Finanza esterna nel concordato preventivo
La proposta di concordato preventivo può avere ad oggetto l’offerta ai creditori non solo di tutto o parte del patrimonio del debitore, ma anche di risorse attinte dal patrimonio di un terzo. Si tratta della cd. “finanza esterna”. L’Autore esamina i profili definitori dell’istituto, soffermandosi, con maggiore attenzione, sui rapporti con i principi regolatori della responsabilità patrimoniale e dell’ordine delle cause legittime di prelazione.
La proposta di concordato preventivo presentata dal debitore può avere ad oggetto l’offerta ai creditori non solo di tutto o parte del proprio patrimonio,ma anche di risorse estranee che vengono messe a disposizione da parte di terzi. Si tratta della cd. “finanza esterna”, il cui utilizzo nell’ambito delle proposte concordatarie è divenuto sempre più frequente, in funzione della sua idoneità a realizzare diversi obiettivi1.
Tale rinnovata vitalità dell’istituto in esame, dopo le ultime riforme della legge fallimentare, impone in primo luogo la necessità di fornire una precisa e definitiva definizione del concetto di finanza esterna, e ciò al precipuo fine di delineare le conseguenze applicative dell’istituto solo in presenza dei presupposti fattuali che ne circoscrivono il regime di applicazione.
Ed invero, la delimitazione della fattispecie non costituisce una questione meramente terminologica, ma rappresenta un paradigma di carattere giuridico, attesa la pluralità di possibili declinazioni in cui è formulabile il concetto di finanza esterna e la diversità di disciplina giuridica conseguente alla sua qualificazione in un senso ovvero nell’altro2.
Come è noto, il legislatore della riforma ha previsto la possibilità di proporre un concordato preventivo anche quando il debitore proponente non disponga delle risorse sufficienti a pagare per intero, con il suo patrimonio, tutti i crediti privilegiati, purché vi sia in tal caso proprio l’apporto di cd. “finanza esterna” in misura tale da poter pagare comunque, ed almeno in parte - purché per una quota non irrilevante -, i creditori chirografari, compresi tra essi i privilegiati per la parte degradata al chirografo.
Orbene, la prassi registra ormai da gran tempo la presentazione di proposte concordatarie caratterizzate, per l’appunto, dall’apporto di tale “finanza esterna”.
In realtà, come affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità3, tale apporto può assumere due diverse modalità e funzioni, a seconda sia del momento in cui venga effettuato, sia del titolo che può “causalizzarlo” e delle condizioni con cui si attui, atteso che esso può avvenire prima della presentazione della domanda ovvero comunque in modo tale che possa considerarsi ormai divenuto parte integrante del patrimonio del debitore proponente; ovvero dopo tale momento o comunque in modo tale da conservare la sua caratterizzazione di apporto proveniente dal patrimonio di un terzo, occorrendo a tal fine che non incida sul passivo in senso incrementativo, ovvero, in buona sostanza, che non ne sia previsto l’obbligo di rimborso.
È chiaro che solo in questa seconda ipotesi, si realizzerà vera e propria finanza esterna, giacché nel primo, invece, la vicenda circolatoria si è già consumata prima del procedimento, o comunque in modo tale da privare di rilievo l’esterna provenienza soggettiva dell’apporto, il quale non potrà più essere considerato conseguentemente ai fini della valutazione della proposta e del piano di concordato come apporto di un terzo4.
Tale puntualizzazione non è dunque di carattere eminentemente teorico, giacché dalla delimitazione del perimetro applicativo dell’istituto discendono rilevanti conseguenze pratiche, tenuto conto che anche il concordato preventivo, per quanto caratterizzato da profili privatistici e negoziali maggiori rispetto al passato, conserva – inevitabilmente – alcuni tratti propri delle procedure esecutivo-satisfattive5.
Ed invero, esso costituisce ancora una particolare forma di concorso (esecutivo) sui beni del debitore, e dunque i pagamenti (o le altre previste modalità satisfattive) devono di conseguenza effettuarsi nel rispetto delle cause di prelazione e della graduazione.
Deve tuttavia rimarcarsi che il rispetto delle cause di prelazione e della graduazione, che per definizione acquistano la propria funzione solo in un concorso esecutivo, deve avere come referente il solo patrimonio del debitore, e non già il patrimonio di terzi. Detto altrimenti, un credito può dirsi privilegiato o meno solo con riferimento al “patrimonio responsabile” del debitore.
Da qui l’importanza di verificare se un bene con il quale si preveda di pagare i creditori in concorso rientri nel patrimonio del debitore o, invece, di terzi, giacché, nel primo caso, con riferimento a tale bene si dovrà valutare il rispetto delle cause di prelazione e della graduazione, mentre, nell’altro, tale valutazione non avrà motivo di rilevare ed operare (con le limitazioni che tuttavia si esamineranno tra breve : v. infra, § 4).Ne consegue che diventa imprescindibile, in ogni caso in cui il debitore proponga un concordato preventivo in cui sia previsto l’utilizzo di risorse esterne, verificare in che misura esse concorrano a pagare i creditori secondo il rispettivo rango.
Ebbene, la Corte di legittimità6 ha già, in subiecta materia, fornito una indicazione specifica per la definizione del concetto di finanza esterna. La Cassazione ha infatti precisato che ai fini dell’ammissibilità della proposta di concordato preventivo, l’art. 160, co. 2, l. fall., deve essere interpretato nel senso che l’apporto del terzo si sottrae al divieto di alterazione della graduazione dei crediti privilegiati solo allorché risulti neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società debitrice, non comportando né delle crisi d’impresa, atteso che dall’accoglimento dell’una ovvero dell’altra delle ipotesi qui in discussione discendono conseguenze rilevantissime in ordine anche alle valutazioni di ammissibilità della proposta concordatizia da svolgersi da parte del tribunale in punto di scrutinio della legittimità della proposta e del piano di esbebitamento.
Partendo ab ovo, è da dirsi che la specifica questione qui dibattuta discende invero dall’ultimo periodo del co. 2 dell’art. 160 l. fall., il quale, nel prevedere, a determinate condizioni, la possibilità di falcidiare una classe di creditori privilegiati, prescrive tuttavia che «il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione».
Orbene, davanti all’alternativa se la nuova finanza possa o meno essere distribuita liberamente tra i creditori, il giudice di legittimità assume una posizione sostanzialmente intermedia, affermando l’inderogabilità della graduatoria legale delle cause di prelazione, in tutte le ipotesi in cui gli apporti del terzo “transitino” nel patrimonio del debitore prima di essere ripartiti tra i creditori7.
Ne discende che il tribunale fallimentare dovrà valutare caso per caso se le modalità di apporto della nuova finanza comportino tale “transito” nel patrimonio del debitore, giacché, nel caso di esito positivo di tale scrutinio, la distribuzione delle relative utilità dovrà sottostare all’ordine legale delle prelazioni8.
Il principio affermato dalla Cassazione nell’arresto da ultimo ricordato9, nella sua articolazione logica-giuridica, risulta essere del tutto condivisibile, e ciò con particolare riferimento al passaggio centrale della motivazione là dove si afferma verbatim che «resta l’argomento che il terzo finanziatore può intervenire con mezzi propri a pagare i debiti del fallito senza dover sottostare alle regole del concorso. Ma ciò è vero alla condizione che l’intervento non comporti alcuna variazione dello stato patrimoniale del debitore, né all’attivo – giacché in tal caso i creditori non potrebbero essere privati dei diritti che in base alla legge essi vantano sul patrimonio del debitore – e neppure al passivo, con la creazione di poste passive per il rimborso del finanziamento, sia pure postergato e con esclusione del voto».
In buona sostanza, la Suprema Corte afferma che, qualora gli apporti del terzo comportino una variazione dello stato patrimoniale, in senso attivo o passivo, allora tali apporti devono essere trattati come se facessero parte del patrimonio del debitore ab origine, con conseguente applicazione delle regole concorsuali del rispetto della graduazione dei privilegi nell’atto di distribuire la nuova finanza in capo ai creditori concordatari10.
Deve essere tuttavia ricordato come il principio di diritto statuito dalla giurisprudenza di legittimità sia un incremento dell’attivo, sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati secondo il loro grado, né un aggravio del passivo, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo, indipendentemente dalla circostanza che tale credito sia stato o meno postergato.
Come è noto, la questio iuris relativa alla precisazione delle modalità con cui devono essere obbligatoriamente distribuite quelle risorse esterne è argomento di fondamentale rilevanza nella gestione stato sottoposto a severa critica da parte di quella dottrina la quale ha osservato che, seguendo il ragionamento della Corte di legittimità, la garanzia della tutela dell’ordine legale delle prelazioni dovrebbe trovare applicazione sempre e comunque in qualsiasi ipotesi di nuova finanza, e cioè sia nella ipotesi in cui gli apporti esterni confluiscano nel patrimonio del debitore (verificandosi così il “transito”), sia nel caso di “mera garanzia” fornita dal terzo alle obbligazioni concordatarie assunte dal debitore con il proprio patrimonio11.
Riprendendo ora le fila del discorso, deve invece osservarsi che, al di là di ogni ulteriore considerazione - qui poco utile - in ordine alla correttezza “contabile” del principio di diritto affermato dal giudice di legittimità (giacché ogni apporto del terzo, nelle varie forme sopra indicate, dovrebbe trovare poi una sua descrizione contabile nelle scritture obbligatorie del debitore), tuttavia occorre chiarire come il principio di diritto sopra riportato sia del tutto conforme, in termini di inquadramento sistematico dell’istituto in esame, con le norme che regolano la responsabilità patrimoniale del debitore, e cioè con le disposizioni normative di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c. (su cui infra, § 2). Come è noto, in base alle predette regole il debitore risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri dell’adempimento delle obbligazioni assunte, ciò volendo dire che, se l’obbligazione non viene adempiuta spontaneamente, il creditore può soddisfarsi con l’esecuzione forzata sui beni del debitore.
Ebbene, tutti i creditori hanno eguale diritto di concorrere sul patrimonio del comune debitore fatte salve le cause legittime di prelazione (pegno, ipoteca e privilegi) le quali attribuiscono ai creditori il potere di soddisfarsi su un bene o su un complesso di beni con preferenza rispetto agli altri creditori (chirografari).
Tuttavia, tali regole non riguardano, come detto, la ipotesi in cui sia un soggetto terzo a mettere a disposizione dei creditori risorse derivanti dal proprio patrimonio personale12.
Ne consegue che il terzo finanziatore può intervenire con mezzi propri a pagare i debiti del fallito senza dover sottostare alle regole del concorso. Ma ciò è vero alla condizione che l’intervento non comporti alcuna variazione dello stato patrimoniale del debitore, né all’attivo - giacché in tal caso i creditori non potrebbero essere privati dei diritti che in base alla legge essi vantano sul patrimonio del debitore - e neppure al passivo, con la creazione di poste passive per il rimborso del finanziamento.
L’importanza del rapporto tra finanza esterna e responsabilità patrimoniale discende dalle conseguenze applicative che derivano in ordine al trattamento dei creditori nelle procedure concorsuali. Orbene, il trattamento dei creditori (ed in particolare di quelli prelatizi) discende invero non già dal diritto concorsuale, quanto dai principi della responsabilità patrimoniale13. Ed invero, è principio del nostro diritto positivo quello secondo cui risponde verso i creditori esclusivamente il debitore, ossia chi riveste tale posizione nel rapporto obbligatorio ed è, per questa ragione, qualificabile debitore, e ciò in via principale ovvero di garanzia.
Per contro, non rispondono dei debiti del debitore soggetti diversi ed estranei, ossia tutti coloro che non ricoprono nel rapporto obbligatorio la posizione di debitore, per essere creditori o per essere del tutto estranei al rapporto.
Il patrimonio obbligato (o responsabile) può, come tale, essere sottoposto ad esecuzione forzata. Ed infatti, qualora il rapporto obbligatorio non sia adempiuto spontaneamente, l’ordinamento assicura l’adempimento in via coattiva.
Resta principio non contestabile quello secondo cui l’esecuzione coattiva del rapporto obbligatorio non può coinvolgere patrimoni diversi da quello obbligato.
Ne discende che, qualora il patrimonio obbligato sia incapiente, i creditori potranno giovarsi di un soddisfacimento soltanto parziale. Tuttavia, questo limite fattuale alla esecuzione coattiva non vale come impedimento per una offerta concordataria ai creditori.
Sin dalle origini, le procedure concorsuali sono state concepite per garantire comunque un adempimento nei confronti dei creditori, valendo la regola della parità di trattamento e non della integralità del pagamento14. Ciò è peraltro facilmente spiegabile se si considera che, nel sistema concorsuale, si può sempre imporre un criterio distributivo delle risorse disponibili (ossia la parità di trattamento), ma non si può per legge aumentare tali disponibilità (così pagando integralmente tutti i creditori).
Orbene, nel vigore della legge fallimentare ante riforme (versione 1942), residuava qualche irrazionalità nelle regole concordatarie sul pagamento dei creditori garantiti. Questi ultimi, da soddisfarsi con preferenza rispetto ai creditori chirografari, si riteneva dovessero essere anche soddisfatti sempre e comunque per l’intero. Ovviamente la prima regola (ossia priorità nel soddisfacimento) non implica la seconda (e cioè, soddisfacimento per intero). Tuttavia, qualora le risorse siano insufficienti per il pagamento integrale del creditore garantito, non potrà mai aversi il rispetto della seconda regola, ma sarà agevole rispettare la prima, così destinando tutte le risorse disponibili al pagamento del creditore garantito senza nulla riservare ai creditori chirografari, o comunque ai creditori garantiti di rango inferiore. Tale irrazionalità del sistema è stata superata dalla riforma fallimentare, con la introduzione della regola generale del pagamento prioritario del creditore garantito nei limiti del valore del bene oggetto della garanzia. Superato questo valore - cd. “di realizzo” - per la parte restante il credito garantito è equiparato al credito chirografario, ed è dunque pagato in proporzione e secondo il principio della par condicio creditorum.
Pertanto oggi, a differenza di quanto accadeva in passato, è possibile presentare domanda di concordato preventivo in cui sia offerto al creditore garantito un pagamento parziale, purché nei limiti del valore di realizzo dell’oggetto della garanzia.
Tuttavia, va aggiunto che, stante la possibilità che in tal caso potrebbero non residuare risorse per pagare i creditori chirografari (come accade qualora si verifichi l’ipotesi del credito assistito da privilegio generale mobiliare non integralmente soddisfatto) la legale possibilità ed ammissibilità del concordato - assicurata dal superamento della crisi d’impresa e da una qualche forma di soddisfacimento riservata ai creditori (cfr. Cass., S.U., 23.1.2013, n. 1521 in tema di fattibilità giuridica del piano concordatario) - potrebbe o essere messa in discussione, e ciò sul rilievo che la procedura non consentirebbe il pagamento dei creditori chirografari, ovvero, al più, dimostrarsi non praticabile in concreto, essendo rimessa l’approvazione del concordato proprio ai creditori chirografari, destinati a non riceverne giovamento alcuno15. .
Ebbene, proprio in questi casi emerge l’importanza della cosiddetta finanza esterna. E cioè di apporti di denaro da parte di terzi non obbligati verso i creditori concorsuali. In realtà, l’inesistenza di un vincolo di destinazione di tale finanza – come tale non ricompresa nel patrimonio del debitore – ai creditori concorsuali, ne consente una ragionevole libertà di utilizzo nel concordato e ai fini dell’approvazione dello stesso.
Tali somme potranno essere così destinate al pagamento - secondo le regole sulla parità di trattamento - dei creditori chirografari, interessati all’approvazione della proposta e così invogliati ad esprimere un voto favorevole alla stessa.
Resta, tuttavia, inteso che la esclusione del vincolo di destinazione di tali somme secondo il criterio della responsabilità patrimoniale non implica libertà di utilizzo di tali somme oltre il limite segnato dalle regole procedurali del concordato.
Detto altrimenti, la circostanza che le somme del terzo non siano da destinarsi ai creditori concorsuali secondo le regole della responsabilità patrimoniale (che, ad esempio, imporrebbero il pagamento al creditore con privilegio generale mobiliare sino ad integrale soddisfazione dello stesso prima di qualsivoglia pagamento ai creditori chirografari) non implica un’assoluta libertà di utilizzo di tali somme, giacché deve comunque tenersi conto delle regole generali non della responsabilità patrimoniale, ma della procedura di concordato.
Il più rilevante profilo problematico dell’istituto in esame è proprio quello relativo alla individuazione dei potenziali vincoli di utilizzo della finanza esterna nell’ambito del concordato preventivo, profilo che involge, come già sopra accennato (v. supra, § 2), la soluzione del se anche le risorse esterne al patrimonio del debitore siano soggette al rispetto delle regole imperative che disciplinano la responsabilità patrimoniale del debitore e la distribuzione del patrimonio del soggetto sottoposto a procedura concorsuale.
Sul punto, occorre una premessa di carattere metodologico. Ed invero, per affermare l’esistenza di eventuali vincoli all’utilizzo della finanza esterna, è necessario individuare preliminarmente la fonte ed il contenuto degli stessi, giacché la tendenziale autonomia del debitore nella determinazione del contenuto della proposta di concordato determina la necessità che debbano essere giustificati e predeterminati, sul piano logico-giuridico, i limiti alla predetta libertà negoziale e non già il contenuto di quest’ultima.
Orbene, un primo vincolo potrebbe, in ipotesi, essere rappresentato dal principio della responsabilità patrimoniale del debitore sancito dall’art. 2740 c.c., il cui disposto normativo concorre a definire il perimetro entro il quale può muoversi l’autonomia negoziale del debitore.
Tuttavia, questo vincolo non è richiamabile in subiecta materia. Come correttamente sottolineato in dottrina16, le risorse esterne fornite dai terzi rimangono estranee al regime della responsabilità patrimoniale delineato dall’art. 2740 c.c., in quanto principio operante con riferimento al solo patrimonio del debitore, ossia al patrimonio che risponde delle obbligazioni assunte (cd. patrimonio responsabile).
Tale affermazione di estraneità del principio di responsabilità patrimoniale con la cd. finanza esterna non vale però a definire in via definitiva il tema di indagine.
In realtà, la norma dettata dall’art. 2740 c.c. indica quale patrimonio risponda delle obbligazioni assunte dal debitore, nulla disponendo, però, in ordine ai criteri in base ai quali questo patrimonio debba essere distribuito tra i creditori, e ciò soprattutto nel caso di insufficienza a soddisfare tutte le pretese concorrenti17. Ne discende che l’indagine va necessariamente allargata anche alle norme che configurano, nel loro complesso, il sistema di distribuzione del patrimonio del debitore, e dunque, in primo luogo, alla norma dettata dall’art. 2741 c.c., norma, poi, analiticamente declinata, in sede di esecuzione individuale, dagli artt. 596 e ss. del codice di rito, e, in materia fallimentare, dagli artt. 52-54 della legge fallimentare.
Detto altrimenti, la domanda alla quale occorre fornire una risposta è se le cause legittime di prelazione, con le quali si fissa un ordine tra i creditori nella soddisfazione delle proprie pretese, debbano trovare applicazione anche con riferimento alla finanza esterna e ne impongano un utilizzo conforme all’ordine di prelazione.
Sul punto, occorre iniziare l’indagine dall’esame del contenuto precettivo dell’enunciato di cui all’ultimo periodo del secondo comma dell’art. 160 l. fall., norma a tenore della quale «il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione».
È a tutti noto l’acceso dibattito in dottrina e in giurisprudenza tra chi sostiene che tale enunciato normativo imponga di pagare integralmente il credito poziore prima di poter pagare il credito di grado inferiore e chi, al contrario, sostiene che sia sufficiente un trattamento migliore rispetto al creditore sottordinato18.
È evidente che – ad una prima lettura – l’uso della espressione “in alcun modo” sembrerebbe far ritenere preferibile l’interpretazione più rigorosa del divieto di alterazione.
Tuttavia, qualora si accogliesse tale opzione interpretativa, la conseguenza sarebbe un effetto altamente disincentivante rispetto alla soluzione concordataria delle crisi aziendali.
Volendo ora esaminare invece il nucleo centrale della questione (Hinc sunt leones!), deve sottolinearsi come non sia condivisibile l’opinione secondo cui, non sussistendo vincoli di responsabilità patrimoniale, le risorse aggiuntive dovrebbero essere distribuite liberamente dal debitore.
Come osservato da attenta dottrina19, le risorse aggiuntive sono pur sempre distribuite secondo una proposta assoggettata a deliberazione, di talché anche per esse valgono, di conseguenza, le regole conformative della proposta ai fini dell’esercizio del diritto di voto. Orbene, poiché, sulla scorta del principio generale della parità di trattamento, la legge stabilisce tale parità per tutti i creditori chirografari, salva la possibilità di trattamenti differenziati per i creditori appartenenti a diverse classi di voto, allora la proposta non può prevedere differenze di trattamento tra creditori chirografari se il concordato non è suddiviso in classi e tra creditori chirografari appartenenti alla stessa classe se il concordato è organizzato in classi.
In realtà, questo limite imperativo alla autonomia negoziale del proponente non discende dalle regole della responsabilità patrimoniale, poiché la finanza esterna non appartiene al patrimonio del debitore e dunque le regole discendenti da tale responsabilità non dovrebbero essere applicabili al caso.
Il limite sopra prospettato può invece agevolmente giustificarsi riflettendo sul paradigma deliberativo e sul procedimento di approvazione del concordato, giacché il limite risponde certamente alla esigenza di genuinità del voto dei creditori, o dei creditori chiusi all’interno di una classe, perseguendo il suo obiettivo attraverso la conservazione della omogeneità dell’interesse dei creditori votanti che prevede lo stesso trattamento per tutti20.
Come detto, in caso di suddivisioni in classi è stabilito che il trattamento riservato a ciascuna classe non possa avere l’effetto di alterare l’ordine legittimo delle cause di prelazione (cfr. artt. 124, co. 3 e 160, co. 2, l. fall.). La regola esprime pertanto un significato non equivoco, volendo evidenziare che i creditori chirografari non possono giovarsi di un trattamento uguale ovvero addirittura più vantaggioso di quello complessivamente riservato ai creditori garantiti e che i creditori garantiti con prevalenza su altri creditori garantiti non possono essere trattati in modo meno favorevole o anche semplicemente corrispondente rispetto ai secondi, ma al contrario devono essere destinatari di un trattamento migliore.
Ebbene, questa regola sarebbe difficilmente giustificabile se riferita ad una proposta che non contempli l’apporto di finanza esterna. In realtà, se il creditore garantito deve essere soddisfatto nei limiti del valore di realizzo, allora l’ordine delle cause legittime di prelazione deve essere necessariamente rispettato. Poiché, invece, la finanza esterna è sottratta alla regola della responsabilità patrimoniale ed è dunque liberamente utilizzabile nel senso sopra chiarito, allora la finalità di composizione ottimale del debito secondo la procedura deliberativa si mostra funzionale a rintracciare quel limite alla libertà di utilizzo della finanza esterna.
Pertanto, in applicazione di tale regola il trattamento complessivo riservato al creditore garantito deve essere più favorevole del trattamento complessivamente riservato al creditore garantito di grado successivo, e quest’ultimo del trattamento riservato ai creditori chirografari maggiormente soddisfatti21.
L’accoglimento della opzione ermeneutica qui perorata consente di scongiurare altresì la possibilità di precostituire maggioranze di voto promettendo elevate misure di soddisfacimento per taluni creditori chirografari ovvero trattati come tali (perché garantiti ma non coperti dal valore di mercato del bene dedotto in garanzia), evitando di costruire in tal modo ipotesi di distribuzione dei sacrifici incoerenti con l’ordine di soddisfacimento dei creditori posto nel sistema della responsabilità patrimoniale.
1 In tema, cfr. Di Marzio, F., Il diritto negoziale della crisi d’impresa,Milano, 2011, 240 e ss; D’Attorre, G., La finanza esterna tra vincoli all’utilizzo e diritto di voto dei creditori, su www.ilcaso.it, 1 e ss (pubblicato dal 20.5.2014); Lamanna, F., Le insidie logiche della finanza esterna in caso di prelazioni incapienti, pubblicato su www.ilfallimentarista.it (pubblicato dal 20.1.2014); Bozza,G., L’utilizzo di nuova finanza nel concordato preventivo e la partecipazione al voto dei creditori preferenziali incapienti, (nota a Trib. Treviso, 11.2.2009), in Fallimento, 2009, 1441; Bianchi, D., La Cassazione, la nuova finanza e l’alterazione dell’ordine dei privilegi, in Fallimento, 2012, 1411 e ss.
2 Sulla nozione di finanza esterna, cfr.: Cass., 8.6.2012, n. 9373, in Fallimento, 2012, 1409; Trib.Milano, 20.7.2011, in www.ilfallimentarista.it; Trib. Monza, 22.12.2011, in www.icaso.it, I, 6852 ; in dottrina, si legga inoltre Bonfatti, S., Il sostegno finanziario dell’impresa nelle procedure di composizione negoziale della crisi, in www.ilcaso.it, I, 214/2010.
3 Così, Cass. n. 9373/2012.
4 Lamanna, F., Le insidie logiche della finanza esterna, cit.
5 Così, di nuovo Lamanna, F., op. cit.
6 Cass. n. 9373/2012.
7 Sul tema, nel senso invece della libera disponibilità ed utilizzabilità della nuova finanza anche in deroga alla graduazione dei privilegi, cfr. di nuovo Bozza, G., L’utilizzo di nuova finanza nel concordato preventivo, cit., 1441; cfr. anche Nardecchia, G.B., Le classi e la tutela dei creditori nel concordato preventivo, in Giur. comm., 2011, 80, nonché Proto, C., Le classi dei creditori nel concordato preventivo, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 2010, 79.
8 V. anche Bonfatti, S., Il sostegno finanziario dell’impresa, cit.
9 Cfr. sempre, Cass. n. 9373/20102.
10 Bianchi, D., La Cassazione, cit, 1413.
11 Bianchi, D., op. cit., 1411. In giurisprudenza, v. anche Cass., 4.11.2011, n. 22913, in Giust. civ. Mass., 2011, 11, 1560.
12 Ivone, G., Sulla qualificazione di finanza esterna nel concordato preventivo, in www.ilfallimentarista.it.
13 Di Marzio, F., Il diritto negoziale della crisi d’impresa, cit., 241.
14 Di Marzio, F., Finanza esterna e concordato preventivo, su www.ilfallimentarista.it, pubblicato dal 4.3.2013.
15 V. sempre Di Marzio, F., Finanza esterna e concordato preventivo, cit.
16 V. Fabiani,M., Diritto Fallimentare, Torino, 2011, 616; Jachia, G., Il concordato preventivo e la sua proposta, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, III, Torino, 2009, 1609.
17 D’Attorre, G., La finanza esterna tra vincoli all’utilizzo e diritto di voto dei creditori, cit., 4.
18 Sul punto qui in esame, v. Tribunale di Treviso, 11.2.2009, in Fallimento, 2009, 1439; in dottrina, si legga anche Ferro, M., La legge fallimentare, Commentario teorico pratico, II ed., 1729; Tribunale di Messina, 18.2.2009, in Fallimento, 2010, 79. Di contrario avviso, D’Orazio, L., in Interesse economico omogeneo nella formazione delle classi tra autonomia negoziale e controllo di merito, in Giur. mer., 2009, 982 ; Calandra Bonaura, V., in Il nuovo diritto delle crisi d’impresa, a cura di A. Jorio, Quaderni di Giur. Comm., 328, 19; Ambrosini, S., Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Padova, 2008, 57; Censoni, C.F., I diritti di prelazione nel concordato preventivo, in Giur. comm., 2009, 1, 20 ; Lo Cascio, G., Il concordato preventivo,Milano, VIII, 209.
19 Di Marzio, F., Il diritto negoziale della crisi d’impresa, cit., 242.
20 Di Marzio, F., Il diritto negoziale della crisi d’impresa, ibidem.
21 Così, Di Marzio, F., Il diritto negoziale della crisi d’impresa, cit., 243. Nello stesso senso, anche Terranova,G., Problemi di diritto concorsuale, Torino, 2011; cfr. anche Zanichelli, V., I concordati giudiziali, Bologna, 2010, 164. In senso contrario, si legga D’Attorre, G., La finanza esterna tra vincoli all’utilizzo e diritto di voto dei creditori, cit., 7.