Fine (sost.; fino, in rima, nel Detto)
Come sostantivo, con sensi diversi, ma essenzialmente per indicare " termine ultimo " di luogo, di tempo, di azioni o cose con determinazioni espresse o sottintese, e in forma di locuzioni avverbiali. Ambigenere, ma per lo più maschile; nella Commedia sempre al maschile, tranne Pg XVIII 137. Raramente al plurale (Cv IV IV 5 [2 volte], VI 6, Pd II 120). Nella definizione di f. non si può prescindere dal fatto che spesso la nozione temporale implica quella spaziale e viceversa, e tutte e due comportano il senso della finalità, essendo nell'idea di D. che nulla esista o si verifichi se non in vista di un fine; in tal senso il termine comprende la nozione di ‛ causa finale ' (v. CAGIONE) come fine di ogni mutamento, come bene.
1. Con valore proprio il termine è usato, quanto al luogo, per indicare il " limite ", " confine ", " punto di arrivo ".
Così in Cv II XIV 12 fine de la circulazione è redire ad uno medesimo punto; " limite di separazione " in If XIV 4 venimmo al fine ove si parte / lo secondo giron dal terzo; " margini estremi " in XVII 6 vicino al fin d'i' passeggiati marmi; " confini remoti " in XXVII 78 al fine de la terra il suono uscie; " termine di un cammino " in Pg IV 94 allor sarai al fin d'esto sentiero; " limite estremo " in XXXIII 109 s'affisser... le sette donne al fin d'un'ombra smorta; " parte estrema " in Pd XXVII 81 l'arco / che fa dal mezzo al fine il primo clima.
Quanto al tempo, indica " compimento ", " termine ultimo ", " ultima parte ".
Così in Vn II 2 da la fine del mio nono [anno]; Cv IV XXIII 16 l'officio de la prima parte del die, cioè la terza, si dice in fine di quella. Per indicare la fine, il limite estremo o " ultima parte " della vita umana, in espressioni determinative: Rime LXVIII 2 Lo doloroso amor che mi conduce / a fin di morte; Cv IV XXVIII 7 la nobile anima.. attende lo fine di questa vita con molto desiderio; ma anche assolutamente, per lo stesso concetto: Le dolci rime 138 contemplando la fine che l'aspetta; Pg III 137 ancor ch'al fin si penta; IV 132 io 'ndugiai al fine i buon sospiri. La nozione di tempo è presente anche in queste tre locuzioni molto simili, le prime due con determinazione sottintesa: Vn XXIII 15 cominciandomi dal principio in fino a la fine [della visione]; Pg XVIII 137 fino a la fine [del viaggio, o dei travagli] col figlio d'Anchise; la terza, col compimento sintattico in una proposizione temporale: Pd VI 38 infino al fine / che i tre a' tre pugnar per lui ancora; v. anche XVI 138. Si aggiunga qui l'espressione verbale ‛ non aver f. ', per " essere eterno ": Cv II XIV 11 le cose incorruttibili, le quali ebbero da Dio cominciamento di creazione e non averanno fine, e 12 essa circulazione cominciò e non averebbe fine; Pd VII 68 Ciò che da lei [la divina bontà] sanza mezzo distilla / non ha poi fine; XIX 51 quel bene [Dio] che non ha fine e sé con sé misura.
Locuzioni avverbiali temporali: ‛ sanza f. ' (cfr. il latino sine fine), per " eternamente ", in Pg XX 12 la tua fame [della lupa] sanza fine cupa; XXXII 101 sarai meco sanza fine cive di quella Roma... Pd XVII 112 lo mondo sanza fine amaro. Cfr. anche Cv IV IV 11 a loro [i Romani] ho dato imperio sanza fine, con esplicito riferimento a Virgilio (Aen. I 279 " imperium sine fine dedi " dove f. ha valore sia di luogo che di tempo). Inoltre: ‛ a la f. ', ‛ al f. ', ‛ nella f. ', per " infine ", " finalmente ", " da ultimo " (cfr. il latino ad finem, in finem, in fine): Rime XCIX 14 ricorrete a la fine a Messer Giano; Cv III III 8 Ercule a la fine prese lui [Anteo]; If V 66 Achille / ... con amore al fine combatteo; XXIV 41 noi pur venimmo al fine in su la punta; Pd XIII 138 legno vidi... / perire al fine a l'intrar de la foce. Si aggiungano: Fiore XLV 14, C 8, CXCIII 12, CCXXX 7, e Detto 13.
Analogamente, indica il " termine ", la " parte ultima " o le " ultime parole " di un discorso parlato.
Vn XII 13 31 ed a la fine falle umil preghero; If VI 76 Qui puose fine al lagrimabil suono; XXV 1 Al fine de le sue parole il ladro / le mani alzò; Pg XVIII 1 Posto avea fine al suo ragionamento; XXV 127 Appresso il fine ch'a quell'inno fassi; XXIX 2 continuò col fin di sue parole; Pd XXV 97 appresso al fin d'este parole. Qui anche Fiore CXCVIII 1 Allor sì fecer fine al parlamento.
Così pure, il termine indica il " compimento ", la " parte ultima " di un'opera scritta o parte di essa.
Da vedere per questo Vn XXXI 2 E acciò che questa canzone paia rimanere più vedova dopo lo suo fine; XLI 7 e nel fine di questa parte dico ‛ donne mie care '; Cv II I 1 ne la fine de la mia cena (figuratamente, il compimento del Convivio); II 1 ne la fine de la Vita Nuova; X 11 infino a la fine di questo verso; XV 12 in fine di questo secondo trattato; III VIII 22 E soggiugne in fine (della canzone, prima del congedo); XV 20 tempo è... di porre fine a questo trattato; IV V 10 nel fine del precedente [capitolo del presente] trattato; XIII 16 sì come lo testo pone nel fine di questa parte; XXIX 2 ne la fine di questo trattato.
2. Con valore traslato f. indica il grado estremo, lo scopo o termine ultimo cui tende, per natura, una cosa o un sentimento, un'azione umana, in quanto predisposti od ‛ ordinati ' al loro compimento finale.
Qui la nozione di f. coincide con quella di perfezione e di causa finale, a un tempo termine e ragione ultima dell'atto del ' tendere ' (cfr. Tommaso Cont. Gent. III 3 " finis est, in quo quiescit appetitus agentis vel moventis et eius, quod movetur "; Verit. 21 2c " duo autem sunt de ratione finis, ut scilicet sit appetitum vel desideratum ab his, quae finem nondum attingunt, aut sit dilectum et quasi delectabile ab his, quae finem participant, cum eiusdern rationis sit tendere in finem et in fine quodammodo quiescere, sicut per eandem naturam lapis movetur ad medium et quiescit in medio "). L'acquisizione del f. secondo natura, quindi, presuppone uno stato di quiete e di beatitudine e perciò di bene e di perfezione. Il f. in tal senso è da desiderare per sé stesso e coincide con la nozione stessa di bene (cfr. Agost Civ. XIX 1 " Illud enim est finis boni nostri, propter quod appetenda sunt cetera, ipsum autem propter se ipsum; et illud finis mali, propter quod vitanda sunt cetera, ipsum autem propter se ipsum. Finis boni ergo nunc dicimus, non quo consumatur ut non sit, sed quo perficiatur, ut plenum sit; et finem mali, non quo esse desinat, sed quo usque nocendo perducat. Fines itaque isti sunt summum bonum et summum malum "; cfr. anche Cic. Fin. I 11). A tal riguardo già Aristotele aveva affermato (Eth. nic. I 2, 1094a 18-22): " Si utique est aliquis finis operabilium, quem propter se ipsum volumus: alia vero propter seipsum volumus: alia vero propter illum, et non omnia propter alterum desideramus... manifestum quoniam hic utique erit bonus et optimus ", e ancora (I 7, 1097a 21 ss.): " In omni autem operatione et electione finis. Huius enim gratia reliqua operantur omnes. Quare siquis operatorum omnium est finis, hic utique erit operatum bonum... Quoniam autem plures videntur et fines, horum autem eligemus quosdam propter alterum... manifestum igitur, quoniam non sunt omnes perfecti, at optimus autem perfectus quis videtur: quapropter siquidem est aliquod unum solum perfectum, hoc utique erit, quod quaeritur; si vero plura, perfectissimum horum. Perfectius autem dicimus, quod secundum seipsum est prosequibile, eo, quod propter alterum. Et quod nunquam propter aliud eligibile, his, quae secundum seipsa et propter aliud eligibilius... Tale itaque felicitas maxime utique esse videtur, hanc enim eligimus semper propter seipsam et nunquam propter aliud ". A tale felicità sono ordinate, come a loro f., le virtù.
In tal senso il termine è usato da D. per denotare lo " scopo ", la " meta finale " e, perciò, la ragione ultima a cui sono predisposti le operazioni, gli affetti, le disposizioni, i desideri e le virtù umane.
Così in Vn XVIII 3 A che fine ami tu questa tua donna...? Dilloci, ché certo lo fine di cotale amore conviene che sia novissimo, e 4 lo fine del mio amore fue già lo saluto di questa donna; Cv I IV 3 la loro bontade, la quale a debito fine è ordinata; V 4 disposizioni... ordinate a lo inteso fine; sì com'è ordinata al fine de la cavalleria franchezza d'animo (e cfr. § 5); VIII 12 con ciò sia cosa che... lo fine de la vertù sia la nostra vita essere contenta; XI 3; III VIII 21 lo fine a che fatta fue tanta biltade; XI 14 fine de l'amistade vera è la buona dilezione... fine de la Filosofia è quella eccellentissima dilezione; XV 9; XV 10 li Santi non hanno tra loro invidia, però che ciascuno aggiugne lo fine del suo desiderio; IV IV 1 la umana civilitade, che a uno fine è ordinata, cioè a vita felice, 5 (5 volte) e 6; V 12, VI 6 (2 volte), 7 tutte l'umane operazioni domandano uno fine, 8, 9 credettero... fine de la vita umana essere solamente la rigida onestade, 11 (2 volte), 13, 15 e 20; VII 12, XIII 8 (2 volte), XVII 11. In questa serie, dieci volte f. è unito al verbo ‛ ordinare ' nel costrutto di relazione ‛ ordinare a f. ' per " predisporre a uno scopo ". Vn XIV 4 E nel fine del mio proponimento; XVIII 4 e in quello [saluto] dimorava la beatitudine, ché era fine di tutti li miei desiderii; XIX 20 la bocca, la quale è fine d'amore; ...lo saluto di questa donna... fue fine de li miei desiderii; Rime XL 5 Disio verace, u' rado fin si pone; L 30 ch'i' sono al fine de la mia possanza; Cv I V 4 Quella cosa che più adorna e commenda l'umana operazione, e che più dirittamente a buon fine la mena; X 2 de le nuove cose lo fine non è certo... le cose usate e servate sono e nel processo e nel fine commisurate; XI 4 conviene che esso e quello, anche cieco, ch'a lui s'appoggia vegnano a mal fine; II XIII 26 e 27 lo cerchio è perfettissima figura in quella [la Geometria], che conviene però avere ragione di fine. Sì che tra 'l punto e lo cerchio si come tra principio e fine si muove la Geometria (vuol dire che la Geometria raggiunge nel cerchio il suo termine ultimo di perfezione). Si aggiungano If XI 23 (2 volte), XXIII 9, Pd XXVII 60, XXVIII 52, XXXIII 46, Cv III IV 11, VIII 5, XII 9, IV II 9, XXVII 6, XXX 2.
All'azione finalistica dell'universo e, in primo luogo, di Dio che agisce sul mondo tramite i cieli, vanno ricondotte le occorrenze di If IX 95 quella voglia [divina] / a cui non puote il fin mai esser mozzo; Pg XXX 110 le rote magne... / drizzan ciascun seme ad alcun fine; Pd I 107 l'orma / de l'etterno valore, il qual è fine; II 120 li altri giron... / le distinzion... / dispongono a lor fini e lor semenze; VIII 104 quantunque quest'arco saetta / disposto cade a proveduto fine; XI 42 ad un fine fur l'opere sue; XXII 35 perché tu, aspettando, non tarde / a l'alto fine. Ancora, Detto 14, 144 e, nella forma ‛ fino ', 455. il sostantivo ricorre inoltre in tre luoghi del convivio, come traduzione del De Finibus ciceroniano (I XI 14, IV VI 12 e XXII 2; v. Cicerone, Marco Tullio).