FISIOCRATICI
Il sistema fisiocratico, che dal maggiore fra i suoi rappresentanti, Francesco Quesnay, era stato designato dapprima col nome di sistema agricolo o di dottrina dei filosofi economisti, ebbe solo più tardi, dal suo discepolo Dupont de Nemours, il nome di fisiocrazia. Questa successione di nomi rispecchia, in forma significativa, la derivazione graduale del sistema da due diverse correnti d'idee, che finiscono poi per confondersi nel determinarne i lineamenti più caratteristici. In un primo tempo il sistema si presenta soprattutto come una difesa della funzione economica dell'agricoltura e degl'interessi della proprietà rurale, e perciò come una reazione contro la dottrina e la pratica mercantilistiche e contro la sopravalutazione che queste avevano fatto dell'industria e del commercio esterno quali massimi produttori di ricchezza, sacrificando ad essi i produttori di derrate alimentari e di materie prime. Solo più tardi questo sistema di economia agraria si amplia fino ad assumere il carattere di una dottrina sociale.
Nell'uno e nell'altro dei suoi aspetti il sistema non esce bello e formato dalla mente del Quesnay, ma rappresenta il risultato di un lento lavoro di preparazione. Da un lato infatti la reazione fisiocratica contro il mercantilismo e la concezione di un'economia fondata principalmente sull'agricoltura trovano il loro precedente più vicino, per non parlare dei più lontani, nell'opposizione manifestatasi contro il colbertismo nel tempo dello stesso Colbert, di cui il massimo rappresentante è stato il Boisguillebert (1646-1721). Precursore immediato del Quesnay in questo indirizzo può invece considerarsi il marchese Vittorio di Mirabeau (1715-1789), diventato poi uno dei suoi discepoli più devoti e ferventi, il quale nel suo volume L'ami des hommes ou traité de la population, pubblicato nel 1756, aveva propugnato gl'interessi dell'agricoltura e la libertà del commercio dei prodotti agricoli. Ma accanto a quelli del Mirabeau, Gli scritti che rivendicano i diritti della proprietà agraria a una maggiore considerazione, o che invocano una politica annonaria meno vessatoria per gli agricoltori, si vanno facendo sempre più numerosi in questo periodo in cui - sull'esempio dell'Olanda e dell'Inghilterra - si manifesta in tutta l'Europa occidentale un vero capovolgimento nella gerarchia dei valori economici e l'agricoltura sale dappertutto al primo posto.
Nello stesso tempo anche nel ceto mercantile e industriale si fa strada la reazione contro l'eccesso della regolamentazione e dell'intervento dello stato; e di questa reazione uno dei più autorevoli rappresentanti è, in Francia, Jean-Claude-Vincent de Gournay (1712-1759), che era stato dapprima grande commerciante e poi intendente di commercio, e che per le idee espresse, non tanto in opere dottrinarie destinate alla pubblicità, quanto in memorie e rapporti scritti per ragioni d'ufficio, è stato spesso classificato tra i fisiocratici e anzi considerato, col Quesnay, uno dei fondatori del sistema. In realtà il De Gournay non è che un rappresentante di quella corrente liberale, che all'estero, specialmente in Olanda e in Inghilterra, si era manifestata nelle file dei mercantilisti, tanto da indurre qualche storico delle dottrine economiche a parlare di una scuola di mercantilisti-liberali. In un certo senso però egli può considerarsi come il più immediato ed efficace precursore del Quesnay, per la parte che si riferisce alla necessità d'una maggiore libertà economica, che il Quesnay invocherà nell'interesse della produzione agraria, mentre il De Gournay è mosso a chiederla soprattutto dall'esperienza degli ostacoli che il commercio e l'industria incontravano a ogni passo. In questo senso il De Gournay prepara la strada ai fisiocratici, perché egli, sebbene non sia ancora giunto a ripudiare la teoria della bilancia commerciale, si schiera decisamente contro i regolamenti industriali, contro le corporazioni artigiane, contro i monopolî e in generale contro l'intervento statale, propugnando l'illimitata libertà di concorrenza all'interno, e limitandosi, per ciò che si riferisce al commercio esterno, a chiedere un'unica e moderata tariffa protettiva ai confini dello stato.
Per ciò che si riferisce invece alla più ampia e complessa dottrina sociale dei fisiocratici, fondata sul concetto di un ordine naturale, preesistente e sovrastante agli ordinamenti positivi, essa si può far risalire a un'epoca anche più remota, potendosene cercare la fonte già nel Cinquecento nei filosofi e giuristi del diritto naturale, e più vicino soprattutto nella filosofia del Locke, che esercitò tanta influenza su tutto il pensiero francese del Settecento.
Ma se è dunque indubitato che il sistema fisiocratico non è un complesso d'idee del tutto nuove, creato dal pensiero originale e geniale di un solo uomo o di un piccolo gruppo di uomini, è certo tuttavia che tutta la teoria economica dei fisiocratici ebbe la sua completa sistemazione per opera di François Quesnay (1694-1774) e che essa fu completata, sviluppata e resa più accessibile da un ristretto numero di discepoli e continuatori, di cui i principali sono V. Mirabeau (1715-1789), Mercier de la Rivière (1720-1794), G.-F. Le Trosne (1728-1780), N. Baudeau (1730-1793), Dupont de Nemours (1739-1817), i quali costituiscono quella che si potrebbe chiamare la scuola fisiocratica ortodossa; mentre il Turgot, seguito da pochi altri, si deve considerare come un fisiocratico indipendente, che per molti lati si riaccosta più al De Gournay e ad Adamo Smith che al Quesnay (v. gournay, jean-Claude-vincent de; mercier de la rivière; mirabeau, victor; quesnay, françois; turgot, anne-robert-jacques).
Il punto centrale della dottrina economica del Quesnav, su cui si fonda la dimostrazione della superiorità dell'agricoltura, è costituito dalla teoria del prodotto netto, concepito come quella parte del prodotto che resta disponibile dopo che si è interamente provveduto alle spese di produzione. Nell'industria non esiste prodotto netto, dato che il suo prodotto è esattamente uguale alla somma delle materie prime adoperate più il costo della mano d'opera necessaria per la loro trasformazione (in questo senso limitato si può vedere vagamente adombrata dai fisiocratici la dottrina marxista del plus-valore). Tanto meno si può avere un prodotto netto nel commercio, dato che negli scambî il guadagno di un contraente è controbilanciato da una uguale perdita dell'altro. Soltanto l'agricoltura può dare un prodotto netto, perché in essa la produttività del lavoro umano è moltiplicata dall'opera della natura. Di qui la distinzione fra classe produttiva e classi sterili: produttiva è soltanto la classe degli agricoltori, perché soltanto essi forniscono le materie che vengono trasformate dall'industria o scambiate dal commercio e i viveri che servono al sostentamento degli operai e degli addetti ai trasporti e agli scambî. Poiché dunque tutte le classi fioriscono per vivere del prodotto netto fornito dall'agricoltura, ne deriva che tutto l'ordinamento economico dev'essere indirizzato alla prosperità di questa. Si deve perciò mirare all'aumento dei consumi per assicurare un più largo smercio e un prezzo migliore ai prodotti dell'agricoltura, e in questo senso anche l'industria è considerata dai fisiocratici come un'attività utile, in quanto essa aumenta la richiesta dei prodotti agricoli. Ma il mezzo migliore per assicurare a questi un "buon prezzo" è la libertà: "senza la libertà", conclude il Mercier, parafrasando con maggiore chiarezza ed efficacia le parole del Quesnay "non vi può essere né buon prezzo, né abbondanza; perciò senza la libertà non v'è né prodotto netto, né ricchezza". Si rivendica perciò la piena libertà di coltivazione e di vendita all'interno e all'estero dei prodotti agricoli, e si combatte come rovinosa la politica che mira ad abbassare il prezzo dei prodotti del suolo per favorire la produzione e l'esportazione dei manufatti. Per la stessa ragione si considera come una semplice illusione quella della bilancia commerciale favorevole, perché più che al denaro importato bisogna guardare all'utilità che la nazione può ritrarre dalle merci che si vendono all'estero o da quelle che vi si acquistano. Anzi, per reazione contro la teoria mercantilistica della bilancia commerciale, i fisiocratici arrivano a dare al commercio interno un'importanza maggiore che al commercio esterno.
In tutto e per tutto la dottrina fisiocratica si presenta come l'opposto delle teorie mercantiliste: da un lato industrialismo e regolamentazione, dall'altro preferenza assoluta per l'agricoltura e libertà: non per la libertà in sé e per sé, ma in quanto essa è un mezzo per favorire lo sviluppo dell'agricoltura. Che questo sia il solo criterio ispiratore della concezione liberale del Quesnay risulta in modo evidente dalla sua teoria dell'interesse del denaro, dov'egli, riprendendo la giustificazione medievale del lucro cessante, riconosce come legittimo l'interesse corrispondente alla rendita del terreno che si potrebbe acquistare con la somma mutuata. La legge positiva dovrebbe proibire ogni tasso d'interesse superiore a questo limite fissato dalla "legge naturale" e poiché la rendita della terra può variare da periodo a periodo, il tasso legale dell'interesse dovrebbe essere fissato di 10 in 10 anni. Di fronte all'ideale agrario quello della libertà passa senz'altro in seconda linea. Il sistema fisiocratico si dimostra essenzialmente agrario anche di fronte al problema della popolazione, di cui vuole bensì l'aumento, ma sempre condizionato dall'aumento del prodotto netto della terra, cioè della ricchezza nazionale. La loro concezione della vita economica e sociale, per cui ogni proprietario dovrebbe vivere nelle sue terre in mezzo ai suoi contadini, spinge i fisiocratici a deplorare l'urbanesimo e a sognare anzi un paese senża città. E la funzione sociale dei proprietarî, quali stimolatori dell'attività agricola con la loro presenza fra i coltivatori, con le anticipazioni di capitali alla terra, con le funzioni politiche e giudiziarie che ad essi sono riservate, giustifica l'assegnazione che il Quesnay fa alla loro classe di un posto intermedio fra la classe produttiva e le classi sterili, e legittima il prelevamento ch'essi fanno dei due quinti del prodotto della terra. Perciò la distinzione fra classi produttive e classi sterili non induce alla conseguenza logica di voler riservare ai produttori l'intero frutto del loro lavoro, ma fa dei fisiocratici i più decisi assertori del diritto di proprietà privata della terra, e anzi dei vantaggi economici e sociali della grande proprietà.
Strettamente connessa con questo ideale agrario e in parte derivata da esso è la dottrina sociale dei fisiocratici, che si fonda bensì, come si è detto, sull'ordine naturale", ma su un "ordine", un "diritto" o una "legge" naturali che sono ben diversi da quella idealizzazione dello "stato di natura", che aveva incontrato tanta fortuna fra gl'illuministi del Settecento e che era stata resa così popolare dagli scritti di J.-J. Rousseau. È bensì vero che i fisiocratici, e più di tutti lo stesso Quesnay, si esprimono su questo punto in forma assai oscura e ambigua, in modo da far ritenere che essi medesimi non avessero su questa, che dovrebbe essere la base filosofica del loro sistema, idee molto chiare; ma è indubitato che l'ordine naturale non è per essi la situazione dell'uomo allo stato di natura, dove anzi "il diritto naturale dell'uomo di disporre dei beni adatti ai suoi bisogni" (Quesnay) avrebbe trovato ostacoli assai maggiori di quelli ch'esso incontra quando si è già costituito un ordinamento sociale. Gli uomini riuniti in società sono appunto soggetti a leggi naturali e a leggi positive. Le prime, di gran lunga più importanti e più benefiche, sono "il corso regolato di ogni avvenimento fisico, nel modo più vantaggioso al genere umano", sono cioè leggi immutabili fissate dall'Ente supremo, e sono sempre le migliori possibili. È dunque, nel secolo di Voltaire e da parte di pensatori che appartenevano alla schiera degli Enciclopedisti, una fede mistica, una specie di teologia o di metafisica ottimistica. Le leggi positive non devono avere altra funzione che quella di mantenere o adattare la legge naturale, che si riassume fondamentalmente nelle tre branche del diritto di proprietà: proprietà personale, cioè diritto di disporre della propria persona, proprietà mobiliare, proprietà fondiaria; e poiché un diritto non ha valore senza la libertà di esercitarlo, non si può concepire il diritto di proprietà senza la più completa libertà. Mentre il riconoscimento della proprietà come diritto fondamentale dell'uomo spiega il fatto che i fisiocratici non invochino l'uguaglianza fra gli uomini, può sembrare invece strano ch'essi possano conciliare l'affermazione del diritto di tutti gli uomini alla libertà con le loro preferenze per il governo dispotico, giustificate, secondo il Mercier, dalla considerazione che soltanto gl'interessi del sovrano possono identificarsi con quelli della nazione, mentre "un corpo di amministratori" - egli dice, volendo significare con questo un corpo di rappresentanti - può arricchirsi impoverendo la nazione. Il sovrano ha anzitutto una funzione negativa, non molto diversa da quella assegnata allo stato dai liberali della metà dell'Ottocento: la funzione cioè di assicurare il rispetto delle leggi naturali, di cui egli però è l'interprete più autorizzato, e su cui egli illumina il popolo. Ma oltre a questa funzione negativa, il sovrano ne ha anche di positive per ciò che riguarda la costruzione di strade, canali, ponti e per tutti i lavori che possono giovare alla messa in valore del patrimonio nazionale. Accanto al dispotismo legale, i fisiocratici propugnano la preminenza nello stato della classe dei proprietarî fondiarî. Questi anzi, coi loro fittavoli, costituiscono da soli lo stato; essi soli hanno una vera rendita, e perciò soltanto a essi deve spettare l'obbligo di pagare le imposte, ridotte, nel pensiero dei fisiocratici, a un' imposta unica sulla rendita fondiaria.
Sul posto che spetta ai fisiocratici nella storia del pensiero economico si sono emessi pareri molto diversi: mentre qualcuno vuole rivendicare ad essi la paternità di una gran parte delle idee sostenute da Adamo Smith, altri invece considera il grande scozzese come il solo e vero fondatore della scienza economica. Effettivamente, dal punto di vista puramente scientifico, ben pochi sono i principî dei fisiocratici che resistano alla critica e che abbiano contribuito efficacemente al progresso dell'economia, quando se ne eccettui il concetto dell'interdipendenza dei fenomeni economici. Ma, più che in sé stesse, le dottrine dei fisiocratici devono essere giudicate in quanto esse rappresentano il tentativo fortunato di giustificazione teorica della reazione contro la politica economica dei mercantilisti; e da questo punto di vista esse hanno avuto una importanza pratica enorme, più immediata anzi dell'opera famosa dello Smith. Da esse infatti fu ispirata tutta la campagna per la libertà del commercio dei cereali, per la definitiva soppressione delle dogane interne e delle corporazioni, e, dopo il 1789, quasi tutta la legislazione economica dell'Assemblea Costituente.
Bibl.: A. Oncken, Œuvres économiques et philosophiques de Quesnay, Parigi e Francoforte 1888, con un'ampia introduzione; A. Labriola, Le dottrine economiche di F. Quesnay, Napoli 1897; Güntzberg, Gesellschafts- und Staatslehre der Physiocraten, Lipsia 1907; H. Carré, Le règne de Louis XV, in E. Lavisse, Histoire de France, VIII, Parigi 1909; C. Gide e C. Rist, Histoire des doctrines économique depuis les physiocrates jusqu'à nos jours, Parigi 1909; G. Weulersse, Le mouvement physiocratique en France del 1758 à 1770, Parigi 1910; R. Savatier, La théorie du commerce chez le physiocrates, Parigi 1918 (in Revue d'économie politique); A. Oncken, Geschichte der Nationalökonomie, 3ª ed., Lipsia 1922; G. Prato, Lezioni di storia delle dottrine economiche (litogr.), Milano 1924; R. Gonnard, Hist. des doct. écon., 2ª ed., Parigi 1930; G. Weulersse, Les physiocrates, Parigi 1931.