finanza aziendale
Disciplina che ha per oggetto la gestione degli asset e degli strumenti di raccolta del capitale necessario per la conduzione delle attività dell’azienda nonché il funzionamento del mercato finanziario (➔) nel quale essi sono scambiati. In generale, la f. a. analizza il valore (➔ p) dell’azienda e le sue variazioni, indotte da fattori sia endogeni (inflazione, tassi di interesse, tassi di cambio, andamento dell’economia) sia esogeni, come le decisioni attuate dai suoi amministratori. In tal senso, la f. a. si riferisce non solo al capitale investito nell’azienda, ma anche ai portatori di interesse al valore dell’azienda (➔ stakeholder) e al potenziale conflitto dei fini di ciascuno.
Nella concezione secondo cui l’azienda non è altro che un insieme di contratti, siglati da una pluralità di soggetti, ognuno alla ricerca della massimizzazione della propria utilità, essa è una merce, comprata e venduta sul mercato a un certo prezzo. In questa prospettiva (cosiddetta shareholder view), la f. a. fornisce le metodologie di valutazione del capitale investito nell’azienda e delle decisioni degli amministratori che ne influenzano il valore. Le valutazioni della f. a. riguardano la stima dei costi, dei benefici, nonché dei rischi inerenti e conseguenti le decisioni sull’impiego del capitale. La teoria e la pratica della f. a. si basano sul principio dell’assenza di arbitraggio (➔), ovvero un bene è comprato e venduto sul mercato al medesimo prezzo, come concetto unificante della valutazione. Le valutazioni della f. a. stimano quindi il prezzo al quale gli operatori sono disposti a scambiare su un mercato gli strumenti rappresentativi del capitale investito nell’azienda, in funzione delle prospettive reddituali e dei rischi dell’attività aziendale.
Le valutazioni della f. a. sono riconducibili a 3 filoni principali: gli investimenti di capitale in azienda; gli strumenti per la raccolta del capitale e i rispettivi mercati nei quali sono scambiati; gli strumenti per l’allineamento degli interessi fra gli amministratori dell’azienda e i prestatori del capitale. I 3 ambiti sono fra loro interconnessi: l’impiego di capitale in attività a. produce incrementi nel prezzo di vendita del patrimonio in un mercato perfetto, se il reddito prodotto dalla gestione a. risulta superiore a quello atteso dai portatori di capitale in funzione dei rischi stimati. Tuttavia, i possibili comportamenti degli amministratori dell’impresa fanno a loro volta sorgere costi di agenzia o di controllo, che si realizzano ogniqualvolta un portatore di capitale deve spendere risorse per controllare il comportamento dell’agente (l’amministratore) al quale affida la conduzione dell’azienda e con il quale è in conflitto di interesse circa le modalità e i fini dello svolgimento dell’incarico stesso. In tale ambito nascono gli strumenti di partecipazione al valore a. assegnati agli amministratori, quali le stock option (➔) e le assegnazioni di azioni.
Uno dei temi classici della f. a. è se esista una struttura finanziaria ottimale, cioè una composizione delle fonti di finanziamento (capitale proprio e capitale di debito) che massimizzi il valore dell’azienda. Il livello di tassazione del reddito, i costi del dissesto, quelli di accesso e di utilizzo dei mercati finanziari, le asimmetrie informative fra amministratori e portatori di capitale e le strutture proprietarie per il controllo dell’azienda determinano le preferenze all’uso del capitale di rischio (il patrimonio netto) o del capitale di debito. Analogamente, esse influenzano anche le decisioni sulla remunerazione (dividendi) del capitale di rischio (➔ capitale finanziario).
La f. a. lascia ancora irrisolte molte domande, in particolare sulla stima dei rischi negli investimenti di capitale (quindi dei rendimenti attesi), sul valore del capitale umano investito in azienda dagli amministratori e i dipendenti con il proprio lavoro, sul comportamento emotivo e sull’etica che muovono le decisioni di investitori e amministratori di capitale. La f. a., in realtà, si limita a fornire strumenti e metodologie di valutazione in grado di applicare il principio di efficienza delle decisioni, in funzione del fine che si intende perseguire, mentre è neutrale rispetto all’etica e alla psicologia che muove l’agire umano.