FINESTRA (ϑυρίς, fenestra)
Nelle costruzioni delle civiltà preelleniche, la posizione delle f. nelle case private si può desumere da alcune maioliche rinvenute a Cnosso e conservate nel museo di Candia (Creta). Qui le aperture sono disposte evidentemente secondo i piani interni, divise in due dall'alto in basso o in quattro da una intelaiatura a croce; la forma è generalmente quadrata e per lo più si distinguono sulla parete dell'edificio per un'incorniciatura propria. Nelle case mesopotamiche, le massicce pareti di mattoni non consentivano più di strette aperture, difese talvolta da graticci in terracotta. Semplicissime sono nelle tombe rupestri anatoliche le aperture al disopra della porta, talvolta intramezzate da uno o due pilastrini. Per l'Egitto, invece, la posizione delle f. nelle abitazioni private è sconosciuta; quelle degli edifici pubblici non sono mai trattate come entità architettoniche a parte. Nelle costruzioni megalitiche, di cui in gran parte si compone l'architettura monumentale egizia, sono semplici aperture, incorniciate talvolta da pilastrini ornati e scolpiti, mai però in esclusivo rapporto con l'apertura stessa (tempio della dea Ḥatḥōr in Denderah, tempio di Iside sull'isola di File, di età imperiale romana).
Pressoché sconosciuta è la disposizione delle f. nelle case private greche, mentre gli edifici pubblici offrono esempi interessanti. Si può dire che per la prima volta nell'Eretteo si possa osservare la disposizione architettonica di due aperture nella parete: sono due f., viste e descritte quando ancora erano in posto, ai due lati della porta, a trapezio, con la base maggiore in basso, stipiti scorniciati con scanalatura per la chiusura ed architrave sporgente rispetto a questi, formando così lo schema "ad orecchiozze" che sarà poi ampiamente sfruttato anche per le porte, specialmente in Etruria.
Le case di età ellenistica sono sufficientemente esemplificate a Delo ed a Pompei. Le f. esterne si aprivano piuttosto in alto, spesso ai lati della porta e generalmente di piccole proporzioni, talvolta ridotte addirittura a feritoie, a sguancio verso l'interno, per raccogliere la maggior quantità di luce possibile con quella minima apertura. Le aperture interne invece, che davano sul peristilio, erano piu grandi e basse, specialmente quelle del tablinum e del triclinium, affinché la vista del giardino rallegrasse i commensali (Vitr., vi, 3, 9-10; Plin., Ep., ii, 17, 5). Sia le une che le altre erano spesso inquadrate da pilastri, specialmente a Delo, con architrave e talvolta adorne di lesene e cornici. Nelle f. di Delo si notano anche tracce di transenne metalliche.
Di derivazione ellenistica si possono considerare le f. del tempio di Vesta a Tivoli, riccamente scorniciate con listello e architrave nella parte superiore. Quando la larghezza è eccessiva, viene interrotta da un elemento verticale, ed è così che nasce la bifora. Interessanti sono anche le scene di teatro ellenistiche con quelle serie di edicole che potrebbero eventualmente indicare il modo di decorare una serie di aperture. Le nicchie però formano un capitolo a parte, indipendentemente dalle f.: lo prova il fatto che a Baalbek tra le molte nicchie del grande tempio una sola ospita nel suo fondo una f., con riquadratura a parte sia all'interno che all'esterno.
Le tombe etrusche a camera presentano talvolta due f. ai lati della porta o quadrate, o rettangolari, o a feritoria. Probabilmente sono state trattate come due f. nella parete esterna e sono interessanti dal punto di vista architettonico perché sono sempre incorniciate e molto spesso con "orecchiozze" nella parte superiore, ricordo dell'architrave sporgente che poggiava sugli stipiti.
Un unicum è costituito dall'apertura posta sopra la porta del tempio della Concordia ad Agrigento, singolare sia per la forma che per la disposizione.
Nell'architettura romana imperiale le f. si moltiplicano straordinariamente. Le case private, le insulae del tipo di Ostia, hanno, come le case moderne, le facciate traforate di aperture, disposte secondo i piani interni, di forma rettangolare, ma molto larghe, isolate o raggruppate a due o a tre. Nel piano inferiore più spesso erano le botteghe, che avevano un piccolo finestrino tra la piattabanda della porta ed il soprastante arco di scarico per dare luce al soppalco; quando nel piano inferiore invece delle botteghe erano delle f., queste erano poste più in alto in modo che chi passava per la strada non potesse guardare nell'interno. Molto ricche di f. erano anche le ville suburbane, come ad esempio la Villa dei Sette Bassi, di cui restava una parete ornata da due ordini di grandi aperture rettangolari. A Roma, sul Palatino, nella Casa dei Flavi, tra il triclinio ed i ninfei si aprivano grandi f. e nella Domus Augustana ve ne erano molte nelle pareti interne, mentre sembra che fossero piuttosto scarse in quelle esterne. È probabile quindi che anche in epoca imperiale i palazzi signorili seguissero la moda delle case repubblicane, potendo disporre di corfili e giardini interni, mentre le insulae dovevano prendere luce esclusivamente dall'esterno. La stessa cosa si può dire per le terme: grandi aperture nelle pareti interne verso le sale interne e i giardini, che talvolta, date le proporzioni, non si possono neanche chiamare f., quasi nulle in quelle esterne. Le basiliche poi, quando abbandonano il vecchio schema della sala colonnata, hanno anch'esse grandi aperture arcuate verso l'esterno, come ad esempio la basilica di Costantino.
L'inquadratura della f., in principio assai semplice, si va poi arricchendo di motivi ornamentali, come girali e volute (tempio del dio Redicolo) o pilastrini e architrave molto ornati. A Palmira, nel piccolo tempio di Giove, forse per influssi orientali, si ha una f. sormontata da un vero e proprio frontone.
La chiusura delle f. più grandi si effettuava per mezzo di transenne marmoree o metalliche. Per le medie e piccole aperture i sistemi di chiusura erano vari: sportelloni lapidei, ancora in opera nel medievale duomo di Torcello, o lignei che costituirebbero le valvae di cui parla Vitruvio (De arch., vi, 3, 9). L'introduzione delle lastre, se non proprio trasparenti per lo meno diafane (alabastro, mica, vetro, ecc.) avvenne in epoca imprecisata; si sono trovate a Pompei, sostenute da telai a croce, e altrove. Ne parla anche Plinio (Nat. hist., xxxv, 46, 12) (v. anche trifora).
Bibl.: J. Durm, Die Baukunst der Etrusker und Römer, Darmstadt 1885, pp. 225-230; II ed., Stoccarda 1905, pp. 344-351; Bull. Corr. Hell., XIX, 1895, p. 464; XXX, 1906, p. 496; Ch. Chipiez, in Dict. Ant., s. v.; A. Mau, in Pauly-Wissowa, VI, 1909, cc. 2180-85, s. v. Fenestra; R. Herbig, Fenster-studien an antiken Wohnbauten in Italien, in Röm. Mitt., XLVI, 1929, pp. 260-321; id., Fenster an Tempeln und monumentalen Profanbauten, in Jahrbuch, XLIV, 1929, pp. 224-262; W. B. Dinsmoor, The Architecture of Ancient Greece3, Londra 1950, passim; R. Martin, L'Urbanisme dans la Grèce antique, Parigi 1956, passim. V. inoltre in particolare: F. Matz, Kreta, Mykene, Troja, Stoccarda 1956, tav. 45; H. Bossert, Altanatolien, Berlino 1942, tavv. 228, 229, 232, 233, 239-254, 1042, 1043; R. Hamann, Aegyptische Kunst, Berlino 1944, p. 297, fig. 323 e p. 293, fig. 319; Exploration archéol. de Délos. Le quartier du théatre, Parigi 1922, pp. 286-303; B. Schulz-H. Winnefeld, Baalbek, Berlino-Lipsia 1921, tavv. 131, 133, 142; V. Spinazzola, Pompei alla luce dei nuovi scavi, a cura di S. Aurigemma, Roma 1953, passim.