FINIGUERRI, Stefano, detto il Za
Nacque da Tommaso a Firenze, dove visse fra il sec. XIV e il XV. Scarsissimi sono i dati biografici su di lui: le uniche notizie che lo riguardano si trovano in un documento dell'Archivio delle Stinche (le carceri fiorentine), nell'Archivio di Stato di Firenze, che contiene le registrazioni di alcune somme pagate da "Stefanus Tomaxii alias Za" per diverse partite di debiti, per le quali hi imprigionato nel 1422 (Frati, pp. XXVIII s.). Tale documento prova la sua appartenenza alla famiglia dei Finiguerri, ed informa sulle condizioni di indigenza del poeta. Le didascalie che introducono e chiudono l'esposizione dei suoi tre poemetti, nel codice Ricc. 1591 della Biblioteca Riccardiana di Firenze confermano che il Za e Stefano Finiguerri sono la stessa persona.
Il Frati avanza l'ipotesi che il F. fosse fratello dell'orafo Antonio di Tommaso Finiguerra, nato nel 1389 e morto nel 1464, padre del celebre niellista Maso. Tale ipotesi non trova però conferma documentale.
Dell'attività letteraria del F. restano tre poemetti in terzine, La buca di Montemorello, Il gagno, Lo studio d'Atene, appartenenti al genere della rimeria satirica e giocosa fiorita a Firenze nella prima metà del Quattrocento. Secondo la critica più recente il F. compose i tre poemetti tra il 1406 e il 1409, quando, in seguito alla conquista di Pisa (1406), le autorità fiorentine diedero licenza alla piazza per i festeggiamenti. L'ambito cronologico è quindi abbastanza ristretto, anche se, come afferma il Guerri, "non si può asserire che tutti gli episodi siano scritti lo stesso anno" (p. 40), perché la materia dei componimenti era rinnovabile e rinnovata, come dimostrano le diverse redazioni pervenuteci.
I poemetti presentano la stessa struttura: sono elenchi di persone, appartenenti alla realtà fiorentina e toscana coeva, che vengono burlate ferocemente per i loro vizi. Gli studiosi hanno sottolineato come la forma dell'elenco fosse già stata usata in precedenza da illustri poeti, come Dante, Boccaccio, F. Sacchetti, e ripresa in seguito da Lorenzo de' Medici nel Simposio e da G.C. Croce nella Barca dei rovinati.
Le opere del F., per il loro carattere scandalistico e divertente, erano destinate alla lettura di piazza, ad opera dello stesso poeta o di un "cantampanca". Tali spettacoli si svolgevano nella piazza di S. Martino, ed il pubblico che vi assisteva era composto da cittadini di ogni condizione.
Questi poemetti ebbero inoltre grande diffusione, come testimonia la copiosa tradizione manoscritta che risale ai secoli XV e XVI. B. Dei, nella Cronaca della città di Firenze dal 1400 al 1500, dichiara di conoscere a memoria i versi del F. (Frati, pp. XXIV s.) e il copista G. Mazzuoli detto lo Stradino afferma, nel codice Laur. XLII, 27 della Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze, di aver copiato la Buca e lo Studio d'Atene su richiesta di Lucrezia di lacopo Salviati, nobildonna fiorentina.
La Buca fu composta tra il 1407, anno in cui Jacopo da Montepulciano uscì dalle Stinche (come si legge nel v. 464), e il 28 dic. 1409, giorno in cui morì Lorenzo Bombeni, ricordato dal F. come ancora vivo. Il poemetto si configura come una lista di cittadini fiorentini falliti, dissipatori di patrimoni nel gioco, nel vino e nella lussuria, che vengono elencati dal F. per nome e per cognome e, quando lo hanno, per soprannome. La trama è molto semplice. Al poeta, che dichiara di trovarsi "uccel di poche penne", appare in sogno Tieri Tornaquinci, un banchiere fallito, che si propone come guida, "duca", per accompagnarlo sul monte Morello per cercare un tesoro nascosto in una buca. Il poeta e la sua guida sono seguiti in questo viaggio da una moltitudine di cittadini di Firenze, reduci dalle Stinche o dall'ospedale, desiderosi di trovare il tesoro nascosto e di arricchirsi.
Inizialmente il tema sembra essere quello della beffa dell'indigenza e della dissipatezza, poi prende il sopravvento la satira contro la sodomia e i sodomiti. Il titolo del poemetto è emblematico e significativo perché esprime il programma comico della rassegna. Questa opera è stata di solito indicata, sulla base della lezione offerta dal Ricc. 1591, con il titolo Buca di Monteferrato. Ma recentemente il Lanza (Polemiche..., p. 138) ha dimostrato, sulla base dell'analisi dei codici, come sia da preferire come titolo la forma Buca di Montemorello, che compare nel Laur. XLII, 27, perché sarebbe un'allusione oscena che meglio si accorda con il contenuto del poemetto.
All'elenco dei personaggi beffati, circa duecentocinquanta, appartengono anche alcuni letterati, tutti esponenti della vecchia cultura tradizionalista: Giovanni da Prato, soprannominato Acquettino (con allusione esplicita alla sodomia), Antonio "capo de Marchi" identificato dal Guerri con Antonio di Piero di Friano, Iacopo da Montepulciano, autore della Fimerodia, il cronista Filippo Villani e lo storico Goro Dati, quest'ultimo rappresentante della vecchia concezione provvidenzialistica della storia, che aveva informato la cronachistica medievale.
Il Gagno, incompiuto e trasmesso da codici mutili, presenta la stessa struttura e il tema del poemetto precedente ma è ambientato a Pisa ed in gran parte pisani sono i personaggi oggetto della satira. La trama prende l'avvio da una visione: il poeta si accorge di trovarsi nell'isola del Gagno e vede sopraggiungere una barca, sulla quale è accolto dal capitano, Buiano. Questi mostra al F. i passeggeri che si recano all'isola "perché si sa che non si paga scotto" e soprattutto perché sperano di farvi grandi guadagni. Il Morpurgo sostiene che il termine "Gagno" vada connesso al "prato del Gagno presso Pisa", importante pascolo di cavalli amministrato dal Comune, e sulla base di tale interpretazione ritiene che "la satira del Za, la quale toccando per la maggior parte persone state ne' pubblici uffici di Pisa, che ora si ristoravano sul pascolo del comune, acquisterebbe uno spiccato colore politico". Secondo il Lanza invece il titolo va interpretato in senso osceno, poiché il termine "gagno" significa anche membro virile.
Lo Studio d'Atene è incentrato sul tema della "berta della loica", cioè è una satira della vecchia cultura scolastica.
Il F. immagina che la città di Firenze mandi una ambasceria per "rifar lo studio a Atene", composta dal giudice Giovanni Mucini, dal canonista Francesco Machiavelli e da un tal giudice de' Niccoli. Il poeta, guidato prima da Pier Vettori e poi da Ser Gigi, elenca gli "studianti": medici, avvocati, notai ed anche letterati, tra cui quattro figli di Coluccio Salutati. Lo Studio è importante perché testimonia l'atteggiamento del F. nei confronti della cultura tradizionalista e diventa punto di riferimento per l'esperienza poetica di Domenico di Giovanni detto il Burchiello. I due sonetti del Burchiello, Questi chandaron già a studiare a Atene e Questi ch'hanno studiato il Pecorone, presuppongono infatti la conoscenza da parte dell'autore delle opere del Finiguerri.
Delle opere del F. si hanno tre edizioni moderne. la prima è a cura di L. Frati, La buca di Monteferrato, lo Studio d'Atene e il Gagno: poemetti satirici del XV secolo di Stefano Tommaso Finigueni, Bologna 1884; questa edizione è corredata dall'elenco e dalla accurata descrizione dei codici manoscritti (pp. IV-XCVII) e da un'appendice contenente notizie d'archivio su molti dei personaggi che vengono rappresentati nei poemetti. A. Lanza, in Polemiche e bene letterarie nella Firenze del primo Quattrocento, Roma 1972, ha curato una nuova edizione delle opere del F. (pp. 309-357), condotta, come dichiara nella "Nota critica" ai testi (pp. 390-393) su tutti i manoscritti noti e confrontati tra di loro. Nella stessa opera il Lanza analizza la personalità poetica del F. alle pp. 136-161. Lo stesso Lanza ha recentemente curato una nuova edizione de I poemetti del F. (Roma 1994).
Bibl.: Oltre agli studi citati nel corso della voce si veda: F. Zambrini, Supplemento, II, Bologna 1857, n. 432, p. 81; P. Fanfani, La poesia giocosa in Italia, in Nuova Antologia, giugno 1867, pp. 292 s.; S. Morpurgo, rec. all'ediz. di L. Frati, in Riv. critica della lett. ital., 1 (1884), pp. 170-177; L. Frati, Cantari e sonetti ricordati nella Cronaca di Benedetto Dei, in Giorn. stor. della letter. ital., IV (1884), pp. 179-181; V (1885), p. 485; A. Gaspary, Storia della letter. ital., II, 1, Torino 1900, p. 238; D. Guerri, La corrente popolare nel Rinascimento, Firenze 1931, in Giorn. stor. della lett. ital., XCIX (1932), p. 334; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1933, pp. 262 s., 345; V. Cian, La satira, I, Milano 1945, pp. 315-317, 510; C. Previtera, La poesia giocosa e l'umorismo dalle origini al Rinascimento, in Storia dei generi letterari ital., Milano 1953, pp. 272-274; P.G. Ricci, Aneddoti di letteratura fiorentina, in Rinascimento, s. 2, II (1962), pp. 31-56; C. Peirone, F. e altri…, la parodia del Quattrocento, in Lo specchio che deforma: le immagini della parodia, a cura di G. Barberi Squarotti, Torino 1988, pp. 61-81.