FITOGEOGRAFIA
. Al termine fitogeografia (da ϕυτόν, "pianta", e γεγραϕύα "geografia") può essere attribuito un senso largo e un senso più ristretto. In senso largo esso comprende non soltanto tutti i dati relativi alla distribuzione delle specie vegetali sulla superficie del globo, ma anche quelli che si riferiscono alle reazioni che la vegetazione presenta di fronte all'influenza dell'ambiente inteso nella sua comprensione più estesa, sia sotto forma di modificazioni della morfologia dell'individuo, sia sotto quella di selezioni e di rimaneggiamenti della composizione dei consorzî che le specie formano fra di loro. Anche questa seconda parte della fitogeografia, nonostante il suo carattere schiettamente fisiologico, può essere infatti trattata in senso geografico, in quanto, tanto le formazioni vegetali, quanto le forme di vegetazione che le compongono, presentano una distribuzione propria alla superficie terrestre, riconoscibile indipendentemente da qualunque definizione floristica. Ma questa parte della botanica, che ha assunto nell'ultimo cinquantennio un larghissimo sviluppo e che costituisce oggi un ramo ben distinto della scienza, l'ecologia vegetale (v. ecologia) e anche la trattazione della struttura e dello sviluppo dei consorzî costituiti dalle specie vegetali, nonché della loro partecipazione alla determinazione del paesaggio nelle differenti parti del globo (v. vegetazione) sono rimandati ad articoli distinti. Alla voce fitogeografia rimane quindi specificamente attribuita la trattazione delle leggi generali che regolano la distribuzione delle singole specie sulla superficie terrestre, la descrizione delle regioni floristiche individuate dal raggrupparsi delle aree di vegetazione delle specie presentanti un'affinità più o meno grande di esigenze ecologiche e di origini e l'esposizione dei dati che la geografia e la climatologia e rispettivamente la paleogeografia e la paleoclimatologia, ci forniscono per giustificare queste condizioni di distribuzione e per ricostruire quelle che le hanno precedute e delle quali noi possiamo del resto trovare testimonianze assai importanti anche in numerosi fenomeni di distribuzione delle piante tuttora persistenti.
Due nozioni fondamentali e correlative rappresentano il postulato di qualunque considerazione fitogeografica. Da un lato il riconoscimento che la specie, collettività di individui dotati d'un certo numero di caratteri morfologici e di esigenze fisiologiche comuni ed ereditariamente trasmissibili, nonché d'un grado maggiore o minore d'accomodabilità alle condizioni attuali dell'ambiente, rappresenta per lo meno uno stadio di equilibrio, un tempo d'arresto del processo evolutivo, comunque quest'ultimo si voglia intendere e spiegare, e possiede quindi una certa stabilità. In secondo luogo la constatazione che la continua e più o meno copiosa produzione di disseminuli, pone le singole specie praticamente in grado di occupare, in un tempo più o meno lungo, tutta l'area terrestre in corrispondenza della quale le condizioni necessarie e sufficienti per la loro esistenza sono assicurate e che ostacoli fisici o biologici non difendono dalla loro invasione. L'area di distribuzione rappresenta quindi il carattere geografico della specie e, considerata in un determinato momento, ha una forma e un'estensione determinata; ma, in quanto si è costituita in dipendenza dei fattori ecologici, essa s'interrompe tutte le volte che la combinazione delle condizioni ambientali cessa di corrispondere alle sue esigenze biologiche o anche soltanto di assicurarle quello stato di benessere che le consente di resistere vittoriosamente alla concorrenza delle specie con le quali convive. Bisogna ricordare, a questo proposito, che i fitogeografi, i quali ammettono l'influenza diretta, o per lo meno indiretta, dell'ambiente sulla costituzione di nuove forme, trovano una conferma del loro modo di vedere nel fatto, messo in evidenza da A. De Candolle, che le variazioni presentate dalle singole specie tendono ad addensarsi verso la periferia della loro area di distribuzione, vale a dire verso i punti in corrispondenza dei quali le condizioni ecologiche vanno gradatamente modificandosi; e che, d'altra parte, come hanno stabilito A. Kerner e R. v. Wettstein, tutte le volte che l'analisi sistematica consente di riconoscere nell'ambito d'una specie linneana, un certo numero di forme elementari ereditariamente costanti, la distribuzione geografica di queste piccole specie subordinate è facilmente contigua e non può essere interpretata che come una risposta al variare delle condizioni ambientali, sia che queste abbiano direttamente provocato il sorgere delle singole forme per variazione graduale, sia che la differenziazione delle condizioni ecologiche, nell'ambito dell'area della specie collettiva, abbia determinato la distribuzione delle nuove forme prodottesi per mutazione o almeno di quelle di esse che risultano adattabili, nelle aree in cui noi le troviamo rispettivamente insediate. Questo schema di distribuzione, benché muova dalla premessa monogenista comune a tutti i naturalisti che attribuiscono la distribuzione delle forme viventi a un processo di evoluzione divergente, e accordi quindi una grande importanza ai fenomeni migratorî, può tuttavia, nei riguardi della biogeografia, essere accettata anche dagli studiosi, che, partendo da una premessa poligenista, hanno, anche in tempi recenti, discusso la possibilità d'un processo evolutivo differenziatore, svolgentesi cioè alle spese d'un numero limitato di specie ancor poco evolute e largamente distribuite. Qualunque sia però l'ipotesi invocata in questo caso (Guppy, Lotsy, Willis, Rosa, Du Rietz) per spiegare l'origine delle nuove forme, rimane sempre da giustificare la larga diffusione delle forme basali dalle quali si sarebbero svolte, in un sol punto del globo (monotopismo), o in parecchi contemporaneamente (politopismo), le specie attuali. Tuttavia la posizione assunta da questi studiosi presenta un interesse generale, perché, nello stesso modo in cui i partigiani più rigidi di un'evoluzione poligenica sono costretti ad ammettere, subordinatamente, anche fenomeni di diffusione divergente per opera degli ordinarî processi di disseminazione e d'invasione di aree nuove su scala più o meno larga, i fitogeografi monogenisti non possono sottrarsi alla constatazione della comparsa di numerosi endemismi neogenici nell'ambito di specie più antiche e più largamente diffuse; e ciò indipendentemente dalle ipotesi adottate per spiegare questi fenomeni e con la riserva fondamentale che una determinata forma non può costituirsi che una volta sola e in una sola stazione, per il combinarsi di circostanze esteriori che non è verosimile possano ripetersi una seconda volta.
Sorge a questo punto la questione della disgiunzione delle aree specifiche, a proposito della quale è anzitutto necessario notare che una continuità assoluta di distribuzione non si verifica mai e non è neppure pensabile, data la molteplicità delle stazioni elementari create alla superficie del globo dal variare continuo e su piccole aree della composizione del suolo e delle condizioni topografiche. Ma, posto anche che il processo di gran lunga più importante di diffusione delle specie sia quello che si svolge per piccole tappe e che una relativa continuità possa quindi essere considerata come la condizione primitiva della distribuzione di tutte le forme vegetali, bisogna subito aggiungere che cause di varia natura non tardano a provocare secondariamente lacune più o meno ampie in tutte le aree di distribuzione. Fra queste cause possono essere citate come principali le seguenti:1. l'eventuale ed eccezionale fenomeno del trasporto dei disseminuli a notevole distanza per azione d'uno qualunque degli agenti naturali: vento, animali, correnti marine; ricordando tuttavia che molti casi di presunta disseminazione longinqua sono risultati inesistenti alla stregua d'una critica severa e che qualunque nuovo referto in proposito deve essere quindi rigorosamente vagliato; 2. l'intervento di agenti biologici capaci di determinare la estinzione di numerosi individui della specie considerata e la sua consecutiva scomparsa in corrispondenza di superficie più o meno estese dell'area (azione di parassiti, di predatori, ecc.); 3. l'alterazione delle condizioni ecologiche che hanno favorito la primitiva diffusione della specie, fenomeno attribuibile generalmente a crisi interessanti una larga parte del globo. Ne abbiamo un esempio classico nel rimaneggiamento operato nelle flore terrestri dalle oscillazioni climatiche del periodo quaternario, che hanno provocato sia l'eliminazione diretta di specie da tutta la porzione della loro area diventata ecologicamente inadatta, sia il loro spostamento all'esterno dell'area primitiva, con la costituzione di colonie isolate conservatesi talora sino a noi grazie a particolarità specialmente propizie di stazione, sia la modificazione della primitiva distribuzione delle specie, dipendente dal mescolarsi delle flore, spostate in seguito alla perturbazione climatica, nelle stazioni di rifugio comune e dal ripopolamento promiscuo delle stazioni abbandonate da parte di specie precedentemente distribuite in distretti separati, 4. la variazione nella distribuzione delle terre e dei mari, in conseguenza della quale una porzione dell'area occupata primitivamente da una determinata specie, può essere diventata inabitabile, cessando di far parte delle terre emerse o essendo spostata altimetricamente, in modo che le sue costanti ecologiche risultassero profondamente alterate. Il ricorso ai documenti fornitici dalla paleogeografia, sullo sprofondamento o l'emersione di aree continentali o ad ipotesi di variazione nel livello oceanico (Enquist), di spostamenti oscillatori dei poli (Colberg-Simroth, teoria pendolare), della persistenza dei continenti e delle fosse oceaniche (Chamberlin-Matthews), della translazione dei continenti (Wegener), rappresenta infatti un tentativo di spiegazione di lacune biogeografiche; 3. l'azione dell'uomo, che, quantunque si sia affermata in un periodo assai recente della storia del globo, ha assunto ben presto l'efficacia d'un agente fisico generale, sia diventando l'agente attivo o passivo dell'unica forma di disseminazione a distanza alla quale si possa incontestabilmente riconoscere una notevole influenza, sia modificando direttamente la compagine della vegetazione, in un primo tempo con processi esclusivamente predatori, poi con un'azione modificatrice, selezionatrice e infine anche ricostruttrice, sia ancora alterando sensibilmente con l'incendio, col taglio delle foreste, con la sistemazione delle acque, con la sostituzione d'una vegetazione colturale o semicolturale alla spontanea, il clima, l'idrografia e persino la configurazione superficiale del globo.
Particolare attenzione meritano inoltre i fenomeni di degradazione o di eccezionale sviluppo che si verificano sul margine delle aree specifiche, provocandone la contrazione o la dilatazione, quantunque essi non dipendano, nel loro meccanismo, da reazioni alle condizioni ambientali differenti da quelle che hanno determinato l'occupazione delle aree specifiche o la loro discontinuità. Messi in rapporto, per esempio, con la storia, oggi relativamente bene conosciuta, delle oscillazioni climatiche alle quali la zona temperata boreale è stata soggetta durante il periodo quaternario, gli spostamenti intervenuti nella posizione dei limiti, anche altimetrici, delle specie o delle forme di vegetazione dominanti nelle nostre formazioni vegetali (per esempio della quercia, del faggio, del larice, dell'abete rosso, delle graminacee o delle ericacee sociali, ecc.), hanno consentito non solo la valutazione del carattere e dell'entità di queste vicende climatiche, ma anche il controllo dei dati forniti dalla geologia sull'estensione e sulla ripetizione dei fenomeni fisici che ne dipesero (glaciazioni) e in fine la giustificazione d'un gran numero di fatti, apparentemente aberranti, nella distribuzione di molte specie vegetali.
L'attribuzione dei fenomeni di rimaneggiamento, di disgiunzione, di spostamento delle aree biogeografiche ai processi sopra accennati, implica l'ammissione d'una riduzione degenerativa delle aree stesse: ma essa non sarebbe più necessaria quando si ammettesse l'origine politopica delle specie, sia per fenomeni di convergenza di forme ordinariamente differenti (C.J. Schroeter) sotto l'influenza dell'identità delle condizioni ecologiche, sia per variazione poligenetica (G. Briquet) od ologenetica (P. Rosa) indipendente dall'influenza dell'ambiente. Nonostante l'ingegnosità con la quale sono state anche recentemente difese, ipotesi di questa natura urtano nel campo fitogeografico, quando occorre spiegare la comparsa e la distribuzione delle piccole forme derivate da specie polimorfe, contro difficoltà d'applicazione che autorizzano le più fondate riserve su tutto il sistema.
La constatazione dei fenomeni di disgiunzione delle aree specifiche ci conduce alla definizione dei relitti. Intendiamo con tale termine la conservazione di colonie d'una determinata specie in località che siamo autorizzati a considerare come residui di un'area più ampia occupata precedentemente dalla specie stessa e ridottesi a vivere nell'unica o nelle poche località conservanti costanti ecologiche compatibili con la loro esistenza; ma non è sempre facile accertare una condizione di questa natura, in quanto essa può anche essere simulata dall'immigrazione recente di forme le quali non abbiano ancora potuto iniziare un processo di diffusione. La località d'un relitto deve quindi giacere abbastanza all'infuori dell'area specifica corrispondente, quando questa è ancora parzialmente conservata, perché si possa escludere una trasmissione diretta ed attuale di disseminuli, e deve inoltre esserne separata dal predominio, nel territorio interposto, di condizioni ecologiche tali da impedirne la traversata per piccole tappe. D'altra parte deve essere possibile spiegare, in modo ecologicamente corretto, l'immigrazione della colonia nella stazione contemplata in un momento qualsiasi del suo passato e la sua conservazione in sito da quel momento fino ad oggi. Infine può essere considerata come una conferma della natura relitta d'una colonia unica e disgiunta, il fatto che essa consti, anziché d'una sola specie, di parecchie, aventi esigenze ecologiche, e, nel caso della semplice disgiunzione, distribuzione geografica affini. Quanto poi al modo della loro origine, i relitti sono stati classificati dallo Schroeter in: 1. formazionali, rappresentanti cioè il residuo di consorzî vegetali costituitisi in condizioni ecologiche differenti dalle attuali e dissociatisi per il variare di queste condizioni su tutta l'area primitiva, fatta eccezione per la stazione ancora occupata dal relitto; 2. geomorfologici, dipendenti da un cambiamento di rapporto fra aree emerse ed immerse, da spostamenti altimetrici, da variazioni nella distribuzione delle acque superficiali, ecc.; 3. climatici derivanti da una variazione del clima, alla quale si sia sottratta la stazione del relitto col favore di circostanze locali.
Rimangono da definire i concetti di indigenato e di endemismo. Indigena o autoctona d'un determinato distretto si dice una specie che vi cresce spontaneamente, svolgendovi in tutta la sua interezza, quando le condizioni si mantengano normali, il suo ciclo vitale sino alla fruttificazione. Termine opposto ad indigena è avventizia, applicato alla specie che, giunta in una determinata stazione per disseminazione spontanea o artificiale, non riesce a mantenervisi spontaneamente e durevolmente; in particolare poi si dice acclimata una specie capace di abbonire i frutti nella stazione nella quale è stata introdotta, ma non di stabilirvisi durevolmente senza l'assistenza dell'uomo. Interessante è il problema, formulato con mirabile chiarezza da A. De Candolle, ma discusso poi da numerosi studiosi, della possibilità della naturalizzazione, cioè dell'acclimazione spontanea e definitiva. I rimaneggiamenti intervenuti nella vegetazione delle varie parti del globo e dei quali si possono citare numerose prove, ci autorizzano ad ammettere questa possibilità; ma essa deve verificarsi soltanto in dipendenza del mutare di condizioni generali dell'ambiente e sfugge quindi probabilmente, nella sua forma più completa, all'azione umana. Infatti i numerosi scambi di specie che si sono verificati fra le regioni più densamente popolate del globo, per esempio fra l'Europa e l'America Settentrionale temperata, sono strettamente limitati, nella parte almeno che appare permanente, alle stazioni controllate dall'uomo e mantenute nelle condizioni più o meno artificiali in cui noi li osserviamo (ruderati, colture, semicolture), in modo stabile. Dalle ricerche rimaste classiche del Thellung sulla flora avventizia di Montpellier e del Cheseman su quella della Nuova Zelanda, siamo autorizzati a ritenere che la vegetazione d'un distretto che abbia subito, per via antropica, inquinazioni anche profonde di specie allogene, ritorna, quando sia lasciata completamente a sé e non siano nel frattempo mutate le costanti ecologiche, invincibilmente alla composizione primitiva. Il significato del termine endemismo è affine a quello di indigenato, ma la qualifica di endemiche viene più propriamente riservata alle specie geograficamente limitate entro un distretto poco esteso e presentante caratteristiche ecologiche differenti da quelle alle quali sono soggette le specie affini. Il fenomeno dell'endemismo può dipendere o dal fatto che la specie, originatasi nella località in cui noi la osserviamo tuttora, per es., un'isola o una vetta di montagna, non ha avuto la possibilità o il tempo di diffondersi a un'area più vasta ed è rimasta quindi più o meno strettamente circoscritta; oppure dalla circostanza che la specie, pur avendo posseduto nel passato un'area assai più ampia dell'attuale, si è estinta su tutta la sua estensione conservandosi in un sol punto, in condizioni cioè di relitto. Il primo caso coincide per lo più con un'origine relativamente recente della forma vegetale e si osserva in quelle specie elementari appartenenti a un medesimo ceppo polimorfo, alla limitata diffusione delle quali abbiamo già accennato (endemismi paleogenici). Questa distinzione corrisponde ai termini di endemismi progressivi o neoendemismi e di endemismi conservativi o paleoendemismi usati rispettivamente da Schroeter e da A. Engler. Per endemismo relativo poi, s'intende l'accantonamento spontaneo ed eccezionale in un determinato ristretto d'una specie più largamente e normalmente stabilita in un altro.
Tutte queste nozioni relative alle condizioni nelle quali si presentano le aree specifiche possono venire estese anche alle categorie sistematiche superiori, generi, tribù, famiglie, ordini, che esprimono rapporti di affinità gradatamente più larghi e presumibilmente più antichi di quelli intercedenti fra le specie; ma anche a queste, considerate singolarmente, dobbiamo attribuire un'anzianità assai differente. In generale si può ammettere che le specie che oggi appaiono più nettamente distinte, risalgano almeno alla metà del periodo terziario, mentre la più particolareggiata differenziazione in piccole specie, varietà, razze, ecc. è l'espressione d'un fenomeno più recente che è andato accentuandosi nel corso del quaternario, sotto l'influenza delle vicissitudini climatiche caratteristiche di questa epoca, ma che dura verosimilmente tuttora. Bisogna, al contrario, respingere più lontano, nella prima metà del Terziario e anche più indietro, la differenziazione di molti generi, mentre la definizione delle famiglie delle angiosperme rimonta spesso al Cretacico e talora forse a periodi più antichi. I documenti paleontologici di questa lunga genealogia sono estremamente scarsi e d'incerta interpretazione, data la loro conservazione imperfetta e frammentaria; ed è quindi necessario fondare il giudizio dell'arcaicità dei tipi vegetali su dati indiretti, partendo dal principio che le forme relativamente antiche sono anche quelle che presentano un'individualità più accentuata, un vero isolamento morfologico; mentre i gruppi di forme strettamente affini presentano i caratteri d'una differenziazione recente. E poiché le specie affini possiedono aree simili e contigue, è naturalmente sorta la nozione dei centri d'origine (centri di creazione), fondamentale per le teorie monogenistiche, e quella subordinata e più largamente accetta dei centri di sviluppo, corrispondente al fatto che le entità sistematiche appartenenti a una determinata categoria possono presentare, nella loro distribuzione geografica, parecchi aggruppamenti distinti e d'importanza diversa e che devono essere apprezzati in modo affatto indipendente dalla questione dell'ubicazione del focolare originario e della ricchezza maggiore o minore di forme che ogni singolo gruppo presenta. In molti generi, importanti per il numero e per la varietà delle loro specie, questi diversi focolai di differenziazione secondaria possono essere situati anche a grandi distanze fra loro sulla superficie del globo; tale è, per es., il caso del genere Primula, che ha un centro di sviluppo principale, e forse originario, nel Himālaya orientale e nelle montagne dello Yün-nan e due secondarî, rispettivamente nel Caucaso e nelle Alpi. La dipendenza rispettiva di questi centri e la cronologia relativa della loro comparsa non possono essere determinati che in base a elementi di giudizio molto complessi.
Le considerazioni esposte ci persuadono della grande diversità di composizione che debbono presentare le singole flore, poiché il numero, l'antichità, la provenienza, la variabilità delle specie, dipendono da condizioni storiche e ambientali strettamente particolari a ciascuna. Lo studio delle aree specifiche di distribuzione consente tuttavia di dare un certo assetto a questo assieme di entità discordi, classificandole in categorie a seconda dei gradi di affinità che ci è dato dimostrare nella loro genesi e nella loro biologia. Il Christ ha chiamato elementi geografici questi raggruppamenti, dei quali gli studiosi più recenti hanno però rilevato la facile ambiguità. H. Brockmann Jerosch, J. Braun-Blanquet, Reichert, hanno infatti cercato di chiarire i diversi valori che il termine elemento può assumere ed hanno indicato come elemento geografico o componente un gruppo di specie avente una medesima distribuzione attuale alla superficie del globo; elemento genetico o elemento in senso stretto, un complesso di specie delle quali si può ragionevolmente presumere la provenienza da un centro comune d'origine; elemento storico o migrante, infine, un assieme di specie che ha raggiunto il distretto nel quale vengono considerate dallo studioso, percorrendo una medesima via di migrazione. Il numero dei componenti geografici corrisponde evidentemente a quello delle suddivisioni fitogeografiche naturali che si possono riconoscere sulla superficie terrestre, quello dei migranti alle vie di diffusione che sono state percorse dai disseminuli. Il termine di elemento invece si adatta, per sua natura, a circoscrizioni più ampie; A. Engler ha distinto quattro di questi elementi: arctoterziario, paleotropicale, neotropicale e paleoceanico. Reichert ha inoltre osservato che le nozioni di elemento e di migrante possono essere intese tanto in senso locativo quanto in senso storico a seconda che, per l'elemento, si consideri il luogo e il tempo dell'origine, per il migrante la via percorsa dalla migrazione e il tempo in cui questa è avvenuta. Un ultimo gruppo è rappresentato dalle specie che non si possono riferire, in base alla loro distribuzione attuale, a nessun distretto diverso da quello studiato e che si debbono quindi considerare come autoctone, essendosi probabilmente formate in sito. Ma si comprende che queste specie rientrano, per le affinità sistematiche che presentano, nell'uno o nell'altro degli elementi genetici.
È necessario accennare al complesso problema degli endemismi insulari e montani.
La flora delle isole si presenta in condizioni differenti a seconda che si tratta di isole continentali od oceaniche. Nelle prime (per es., Arcipelago del Giappone) la proporzione delle specie endemiche, al momento del distacco dalla massa continentale originaria, non può naturalmente differire da quella presentata dal distretto continentale da cui l'isola direttamente deriva; e anche in seguito, pure accentuandosi per gli effetti dell'isolamento, non modificherà se non dopo un lungo periodo di tempo, e forse mai profondamente, il carattere di affinità generica che intercede fra le due terre. Nelle isole oceaniche invece la proporzione delle specie endemiche differirà assai a seconda che l'isola si è formata per emersione o per frammentazione d'una massa continentale della quale essa rappresenta un residuo. Nel primo caso (arcipelaghi corallini o vulcanici recenti della Polinesia) essa possiede una flora inizialmente poverissima e dipendente dalle possibilità di migrazioni accidentali di disseminuli, la provenienza dei quali determinerà le sue affinità floristiche anche dopo che un lungo isolamento avrà favorito la costituzione di endemismi neogenici. Nel secondo caso invece (Hawaii) ci troviamo ordinariamente di fronte a un endemismo estremamente accentuato, poiché le specie di queste isole, in parte rappresentano il residuo floristico dell'area continentale scomparsa, in parte si sono originate per neogenesi a spese di questo ricco materiale, già dotato d'una spiccata individualità geografica e finalmente, solo per una percentuale più o meno ridotta, derivano da immigrazioni dirette. Anche la relativa vicinanza a un'area continentale attuale (Canarie, Nuova Guinea), purché il distretto insulare non abbia avuto con essa rapporti troppo diretti, non altera le condizioni del fenomeno.
La flora della porzione superiore dei gruppi montuosi ripete parecchi dei caratteri di quella insulare, in quanto può provenire direttamente da catene attigue con le quali esistano o siano esistiti rapporti di contiguità, o da adattamenti di specie della flora che la regione circostante possiede o ha posseduto al momento in cui si è verificato il fenomeno orogenetico. Quando non si tratti d'un gruppo montuoso insulare, i due modi di popolamento si verificano contemporaneamente, completandosi, in misura varia, secondo i casi. In queste condizioni, endemismi paleogenici e neogenici possono costituirsi nella porzione superiore delle montagne come in qualunque altro distretto isolato; la continuità territoriale complica la composizione di queste florule anche se il gruppo montano è circondato da estese pianure, sia per lenta infiltrazione di specie suscettibili di diffondersi dai livelli inferiori, sia mediante rimaneggiamenti più profondi ogni qualvolta una ripresa generale e anche parziale dell'orogenesi o una variazione climatica determinano uno spostamento dei limiti altimetrici della vegetazione o uno spostamento topografico di aree più o meno estese. Molti esempî di questi fatti ci sono forniti dallo studio dell'influenza esercitata sulle flore ipsofile delle nostre montagne dalle vicende del periodo glaciale.
Dato il meccanismo ammesso per la formazione delle flore insulari e ipsofile, si comprende come due isole o le aree cacuminali di due gruppi montuosi disgiunti possano possedere specie comuni migratevi indipendentemente dal territorio interposto ove presentano o può logicamente presumersi che abbiano presentato un'estesa diffusione, o specie più o meno strettamente affini, interpretabili come derivate da forme ancestrali comuni, parimenti esistenti o esistite entro un'area comprendente le stazioni disgiunte delle loro discendenti (specie rappresentative). Le flore insulari e montane rappresentano quindi uno dei testi preferiti delle discussioni fra fitogeografi monogenisti e poligenisti; ma non è possibile diffondersi qui sui particolari di queste interessanti questioni.
Dominî floristici del Globo. - La geografia botanica è oggi essenzialmente fondata sullo studio della distribuzione delle Cormofite; la storia assai più lunga, la sistematica e l'ecologia assai meno note degli altri stipiti del regno vegetale, non si prestano infatti in eguale misura a indagini sulle ragioni che hanno determinato la distribuzione geografica delle loro specie. D'altra parte, poiché sappiamo ancora assai poco sulle mutazioni intervenute nelle condizioni geografiche ed ecologiche dalla seconda metà del Mesozoico in poi e più precisamente dal Cretacico sino ad oggi, e anche nella composizione delle flore degli stessi periodi più recenti del Terziario, non possiamo sperare dalla paleontologia e dalla paleogeografia che un complesso di nozioni, preziose sì, ma di valore semplicemente complementare a quelle che ci sono fornite dalla conoscenza assai più perfetta che possediamo della distribuzione e della ecologia delle specie costituenti la flora attuale. È stato infatti assai facile constatare, una volta raggiunta la conoscenza sufficientemente esatta delle aree di distribuzione delle specie costituenti la flora dei distretti meglio studiati, che queste specie possono essere, in base ai loro caratteri geografici, distribuite in un numero limitato di gruppi, ciascuno dei quali assume il predominio nella composizione d'un distretto che caratterizza, e abbiamo già dato la definizione generale di questi componenti floristici. Caratteri più generali, quali il peculiare possesso, non più d'una specie o d'un componente, ma di un'unità sistematica superiore, famiglia od ordine o d'un tipo biologico di vegetazione, hanno consentito la definizione di tutta una gerarchia di categorie geografico-floristiche, presentanti fra loro affinità tanto più lontane quanto maggiore è la loro importanza; e si è giunti così a suddividere la totalità della superficie terrestre in un limitato numero di grandi aree (dominî floristici), la flora delle quali è definita da un gruppo di caratteri ecologici e storici, acquisiti e mantenuti attraverso vicende geologiche nettamente diverse per ciascuna di esse. Applicando i medesimi principî su scala gradualmente meno vasta sono state poi distinte, in seno ai dominî, un certo numero di regioni e successivamente nelle regioni una più o meno grande varietà di provincie, comprendenti alla lor volta circoscrizioni minori, distretti, settori, ecc., sino a giungere all'area delle specie. Non possiamo naturalmente accennare qui che alle linee più generali della classificazione geobotanica della superficie terrestre; sulla quale i principali autori (A. Engler, O. Drude, L. Diels, A. Hayeck, ecc.) distinguono oggi sette dominî: Oloartico, Paleotropicale, Capense, Australiano, Neotropicale, Antartico, Oceanico, di estensione assai diversa fra di loro e scarsamente coincidenti tanto con la tradizionale suddivisione geografica delle parti del mondo, quanto con le zone climatiche comunemente note. Ciò basta a indicarci quale importanza essenziale le vicende subite dalla configurazione delle terre e dei mari e dalla composizione della vegetazione nel corso delle epoche geologiche, abbiano avuto nel determinare la fisionomia del paesaggio vegetale attuale.
Dominio oloartico. - Comprende tutte le terre emerse dell'emisfero boreale, appartenenti tanto all'antico quanto al nuovo mondo ed estendentisi dall'Artide press'a poco fino al tropico del Cancro. La flora di questa porzione, relativamente grande, della superficie continentale, presenta, anche confrontata nelle sue parti estreme, caratteri di sensibile affinità e si distingue negativamente per l'assenza di numerose famiglie proprie dei paesi tropicali, positivamente per la grande diffusione che vi assumono invece alcune altre, quali le Cupulifere, Betulacee, Salicacee, Chenopodiacee, Cariofillacee, Ranuncolacee, Crucifere, Sassifragacee, Rosacee, Geraniacee, Ombrellifere, Primulacee, Borraginacee, Scrofulariacee, Genzianacee, Campanulacee, Composite, ecc.
Il dominio oloartico include nove regioni: a) artica, limitata alle terre circumpolari situate al nord del limite boreale della vegetazione arborea ed estendentesi inoltre al piano più elevato delle catene montuose della Gran Bretagna, della Scandinavia, della porzione più settentrionale degli Urali e dei monti dell'Asia e dell'America boreale temperata: b) eurosiberiana, stendentesi a sud del limite boreale della vegetazione arborea sino al Mediterraneo e alle steppe dell'Ungheria, della Russia meridionale e dell'Asia occidentale e centrale, ma comprendente anche porzioni più o meno estese dei distretti montuosi delle penisole mediterranee e dell'Asia e dell'America temperata. Viene suddivisa dal Hayeck in due sottoregioni, sovrapposte nel senso altimetrico e riconoscibili press'a poco su tutta l'estensione dell'Eurasia temperata; l'inferiore, forestale e rivestita di estese formazioni di Conifere e di Cupulifere, la superiore, disalberata e caratterizzata da formazioni di pascolo con numerosi endemismi, sia profondamente isolati, sia presentanti affinità di diversa importanza con specie mediterranee, pontiche, centro-asiatiche o artiche: c) sinogiapponese, stendentesi nell'Asia orientale e negli arcipelaghi costieri, dai confini meridionali della zona precedente sino al tropico e distinguentesi dalla regione eurosiberiana per una flora assai più varia in quanto essa non è stata impoverita dall'azione del periodo glaciale, cosicché molti generi, scarsamente rappresentati nella flora dell'Eurasia, possono assumervi una parte importante nella caratteristica del paesaggio vegetale. Anche in questa regione è possibile distinguere, nel senso dell'altimetria due sottoregioni, una forestale, suddivisibile a sua volta in due provincie, temperata e sub-tropicale, e una ipsofila, scoperta e particolarmente interessante per le sue affinità floristiche con la corrispondente della regione eurosiberiana: d) pontico-asiatica, tipicamente rappresentata da formazioni erbacee ed arbustacee di steppa e dalla varietà degli adattamenti xerofili delle sue specie in rapporto al rigore d'un clima eccessivamente continentale; ricca di endemismi, con sviluppo qualitativamente e quantitativamente peculiare di specie delle famiglie delle Chenopodiacee, Zigofillacee, Tamaricacee; estendentesi dalle pianure dell'Ungheria e della Russia meridionale, attraverso l'Asia minore, la Persia e la Transcaucasia sino alla Mongolia e al Tibet; e) mediterranea, limitata alla zona costiera del nostro mare interno, con carattere forestale subtropicale per l'estensione che vi assumono i boschi di specie sempreverdi a foglie cuoiose (Quercus) o di Conifere speciali (Pinus, Cupressus, Iuniperus), alternati tuttavia, su larghe estensioni, da una boscaglia xerofila di tipo molto vario (gariga), ricca di specie di Liliacee, Iridacee, Orchidacee e dipendente, nella sua genesi, da complessi fattori ecologici e antropici. L'endemismo vi è molto accentuato: f) indico-nordafricana, quasi esclusivamente subdesertica o desertica, con larga penetrazione di specie xerotermiche appartenenti alle flore finitime, mediterranea, pontica, tropicale. Differenze piuttosto floristiche che fisionomiche consigliano la sua suddivisione in due provincie, una africano-arabica, l'altra persico-indiana. Anche in questa regione gli endemismi sono, per lo meno in alcuni distretti, assai numerosi; g) macaronesica, rappresentante, come la precedente, un termine di passaggio dalla vegetazione mediterranea alla tropicale, ma anche, ed anzi in misura maggiore, il luogo di rifugio di numerosi relitti paleogenici. Le sue condizioni ecologiche, dominate da un clima oceanico e complessivamente assai mite, hanno impresso al paesaggio botanico un carattere particolare. La flora della Macaronesia, che comprende gli arcipelaghi atlantici, dalle Azzorre alle isole del Capo Verde, è notoriamente molto ricca, sia perché la frammentarietà del suo territorio ha favorito un largo sviluppo di endemismi neogenici, sia per la concentrazione sopra accennata di paleoendemismi, dovuta al suo antico isolamento, che l'ha sottratta all'influenza delle crisi glaciali, favorendovi la conservazione di numerose specie ancora diffuse durante il pliocene a tutta la zona mediterranea. Caratteristiche di questa regione sono le estese foreste di Lauracee ed i numerosi generi xerofili (Sempervivum, Statice, Echium, Sonchus) ricchi di specie locali; h) americano-atlantica con estese formazioni forestali, paragonabili per la varietà dei loro generi arborei di Latifoglie e di Conifere a quelle sinti-giapponesi. Tale ricchezza di forme dipende, in questo caso come nel precedente, dal fatto che il complesso della flora è sfuggito all'azione deteriorante del clima quaternario, per la facilità che la disposizione delle catene montuose nel senso dei meridiani ha offerto alle sue specie di rifugiarsi in distretti conservanti un clima mite anche durante le fasi più rigorose del pleistocene. La vegetazione di questa regione, che comprende tutti i distretti temperati orientali del continente nord-amerimno, è caratterizzata dalla varietà specifica presentata da generi quali Quercus, Fagus, Ostrya, Alnus, Betula, Populus, Crataegus, esistenti anche in Europa, ma con minor ricchezza di forme e dall'importanza fisionomica che vi assumono le specie arboree di famiglie assai meno diffuse da noi, quali le Iuglandacee, Lauracee, Magnoliacee, Leguminose (Robinia); i) americano-pacifica, pure prevalentemente boscosa ed occupante tutto il versante pacifico dell'America del nord, nella porzione settentrionale e media, con imponenti formazioni di Conifere; nella meridionale costiera, con consorzî ricordanti assai da vicino quelli della regione mediterranea, in quanto essi assumono il carattere d'una vera macchia arborea od arbustacea a foglie sempre verdi e cuoiose (California); nella meridionale interna invece con formazioni di tipo steppico e larga partecipazione di specie della flora xerofila neotropicale. Anche in questa regione è opportuno distinguere, nella porzione più elevata delle catene montuose, un distretto occupato da una flora ipsofila con i consueti caratteri ecologici della vegetazione di alta montagna. Infine, fra la regione atlantica e quella pacifica dell'America Settentrionale, una larga estensione di steppe (praterie) trapassa verso i margini alle formazioni forestali sopra accennate, mentre nella sua porzione più interna, soggetta a un clima spiccatamente continentale, assume la fisionomia d'un subdeserto salato, ripetendovi sebbene in scala minore, il paesaggio botanico steppico desertico caratteristico del centro dell'Eurasia.
Dominio paleotropicale. - Comprende press'a poco tutta l'Africa situata a sud del tropico del Cancro, fatta eccezione per la porzione sudoccidentale della regione capense, l'Arabia meridionale, l'India anteriore l'Indocina, la Cina meridionale, le isole della Sonda, le Filippine, la Nuova Guinea, la Nuova Zelanda e gli arcipelaghi del Pacifico. Sotto l'aspetto ecologico è dominato variamente, a seconda delle regioni, dal clima equatoriale piovoso o da quello tropicale a stagioni alternate secche o umide, rappresentati rispettivamente dalla foresta equatoriale pluviale e da formazioni improntate ad una xerofilia più o meno accentuata, savana, boscaglia, steppa e deserto. Gl'importanti gruppi montani che si elevano in seno ad esso albergano poi, nella loro porzione superiore, interessanti colonie di vegetazione ipsofila, presentanti i consueti adattamenti ecologici e l'abituale ricchezza di endemismi, tanto neogenici quanto paleogenici, aumentata dall'interferenza che vi presentano specie rispettivamente appartenenti a ceppi boreali ed australi. Floristicamente il dominio è caratterizzato dalla esclusività di alcune famiglie: Cicadacee, Pandanacee, Dipterocarpacee, Nepentacee, Pedaliacee.
Il dominio paleotropicale viene distinto in cinque regioni: a) indoafricana abbracciante tutta la porzione tropicale dell'Africa, dell'Arabia e dell'India. È la regione nella quale la savana, principalmente nel Sūdān e a Madagascar, assume il massimo sviluppo, intersecata, lungo il corso dei fiumi che l'attraversano, da vigorose foreste a galleria. Anche le formazioni forestali vi sono tuttavia rappresentate su estese superficie, sia sotto il tipo della foresta pluviale, largamente diffusa in Africa nei bacini del Niger e del Congo, nell'India sulle coste del Malabar e sulle alluvioni del Gange, sia sotto quello della foresta montana, riccamente sviluppata in Africa nel gruppo del Camerun, sui vulcani dell'Africa orientale, sui fianchi dell'altipiano etiopico, sulle montagne del Madagascar, nell'India sui pendii della catena decorrente lungo il margine occidentale della penisola e su quelli meridionali del Himālaya; e parimenti le formazioni steppico-desertiche, nei distretti sud-africani del Kalahari, del Karroo e del Namaqualand e Damaraland e in varî punti dell'India, senza contare le già accennate formazioni ipsofile d'alta montagna presenti in tutti i gruppi superanti il limite della vegetazione arborea; b) malese, comprendente non soltanto Ceylon, l'Indocina e le isole della Sonda, ma anche le Filippine, la Nuova Guinea, le isole Salomone, gli arcipelaghi tropicali della Polinesia, la Nuova Caledonia, le Figi, le Samoa, dominati tutti essenzialmente dalla foresta pluviale equatoriale che, nei distretti montuosi, trapassa nella foresta montana e, più di rado, in una vegetazione cacuminale di tipo ipsofilo e caratterizzata non soltanto da un ricco endemismo, dipendente dalla sua stessa frammentarietà, ma anche dalla partecipazione di alcuni generi proprî delle stazioni d'alta montagna della zona temperata, la presenza dei quali non ha ancora avuto una spiegazione soddisfacente; c) hawaiana tropicale, con carattere forestale, ma meno megatermo della precedente e distinta da un endemismo senza confronto in quanto raggiunge il 9000 delle specie; d) neozelandese, estendentesi anche agli arcipelaghi attigui alle due grandi isole principali, con carattere essenzialmente forestale, almeno là dove le formazioni originarie sono state conservate, e impronta subtropicale nella porzione settentrionale della regione, temperata nella meridionale; e) africano-oceanica comprendente le piccole isole ampiamente disgiunte dei gruppi dell'Ascensione, S. Elena, Tristan da Cunha, Nuova Amsterdam e S. Paolo, con affinità floristiche contemporaneamente americane e asiatiche e ricco endemismo corrispondente all'estremo isolamento.
Dominio australiano. - Limitato all'Australia, ma meno uniforme di quanto comunemente si suole ripetere. Bisogna infatti distinguere nella flora del continente australiano, almeno tre componenti floristici distinti: il Malese, esteso lungo tutta la costa settentrionale e lungo l'orientale fino a sud del Tropico, l'Antartico, rappresentato da un numero notevole di specie endemiche accantonate nelle montagne e nelle torbiere degli stati di Vittoria, della Nuova Galles del Sud e della Tasmania; e finalmente l'Australiano, costituente una ricca flora subtropicale a fisionomia piuttosto xerofila, concentrata specialmente nell'Australia sud-occidentale e presentante intime affinità floristiche con le flore, ecologicamente corrispondenti, dell'Africa e dell'America australe. Caratteristiche specialmente di quest'ultimo componente sono le famiglie delle Restionacee, Goodeniacee, Candolleacee, Mioporacee, Epacridacee e numerose specie di alcuni generi polimorfi di Leguminose (Acacia), Mirtacee (Eucalyptus) e Proteacee. Dei distretti australiani, quello nord-orientale, è dominato dalla foresta pluviale tropicale, il centrale, molto arido (Eremea), da formazioni di boscaglia xerofila e da aree steppico-desertiche, l'occidentale da boschi sempre verdi a foglie cuoiose, il meridionale, montuoso, da formazioni di tipo ipsofilo. La Tasmania forma una provincia distinta, costituita da foreste temperate di Conifere (Podocarpus, Arthrotaxis, Dacrydium, Phyllocladus), Mirtacee, Proteacee, e Cupulifere (Nothofagus, genere comune con l'America Meridionale).
Dominio capense. - È il più piccolo e il più singolare dei dominî, perché circoscritto all'estremo sud-occidentale del continente africano e dotato d'una flora costituita da due componenti distinti, uno caratterizzato da affinità africano-tropicali evidenti, nonostante le modificazioni subite dal complesso delle sue specie, e uno predominante, endemico, che si può ritenere un frammento di un'antica flora antartica e che presenta affinità inequivocabili con le flore di Madagascar, delle Mascarene, delle isole sud-atlantiche, dell'America Meridionale e dell'Australia. Floristicamente comprende circa 10 mila specie per la maggior parte endemiche; sono caratteristicamente abbondanti nella regione capense le famiglie delle Ericacee, delle Proteacee, delle Iridacee; ne sono assolutamente proprie le Bruniacee, Diosmee, Peneacee, e vi raggiungono poi un eccezionale sviluppo i generi Erica (oltre 450 specie), Pelargonium, Oxahs, Helichrysum, Phylica, Muraltia, ecc. Nei riguardi del paesaggio vegetale domina la boscaglia, particolarmente rigogliosa nei burroni, spiccatamente xerofila in corrispondenza delle aree scoperte e dominata da Proteacee (Leucodendron), Ericacee (Erica), Composite (Elytropappus) e, nelle stazioni più aride, da numerose piante succulente. Le foreste d'alto fusto vi sono strettamente limitate ai punti più piovosi della zona costiera e sono costituite da poche specie dominanti (Podocarpus Thunbergii, Crocoxylum excelsum, Elaeodendron capense, ecc.).
Dominio neotropicale. - Si estende sul continente americano dal Messico verso il sud sin verso il 40° di latitudine australe e, nonostante l'incontestabile somiglianza fisionomica tra le sue formazioni e quelle corrispondenti del mondo antico, il suo paesaggio vegetale presenta parecchi lineamenti peculiari ed è in complesso meno arido di quello africano, meno uniformemente boscoso di quello malese, più vario di entrambi. Vi si possono infatti distinguere cinque regioni molto nettamente caratterizzate: a) ragione delle xerofile tropicali con grande sviluppo delle famiglie delle Cactacee e delle Bromeliacee e dei generi Yucca, Dasylirion e Agave, specialmente numerose di specie nella porzione meridionale dell'America boreale; b) regione delle idromegaterme tropicali, caratterizzata dalle famiglie speciali delle Ciclantacee e delle Cannacee, dalle Palme delle tribù delle Cocoinee, Mauritiee, Bactridee, da molte Marantacee ed Euforbiacee e da moltissime Orchidee; comprende una parte dell'America Centrale, l'arcipelago delle Antille, le savane dell'America equatoriale e l'immensa provincia forestale dell'Amazzoni; c) regione della foresta subtropicale sudamericana, distinta da un forte predominio di Conifere appartenenti ai generi Araucaria e Podocarpus, dalle palme del genere Thrithrinax e dalla famiglia delle Nyctaginacee, e localizzata specialmente nella porzione meridionale del Brasile; d) regione delle Pampas, occupante tutta la parte dell'America Meridionale compresa tra le foreste e le savane brasiliane, le Ande e la Patagonia, con un paesaggio di savana (dominanti le Mimosee e numerose Graminacee), di steppa e di boscaglia xerofila, costituita da arbusti appartenenti a svariate famiglie (Mimosee, Capparidacee, Celastracee, Cactacee ecc.; e) regione andina, abbracciante tutte le Cordigliere, da un capo all'altro del dominio, con vegetazione assai varia nella zona inferiore, che, sul pendio esterno verso il Pacifico, presenta successivamente, da nord a sud, la foresta megaterma pluviale sino a 18° di lat. sud, la steppica deserta da 18 a 28°, la foresta temperata da 28° a 40°, mentre i piani superiori al limite della vegetazione arborea sono occupati dalla steppa montana (Puna) e al disopra di questa, dalla vegetazione ipsofila sporadica caratterizzata da specie microterme appartenenti a generi arctoterziarî ed anche australi almeno sino all'altezza della zona temperata. Lo scambio di specie arctoterziarie con specie neotropicali non si è però verificato su una scala così vasta quanto si potrebbe supporre data la continuità del continente americano e della sua dorsale montana; ciò si spiega con la grande estensione dell'America del Sud, col fatto che le due metà del continente non si sono saldate che nella seconda metà del terziario e con l'ostacolo opposto dal distretto xerotermico dell'America Centrale al transito verso il nord di specie della vegetazione idromegaterma, a disposizione della quale non è rimasto che il collegamento, lungo e incompleto, costituito dall'arco delle Antille e dalla Florida. Al dominio neotropicale appartengono anche, come due piccoli distretti indipendenti, gli arcipelaghi delle Galápagos e di Juan Fernández, situati lungo la costa del Pacifico.
Dominio antartico. - Comprende non soltanto le terre del continente antartico e gli arcipelaghi australi (isole Falkland, Georgia del Sud, Auckland, Campbell, Macquarie, Kerguelen), ma anche l'estremità del continente americano a sud del 40° di latitudine sud, con una vegetazione piuttosto uniforme, ma costituita da specie abbastanza caratteristiche che si spingono, come abbiamo veduto, con i loro avamposti estremi verso nord sino al settore medio delle Ande e alle montagne della Tasmania, della Australia meridionale e della Nuova Zelanda. L'estremità dell'America conserva ancora formazioni forestali elevantisi fino a 400-500 m. s. m., caratterizzate dal genere Nothofagus, Cupulifera assai affine al nostro faggio, rappresentato da varie specie, frammiste con altre essenze forestali e infestate da due parassite pure molto caratteristiche, una fanerogama (Myzodendron punctulatum) e un fungo affine alle nostre morchelle (Cyttar a Darwinii). Gli spazî scoperti portano una vegetazione steppica, sparsa di grossi cuscinetti proprî di alcuni generi locali di ombrellifere (Bolax, Azorella) o di composite (Abrotanella); in qualche caso, anche formazioni di alte graminacee (Poa flabellata, Festuca erecta), note col nome locale di Tussoc (Falkland, Georgia Australe), arbusteti abbastanza varî o di vaste sfagnete, caratterizzate dalla presenza d'una speciale Rosacea (Acaena ascendens); o infine, specialmente nel continente antartico, di formazioni crittogamiche, di muschi e licheni in mezzo ai quali le fanerogame sono rappresentate da un'unica Graminacea (Aira antarctica). Qualche altro endemismo molto vistoso caratterizza anche la flora delle Kerguelen (Pringlea antiscorbutica, Llyallia Kerguelensis e delle isole Auckland e Campbell (Bulbinella Rossii); vi sono inoltre notevoli, la partecipazione di parecchi generi boreali (Cardamine, Geranium, Epilobium, Myosotis, Gentiana, Veronica) alla costituzione delle formazioni xerofile di steppa sopraccennate e la ricomparsa, in alcuni arcipelaghi abbastanza distanti perché una disseminazione attuale si possa ritenere impossibile, di alcuni generi locali endemici del dominio.
Domimo oceanico. - La flora delle acque oceaniche, che consta, per piccola parte, di pochi generi di fanerogame, appartenenti alle due famiglie delle Idrocaritacee e delle Naiadacee e, per il resto, d'un numero grandissimo di tallofite pluricellulari (Clorofite, Rodofite, Feofite) ed unicellulari (Zigofite, Bacillariacee, Schizofite), si contrappone al complesso della flora terrestre e delle acque dolci continentali. Il dominio oceanico può esser diviso anzitutto in tre grandi regioni, boreale, tropicale, ed australe, ciascuna delle quali comprende un certo numero di distretti di vegetazione costiera caratterizzati da serie di specie proprie. Mentre infatti gli oceani boreale ed australe costituiscono due grandi dominî circumpolari e relativamente uniformi nella loro flora, la porzione tropicale della massa oceanica si suddivide in alcune provincie ben distinte, poiché le rive opposte d'un medesimo oceano, quelle disgiunte di due continenti diversi e quelle delle isole, conservano ciascuna la loro flora marina speciale. Ciò può essere spiegato in varî modi, tenendo conto sia delle difficoltà che la disseminazione a distanza incontra anche in seno alle acque oceaniche, sia dell'antichità di questi stipiti vegetali, la diffusione dei quali ha dovuto subire ripetuti rimaneggiamenti in rapporto col variare dell'estensione e delle comunicazioni dei bacini oceanici nel corso delle epoche geologiche. La vegetazione oceanica natante (Plancton vegetale), composta di forme unicellulari (lasciando impregiudicata la questione della vegetazione del mare dei sargassi), presenta anch'essa sensibili variazioni di composizione, in rapporto con la latitudine.
Bibl.: A. De Candolle, Géographie botanique raisonnée, Parigi-Ginevra 1855; A. Grisebach, La végétation du Globe (trad. P. Tchihatchef), Parigi 1875-78; A. Engler, Versuch einer Entwicklungsgeschichte der Pflanzenwelt, Lipsia 1879-82; O. Drude, Atlas de Pflanzenverbreitung, Gotha 1887; O. Drude, Manuel de Géographie botanique (trad. O. Poirault), Parigi 1897; A. F. W. Schimper, Pflanzengeographie auf physiologischen Grundlagen, Jena 1898; L. Diels, Pflanzengeographie, Berlino 1918; Handwörterbuch der Naturwissenchaften, IV, Jena 1913, s. v. Geographie der Pflanzen; A. Hayek, Allgemeine Pflanzengeographie, Berlino 1926. A queste opere di trattazione generale, nelle quali potrà essere trovata una larghissima bibliografia speciale, si aggiungano le indicazioni di tre grandi raccolte, tuttora in corso di pubblicazione, di monografie, di fotografie e di carte diagrammatiche fitogeografiche: A. Engler e O. Drude, Die Vegetation der Erde, Lipsia 1896; G. Karsten e A. Schenk,Vegetationsbilder, Jena 1904; E. Hanning e H. Winkler, Die Pflanzenareale, Jena 1926.