Vedi FIRENZE dell'anno: 1960 - 1973 - 1994
FIRENZE (Florentia)
Colonia romana dedotta circa la metà del I sec. a. C.: secondo le più recenti ipotesi colonia cesariana ripopolata dai triumviri. I resti archeologici, in particolare quelli delle mura, in laterizio, la indicano costruita agli inizi della seconda metà del I sec. a. C. e testimoniano che la zona prescelta era già sede di un piccolo nucleo abitato di epoca non molto più antica, a breve distanza dalla riva N dell'Arno.
La città ebbe pianta rettangolare perfettamente orientata (m 480 × 420 circa) a incrocio degli assi centrali (cardo maximus e decumanus maximus) ai quali correvano paralleli vari cardines e decumani minori, determinando isolati di varia ampiezza (in media di 6o m di lato). Al centro era il Foro, su cui prospettavano il tempio capitolino e varî edifici pubblici.
Alcune zone periferiche entro le mura rimasero originariamente prive di costruzioni; durante il I sec. d. C. la città iniziò una crescente floridezza, testimoniata dall'accrescersi delle aree fabbricate e, dopo aver occupato tutte le zone interne alle mura, si estese oltre queste in tutte le direzioni, ma specialmente verso S, tendendo a raggiungere il fiume. In questo periodo nascono nuovi edifici pubblici, le terme a tergo del Campidoglio, costruite su precedenti abitazioni private, e il teatro, per il quale fu forse abbattuto un tratto delle mura meridionali. Ma la trasformazioni più profonda si ebbe durante il regno di Adriano, in concomitanza con il miglioramento della rete stradale esterna.
Il Foro fu ampliato, oltrepassando il cardo maximus, e pavimentato in marmo, escludendo così al traffico pesante l'attraversamento della città; furono costruiti intorno ad esso nuovi edifici monumentali (dei quali però è ignota la natura); fu ampliato il tempio capitolino e, nell'area prima esterna alle mura, furono costruiti, a S, un edificio termale, appoggiato su precedenti costruzioni, ad E il tempio d'Iside e l'anfiteatro, a O e a N altri edifici conosciuti solo da pochi resti.
Gli scavi e i trovamenti effettuati in zone diverse mostrano che altre trasformazioni ebbe ancora in epoca successiva, e anche dalle scarse notizie storiche possiamo dedurre che la città ebbe vita ed importanza nel III e IV secolo. Capoluogo della Provincia Tuscia et Umbria dell'ordinamento di Diocleziano, appare sede del Corrector Italiae nel 287 e tale era ancora nel 366. A quest'epoca la sua estensione raggiungeva a N l'attuale piazza S. Lorenzo, ove nel 393 venne consacrata da S. Ambrogio la prima basilica cristiana (e ove si sono trovati resti di costruzioni romane) e a S aveva varcato l'Arno, sulla cui riva meridionale, presso il Ponte Vecchio odierno, si trovavano grandi costruzioni e viveva forse una colonia siriaca alla quale potrebbe attribuirsi l'erezione della basilica di S. Felicita, la cui prima costruzione era già in uso agli inizî del V secolo.
In questo periodo incomincia però la sua decadenza, dovuta ad una situazione di carattere generale e alle vicende storiche particolari. Specialmente durante il VI sec. le conseguenze dell'occupazione gota e poi delle guerre goto-bizantine, combattute anche intorno ad essa, produssero un largo spopolamento, e F. si ridusse ad un nucleo fortificato con opere di difesa appoggiate ai principali monumenti romani (tempio, terme, teatro) mentre su quelle periferiche, abbandonate e in rovina, si estendevano vasti sepolcreti. Risulta però infondata la tradizione della sua integrale distruzione e scomparsa. Essa fu del resto, durante il VII e VIII séc., ancora sede di vescovado, e la perfetta conservazione, nella parte corrispondente alla sede della colonia originaria, dell'organizzazione urbanistica romana, mostra che l'antica planimetria non fu mai totalmente cancellata nemmeno nelle zone periferiche, e che la ripresa della città, iniziatasi nel IX sec., avvenne ricalcando il tracciato originario. Il Battistero, ritenuto antico sin dal Brunelleschi e talora identificato come edificio paleocristiano, è stato adesso riconosciuto come costruzione interamente romanica in seguito alla scoperta di tombe longobarde tagliate dalle sue fondamenta.
Bibl.: L. A. Milani, Reliquie di F. antica, in Mem. Acc. Lincei, VI, 1895; G. Maetzke, Florentia, in Municipi e Colonie, Roma 1941; G. Maetzke, Osservazioni sulla topografia di F., in Atti Acc. Lincei. 1947; F. Castagnoli, Ippodamo di Mileto e l'urbanistica a pianta ortogonale, Roma 1956, p. 93; M. Lopes Pegna, L'origine di Firenze, Poggibonsi 1957; Not. Sc., 1889-1959, s. v. Firenze.
(G. Maetzke)
MUSEI. - Gallerie degli Uffizî, Pitti e Giardino di Boboli. - L'unità storica delle collezioni granducali toscane è documentata dalla complementarietà fra le raccolte degli Uffizî, del Palazzo Pitti (dal 1550 Palazzo di Residenza) e del Giardino di Boboli, nonché delle Ville e di altri edifici in uso alla corte (per il Palazzo Medici-Riccardi v. più avanti). Scambi di opere si verificarono in ogni tempo e soprattutto rimasero sempre validi i presupposti di gusto, di cultura e di metodo che presiedettero alla formazione della raccolta e ne accompagnarono il cammino storico attraverso tre secoli. La formazione s'impernia su due poli estremi: il manierismo del Cinquecento, che ha influito sulla scelta del primo e maggiore nucleo, ed il neoclassicismo sette- ed ottocentesco, che ha determinato il maggiore sviluppo quantitativo e suggerito l'organizzazione nella sua forma più vasta e complessa. Costituitasi secondo il criterio rinascimentale collezionistico e decorativo, la raccolta archeologica granducale ha finito col diventare nel Settecento (e rimanere fino alla metà del secolo successivo) per effetto degli indirizzi eruditi e scientifici in sviluppo, uno dei più vasti e complessi musei di antichità d'Europa, fino a quando, con il prevalere di criteri artistici e di specializzazione, essa ha generato, dividendosi, altri grandi musei fiorentini, quello del Bargello ed il Museo Archeologico Nazionale, già Museo Egizio ed Etrusco.
Perdute per intero o quasi le collezioni del periodo signorile di Cosimo il Vecchio e del Magnifico e poi anche quelle riorganizzate dal duca Alessandro, passata gran parte di queste ai Farnese, attraverso l'eredità di Margherita d'Austria, il vero fondatore della collezione che ancor oggi resta è da considerare il duca, poi granduca, Cosimo I (1537-1574) con i figli Francesco (granduca dal 1574 al 1587) e Ferdinando (cardinale, poi granduca dal 1587 al 1609). È questo il periodo dei grandi acquisti e della scelta di opere di pregio più alto, in cui si consideravano sullo stesso piano le sculture provenienti dagli scavi e quelle degli scultori contemporanei o di poco anteriori, Michelangelo, Sansovino, Baccio. Il particolare è interessante perché dimostra un indirizzo largamente ancora umanistico, un senso della continuità tra passato lontano e recente, un inserimento nella tradizione secolare della classicità, che appariva anche nel metodo seguito nei restauri; a far questi si chiamavano anche artisti di grido, come Giambologna e Algardi e questi, come altri assai più modesti (Silla, Caccini), realizzavano il restauro in una maniera che a noi sembra oggi, sì, immetodica, ma che è pur sempre eloquente specchio di un'epoca e di un momento particolare di cultura e di gusto. L'opera d'arte non si concepiva se non nella sua integrità, reale o raggiunta con le integrazioni, ed il fatto di completare con il proprio lavoro un'opera antica era il raggiungimento vero di quell'ideale continuità di cui si è detto. La dottrina degli eruditi concorreva per completare iconografie, attributi e simboli.
La collezione medicea cinquecentesca si sdoppiò molto presto nella gara fra i fratelli Francesco e Ferdinando per ampliarla e perfezionarla: Ferdinando è il fondatore di quella raccolta di Villa Medici a Roma, da cui periodicamente i successori trassero incrementi per la raccolta fiorentina e che in Roma permetteva al governo mediceo ed ai cardinali della famiglia di allinearsi con le maggiori casate romane e con la stessa Curia pontificia. Tornato Ferdinando a Firenze, acquisti per Villa Medici si fecero solo in misura ridotta e gradualmente, attraverso i trasporti - ai quali il governo papale accordava una sostanziale acquiescenza - se ne arricchirono le collezioni fiorentine, specialmente la Galleria degli Uffizî, dove entrò quasi tutta l'eredità personale del card. Leopoldo e dove da Pitti, da Boboli e dalle Ville confluivano più opere di quel che ne uscissero. L'avvento della dinastia lorenese e specialmente il granducato di Pietro Leopoldo segnò la trasformazione in piano organico di questa tendenza. Venuti ad allentarsi anche sul piano politico i rapporti con Roma ed i motivi che imponevano di mantenere al governo toscano una posizione di prestigio presso la Curia, Pietro Leopoldo concentrò in Galleria il meglio della collezione romana, mentre procedeva a nuovi acquisti da collezioni minori fiorentine e faceva confluire in Galleria molte sculture dal Palazzo di Residenza e dalle Ville. Al concetto di collezioni di famiglia - per quanto sempre le raccolte medicee fossero state aperte a studiosi ed artisti - si sostituì quello di collezione pubblica dello Stato, con un regolare sistema di apertura al pubblico; il Patto di Famiglia costituiva il vincolo giuridico, sul piano internazionale, che impedì di allontanare da Firenze opere dalle collezioni e ne mantenne l'integrità, violata solo parzialmente e temporaneamente durante il periodo napoleonico a favore della grande raccolta di stato francese. Già dalla metà del Settecento l'eco dei nuovi indirizzi dell'archeologia si fece sentire a Firenze, sia come riflesso dell'impostazione degli studi sulla storia dell'arte data da J. J. Winckelmann, sia come effetto del concretarsi degli studi sulle antichità etrusche (e poi egizie), proprio in Toscana. L. Lanzi è stato l'assertore principale di questo nuovo indirizzo, mentre l'esempio delle regolari campagne archeologiche promosse nel Napoletano dai Borboni suggeriva l'attuazione di scavi sistematici in Etruria e la Galleria degli Uffizî diventava così il vero e proprio museo centrale dello Stato e si organizzava di conseguenza con criteri moderni. Ormai la Galleria era il vero centro di ogni attività ed iniziativa e le altre sezioni della collezione erano ridotte al livello di mostre a carattere decorativo.
Uffizî. - Nel Palazzo vasariano degli Uffizî, cominciato a costruire nel 156o, B. Buontalenti, sotto il governo di Francesco I, iniziava la disposizione di statue e busti nel Corridoio di Levante, con un criterio di subordinazione all'architettura, valido allora e rimasto poi praticamente immutato. Più tardi la Galleria si estendeva ai nuovi bracci di Mezzogiorno e di Ponente e nuovi ambienti si aggiungevano - primo fra tutti la Tribuna - per accogliere opere di valore particolare, isolarle e permetterne un raccolto godimento. La Galleria ospitò poi, in ordine di tempo, i laboratori degli orafi, degl'incisori e dei lavoranti in pietre dure, raccolte scientifiche e naturalistiche (il nucleo del museo di Arcetri) infine anche etrusche ed egizie, imponendo sempre nuove esigenze di locali, mentre progressivamente si arricchiva quella collezione di dipinti che oggi forma la vera attrattiva, la maggior consistenza e la vera ragion d'essere della collezione, nata come "Galleria delle Statue" e chiamata così per molto tempo.
Nella Galleria statue e busti si sono alternati fin da principio secondo un criterio soptattutto decorativo, ma mentre per le prime si è sempre fatta attenzione soprattutto al pregio ed alla rarità, per i ritratti si è sempre perseguito lo scopo di avere serie iconografiche complete, anche a discapito della qualità, e ciò ha determinato l'entrata di moltissimi falsi, che fra i ritratti sono assai più numerosi che per il resto. Considerando la collezione di Galleria nella sua attuale consistenza, si può rilevare che le sculture in essa contenute non sono un'esemplificazione coerente della scultura antica: a pochissimi esempî del primo classicismo, attraverso copie scadenti (Apollo dell'Omphalòs e Discobolo di Mirone) ed a non molti della classicità del sec. V inoltrato (un'importante statua di Asklepios, due ottime copie, una completa in marmo ed un torso in basalto del Doriforo policleteo, più una seconda copia completa; alcuni rilievi), a non numerose e scarsamente significative repliche di opere del IV (una testa del Dioniso Tauros prassitelico, l'Ares in marmo nero) se si eccettuano due importanti copie del Pothos scopadeo, segue tutta una vastissima documentazione dell'arte ellenistica nei suoi vari aspetti, dalla celebre Venere de' Medici postprassitelica, a prodotti dell'accademismo e dell'eclettismo di età romana. La ragione è data sia dalla maggior congenialità del gusto cinquecentesco con le opere dell'ellenismo e dell'eclettismo, sia del fatto che esse prevalevano fra le opere restituite dagli scavi e che potevano esser presentate sul mercato romano. Il gruppo dei Lottatori, di tradizione lisippea, il noto Cinghiale della stessa tradizione, uno degli esempi più interessanti dell'animalistica antica, la migliore replica del Satiro con il kroupèion del gruppo di Cizico, il Marsia bianco ed il Marsia rosso sono fra i più significativi prodotti dell'arte del primo ellenismo e dell'ellenismo di mezzo. A quest'ultimo periodo appartengono anche il celebre Arrotino, l'unica copia conosciuta della statua dello Scita che faceva gruppo con un Marsia, la testa di gigante ferito detto Alessandro morente e l'Ariadne, uno dei più notevoli lavori della scuola rodia. All'ellenismo di mezzo si ricollega, almeno alle sue origini, il gruppo dei Niobidi, certamente il simplegma di Niobe con la figlia minore (v. niobidi). È questo, nella sua quasi totale integrità, un complesso di cui si conoscono sicuramente le circostanze di ritrovamento ed è uno dei maggiori acquisti della fine del Cinquecento. Due ottime repliche dello Pseudoseneca si allineano con le opere ricordate a configurare la documentazione di un periodo di eccezionale interesse. Per il tardo ellenismo vanno ricordati un ritratto di Crisippo, una copia notevole del gruppo di Pan e Dafni di Heliodoros di Rodi e infine interessanti opere eclettiche come il gruppo di Eracle col centauro, integrato da G. B. Caccini, l'ara con il sacrificio di Ifigenia firmata da Kleomenes ed il Torso Gaddi, un originale dell'estremo ellenismo che si può attribuire ad Apollonios di Nestore. Il filone dell'eclettismo nell'età imperiale continua con una singolare statua di Asklepios e si chiude con la tardissima Musa di Atticianus di Afrodisiade.
L'arte romana, ormai riportati a Roma i rilievi dell'Ara Pacis Augustae, è rimasta documentata soprattutto da una numerosa serie di ritratti, che si scaglionano dalla Repubblica fino al tardo-antico. Il celebre e bellissimo Cicerone, due repliche del cosiddetto Corbulone e un discreto ritratto di Pompeo sono i principali esempî della ritrattistica repubblicana, cui seguono tre ritratti di Augusto, due dei quali di particolare finezza e significato e un gruppo di teste muliebri giulio-claudie, fra cui alcune di particolare interesse. Un ritratto di Vespasiano del tipo realistico, uno di Traiano del tipo più tardo e uno di Adriano, nonostante le rilavorazioni superficiali (i ritratti sono stati quelli intorno a cui in passato si è lavorato con meno scrupoli), sono abbastanza significativi, accanto all'Antinoo, scoperto nel sec. XVIII. Molto bene documentata è la ritrattistica dell'età degli Antonini e dei Severi; se anche le identificazioni tradizionali si sono dimostrate per la maggior parte insostenibili, talune opere, particolarmente teste femminili, sono fra i migliori esempi della ritrattistica privata del periodo, insieme con la cosiddetta Vestale, un ritratto funerario di offerente che su di una figura replicata dalla tradizione ellenistica ha posto una testa di particolare delicatezza e sensibilità espressiva. Il Severo Alessandro è fra i migliori ritratti di questo imperatore ed anche per il periodo tardo severiano non mancano opere di rilevante interesse. Il più tardo ritratto e insieme la più tarda opera della Galleria è il Valente, tradizionalmente denominato Costantino, che è fra le più ragguardevoli opere del genere della tarda antichità.
Oltre alla collezione di sculture la Galleria possiede una notevole collezione di gemme (altre passarono al Museo Archeologico).
Pitti. - Numericamente minore è la serie di sculture esposte nel Palazzo Pitti, strettamente legate al vincolo di subordinazione all'architettura. Le principali sono una statua di Apollo che richiama il tipo del Tevere, due statue di atleti che si riconnettono all'efebo che si unge del tipo di Monaco e l'Asklepios appoggiato, che rappresenta un tipo isolato nell'iconografia del nume. Di rilevante interesse è l'Eracle (tipo Farnese) con testa riproducente i tratti di Commodo e con pseudofirma di Lisippo, statua che nel cortile principale fa da parallelo ad un altro gruppo di derivazione lisippea, l'Eracle ed Anteo. Il pezzo principale è senza dubbio la copia, conservata quasi interamente, del gruppo del Pasquino, basilare per la conoscenza di questa importante creazione di arte pergamena.
Boboli. - Le numerose sculture, fra cui numerose le antiche - per lo più assai restaurate - del Giardino di Boboli sono disposte anche qui con un criterio soprattutto decorativo. Già almeno dal Seicento si provvide spesso a rimuovere dal Giardino gli esemplari che si ritenevano più importanti oppure più compromessi dall'esposizione agli agenti atmosferici. Fra le sculture ragguardevoli sono un torso dell'Aristogitone del gruppo dei Tirannicidi ed un torso del Perseo, entrambi largamente integrati dai restauri, il gruppo, completato correttamente, dello Hermes col piccolo Dioniso, riproducente un originale che precede il gruppo prassitelico di Olimpia, la Demetra di tipo postfidiaco, il grande busto di Asklepios che discende da un originale della fine del V sec. a. C. Per il resto si tratta per lo più di torsi di statue iconiche o di figure (come il Pegaso) e gruppi aventi già di per sé valore decorativo o ai quali questo valore è stato dato attraverso i completamenti.
Bibl.: A. F. Gori, Museum Florentinum, Firenze 1744; G. Bianchi, Ragguaglio delle antichità e rarità che si conservano nella Galleria Mediceo-imperiale di Firenze, Firenze 1759; L. Lanzi, La real Galleria di Firenze accresciuta e riordinata, Firenze 1782; M. Mongez-M. Wicar, Tableaux, statues, bas-reliefs... de la Galérie de Florence, Parigi 1782; F. A. David - F. W. Muhl, Le Musée de Florence, Parigi 1798; G. Bencivenni già Pelli, Saggio istorico sulla real Galleria di Firenze, Firenze 1779; [G. B. Zannoni], Reale Galleria di Firenze, Firenze 1840 e ss.; A. Gotti, Le Gallerie ed i Musei di Firenze, Firenze 1872; H. Dütschke, Antike Bildwerke in Oberitalien, II-III, Lipsia 1875 e 1878; W. Amelung, Führer durch die Antiken in Florenz, Monaco 1897; [F. Rossi], R. Galleria degli Uffizi, elenco sculture, Firenze s. d.; G. A. Mansuelli, Galleria degli Uffizi, le sculture, Roma 1958, pp. 7-14; id., Sculture antiche degli Uffizi, Milano 1958.
(G. A. Mansuelli)
Museo Archeologico. - Il Museo Archeologico di Firenze, istituito nel 1870, staccandolo dalle Gallerie degli Uffizî, escluse le sculture classiche, rimaste quasi ad ornare, segno del gusto di un'epoca celebre, quella eccezionale pinacoteca, porta oggi il nome di Museo Centrale della Civiltà Etrusca, datogli sin dal 1888. La denominazione conserva il suo valore, perché la vecchia giurisdizione territoriale della Soprintendenza alle Antichità fiorentine ha permesso di attingere, dai confini allora più vasti di quelli attuali, materiale di prim'ordine da più parti dell'interno e della costa, incluse la zona laziale, umbra e ligure. Ma il museo è stato anche arricchito con felici acquisti, soprattutto ad opera del Milani, suo grande direttore, dai koùroi, che portano il suo nome, ai frontoni di Luni. Queste raccolte si sono così aggiunte ad antiche e famose scoperte, quali la Chimera e l'Arringatore, ed alle preziose collezioni di numismatica, glittica e delle oreficerie, che ripetono la loro origine da Lorenzo il Magnifico, sempre concepite in funzione illustrativa della civiltà classica. Per fortuna esse sono state largamente incrementate, principalmente con il fondo Würzburg e con i legati di Sir William Currie e, recentemente, di Margherita Nugent.
Gemme greche e romane, alcune con la firma dell'incisore, scarabei etruschi, cammei, monete fuse (aes rude, signatum, grave) e monete coniate dell'antica Etruria, un medagliere, che riguarda la Repubblica Fiorentina, un anello d'oro e diaspro con la sfinge, proveniente dal Mausoleo di Augusto, il piatto d'argento di Artaburio sono, a voler appena citare, fra i cimeli più interesssanti della raccolta, a parte i monili d'oro conservati in parecchie sale di esposizione, e, in avorio, la cista riccamente istoriata di La Pania (Chiusi).
L'Idolino (v.) proveniente da Pesaro ed altre sculture di bronzo classiche costituiscono, accanto ai diversi e numerosi piccoli bronzi, una classe monumentale, che si fonde in una reciproca visione con il particolare aspetto etrusco delle figure e idoli di bronzo: i tyrrhena sigilla.
A questo vantaggio rappresentativo reciproco della scultura etrusca e classica, al quale concorrono complessi di primissimo piano, ad esempio le statue della Pietrera di Vetulonia, i canòpi di Chiusi, la grande coroplastica dei templi di Talamone e maggiormente di Luni, si unisce l'altro della pittura, che nel naufragio generale della produzione antica, si giova dell'esame sugli originali del sarcofago di Tarquinia con amazzonomachia (v.) e degli affreschi staccati delle Tombe Golini di Orvieto. Nasce da qui una simultanea visione dello sviluppo artistico della regione etrusca entro un orizzonte geografico e storico più vasto, documentato dalla ricca presentazione, che va dai buccheri ai vasi attici, fra i quali il cratere François (v.) a figure nere e le idrie nello stile di Meidias.
In particolare la grande sezione archeologica dei più vari oggetti suddivisi secondo la provenienza per popoli, città, territori, che costituisce il Museo Topografico dell'Etruria, sorto nel 1897, rappresenta, con la sua documentazione, una fase capitale nella storia della museografia tenuta strettamente legata al senso archeologico della conservazione e documentazione piuttosto che al criterio di scelta, insito nelle collezioni a base filologica ed artistica. Rientra nel concetto della prova obiettiva l'interesse didattico di esemplificare il più possibile. Esso è insito nella distribuzione all'aperto, in un giardino, di parecchi tipi di tombe etrusche, sia originali e ricostruite, ad esempio la tomba di Casalmarittimo, sia riprodotte al vero, quale quella dei Sette Camini (Golini I) di Orvieto.
Il ciclo antiquario etrusco, iniziatosi con l'abate Lanzi, perseguito da G. B. Zannoni, M. A. Migliarini, M. Gennarelli, si era concluso con G. F. Gamurrini, il quale diresse il Museo Etrusco quando questo, nel 1871, ebbe una propria sede, staccata dagli Uffizi, nel Cenacolo di Foligno in via Faenza, allorché fu possibile fissare, finalmente, la fisionomia scientifica, propria degli scopi archeologici, distinguendola dal carattere del collezionismo contemplativo e sporadico. L. A. Milani, L. Pernier, A. Minto, dal trasporto e dalla sistemazione del vecchio museo nell'attuale sede del Palazzo della Crocetta e del Palazzo degli Innocenti congiunti, all'incremento dovuto ai nuovi scavi, hanno variamente e degnamente favorito le sorti del museo archeologico di Firenze, la sua esposizione rigorosa e lo stato preciso delle informazioni d'archivio.
Infine, più che una sezione speciale, va considerata un vero museo, il secondo d'Italia dopo quello di Torino, la raccolta egiziana. Essa è nota dagli acquisti compiuti sotto i granduchi Ferdinando III e Leopoldo II e si è ampliata in modo illustre per il frutto della prima spedizione scientifica in Egitto diretta dallo Champollion e dal Rosellini (1828-29). Un ulteriore progresso si è avuto grazie alle due missioni di E. Schiaparelli ed alla scoperta di papiri a Tebtynis (1931), in gran parte editi da G. Botti. In questo modo la grande civiltà nilotica, eccetto l'architettura e la statuaria monumentale, è sufficientemente rappresentata nei suoi varî aspetti.
Bibl.: L. A. Milani, Il R. Museo Archeologico di Firenze, 1923, pp. 1-6; sul museo egizio; pp. 7-39: sul museo etrusco, greco, romano; pp. 330-335; varî decreti e note storiche; A. Minto, Il Museo Centrale dell'Etruria e l'Istituto di Studi Etruschi ed Italici in Firenze, in Atti Accademia Fiorentina La Colombaria, Firenze 1950, pp. 3-36; pp. 45-49 (alcuni decreti); id., Il R. Museo Archeologico di Firenze, Roma 1931; L. Guerrini, Le Stoffe copte del Museo Arch. di Firenze, Roma 1957; S. Bosticco, Le stele egiziane (Museo Archeologico di Firenze), I, Roma 1959.
(G. Caputo)
Palazzo Riccardi. - I marmi antichi conservati a Palazzo Riccardi, e attualmente di proprietà della Provincia, provengono dalla vecchia collezione che la famiglia Riccardi, e per primo Romolo Riccardo Riccardi, era riuscito a radunare nel "Casino di Valfonda" prima che Gabriello acquistasse dal Granduca Ferdinando II per 40.000 scudi il bel palazzo di Firenze sulla via Larga, oggi via Cavour, costruito da Michelozzo Michelozzi, su ordine di Cosimo il Vecchio, tra il 1444 e il 1460 circa. Sin da allora per merito di Cosimo e Lorenzo il Magnifico amatori d'arte e mecenati, il palazzo si arricchì di numerose sculture antiche e rinascimentali, poi in gran parte disperse. Quando nel 1659 vi fu il passaggio di proprietà dai Medici ai Riccardi, il palazzo che già aveva subito varie modificazioni esterne e interne fu quasi completamente rinnovato, ma rimase il gusto di ornare con sculture antiche gli appartamenti, l'imponente scalone e il cortile, tanto che Francesco Riccardi intorno al 1715 fece sistemare nel portico del palazzo una parte dei marmi trasferiti a Firenze dall'avita villa suburbana. Le sculture provenivano in gran parte da Roma, le epigrafi dai dintorni di Firenze, specialmente dalla via Cassia. Nel 1814 i Riccardi vendevano il Palazzo al Governo Granducale e nel 1871 divenne proprietà della Provincia di Firenze, che conserva ancora oggi ciò che è rimasto dei "marmi riccardiani". Attualmente la collezione consta di centocinquanta sculture e di novantatrè epigrafi in lingua greca e latina. Tra le sculture maggiormente degne di nota citiamo: un ritratto ideale di Anacreonte, un ritratto di personaggio greco del IV secolo, la testa di una replica del Doriforo di Policleto, la replica della testa della cosiddetta Saffo Albani due ritratti di filosofi greci, una testa di atleta, replica del cosiddetto Diadoùmenos di Petworth, un ritratto dell'imperatore Adriano, un ritratto di Giulio Cesare.
Bibl.: H. Dütschke, Antike Bildwerke in Oberitalien, Lipsia 1874, I, pp. 53-98; P. Arndt-W. Amelung, Photographische Einzelaufnahmen, 300-317; W. Amelung, Führer durch die Antiken in Florenz, Monaco 1897, pp. 147-151; N. Tarchiani, Il Palazzo Medici Riccardi e il Museo Mediceo, Firenze 1930; A. Modi, I "marmi riccardiani", in Università Popolare, Firenze 1959, 3.
Collezioni private. - Palazzo Corsini al Prato. - La collezione, che attualmente ha più di cinquanta sculture e circa duecento epigrafi, ha le sue origini intorno al 1625 quando il senatore Filippo Corsini comperò dalla famiglia Guicciardini alcune statue per duemila fiorini; in seguito ne furono comperate altre per abbellire il giardino.
Bibl.: H. Dütschke, Antike Bildwerke in Oberitalien, Lipsia 1874, I, pp. 99-109; A. Neppi Modona, in P. Arndt-W. Amelung, Photographische Einzelaufnahmen, 318-330; 4075-4095; Rivista d'Arte, 1951-52, 1953.
Palazzo Corsini Lungarno. - La raccolta, di cui si parla per la prima volta nel 1694, comprende oggi circa quaranta sculture e alcuni vasi. Tra le sculture è degna di nota la parte inferiore di una statua, copia dell'Apollo di Skopas.
Bibl.: H. Dütschke, Antike Bildwerke in Oberitalien, Lipsia 1874, I, pp. 110-118; P. Arndt-W. Amelung, Photographische Einzelaufnahmen, 331-339; 4086-4074. Per la statua di Apollo vedi: W. Amelung, in Röm. Mitt., XV, 1900, p. 200; G. E. Rizzo, in Bull. Com., 1932, pp. 65-66.
Palazzo Guicciardini, via Guicciardin. - Comprende attualmente circa trenta sculture ed alcune epigrafi. Tra le sculture vi è una interessante kòre di tipo arcaistico, già ritenuta un originale del VI sec. a. C.
Bibl.: P. Arndt-W. Amelung, Photographische Einzelaufnahmen, 4097-4117; A. Neppi Modona, in Rivista d'Arte, 1951-52, 1956; per la kòre: R. Bianchi Bandinelli, in La Critica d'Arte, VI, 1941, p. 91.
Palazzo Antinori, ora dei Principi Aldobrandini, via dei Serragli. -Secondo una notizia di archivio sappiamo che la collezione venne ordinata nel Palazzo nel 1747.
Attualmente consta di circa duecento pezzi antichi, tra sculture, epigrafi, urne cinerarie.
Bibl.: H. Dütschke, Antike Bildwerke in Oberitalien, Lipsia 1874, I, pp. 149-172; A. Neppi Modona, in P. Arndt-W. Amelung, Photographische Einzelaufnahmen, 4051-4067; Rivista d'Arte, 1953, 1954, 1955, 1956.
Palazzo Peruzzi, Borgo dei Greci. -Le antichità sono state raccolte intorno alla metà del '700 da Bindo Simone Peruzzi nella villa presso Antella; poi trasferite a Firenze.
Attualmente comprende circa trenta sculture ed altrettante tra epigrafi e urne cinerarie.
Bibl.: H. Dütschke, Antike Bildwerke in Oberitalien, Lipsia 1874, I, pp. 134-148.
Palazzo e Villa Rinuccini, via Santo Spirito. -Contengono una raccolta di sculture, rilievi funerarî, sarcofagi, urne cinerarie, iscrizioni.
Bibl.: H. Dütschke, Antike Bildwerke in Oberitalien, Lipsia 1874, I, pp. 119-133.
(T. Coco)