FISCO.
– I principali interventi. Abuso del diritto. Garanzie del contribuente. La frammentarietà della legislazione. Rapporti internazionali. La legge delega del 2014. Bibliografia. Fisco e crisi. Il federalismo fiscale al tempo della crisi. Le imposte patrimoniali. Crisi economico-finanziaria e giustizia tributaria. L’evasione da riscossione. Bibliografia
I principali interventi di Augusto Fantozzi. – Nell’ultimo decennio l’Italia ha affrontato la più grave crisi economica dopo la grande depressione del 1929. Il prodotto interno lordo (PIL) è regredito a quello degli anni Cinquanta, sono stati persi milioni di posti di lavoro, e la disoccupazione, specie quella giovanile si è attestata a livelli elevatissimi. Il ceto medio e la borghesia sono stati fortemente penalizzati mentre si è ampliata la soglia di povertà nella quale sono entrati ampi strati di popolazione. Per converso è aumentato il numero dei ricchi ed è cresciuta la loro consistenza patrimoniale.
Sotto il profilo normativo, la profonda crisi prima finanziaria e poi economica ha determinato immediati riflessi in campo fiscale. In primo luogo il legislatore ha cercato di ovviare alla caduta del gettito con misure di ampliamento della base imponibile, più praticabili sotto il profilo del consenso e della lotta all’evasione rispetto al più diretto aumento delle aliquote, che avrebbe suscitato forti reazioni in un Parlamento rissoso e diviso. Così con la legge finanziaria per il 2005 (l. 30 dic. 2004 nr. 311) è stata ridisegnata la curva delle aliquote dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) con i relativi scaglioni, le deduzioni per oneri di famiglia hanno sostituito le detrazioni per familiari a carico, sono state eliminate le detrazioni per redditi di lavoro dipendente, autonomo e assimilati. Con la legge finanziaria per il 2006 (l. 23 dic. 2005 nr. 266) sono state limitate molte deducibilità dal reddito d’impresa e ridotta l’efficacia della partecipation exemption sulle plusvalenze nonché l’efficacia del consolidato nazionale e mondiale. Con la legge finanziaria 2007 (l. 27 dic. 2006 nr. 296) sono state da un lato ampliate le detrazioni IRPEF, reintrodotte le detrazioni per familiari a carico e ampliati gli oneri detraibili, ma dall’altro con il d.l. 4 luglio 2006 nr. 223, convertito dalla l. 4 ag. 2006 nr. 248, si è ampliata la base imponibile limitando il riporto delle perdite, riducendo la deducibilità degli interessi passivi, l’ammortamento di immobili e terreni e numerose altre ipotesi di componenti negative del reddito d’impresa. Con la legge finanziaria 2008 (l. 24 dic. 2007 nr. 244) è stata ulteriormente ridotta la deducibilità degli interessi passivi e sono state apportate modifiche restrittive alla disciplina della partecipation exemption (PEX) e del consolidato. Con la legge finanziaria 2010 (l. 23 dic. 2009 nr. 191), a fronte dell’inasprirsi della crisi, si è provveduto ad aumentare il numero delle detrazioni e la deducibilità di componenti negativi del reddito d’impresa. Con il d.l. 6 dic. 2011 nr. 201, convertito dalla l. 22 dic. 2011 nr. 2014, nel momento più acuto della crisi finanziaria, si è aumentata la pressione introducendo un contributo di solidarietà per i redditi oltre 300.000 euro, ampliando ulteriormente la base imponibile ai beni concessi in godimento a soci o familiari, si sono introdotte varie forme di imposizione patrimoniale sugli immobili in Italia e all’estero, sulle attività finanziarie in Italia e all’estero, inasprendo l’imposizione locale con l’introduzione dell’imposta municipale unica (IMU) e del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES). A completamento dell’inasprimento della tassazione delle attività finanziarie con la legge di stabilità del 2013 (l. 24 dic. 2012 nr. 218) è stata introdotta, in Italia come in pochi altri Paesi europei, una sorta di Tobin tax.
In secondo luogo, la più accentuata crisi economica interna ha evidenziato il vantaggio competitivo delle imprese esportatrici e comunque dei soggetti che avevano rapporti con l’estero: ciò ha attirato l’attenzione del fisco soprattutto sui rapporti transfrontalieri. Si sono così inasprite le misure dirette a tassare in Italia redditi presuntivamente collocati all’estero: transfer pricing (art. 1, 281° co., l. 27 dic. 2013 nr. 2013 – legge di stabilità 2014); residenza presunta nei casi di partecipazioni di controllo italiane o amministratori residenti (art. 35, 13° co., d.l. 223/2006); trasferimento all’estero della residenza ed exit tax (art. 11, d. legisl. 18 nov. 2005 nr. 247); controlled foreign companies (art. 1, 83° co., l. 244/2007); trust (art. 1, 74° co., l. 2006/296) e in genere tutti i rapporti tra soggetti italiani e soggetti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata (cd. black list, art. 1, 83° co., l. 244/2007).
Abuso del diritto. – A fronte di un evidente progressivo abbandono di pratiche grossolanamente evasive (se si escludono per l’imposta sul valore aggiunto – IVA – le evasioni comunitarie e in particolare le cd. frodi carosello), si è assistito all’espandersi di più raffinate pratiche elusive anziché evasive. Per contrastarle, con l’ausilio determinante della Cassazione e con il ricorso all’esperienza europea, è stata superata la clausola quasi generale prevista dall’art. 37 bis, d.P.R. 29 sett. 1973 nr. 600 (che richiedeva un aggiornamento continuo dell’elencazione e prevedeva un tassativo procedimento di rilevazione basato sul contraddittorio preventivo obbligatorio a pena di nullità) in favore di una generale clausola di contrasto dell’abuso del diritto (v. abuso del diritto), asseritamente immanente nel principio costituzionale di capacità contributiva, che non richiede alcun contraddittorio a che ha dunque consentito all’amministrazione di invocare tale clausola in forma generalizzata praticamente in tutta l’attività di accertamento (la giurisprudenza della Cassazione è ormai univoca: si vedano la sentenza a sezioni unite 26 giugno 2009, nr. 15029, e quelle a sezioni semplici 28 giugno 2012, nr. 10807, 11 maggio 2012, nr. 7393; con ordinanza del 5 nov. 2013, nr. 24739, si è spinta fino a sollevare questione di incostituzionalità per l’art. 37 bis che prevede il contraddittorio là dove l’abuso del diritto di creazione pretoria non lo prevede; da ultimo con la decisione 14 genn. 2015 nr. 406 la generalizzazione dell’obbligo del contraddittorio è stata ricavata dal diritto comunitario).
Garanzie del contribuente. – Accanto a una più aggressiva azione del fisco, come vedremo sul piano sia del diritto sostanziale sia di quello dell’accertamento e della riscossione, le crescenti interconnessioni europee e internazionali hanno accentuato l’attenzione alle garanzie del contribuente e alla semplificazione delle norme tributarie.
Sotto il primo profilo la Cassazione ha generalizzato l’applicazione del principio di buona fede e la necessità del contraddittorio amministrativo (29 luglio 2013 nr. 18184 pronunciata a sezioni unite; nr. 406/2015, cit., a sezione semplice) affermando finalmente la nullità degli atti della amministrazione emessi in violazione di tali principi ancorché la nullità non fosse prevista espressamente dalla norma. Nella stessa linea la giurisprudenza della Corte europea di giustizia. Ciò ha condotto a un più stringente rispetto dei principi dello statuto del contribuente e alla semplificazione, conoscibilità, trasparenza degli atti tributari. I contribuenti italiani hanno così cominciato a considerare la tutela loro offerta dai ricorsi alle corti europee (Corte di giustizia e Corte dei diritti dell’uomo) come prevalente rispetto a quella offerta dai giudici nazionali, spesso offuscata da ragioni politiche o di gettito: sono così aumentati a dismisura i ricorsi.
La frammentarietà della legislazione. – L’utilizzo continuo e assai incisivo della leva fiscale ha accentuato il deterioramento della qualità legislativa: le leggi tributarie sono state sempre più confezionate sotto la pressione e l’urgenza degli eventi, da parte degli uffici amministrativi senza il concorso della dottrina e semmai con il concorso peggiorativo delle istanze parlamentari. Sempre più spesso ai problemi di applicazione della legge si è posto riparo con ulteriori leggi magari interpretative, piuttosto che con un’opera sistematica di interpretazione da parte della giurisprudenza. Tanto meno si è riusciti a varare un’opera di codificazione sempre più pressantemente sollecitata, ma mai intrapresa per la temporaneità e gli affanni dei governi in carica.
Per quanto riguarda il diritto tributario sostanziale, gli interventi principali hanno riguardato: misure di ampliamento della base imponibile che hanno caratterizzato le leggi finanziarie per gli anni 2006 e 2007; l’integrale riordino ai fini dell’imposizione sul reddito, dell’IVA e dell’imposta di registro della fiscalità relativa ai trasferimenti e alle locazioni immobiliari (d.l. 24 genn. 2012 nr. 1, convertito dalla l. 24 marzo 2012 nr. 27, e d.l. 22 giugno 2012 nr. 83, convertito dalla l. 7 ag. 2012 nr. 134) insieme con l’integrale revisione dell’imposizione locale sugli immobili; la modifica delle aliquote IRPEF e degli oneri detraibili realizzata negli anni 2007-08; il generale inasprimento dell’imposizione operato dal governo Monti all’apice della crisi finanziaria con la l. 201/2011 che introdusse: 1) il contributo di solidarietà del 3% sui redditi superiori a 300.000 euro; 2) l’aumento delle addizionali regionali e comunali; 3) l’aiuto alla crescita economica (ACE) e la nuova disciplina dei contribuenti minori e minimi; 4) l’IMU anticipatamente sostituendo l’imposta comunale sugli immobili (ICI), il TARES; 5) una serie di mini imposte patrimoniali sul valore delle attività finanziarie all’estero, sulle attività già oggetto di scudo fiscale, sugli immobili all’estero, nonché l’imposta speciale di bollo sulle attività finanziarie e l’imposta su unità da diporto e aeromobili; la reintroduzione dell’imposta su successioni e donazioni (d.l. 3 ott. 2006 nr. 262, convertito dalla l. 24 nov. 2006 nr. 286); l’introduzione della Tobin tax su trasferimenti onerosi di azioni e di strumenti finanziari (l. 218/2012).
Per quanto riguarda invece il diritto tributario formale (procedimentale e processuale) gli interventi legislativi del periodo consistono principalmente in inasprimenti della disciplina di accertamento e riscossione.
Con riferimento all’accertamento si è proceduto: al raddoppio dei termini per la notifica dell’accertamento in caso di violazione che comporta denuncia penale ex art. 331 c.p. (d.l. 223/2006); alla cosiddetta concentrazione della riscossione nell’accertamento rendendo immediatamente esecutivo l’avviso in pendenza di ricorso (art. 29, d.l. 31 maggio 2010 nr. 78, convertito dalla l. 30 luglio 2010 nr. 122, poi modificato con d.l. 13 maggio 2011 nr. 70, convertito dalla l. 12 luglio 2011 nr. 106); alla revisione dell’accertamento sintetico e del redditometro (d.l. 78/2012); all’ampliamento dei termini e dell’ambito delle verifiche (d.l. 201/2011); alla reintroduzione dell’elenco di clienti e fornitori a fini IVA nonché a numerose restrizioni, tra cui l’uso del contante (d.l. 223/2006).
Dall’altro lato, in presenza di eccessi repressivi che hanno molto colpito l’opinione pubblica (per es., un blitz a Cortina d’Ampezzo nel periodo di fine anno 2011-12) il legislatore ha operato prima con misure riduttive delle sanzioni in caso di acquiescenza all’accertamento, e recentemente (legge di stabilità 2015 - l. 23 dic. 2013 nr. 190) con modifiche ai moduli consensuali precedenti l’accertamento: rettificabilità della dichiarazione e ravvedimento opero so senza limiti di tempo fino alla fase dell’accertamento (di fatto scompaiono il ravvedimento e l’adesione al verbale: legge di stabilità 2015). Gli interventi premiali sulle sanzioni si giustificano con il fatto che esse sono assai elevate e spesso superiori alla stessa imposta: la riduzione di esse in caso di acquiescenza e adesione salva il principio che il tributo è comunque dovuto, ma riduce grandemente l’onere per il contribuente.
Con riferimento alla riscossione, oltre alla già ricordata natura immediatamente esecutiva dell’atto di accertamento, il legislatore è, da un lato, più volte intervenuto per rafforzare gli strumenti di esecuzione e cautelari, ricorrendo anche a misure quali il fermo e l’ipoteca di forte impatto sull’opinione pubblica, e, dall’altro, ha dovuto reagire a taluni eccessi, concedendo rateazioni e dilazioni fino a 100 mensilità, specie a fronte di incontestabili difficoltà di pagamento legate alla crisi.
In definitiva il legislatore si è trovato a dovere contrastare, da un lato, una crescente evasione/elusione e lo ha fatto con più aggressivi poteri di controllo abbinati però a meccanismi premiali sulla definizione delle sanzioni, e dal-l’altro ha dovuto fronteggiare una massiccia deficienza della riscossione e lo ha fatto, per un verso, introducendo l’immediata esecutività dell’avviso di accertamento e, per l’altro, mitigando l’aggressività della riscossione con la riduzione di alcune misure cautelari (fermo, ipoteca) e con la prolungata rateazione delle imposte a ruolo.
Da ultimo, il legislatore ha accentuato la pressione sul recupero del gettito sia nei rapporti internazionali sia in quelli interni. Con la cd. voluntary disclosure (l. 15 dic. 2014 nr. 186) ha agevolato il rientro dei capitali dall’estero entro l’ottobre 2015 a condizione dell’integrale pagamento delle imposte evase e della sostanziale riduzione delle sanzioni per violazione delle norme antiriciclaggio e fiscali. Ha anche consentito alle stesse condizioni la sanatoria per gli imponibili nazionali la cui evasione sia collegata al rientro dei capitali. Per altro verso con la legge di stabilità 2015 (l. 190/2014) ha introdotto un ravvedimento operoso ampliato nei termini e permanente, che consente di sanare praticamente senza limiti eventuali violazioni dichiarative commesse in precedenza. In definitiva, ora il contribuente dispone di numerosi strumenti di definizione dei processi verbali e degli accertamenti, che vanno dall’integrale acquiescenza, all’adesione, alla conciliazione giudiziale, che prevedono tempi diversi e comportano diverse e decrescenti riduzioni delle sanzioni.
Dispone altresì di numerosi strumenti di ravvedimento operoso prima dell’accertamento, strumenti che comportano anch’essi diverse riduzioni delle sanzioni a seconda della tempestività del ravvedimento.
Sul versante del processo, accanto a minori novità di fonte legislativa o giurisprudenziale rese necessarie dalla pratica (allargamento giurisprudenziale delle misure cautelari al secondo grado, disciplina delle notifiche e dei depositi ecc.), è da segnalare la generalizzazione della giurisdizione delle commissioni in materia di tributi operata con la modifica dell’art. 2, d. legisl. 31 dic. 1992 nr. 546 a ope ra dell’art. 12, 2° co., legge finanziaria 2002 (l. 28 dic. 2001 nr. 448). Tale generalizzazione è stata poi precisata dalla Corte costituzionale con i provvedimenti 11 febbr. 2010 nr. 39 e 10 ott. 2008 nr. 335, e dalla Cassazione a sezioni unite 26 luglio 2007 nr. 16428, e 23 genn. 2009 nr. 1667, che hanno definitivamente fissato la nozione di tributo quale prestazione coattiva con funzione di concorso alle spese pubbliche.
Inoltre, a fronte dell’intasamento delle commissioni tributarie (e soprattutto della sezione tributaria della Cassazione) nonostante le numerose misure di deflazione (condoni) adottate in passato, il legislatore ha ritenuto di introdurre una sorta di filtro amministrativo attraverso il reclamo obbligatorio in autotutela (la cui mancanza rende improcedibile il ricorso) per tutte le controversie al di sotto di 20.000 euro. Con la stessa legge (art. 39, 6 luglio 2011 nr. 98, convertito dalla l. 15 luglio 2011 nr. 111) ha introdotto la mediazione che può essere proposta nel processo tributario e valutata sotto i profili anche dell’incertezza della questione controversa, della sostenibilità della pretesa e dell’economicità dell’azione amministrativa. Con questo istituto si può dire che gli strumenti consensuali di definizione del tributo fanno un deciso passo avanti verso la privatizzazione del rapporto tra fisco e contribuente, con buona pace della funzione tributaria e del principio di capacità contributiva. Con la l. 5 maggio 2009 nr. 42 il governo è stato delegato a dare attuazione all’art. 119 della Costituzione e al relativo federalismo fiscale. Sul tema, v. federalismo fiscale.
Rapporti internazionali. – Sul versante dei rapporti internazionali è proseguita la negativa integrazione attraverso le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione Europea che hanno elaborato la distinzione tra non discriminazione e non restrizione.
Violano la prima le norme interne che discriminano a sfavore dei non cittadini/non residenti; violano la seconda le norme interne che limitano l’attività di propri cittadini/residenti rispetto a non cittadini/non residenti che si avvalgono delle libertà del Trattato. Per questa via si è per-venuti a una progressiva integrazione nell’applicazione/ interpretazione delle legislazioni dei Paesi membri dell’Unione Europea (UE) e a tutele più concrete e pregnanti rispetto a quelle offerte dalle legislazioni nazionali. Questo vale sia nell’ambito UE sia nell’ambito dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e dell’Organizzazione per le Nazioni Unite (ONU). La crisi economica ha reso da ultimo i Paesi europei più consapevoli dell’esigenza di una maggiore integrazione politica e fiscale. Tra i numerosi progetti di integrazione, che per la loro numerosità non possono essere qui ricordati e a cui l’Italia partecipa attivamente, si segnala quello per una Common consolidated tax base (CCTB) che mira appunto all’individuazione, su opzione, di una base imponibile consolidata comune per le società europee operanti in diversi Paesi che vedrebbero così semplificati i criteri della loro tassazione. In presenza, poi, di un’imponente evasione/elusione internazionale, l’OCSE ha lanciato anni addietro il progetto Base erosion and profit shifting (BEPS), in relazione al quale il 16 settembre 2014 si è avuta la comunicazione dei primi risultati. Si tratta di una serie di misure che operano sia sulle normative interne sostanziali e di accertamento, sia sull’economia digitale, sia infine sulla rete di convenzioni internazionali e sul modello multilaterale, suggerendo modifiche legislative e comportamentali delle amministrazioni (enhanced relationship) dirette a indurre il contribuente, specie nei rapporti internazionali, a una maggiore correttezza fiscale attraverso misure di prevenzione e di repressione.
La legge delega del 2014. – L’ultimo e forse principale evento da menzionare è costituito dall’emanazione della l. 11 marzo 2014 nr. 23, che delega il governo a introdurre entro un anno disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita. Non si tratta, come è evidente, di una legge di riforma complessiva del sistema né, tantomeno, di un tentativo di codificazione quanto invece di interventi puntuali su settori che richiedono più tempestive misure. Si prevede infatti all’art. 1, 3° co., che almeno uno dei decreti legislativi debba essere deliberato dal Consiglio dei ministri entro 4 mesi dall’entrata in vigore della delega: è da auspicare che gli altri non si perdano per strada come è avvenuto nei casi precedenti. Nell’art. 1, 1° co., sono contenuti i principi generali della delega che richiamano la Costituzione, i principi comunitari, lo statuto del contribuente e la delega in materia di federalismo fiscale e i seguenti criteri direttivi: a) tendenziale uniformità della disciplina riguardante le obbligazioni tributarie, con particolare riferimento ai profili della solidarietà, della sostituzione e della responsabilità; b) coordinamento e semplificazione delle discipline concernenti gli obblighi contabili e dichiarativi dei contribuenti, al fine di agevolare la comunicazione con l’amministrazione finanziaria in un quadro di reciproca e leale collaborazione, anche attraverso la previsione di forme di contraddittorio propedeutiche all’adozione degli atti di accertamento dei tributi; c) coerenza e tendenziale uniformità dei poteri in materia tributaria e delle forme e modalità del loro esercizio, anche attraverso la definizione di una disciplina unitaria della struttura, efficacia e invalidità degli atti dell’amministrazione finanziaria e dei contribuenti, escludendo comunque la possibilità di sanatoria per la carenza di motivazione e di integrazione o di modifica della stessa nel corso del giudizio; d) tendenziale generalizzazione del meccanismo della compensazione tra crediti d’imposta spettanti al contribuente e debiti tributari a suo carico. Nell’art. 2 si disciplina la revisione del catasto fabbricati, rideterminando le rendite catastali a partire dal valore normale, anziché dal costo parametrato ai metri quadri per le destinazioni ordinarie, e ricavato da una stima diretta per le destinazioni speciali, tenendo conto in entrambi i casi della localizzazione e delle caratteristiche del bene. Sulla base del valore patrimoniale così fissato si ricava la rendita catastale media ordinaria. Si ridefiniscono struttura e competenze delle commissioni tributarie e si assicurano la collaborazione tra Agenzia e comuni, unità, coerenza e trasparenza a livello nazionale, invarianza di gettito. Negli artt. 3 e 4 si prevedono sistemi di stima e monitoraggio dell’evasione fiscale anche per fare in modo che i futuri risparmi affluiscano a un fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale. L’art. 5, richiamandosi alla giurisprudenza della Cassazione e alla raccomandazione comunitaria sulla pianificazione fiscale aggressiva, disciplina l’abuso del diritto che include l’elusione, introducendo una nuova definizione, la disciplina dell’onere della prova, l’obbligatorietà della motivazione e del previo contraddittorio. L’art. 6 disciplina le forme della collaborazione rafforzata (enhanced relationship) del tutoraggio e dei loro effetti, nonché unifica i casi di interpello ed elimina l’interpello obbligatorio. L’art. 7 disciplina minori ipotesi di semplificazione. L’art. 8 reca la revisione del sistema sanzionatorio attraverso la fissazione di soglie penali più elevate, la distinzione a fini sanzionatori tra elusione ed evasione, il migliore adeguamento delle sanzioni alla gravità dei fatti. Reca infine la nuova disciplina del raddoppio dei termini per l’accertamento. L’art. 9 disciplina, rafforzandola, l’attività di controllo e la tracciabilità dei pagamenti. L’art. 10 introduce una serie di minori modifiche al contenzioso e alla riscossione, ispirate alla semplificazione e all’efficienza. L’art. 11 introduce una nuova imposta sui redditi di impresa (IRI) che sostituisce l’IRPEF e l’imposta sul reddito delle società (IRES). L’aliquota è il 27,5% e i redditi prelevati dall’imprenditore dall’impresa sono sottratti a tale prelievo e colpiti in capo all’imprenditore o al socio con aliquota progressiva. La norma ha la funzione di equiparare il carico fiscale dell’impresa quale che sia la forma giuridica in cui è esercitata. Prevede inoltre regimi forfettari semplificati per i contribuenti minimi e definisce la nozione di «autonoma organizzazione ai fini IRAP». L’art. 12 disciplina in modo restrittivo i rapporti internazionali e in specie transfrontalieri, rivede la deducibilità di interessi passivi, ammortamenti e spese generali, presumibilmente in modo ulteriormente restrittivo, allinea il trattamento delle plusvalenze da trasferimento d’azienda con quelle da conferimento. L’art. 13 detta poche disposizioni in tema di IVA, rese necessarie da esigenze di integrazione europea. Infine l’art. 14 detta una complicata disciplina di riordino del sistema dei giochi, mantenendo il regime della concessione e, sembra, l’invarianza di gettito, ma tutelando al tempo stesso l’ordine pubblico, la salute, le esigenze del federalismo e quelle della lotta al riciclaggio e alle altre attività criminose. Un intervento così ampio dedicato ai giochi, comparabile solo con quello sul catasto, si giustifica con l’attenzione recente dell’opinione pubblica alle cd. ludopatie, il cui fenomeno è stato accentuato dalla crisi economica.
Bibliografia: F. Gallo, Le ragioni del fisco, Bolgna 2007; L. Del Federico, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano 2010; Statuto dei diritti del contribuente, a cura di A. Fantozzi, A. Fedele, Milano 2010; F. Gallo, L’uguaglianza tributaria, Napoli 2012; Diritto tributario e Corte costituzionale, a cura di L. Perrone, C. Berliri, Napoli 2012; A. Marcheselli, Il giusto procedimento tributario. Principi e disciplina, Padova 2013; A. Giovannini, Il diritto tributario per principi, Milano 2014; D. Stevanato, La giustificazione sociale dell’imposta. Tributi e determinabilità della ricchezza tra diritto e politica, Bologna 2014; L’evoluzione del sistema fiscale e il principio di capacità contributiva, a cura di L. Salvini, G. Melis, Padova 2014.
Fisco e crisi di Giuseppe Marini. – È di sicura evidenza che la struttura e i caratteri di un sistema fiscale, intesa l’espressione quale sinonimo di sistema tributario nel significato che ha assunto nel linguaggio politico e mediatico, risultano condizionati strettamente dall’ambiente economico in cui esso opera e dalla situazione finanziaria generale. Per questo si procederà a una disamina degli interventi operati nella materia fiscale in occasione della crisi economico-finanziaria iniziata sul finire del primo decennio del nuovo secolo.
Il federalismo fiscale al tempo della crisi. – La realizzazione, pur se incompleta, del federalismo fiscale (v. federalismo fiscale), specie a seguito del completamento del quadro normativo costituito dai decreti delegati emanati fra il 2010 e il 2011 in attuazione della l. delega 42/2009, avrebbe dovuto rappresentare la novità di maggior rilievo in grado di assicurare un più efficiente governo territoriale delle funzioni pubbliche e una più trasparente e responsabile gestione delle risorse collettive, anche nella prospettiva del risanamento dei conti pubblici. In breve può ricordarsi come alla legge quadro sul federalismo fiscale venne affidato, tra l’altro, il compito di assicurare il coordinamento delle diverse potestà tributarie dello Stato, delle regioni e degli enti locali, assumendo come direttiva l’unicità del contribuente e la rigidità dei limiti della capacità contributiva. Nel modello di cui alla l. delega in materia di federalismo fiscale, l’esigenza di un coordinamento fra i diversi livelli di governo nell’esercizio della potestà impositiva ha trovato, dunque, espressione in un principio di invarianza della pressione fiscale complessiva a carico del contribuente, a voler sottolineare che la transizione al federalismo non doveva risolversi in aggravi impositivi per la collettività. Tuttavia, come sottolineato dalla Corte dei conti nel Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica, «la realtà si è rivelata diversa: non solo non si trovano tracce di compensazione fra fisco centrale e fisco locale, ma anzi, di pari passo con l’attuazione del federalismo nel suo interagire con la crisi dell’economia, si è registrata una significativa accelerazione sia delle entrate di competenza degli enti territoriali, sia di quelle delle Amministrazioni centrali», con conseguente aumento della pressione fiscale complessiva a causa di una sorta di effetto combinato. In altri termini, lo Stato centrale taglia i trasferimenti ma lascia invariato il prelievo di sua competenza; gli enti territoriali, per sopperire ai tagli dei trasferimenti, aumentano le aliquote dei propri tributi. Sul processo riformatore ha dunque inciso l’insorgere della crisi e il sovrapporsi delle misure assunte per garantire il contributo delle amministrazioni decentrate agli obiettivi di finanza pubblica (in tal senso, cfr. Corte dei conti, Relazione del presidente Raffaele Squitieri nella cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2015). Ne costituisce caso esemplare la vicenda della fiscalità comunale, e, in particolare, gli altalenanti mutamenti che si sono succeduti in materia di tassazione degli immobili.
Per altro verso, anche a fronte di una rilevante crescita quantitativa del prelievo locale, il processo federalista non sembra aver condotto a risultati significativi sul piano dell’autonomia impositiva territoriale. Il quadro di principi delineato dalla delega e i suoi sviluppi attuativi o comunque successivi risultano, in certo senso, confermare la fisionomia della fiscalità locale come sistema nel complesso ‘derivato’. Da un lato, il sistema delle compartecipazioni (IVA), «risolvendosi nella mera devoluzione di quote del gettito di tributi erariali, non accorda agli enti decentrati margini di manovrabilità e, per contro, aumenta la dipendenza delle entrate locali dagli interventi centrali sui tributi statali compartecipati» (cfr. Corte dei conti, Audizione presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale); dall’altro, sul piano dei tributi propri, oltre al limite naturale della riserva in materia di prestazioni imposte (art. 23 Cost.), in alcuni casi pare doversi registrare un passo indietro rispetto alle prospettive (e aspettative) della riforma.
Le imposte patrimoniali. – La crisi economica e l’assunzione di misure straordinarie per la stabilità finanziaria dei Paesi dell’area europea hanno poi accresciuto l’attenzione verso l’introduzione o il rafforzamento di forme di imposizione patrimoniale, variamente declinate, tra gli strumenti necessari per conseguire il riequilibrio dei conti pubblici, nel tentativo di sollevare da un eccesso di prelievo quei fattori produttivi (lavoro e impresa) più esposti alla crisi e maggiormente suscettibili di guidarne il superamento.
Lo spostamento del baricentro impositivo è passato, in particolare, attraverso la definizione di un sistema di imposte patrimoniali speciali, gravanti su singole categorie di cespiti. A ragione, si è parlato di una ‘patrimoniale frazionata’, risultante dal combinato disposto di una serie di interventi parziali che, in luogo del complesso di beni riferibili a un soggetto, hanno come comune denominatore e tratto caratterizzante la configurazione del prelievo di essere ordinati in funzione della tassazione di una entità o componente patrimoniale. In questo sistema, l’imposizione sugli immobili è sicuramente centrale sebbene non più esclusiva. Il ruolo di principale imposta patrimoniale e, allo stesso tempo, di principale strumento di finanza locale è, infatti, riservato all’IMU, introdotta, in via sperimentale, dal d.l. 6 dic. 2011 nr. 201 (cd. Salva Italia), convertito dalla l. 22 dic. 2011 nr. 214, anticipando l’operatività, dal 2014 al 2012, dell’imposta municipale propria disciplinata dalle disposizioni attuative della delega sul federalismo fiscale. Il nuovo tributo – che, nella formulazione originaria, correggeva un’anomalia nel quadro dell’imposizione locale, estendendo il prelievo alla prima casa (seppure con aliquota agevolata e contemperata da una detrazione) – conserva la natura ambigua della vecchia imposta comunale sugli immobili (ICI). Una caratterizzazione dell’imposta in senso più marcatamente patrimoniale, insieme con una corrispondente compressione dell’autonomia impositiva territoriale, derivava, nella prima configurazione bicefala della fattispecie, in relazione alla quota erariale sugli immobili diversi dalle prime case riservata allo Stato, in cui evidentemente sbiadisce il collegamento del presupposto al beneficio connesso ai servizi comunali. A definire il siste ma della nuova imposizione patrimoniale concorrono ulteriori interventi, che ampliano lo spettro dei diritti incisi: la modifica ‘a scaglioni’ dell’imposta di bollo, originariamente introdotta sui soli conti bancari ora estesa a fattispecie in precedenza escluse; l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero da persone fisiche residenti in Italia; la tassazione di alcune manifestazioni di ricchezza, quali i veicoli di grossa cilindrata, gli aerei e le imbarcazioni da diporto di maggiori dimensioni. In linea generale, si tratta di interventi sicuramente episodici, nel senso della loro specialità, sparsi in un materiale normativo complesso, inevitabilmente confuso, per l’affanno con il quale si rincorrono i provvedimenti adottati per fronteggiare le urgenti condizioni di instabilità; per questo scarsamente visibili e forse volutamente tali, nel tentativo di sottrarsi a un dibattito pubblico sul tributo patrimoniale fortemente caratterizzato in senso politico-ideologico. Questa opacità non ha, peraltro, impedito agli osservatori più attenti di cogliere l’impatto che queste nuove e speciali fattispecie di tassazione patrimoniale, così come la rimodulazione di quelle esistenti, esercitano sulla complessiva struttura dell’imposizione tributaria, assumendo rilevanza per una più equilibrata distribuzione del carico fiscale tra le diverse aree impositive.
Crisi economico-finanziaria e giustizia tributaria. – La congiuntura economica negativa e la situazione di gravissima instabilità finanziaria hanno costituito (e costituiscono) un campo di prova difficilissimo per l’operatività e la stessa tenuta di principi fondamentali dell’ordinamento tributario, rispetto ai quali, contemperando tra esigenze di bilancio e diritti dei contribuenti, la Corte costituzionale ha saputo garantire una sapiente funzione di presidio. Ne sono esempio i giudizi di costituzionalità su alcune misure di decurtazione nei confronti di determinate categorie di cittadini-contribuenti, recate dalle manovre urgenti per la stabilizzazione finanziaria del 2010-11, che, sotto la denominazione formale di riduzione delle retribuzioni, contenimento delle spese e interventi di solidarietà, variamente articolati, rivestivano, in realtà, carattere tributario, trattandosi di prestazioni patrimoniali imposte, «realizzat[e] attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio e destinat[e] a reperire risorse per finanziare le pubbliche spese» (in tal senso, ex multis, Corte costituzionale sentenza 18 luglio 2014 nr. 219). In quelle occasioni (tra le altre, sentenze 11 ott. 2012 nr. 223 e 5 giugno 2013 nr.116) la Corte, nel solco della sua precedente giurisprudenza, ha ribadito che l’utilizzo da parte del legislatore fiscale di strumenti eccezionali e differenziati può sì risultare giustificato da situazioni di particolare difficoltà per la vita economico-finanziaria del Paese, ma non può risolversi, neppure per necessità di cassa, in interventi impositivi irragionevoli e discriminatori, in violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione. Ai sensi dell’art. 53 Cost., infatti, «la capacità contributiva è il presupposto e il limite del potere impositivo dello Stato e [al tempo stesso] del dovere del contribuente di concorrere alle spese pubbliche, dovendosi interpretare detto principio come specificazione del più ampio principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.» (sentenze 2 febbr. 2015 nr. 10; 20 giugno 2002 nr. 258; 24 luglio 2000 nr. 341; 13 dic. 1963 nr. 155). La Corte ha, peraltro, ribadito che «la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali», ma piuttosto essa esige «un indefettibile raccordo con la capacità contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)» (sentenza 341/2000, ripresa sul punto dalla sentenza 223/2012). Pertanto, secondo gli orientamenti costantemente seguiti dalla Corte, «non ogni modulazione del sistema impositivo per settori produttivi costituisce violazione del principio di capacità contributiva e del principio di eguaglianza» (sentenza 10/2015). Numerosi sono stati infatti i casi di temporaneo inasprimento dell’imposizione – applicabili a determinati settori produttivi o a determinate tipologie di redditi e cespiti – ritenuti non illegittimi proprio in forza della loro limitata durata, né mancano casi in cui la differenziazione tributaria per settori economici o per tipologie di reddito ha assunto carattere strutturale, superando, ciò nondimeno, il vaglio di costituzionalità. Tuttavia, ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione.
Richiamandosi a questa elaborazione, la Corte (sentenza 10/2015) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dei principi di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione, della cd. Robin Hood tax, consistente in un prelievo aggiuntivo, qualificato «addizionale», ma in realtà consistente in una maggiorazione dell’imposta sul reddito delle società (IRES), applicata alle imprese operanti nel settore degli idrocarburi, in relazione al conseguimento di ricavi superiori a un certo ammontare nel periodo di imposta precedente, con il divieto per i soggetti passivi di traslare l’addizionale sui prezzi al consumo. L’inasprimento del carico fiscale per le società del settore energetico, pur motivato dalla grave crisi economica deflagrata proprio in quel periodo e dalla finalità di superarne le contrapposte spinte, costituite dall’insostenibilità dei prezzi per gli utenti e dall’eccezionale redditività dell’attività economica per gli operatori del petrolio, non ha superato, in concreto, per la struttura e le modalità del suo funzionamento, il controllo di costituzionalità, risultando, con riferimento ai parametri della ragionevolezza e della proporzionalità, l’incongruità della misura introdotta rispetto alla finalità, in sé legittima, perseguita; e ciò in quanto il prelievo è configurato come una maggiorazione di aliquota che si applica all’intero reddito di impresa, difettano strumenti volti ad accertare il protrarsi della crisi economica che ne giustifica l’applicazione, nonché in quanto è impossibile «prevedere meccanismi di accertamento idonei a garantire che gli oneri derivanti dall’incremento di imposta non si traducano in aumenti del prezzo al consumo». Accanto agli accennati profili, l’aspetto forse più rilevante della pronuncia è costituito dalla rimozione solo pro futuro della disposizione costituzionalmente illegittima, in ragione della necessità di salvaguardare diritti di rango costituzionale, parimenti rilevanti. In particolare, la scelta si rende necessaria per evitare uno squilibrio del bilancio dello Stato, di dimensioni tali «da implicare il ricorso a una manovra finanziaria aggiuntiva». Questa soluzione apre la strada a un atteggiamento meno indulgente della Corte verso scelte legislative criticabili sul piano costituzionale.
L’evasione da riscossione. – Come è noto, negli ultimi anni è stato «impresso un tono fortemente restrittivo alla condotta di finanza pubblica, nel tentativo di contenere l’espansione di disavanzo e debito» (cfr. Corte dei conti, Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica). D’altra parte, proprio l’esigenza di contenere la spesa ha determinato un patologico accumulo dei debiti delle amministrazioni verso le imprese fornitrici di lavori e servizi, che non ricevono oppure ricevono con inaccettabile ritardo quanto loro dovuto e in più si trovano di fronte a un blocco dei pagamenti quando hanno pendenze tributarie. Questa situazione di criticità è, infine, aggravata da una generale contrazione del mercato del credito che incide in misura più marcata sulle piccole e medie imprese.
Sul lato tributario, si fa un gran parlare dell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale, assunta, forse con eccessiva enfasi salvifica, come elemento centrale della stessa azione di risanamento della finanza pubblica. Se si guarda però ai risultati finanziari, pur apprezzabili, di questa attività, emerge un dato tutt’altro che confortante. In proposito, la Corte dei conti ha di recente evidenziato che sui risultati della lotta all’evasione, più che l’efficacia e la speditezza delle procedure degli uffici fiscali, hanno inciso gli stessi «comportamenti dei contribuenti, che per effetto della persistente crisi economica con crescente intensità sembrano aver fatto ricorso a un’impropria forma di finanziamento attraverso il mancato versamento di ritenute, di IVA e di contributi dichiarati (la cd. evasione da riscossione)» (Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica). Comportamenti, tuttavia, in molti casi necessitati, che, proprio per questo non sembrano assumere quella netta coloritura di disvalore che giustifica il ricorso, quale extrema ratio, alla sanzione penale. Con il rischio, aggiungo, che proprio l’intervento penale rimanga privo di qualsivoglia ipotetica funzione dissuasiva o, come meglio si dice, di prevenzione generale e speciale.
Per chiudere il cerchio, l’esigenza di assicurare un immediato sostegno finanziario al sistema delle imprese, e, soprattutto, quella di sanare, almeno parzialmente, lo stock di debito delle amministrazioni pubbliche verso i propri fornitori privati, hanno imposto di ricorrere a misure di intervento urgenti e di rilevanti dimensioni, come quelle previste dal d.l. 8 apr. 2013 nr. 35, convertito dalla l. 6 giugno 2013 nr. 64. Detto altrimenti, ci si avvede che anche il ritardo nelle regolazioni contrattuali costituisce un’impropria forma di finanziamento, questa volta del settore pubblico verso quello privato, e si interviene con un provvedimento che assume i tratti, mutatis mutandis, di un vero e proprio condono. Di tutto questo, in verità, è sembrata avvertita una ormai significativa giurisprudenza territoriale, che definirei per certi versi riformatrice, chiamata, con crescente frequenza, a occuparsi, in tema di omesso versamento delle ritenute e dell’IVA, della vicenda di imprenditori costretti a delinquere da una condizione di grave illiquidità, spesso determinata dai ritardi con cui lo Stato onora i propri pagamenti. Una giurisprudenza che, immergendosi nel reale (di una situazione di gravità economica e severità finanziaria) – si è mostrata sensibile a istanze di moderazione del rigore delle astratte previsioni normative. Alcuni recenti approdi hanno infatti portato al centro dell’attenzione, non solo specialistica, il tema, non nuovo, della mancanza di liquidità in relazione alla fattispecie penal-tributaria di omissione di versamento. L’approccio della giurisprudenza sulla questione è sembrato in passato monolitico. La Cassazione, nella sua consolidata giurisprudenza, negava che la crisi di liquidità (perfino in caso di fallimento) assume rilievo al fine di escludere la configurabilità delle varie fattispecie che puniscono l’omissione di versamenti imposti a fini fiscali o previdenziali. Nella giurisprudenza di merito e in alcune sentenze della Cassazione comincia, tuttavia, ad avvertirsi una diversa sensibilità incline a riconoscere alla «mancanza assoluta di mezzi economici» o comunque alla «crisi acuta di liquidità dell’impresa» incidenza sull’integrazione della fattispecie incriminatrice, nel senso, cioè, di escludere la responsabilità penale per difetto dell’elemento psicologico tipico del reato. Queste riflessioni potrebbero sollecitare, de iure condendo, l’avvio di un percorso – già delineato dalla delega fiscale – di rimeditazione del sistema penal-tributario, che valorizzi (come scritto nei principi di delega), «secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti [...] la configurazione del reato tributario per comportamenti» effettivamente fraudolenti e simulatori, come tali obiettivamente e soggettivamente lesivi dell’interesse fiscale e generale tutelato. Quanto all’elusione, la vicenda dell’abuso del diritto (v. abuso del diritto) – dalla sua epifania, nelle timide forme di un principio tendenziale, alla progressiva affermazione nella realtà applicativa e nella riflessione teorica, fino a quella che, negli sviluppi più recenti della legislazione, sembra profilarsi come una definitiva consacrazione normativa – rileva come esemplare del ruolo e dell’influenza esercitati da una giurisprudenza – ormai consapevolmente valutativa – nell’interpretazione, applicazione e trasformazione delle norme e degli istituti giuridici che hanno comportato un intervento del legislatore destinato a rivestire le intuizioni del giudice di un abito normativo. In questi termini, pare in effetti compiersi il percorso segnato nel nostro ordinamento tributario dal divieto di abuso del diritto, come principio generale antielusivo, che dall’affermazione pretoria (a opera della Corte di giustizia e della nostra Cassazione) giunge, a seguito della delega per la riforma del sistema fiscale (l. 11 marzo 2014 nr. 23), alla sua positiva codificazione.
Bibliografia: A. Giovanardi, L’attuazione del federalismo fiscale: profili tributari, G. Marini, Le “nuove” imposte patrimoniali, G. Marini, L’evasione da riscossione nei reati tributari, in Il libro dell’anno del diritto 2012, 2013, 2014, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2012-2014, rispett. pp. 540-47, 453-56, 425-28; N. Lettieri, G. Marini, G. Merone, L’abuso del diritto nel dialogo tra corti nazionali ed internazionali, a cura di G. Merone, Napoli 2014.
Si veda inoltre: R. Dickmann, La Corte costituzionale torna a derogare al principio di retroattività delle proprie pronunce di accoglimento per evitare “effetti ancor più incompatibili con la Costituzione”, «Federalismi.it», 2015, http://federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=28880&dpath=document&dfile=24022015111855.pdf&content=La+Corte+costituzionale+torna+a+derogare+al+principio+di+retroattività+-+stato+-+dottrina+-+ (4 luglio 2015).