FINO d'Arezzo
Nacque probabilmente ad Arezzo nella seconda metà del sec. XIII da Benincasa. Poco sappiamo di lui: il codice Barb. Lat. 3953 della Biblioteca apostolica Vaticana ne fa menzione attribuendo ad un "meser Fino de meser Benencasa da Rezio" un solo sonetto, interamente trascritto e riportato anche da L. Allacci in una sua raccolta nel sec. XVII.
Dal codice possiamo desumere qualche notizia: poiché Rezio era forma frequentemente usata per "Arezzo", l'intitolazione del Barb. Lat. 3953 ci rimanda al padre, che fu quasi certamente quel Benincasa d'Arezzo (o da Laterina), giudice e "legum doctor", ricordato da Dante nel Purgatorio (VI, 13-14) come "l'Aretin che dalle braccia / fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte". Anche alcuni manoscritti aretini del sec. XVIII (appartenenti alla Biblioteca della Fraternita di S. Maria) che raccolgono biografie e memorie di uomini illustri locali, menzionano "Fino di M. Benincasa", cultore di poesia. S. Quadrio ipotizzò la derivazione del suo nome da Ridolfino o Ridolfò. Sulla traccia di quest'ultima osservazione, fu tentata da G. Ferretti nel 1907, l'identificazione di "Fino d'Arezzo" con un Rodolfo Frangipane, fiorentino, figlio di Benincasa di Altomena, che compare in un documento d'archivio del 1259. L'identificazione, che non sembrò attendibile a F. Massera (1919) anche per motivi di cronologia, appare ancora più dubbia in seguito alla scoperta di un documento dell'Archivio di Stato di Bologna, riassunto di un atto notarile bolognese del 1292. L'atto attesta la promessa che un certo Comanduccio d'Arezzo fa a "messer Fino", studente a Bologna e figlio del defunto messer Benincasa giurista, di corrispondergli 50 fiorini d'oro per il pagamento di un mutuo. Sulla traccia del documento, si può tentare la ricostruzione di nuovi dati biografici riguardanti il poeta.
Figlio, come sembra, proprio del Benincasa dantesco (che insegnava diritto all'università di Bologna dove visse per un certo numero di anni), F. seguì il padre, frequentando egli stesso un corso di diritto presso lo Studio bolognese, poiché "dominus" o messere (appellativo che compare nel documento) era titolo attribuito ai giuristi.
Circa la cronologia, si può supporre che se F. nel 1292 era ancora studente, la sua data di nascita vada collocata intorno al 1260-70; infatti per conseguire una laurea in legge occorrevano circa otto anni. L'atto notarile del 1292, inoltre, chiarisce che in quell'anno era già morto messer Benincasa, raggiunto dalla vendetta di Ghino di Tacco.
Ma la permanenza di F. a Bologna può suggerire qualche considerazione circa la sua produzione poetica. Bologna, infatti, tra il XIII e il XIV secolo era un centro intellettuale molto attivo anche nel campo della letteratura in volgare. È quindi probabile che F., già formatosi nella città di Arezzo, in un clima culturalmente stimolante ai tempi di Guittone e di altri fervidi scrittori, come Arrigo Testa e Iacopo da Leona, sia entrato poi in contatto con i circoli letterari bolognesi, in una cerchia di studiosi e cultori di poesia.
Il sonetto di F. è un dialogo tra il poeta e la malinconia, strutturato sul ritmo del "contrasto", sulla scia della tradizione senese comico-realistica o giocosa che fa capo a Cecco Angiolieri.
La scuola dei giocosi si era affermata a Siena nel sec. XIII e, in aperta polemica con la Firenze colta che si esprimeva nelle forme liriche dello stilnovo, proponeva una poesia vivace e popolana, libera da intellettualismi e con una forte volontà di eclettismo. Ma i suoi seguaci, pur usando il volgare in forme popolari e dialettali, erano quasi tutti uomini di cultura (per lo più giuristi) e utilizzavano questo materiale linguistico con arte, deformando ironicamente i canoni cortesi, mescolando con sapienza toni aulici e grottesche caricature delle galanterie amorose. La produzione dei giocosi fu estremamente varia: uno dei modelli di questi poeti fu senz'altro la tradizione goliardica altomedievale in latino, spregiudicata e parodistica, che si concentrava su temi ricorrenti quali il vino, la donna, il gioco. La scuola duecentesca dei giochi fu dunque, secondo G. Petrocchi (1987), una vera "scuola del poetare burlesco" e l'Angiolieri fu il primo nella letteratura italiana ad applicame il programma.
Nel sonetto di F. ritroviamo molto del patrimonio dell'Angiolieri: vivacità, padronanza della metrica, toni agrodolci, ma soprattutto il tema della malinconia. Questa, nella tematica giocosa, non ha nulla della romantica evanescenza che il termine oggi suggerisce, ma costituisce, secondo M. Marti, una insoddisfazione che finisce per colorarsi di "urnor nero, che vive per i sensi e nei limiti del senso". Nel sonetto di F. la Malinconia è personificazione di una tiranna cui il poeta chiede "merzè", mentre essa risponde incalzante e beffarda, promettendogli sempre maggiori sofferenze e insoddisfazioni. Si può supporre che questa lirica sia il solo documento di una produzione poetica che ebbe forse altre manifestazioni; ciononostante il D'Ancona pensò di negare a F. anche la paternità di questo sonetto che gli parve "tutta cosa del nostro Angiolieri".
Non si hanno ulteriori notizie riguardanti Fino d'Arezzo.
Fonti e Bibl.: Arezzo, Bibl. consortile, Collez. manoscritti della Fraternita di S. Maria (sec. XVIII), n. 48, p. 92; n. 53, p. 103; n. 56, p. 218; L. Allacci, Poeti antichi raccolti dai codici manoscritti della Bibl. Vaticana e Barberiniana, Napoli 1661, p. 130; G.E. Saltini, Privilegio del Comune di Firenze a Benincasa di Altomena, in Arch. stor. ital., XVI (1872), pp. 209 ss.; G. Lega, Il Canzoniere Vat. Barb. Lat. 3953, in Collez. di opere ined. o rare, Bologna 1906, p. 155; F.S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, Milano 1739, II, p. 166; A. D'Ancona, Studi di critica e storia letteraria, Bologna 1880, p. 104 n.; F. Zambrini, Le opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV indicate e descritte, Bologna, 1884, ad Indicem; L. Biadene, Morfologia del sonetto, in Studi di filol. romanza, IV (1889), p. 169 n. 1; F. Massera, I sonetti di Cecco Angiolieri, Bologna 1906, p. XXI; G. Ferretti, Messer F. di messer Benincasa, in Fanfulla della domenica, 7 apr. 1907; G. Zaccagnini, Cino di Pistoia, studio biografico, Pistoia 1918, p. 35 n. 3; F. Massera, Messer F. d'A., in Fanfulla della domenica, 31 ott. 1919; Id., Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, II, Bari 1920, pp. 92 s.; M. Marti, Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante, Pisa 1953, p. 94; Rimatori comico-realistici del Due e Trecento, a cura di M. Vitale, II, Torino 1956, pp. 78-82; N. Sapegno, Il Trecento, Milano 1973, p. 84; A. Tartaro, Guittone e i rimatori siculo-toscani, in Storia della lett. ital., a cura di E. Cecchi - N. Sapegno, I, Milano 1987, p. 379; G. Petrocchi, I poeti realisti, ibid., pp. 715-731; Id., La Toscana del Duecento, in Letteratura Italiana: Storia e Geografia, I, Torino 1987, p. 217; R. Mercuri, Dante, Petrarca e Boccaccio, ibid., p. 445.