10 V., in questo senso, Cass., 23.6.2014, n. 14182 e n. 14183; Cass., 15.5.2014, n. 10722.
11 In proposito v., in particolare, Proto Pisani, A., I processi a cognizione piena in Italia dal 1940 al 2012, in Foro it., 2012, I, 338; Scarselli, G., Sul nuovo filtro per proporre appello, ibidem, V, 289; Caponi, R., La riforma dell’appello civile, ibidem, V, 294; Impagnatiello, G., Il «filtro» di ammissibilità dell’appello, ibidem, V, 297; Pagni, I, Gli spazi per le impugnazioni dopo la riforma estiva, ibidem, V, 302;Maffeis, D., L’esame, molto approfondito, dell’appello, ai fini del filtro, in Maffeis, D.-Raineri, C.R.-Maniaci, A.-Tedoldi, A., a cura di, Il filtro dell’appello, cit., 5; Verde, G., La riforma dell’appello civile, cit., 979.
12 Cass., 23.6.2014, n. 14182 e n. 14183; Cass., 15.5.2014, n. 10722.
13 Cass., 9.6.2014, n. 12937.
14 Cass., 18.3.2013, n. 6712.
15 Così Cass., 9.6.2014, n. 12936; Cass., 17.4.2014, n. 8942 e n. 8943, in Giur. it., 2014, 1106 ss., con nota contraria di -Carratta, A., Ordinanza sul “filtro” in appello e ricorso per cassazione, e in Foro it., 2014, I, 1451ss. con note contrarie di Costantino, G., La riforma dell’appello tra nomofilachia e «hybris», e di Scarselli, G., Brevi osservazioni sul ricorso per cassazione avverso l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c.
16 Così Cass., 9.6.2014, n. 12936 e Cass., 28.5.2014, n. 12034.
17 Così Cass., 27.3.2014, n. 7273, in Giur. it., 2014, 1106 ss., con nota adesiva di Carratta, A., Ordinanza sul “filtro” in appello e ricorso per cassazione, e in Foro it., 2014, I, 1451 ss., con note adesive di Costantino,G., La riforma dell’appello tra nomofilachia e «hybris», e di Scarselli, G., Brevi osservazioni sul ricorso per cassazione avverso l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c.; sottolinea la natura decisoria dell’ordinanza-filtro Cass., 9.6.2014, n. 12937, in considerazione del fatto che «è emessa nel processo civile iniziato a cognizione piena».
18 V., ad es., App. Roma, 23.1.2013, App. Milano, 8.2.2013 e Trib. Vasto, 20.2.2013, in Giur. it., 2013, 1629 ss., con nota di Didone, A., Note sull’appello inammissibile ex art. 348 bis c.p.c.; App. Roma, 30.1.2013 e 11.1.2013, citt; App. Palermo, 15.4.2013, in www.ilcaso.it; App. Bari, 18.2.2013, in Foro it., 2013, I, 969 ss., con annotazioni di G. Costantino; App. Napoli, 30.1.2013, App. Lecce, 17.7.2013, App. Milano, 6.3.2013 e 14.2.2013, ibidem, I, 2629 ss., con annotazioni di S. Calvigioni. In proposito v. anche la delibera del C.S.M. del 19.12.2012, in Foro it., 2012, III, 194 ss.
19 Cass. n. 7273/2014.
20 Carratta, A., Intervento all’Incontro di studio dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile su Le novità in materia di impugnazioni (Firenze, 12 aprile 2013), in Atti dell’Incontro, Bologna, 2014, 214 ss.; Mandrioli, C.-Carratta, A., Diritto processuale civile, II, Torino, 2014, 521.
21 Per conclusioni sostanzialmente identiche Costantino, G., Le novità del giudizio di appello, in Libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, 528 ss.; Id., La riforma dell’appello, in Giusto proc. civ., 2013, 21 ss.; Impagnatiello, G., Il «filtro» di ammissibilità dell’appello, cit., 298; Panzarola, A., Sub artt. 348 bis e ter, in Commentario alle riforme del processo civile. Dalla semplificazione dei riti al decreto sviluppo, a cura di R.Martino e A. Panzarola, Torino, 2013, 665 ss.; Poli, R., Il nuovo giudizio di appello, in Riv. dir. proc., 2013, 136 ss.; Balena, G., Istituzioni di diritto processuale civile, II, Bari, 2014, 406.
22 Così, con identica motivazione, le ordinanze “gemelle” Cass. nn. 8940-8943/2014.
23 Consolo, C., Lusso o necessità nelle impugnazioni delle sentenze?, in www.judicium.it, Id., Nuovi ed indesiderabili, cit., 1137, che l’ammette solo con riferimento al capo delle spese; nello stesso senso Bove, M., La pronuncia di inammissibilità dell’appello ai sensi degli articoli 348 bis e 348 ter, in Riv. dir. proc., 2013, 405; Balena, G., Le novità relative all’appello nel d.l. n. 83/2012, in Giusto proc. civ., 2013, 363, secondo il quale sarebbe possibile in via interpretativa dedurre nell’impugnazione avverso la sentenza di primo grado tutti i vizi in procedendo dell’ordinanza di inammissibilità (per una diversa conclusione, tuttavia, Id., Istituzioni, cit., 407, dove il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza viene comunque ammesso quando l’ordinanza di inammissibilità presenti dei vizi propri);
Pagni, I., Gli spazi per le impugnazioni dopo la riforma estiva, cit., 303; Caponi, R., La riforma dei mezzi di impugnazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 1156, in nota 10.
24 Di «miracolo degno di una delle più famose pagine evangeliche» parla Monteleone,G., Il processo civile in mano al Governo dei tecnici, in www.judicium.it, 2; Id., Appendice di aggiornamento al Manuale di diritto processuale civile, Padova, 2012, 3 ss.
25 Così, in particolare, Cass. 7273/2014.
26 V., in particolare, Cass. nn. 8940-8943/2014.
27 Così nelle motivazioni di Cass. nn. 8940-8943/2014.
28 Cerino Canova, A., Le impugnazioni civili, Padova, 1973, 94 ss.
29 V., in proposito, Cass., S.U., 7.4.2014, n. 8053 e n. 8054; Cass., S.U., 17.4.2014, n. 8925 e n. 8926; per altre considerazioni rinviamo a Carratta, A., Giudizio di cassazione e nuove modifiche legislative: ancora limiti al controllo di legittimità, pubblicato il 6 novembre 2012 in www.treccani.it; Id., Il giudizio di cassazione nell’esperienza del “filtro” e nelle nuove modifiche legislative, in Giur. it., 2013, 244 ss.
30 Carratta, A., Giudizio di cassazione, cit.; Id., Il giudizio di cassazione nell’esperienza del “filtro”, cit., 244 ss.
31 Carratta, A., La Corte costituzionale ed il ricorso per cassazione quale “nucleo essenziale” del «giusto processo regolato dalla legge»: un monito per il legislatore ordinario, in Giur.it., 2010, 627 ss., in nota a C. cost., 9.7.2009, n. 207.
32 Nel senso dell’esperibilità del ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di inammissibilità dell’appello, pronunciata senza che ne sussistessero i presupposti previsti dall’art. 348 bis, Cass. n. 7273/2014; in senso contrario, in considerazione del carattere non definitivo dell’ordinanza, Cass., 23.6.2014, n. 14182 e n. 14183; Cass., 9.6.2014, n. 12937; Cass., 9.6.2014, n. 12928; Cass. nn. 8940-8943/2014. Inoltre, nel senso che avverso l’ordinanza ex art. 348 bis non sia esperibile la revocazione straordinaria, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., App. Milano, 22.1.2014, cit., in quanto essa si caratterizzerebbe per un contenuto squisitamente processuale.
33 Carratta, A., Intervento, in Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, Le novità in materia di impugnazioni (Incontro di studio, Firenze, 12 aprile 2013), Bologna, 2014, 214 ss.;Mandrioli, C.-Carratta, A., Diritto processuale civile, cit., II, 522.
34 La quale opportunamente richiama il precedente di Cass., S.U., 2.10.2012, n. 16727, in Giur. it., 2013, 1623 ss., con nota diDi Cola, L., L’impugnazione dell’ordinanza ex art. 789, comma 3, c.p.c. emessa nonostante la presenza di contestazioni. Per ulteriori considerazioni in proposito si rinvia a Carratta, A., Sul provvedimento giudiziale c.d. abnorme e sui limiti della prevalenza della «sostanza» sulla «forma», in Giur.it., 2000, 924 ss.; Id., «Sostanza» del provvedimento giudiziale abnorme e impugnazioni: le «sopravvalutazioni formalistiche» della Cassazione, in Corr. giur., 2002, 1594 ss.
35 Come fa, invece, Cass. nn. 8940-8943/2014, sia pure solo per arrivare anch’esse ad escluderne l’applicazione nel caso di specie.
36 Se si condivide la tesi ‒ espressa nel testo ‒ che l’ordinanza di inammissibilità di cui agli artt. 348 bis e ter sia assimilabile, nella «sostanza», ad una sentenza che rigetta l’appello proposto, identica efficacia andrà riconosciuta anche alla liquidazione delle spese, che, perciò, sarà sottoponibile allo stesso rimedio del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, c.p.c. Per questa ragione non ci sembra praticabile la soluzione ipotizzata, in proposito, da Cass. nn. 8940-8943/2013, secondo cui alla condanna alle spese, pronunciata con l’ordinanza di inammissibilità di cui agli artt. 348 bis e ter, andrebbe riconosciuta «una forza non dissimile e, dunque, non maggiore, rispetto a quella propria dei titoli esecutivi stragiudiziali» e, di conseguenza (così come ritenuto da Cass., 24.5.2011, n. 11370, per la liquidazione delle spese del provvedimento cautelare), la sua sindacabilità potrebbe essere fatta valere «in sede di opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. al precetto intimato sulla base dell’ordinanza o all’esecuzione sulla base di essa iniziata». Questa soluzione, infatti, presupporrebbe la configurazione della natura sommaria e provvisoria del provvedimento in questione, evidentemente smentita da quanto detto nel testo.
37 È particolarmente significativo il passo della motivazione Cass. n. 7273/2014, nel quale i giudici della Cassazione osservano che l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. ha carattere decisorio «non perché incide sul diritto processuale all’impugnazione, ma perché è emessa in un giudizio, quello di appello, che verte, al pari di quello di primo grado, su situazioni di diritto soggettivo o delle quali è comunque prevista la giustiziabilità». Invece, affermano la «natura processuale» dell’ordinanza Consolo, C., Lusso o necessità, cit.; Id.,Nuovi ed indesiderabili, cit., 1137; Balena, G., Le novità relative all’appello, cit., 335 ss. In questo stesso senso App. Milano, 22.1.2014, cit.
38 Così Cass. n. 7273/2014, in motivazione.
39 Invece , nel senso che, ove l’ordinanza ex art. 348 bis sia stata pronunciata in presenza dei presupposti, il ricorso per cassazione avverso la sentenza sarebbe inammissibile, Cass., 22.9.2014, n. 19944.