Fisiognomica
La fisiognomica (dal greco phýsis, 'natura', e gnṓmōn, 'interprete', o gnṓmē, 'indicatore', o 'contrassegno conoscitivo'; i testi di fisiognomica tardomedievali riferivano invece il secondo termine a ónoma, 'nome', o a nómos, 'legge'), l'arte di giudicare il carattere e il comportamento potenziale di una persona dall'apparenza esterna dei suoi organi corporei, in base all'analisi delle loro dimensioni, proporzioni, forma, colore, consistenza, dei movimenti o gesti e della voce, fa parte della cultura occidentale fin dall'età greca classica. I suoi testi più antichi, sconosciuti al primo Medioevo, tornarono a essere disponibili per i lettori di lingua latina dal XII sec. e più ancora nel secolo successivo, stimolando così originali contributi medievali a questa scienza. La corte sveva ebbe un ruolo importante tanto nella riscoperta dei testi fisiognomici classici e nella loro assimilazione, quanto nell'elaborazione di contributi originali alla scienza fisiognomica. Fu infatti alla corte di Federico II che iniziò a circolare la primissima versione della traduzione del Secretum secretorum (il cui libro VIII è dedicato alla fisiognomica) di Filippo da Tripoli, probabilmente insieme alle prime versioni della Fisiognomica dello Pseudo-Aristotele. In seguito Bartolomeo da Messina elaborò alla corte di Manfredi la propria traduzione della Fisiognomica pseudo-aristotelica, destinata a diventare il punto di partenza del complesso dibattito scolastico sull'argomento. Fu pure alla corte federiciana che apparve il primo originale contributo medievale alla fisiognomica, composto da Michele Scoto durante il suo soggiorno a corte, fra il 1228 e il 1235 circa. Tutto ciò indica uno speciale interesse per la fisiognomica alla corte federiciana.
Il trattato di Scoto sulla fisiognomica, il Liber Phisionomiae (talvolta chiamato Liber de secretis nature), è la terza parte del Liber Introductorius, dedicato a Federico II. Il fatto che si conoscano solo sei manoscritti superstiti dell'opera (prima del 1500) e l'assenza relativa di sue citazioni nei trattati medievali di fisiognomica fanno pensare che il suo successo nel Medioevo sia stato a dir poco mediocre. Ciò nono-stante, essa fu la sola sezione del Liber Introductorius a essere stampata e a godere di circolazione e ampia fama per tutti i secc. XV e XVI, continuando a essere ristampata fino al XVIII secolo. Fra la prima edizione di Venezia, del 1477, e il 1547, si contano almeno trentotto edizioni in latino e, fra il 1514 e il 1533, cinque in italiano.
Il trattato, formato di centodue capitoli e un proemio, è anch'esso diviso in tre parti. I primi venti capitoli sono dedicati alla generazione, all'embriologia e all'eredità, e trattano dei segni corporei che derivano naturalmente dal coi-to, dalla concezione e dalle prime fasi dell'infanzia. La seconda parte, di trentasette capitoli, tratta dei segni corporei che risultano dalla complessione dei singoli organi, o dell'intero corpo. Gli ultimi quarantacinque capitoli costituiscono un catalogo sistematico di segni fisiognomici e del loro significato, dai capelli ai piedi.
Gli irrisolti enigmi codicologici che accompagnano lo studio del Liber Introductorius richiedono ogni cautela nell'utilizzo del testo di Scoto come fonte storica sulla corte di Federico II. Tale cautela andrebbe estesa al Liber Phisionomiae, pur essendo questa la meno controversa delle tre parti che formano il Liber Introductorius. Poiché l'osservazione fisiognomica decifra il carattere, la personalità, la moralità e la capacità sia intellettuale che fisica degli individui, sembra evidente che un sovrano e, più in generale, ogni potente che si trovi a impiegare altre persone in una posizione di fiducia e di responsabilità, e che abbia dunque bisogno di uno strumento affidabile di analisi della personalità, potrebbe derivare grande beneficio da un manuale di fisiognomica o dalla presenza a corte di fisiognomici. Questa considerazione, insieme a due riferimenti a falconi e falchi (al capitolo 89 sui fianchi, al capitolo 94 sulle unghie) corrobora, pur non provandola definitivamente, l'associazione di questo testo con la corte di Federico.
Rispetto alla storia della fisiognomica, il trattato di Michele Scoto appare fortemente innovativo: sebbene debitore di testi più antichi ‒ in particolare, del libro II del Liber ad Almansorem di Rhasis (al-Rāzī), tradotto da Gherardo da Cremona (m. 1187) ‒ il Liber Phisionomiae di Michele Scoto non è infatti una mera compilazione di fisognomica antica. Scoto fu il primo a riconoscere lo statuto scientifico della fisiognomica e, pur facendo uso di testi classici e arabi tradotti da poco, non li copiò mai meccanicamente. La struttura ordinata e l'accessibilità del testo ne giustificano la persistente popolarità e rappresentano uno dei suoi principali caratteri innovativi. I testi medievali fisiognomici furono infatti, da allora in poi, composti come manuali pratici che, a differenza dei loro predecessori classici, permettevano una facile consultazione. Da questo punto di vista, Scoto rifletteva la tendenza alla sistematicità prevalente in Europa nel XIII sec., tendenza che non si limitò a dominare le scuole, ma influenzò ugualmente gli intellettuali di corte.
Le due parti introduttive dell'opera (capitoli 1-57), la prima delle quali tratta dei principi basilari della generazione, dell'embriologia e dell'eredità, e la seconda principalmente dell'espressione fisica delle costituzioni complessionali, fanno dell'intero trattato uno strumento atto a signoreggiare sulla natura, tramite il controllo sull'eredità e la garanzia di una discendenza corretta, e non solo uno strumento di potere politico. A questo si aggiunge un'ulteriore, importante innovazione del Liber Phisionomiae rispetto ai suoi predecessori greci, e cioè il ruolo centrale attribuito al concetto di complessione. Nella concezione di Michele Scoto, la conoscenza dell'eredità e della complessione, i due fattori naturali che influenzano l'aspetto fisico dell'uomo, è essenziale per il fisiognomico attento che desideri ridurre il margine di errore che accompagna ogni giudizio. I segni corporei che risultano dal complicato processo della generazione o dalla costituzione complessionale della persona devono essere identificati e quindi messi da parte, perché essi non fanno parte dei segni fisiognomici portatori d'informazioni sul carattere inerente e immutabile dell'individuo.
Implicitamente, Scoto prescrive che il buon fisiognomico debba avere una conoscenza medica approfondita, poiché la principale competenza del medico dotto è di saper riconoscere la complessione del paziente e di ciascun organo, come condizione preliminare di ogni parere medico.
Scoto non fornisce nessuna spiegazione del particolare segno fisiognomico, mostrandosi in questo continuatore della tradizione fisiognomica classica che tanti, ivi compreso Galeno, avevano trovato manchevole. Tuttavia, iniziando dalla discussione dettagliata e sistematica della generazione e della complessione, egli colloca i dati fisiognomici all'interno del più ampio contesto della filosofia naturale. La novità in questo senso non è nella teoria che egli introduce, ma nel fatto che un trattato fisiognomico includa la spiegazione di come alcuni segni corporei esterni emergano, e di come si possa, grazie alla loro esatta conoscenza, regolarli, almeno parzialmente. Sebbene nel Liber Phisionomiae la medicina e la fisiognomica non siano ancora connesse, Scoto ha contribuito a preparare la strada affinché tale fusione potesse avvenire, o almeno a lanciare l'idea che le due discipline fossero intimamente connesse.
L'ultimo elemento innovativo della fisiognomica di Michele Scoto è il modo in cui egli tratta del corpo femminile. Il fisiognomico classico si rivolgeva infatti agli uomini, considerando il corpo maschile come oggetto privilegiato del suo interesse e prendendo in considerazione il corpo femminile solo in quanto deviazione dalla norma maschile; di conseguenza, ben poca attenzione era riservata dalle opere fisiognomiche classiche al corpo femminile. Quando Michele Scoto passa in rassegna gli organi del corpo e presenta il catalogo dei segni fisiognomici e del loro significato, nella terza parte del Liber Phisionomiae (dopo aver dedicato ampio spazio, nei capitoli precedenti, al contributo della donna all'aspetto e alla forma dell'embrione), egli afferma specificamente che questa sezione contiene elementi particolari relativi al corpo di entrambi i sessi, ossia dell'uomo e della donna. Ciò nonostante, il suo catalogo accessibile e ben ordinato (dal capo ai piedi) dei segni fisiognomici si applica soprattutto agli uomini e solo indirettamente alle donne, la cui valutazione è ben più difficile e problematica a causa della grande distanza esistente fra la complessione femminile e quella maschile, che è lo standard rispetto al quale tutto è misurato. Tuttavia, riservando nella prima parte del libro un ruolo così importante all'influenza della donna sull'aspetto del bambino e suggerendo che i segni fisiognomici si applichino a entrambi i sessi, Scoto apre la strada all'inclusione del corpo femminile (o almeno, degli organi esclusivamente femminili) nello schema fisiognomico.
Il ruolo tradizionale della fisiognomica come strumento retorico destinato in particolare a diffamare gli oppositori politici è invece attestato nel Liber compilationis phisonomie di Pietro d'Abano, del 1295 circa. Pietro consacra un lungo capitolo ai vari segni degli occhi, includendovi un riferimento specifico a uno degli alleati più fedeli, ma anche più controversi, di Federico II, Ezzelino da Romano, immortalando così nella letteratura fisiognomica posteriore gli occhi spaventosi di Ezzelino come l'apice della crudeltà (Lisbona, Bibliotheca da Ajuda, Rolandus Scriptoris, Reductorium phisionomiae, ms.). Gli occhi di Ezzelino erano punteggiati di macchie scintillanti rossastre di forma quadrata, le sue pupille erano contornate di sangue, palpebre e pupille si muovevano furiosamente, come se egli fosse costantemente in stato di collera. Tali occhi indicano un'anima feroce, la cui crudeltà e barbarie superano quelle di ogni bestia feroce: una persona dotata di queste caratteristiche sarà pronta a perpetrare i gesti più inauditi, senza astenersi dallo spargimento di sangue nella propria casa, dal compiere gli atti più empi, dai raggiri alle offese a Dio e agli uomini. Occhi siffatti, conclude Pietro d'Abano, ebbe Ezzelino, tiranno criminale assetato di sangue italiano.
Fonti e Bibliografia
Pietro d'Abano, Liber compilationis phisonomie, Paduae 1474
Michele Scoto, Liber Phisionomiae, Venetiis 1477.
Scriptoresphysiognomonici Graeci et Latini, I-II, a cura di R. Förster, Lipsiae 1893.
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D. Jacquart, La Fisiognomica: il trattato di Michele Scoto, in Federico II e le scienze, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 338-353. Ead., La physiognomonie à l'époque de Frédéric II: le traité de Michel Scot, "Micrologus", 2, 1994, pp. 19-37.
S.J. Williams, The Early Circulation of the Pseudo-Aristotelian "Secret of Secrets" in the West: The Papal and Imperial Court, ibid., pp. 127-144.
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J. Agrimi, Ingeniosa scientia nature. Studi sulla fisiognomica medievale, Tavarnuzze 2002; J. Ziegler, The Beginning of Medieval Physi-ognomy: The Case of Michael Scotus, in Wissen an Höfen und Universitäten: Rezeption, Transformation, Innovation, a cura di J. Fried, Berlin, in corso di stampa.
Traduzione di Bruna Soravia