finale
Il suo valore fondamentale è " ultimo ", ma esso è specificato dal termine cui si accompagna di volta in volta e dal contesto in cui è inserito, sia nelle opere latine che in quelle volgari di Dante.
Con cagione finale D. intende quella causa che ha ragione di fine, e quindi il fine stesso in quanto causa (che è primo nell'intenzione e l'ultimo nell'ordine di realizzazione; v. CAGIONE): così in Cv II VII 6 E dico la final cagione incontanente per che là su io saliva, e IV XX 10 (due volte), Quaestio 17 e 59 (due volte).
In rapporto a un fine ultimo cui sia ordinato il raggiungimento di fini intermedi, D. in Cv IV VI 6 parla di operazione od arte finale, intendendo con ciò l'arte e l'operazione che devono porre in essere il fine ultimo, alle quali naturalmente sono ordinate le diverse arti e operazioni che perseguono li altri fini intermedi. In modo analogo ma complementare, in Mn II VI 4 sicut ille deficeret ab artis perfectione qui finalem formam tantum intenderet, media vero per quae ad formam pertingeret non curaret, ove la ‛ forma f. ' è la compiuta espressione artistica, cui vanno ordinati mezzi idonei. Così ancora in Cv IV VI 8 Aristotele intende a la... finale operazione della ragione umana (ma qui l ' operazione f. ' è essa stessa il fine). In IV XXII 3 si designa la felicità come finale nostro riposo (cfr. Arist. Eth. nic. X 6, 1176b 31).
Al di fuori di un contesto finalistico f. occorre in Mn II IV 9 e Ep V 3 finalis deletio, " distruzione finale ".