FLABELLO
Oggetto liturgico, derivato dal ventaglio di uso profano, impiegato nelle antiche culture dell'Oriente per offrire ombra, refrigerio e allontanare gli insetti. Il f., poiché agitato dai servi, divenne simbolo di dignità e lusso e proprio per questa ragione giudicato negativamente in età paleocristiana (Gregorio Nazianzieno, Oratio, XVI). Esso continuò tuttavia a essere impiegato e ben presto inteso con un significato più alto (Girolamo, Ep., XLIV, 2).Dal punto di vista formale si possono distinguere f. a ruota, a foglia, a cuore e a bandiera, spesso pieghevoli o richiudibili, in tutti i casi forniti di manico. Per la realizzazione del f. erano impiegati piume (in particolare di pavone), pergamena, lino, seta, fibre vegetali intrecciate, tavolette di legno o di metallo (oro, argento, bronzo e ottone). Il manico, in legno o metallo, poteva essere decorato in modi diversi e più o meno riccamente.Nell'Oriente cristiano la prima menzione del f. liturgico (gr. rhipídion, rhipís, hexaptérygon) si trova nelle Costituzioni apostoliche (VIII, 22), della fine del sec. 4°, dove sono citati i f. disposti a coppia presso l'altare e retti da diaconi; secondo lo pseudo-Dionigi l'Areopagita (De ecclesiastica hierarchia, 4, 2) essi erano decorati con l'immagine di un cherubino alato. Quale rappresentazione dell'angelo invisibile che vola al di sopra dell'altare, e quindi chiamato anche con il suo nome, il f. serviva a enfatizzare alcuni momenti della liturgia della messa (la Grande e la Piccola entrata). Cirillo di Scitopoli (m. nel 558 ca.), nella Vita sancti Euthymii (28), cita ἡ μυστιϰὴ ϱ̔ιπίϚ.I primi esempi di f. provenienti dal tesoro di Kaper Koraon recano i marchi di Giustino II (565-578) sull'argento (f. provenienti da Stuma, Istanbul, Arkeoloji Müz.; da Riha, Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.). Essi sono in argento dorato e lavorati a incisione e mostrano, all'interno di un disco - il cui bordo presenta un motivo decorativo a piume di pavone -, raffigurazioni di angeli a più ali, assimilabili al Tetramorfo. F. analoghi sono testimoniati nel 626 per la Santa Sofia di Costantinopoli, mentre una coppia di f., ciascuno con due simboli degli evangelisti, proveniente dall'Egitto copto e probabilmente del sec. 8°-9°, è conservata a New York (Brooklyn Mus.); un esemplare singolo si conserva infine al Cairo (Coptic Mus.).I f. vennero spesso raffigurati nelle pitture, nelle icone e nei mosaici bizantini (Kiev, Santa Sofia e monastero di S. Michele; S. Caterina sul monte Sinai), soprattutto nelle rappresentazioni della comunione degli apostoli e inoltre sugli epitáphioi e sugli aéres di tessuto. Nel corso del Medioevo bizantino il f. cambiò forma, diventando, da circolare, dapprima quadrato e quindi quadrilobato (per es. il f. del 1497 nel monastero di Putna, in Romania; Elbern, 1977, p. 315). A partire dal sec. 10° si sviluppò in Georgia una tipologia particolare a cinque dischi, disposti in guisa di fiore cruciforme, che raffiguravano a rilievo il Tetramorfo o la liturgia celebrata dagli angeli. Nelle chiese armene e siriache erano impiegati anche i tintinnabula.Nell'ambito della Chiesa occidentale mancano, prima del sec. 9°, notizie sicure relative all'impiego del f. (lat. flabellum, flavellum, ventilabrum, muscarium, rotula, cherubim), anche se sue raffigurazioni si ritrovano per es. nel Libro di Kells (Dublino, Trinity College, 58, già A.I.6), o, in forma di disco a croce, sulla lastra di Ursus di S. Pietro in Valle a Ferentillo e su stele insulari. F. sono inoltre attestati a Centula/Saint-Riquier e menzionati nel testamento di Eberardo, marchese del Friuli, dell'864-867. Non è stato invece accertato se a Roma i rhipídia greci in typum pavonum (Lib. Pont., II, p. 154) arrivati nel sec. 9° venissero impiegati anche in ambito liturgico. Menzionati solo di rado (per es. a Spira nel 1051) fino al sec. 11°, i f. vennero presi in considerazione nel loro mysticus intellectus da Guglielmo Durando (Rationale divinorum officiorum, IV, 35) come anche nella lettera di Ildeberto di Lavardin (m. nel 1134) a s. Anselmo d'Aosta (1033/1034-1109): "a sacrificantis mente incursus tentationem [...] ventilabro exturbari oportebit" (Ep., I, 2).Tra gli esempi conservati si ricorda il f. detto di Teodolinda (m. nel 627/628), realizzato con un foglio di pergamena pieghettato e un manico in metallo, i cui motivi a foglie incise permettono di datarlo al sec. 9°; l'oggetto di uso profano è giunto nel Mus. del Duomo di Monza dopo essere stato impiegato in ambito liturgico. Significativo è il f. proveniente da Tournus (Firenze, Mus. Naz. del Bargello), parimenti realizzato con un foglio di pergamena circolare pieghettato, suddiviso in tre fasce concentriche dipinte con motivi ornamentali e figurativi, il cui impiego liturgico è testimoniato da alcune iscrizioni. Particolarmente interessante è la decorazione del manico, in avorio, con rilievi di soggetto bucolico ispirati alle Egloghe di Virgilio. Un terzo f., in pergamena dipinta e manico in legno inciso, probabilmente databile al sec. 13°, si trova a Canosa di Puglia (tesoro della cattedrale).Nei secc. 12° e 13° l'uso pratico di f. nella liturgia della Chiesa occidentale era evidentemente molto diffuso, sebbene si trattasse quasi sempre di esemplari singoli e non di coppie, elemento che si ricava dalla lettura di diversi inventari e dalle menzioni di f. singoli, realizzati con piume di pavone (Londra, Bury St Edmunds, Aix, Roma), pergamena (Salisbury, Roma), seta (Amiens, Marsiglia, Rochester). In questo stesso periodo f. dipinti sono raffigurati nelle miniature di tema liturgico che decorano manoscritti francesi (Parigi, BN, lat. 5286; Rouen, Bibl. Mun., A. 305; Roma, BAV, Barb. lat. 1858). Il consolidarsi dell'uso del f. quale simbolo in metallo dell'altare, già presente in area bizantina, si affermò anche in Occidente in numerosi esempi pregevoli conservatisi principalmente in Germania, come testimoniano le c.d. croci a disco di Hildesheim (Diözesanmus. mit Domschatzkammer), di Kremsmünster (tesoro dell'abbazia), le opere del tardo sec. 12° realizzate a Colonia (San Pietroburgo, Ermitage; New York, Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters) e infine del sec. 14° (Copenaghen, Nationalmus.).Gli inventari pontifici del sec. 14° di Avignone (Hoberg, 1944) ricordano più volte f. decorati anche con argomenti figurativi: "cum salvatore ex parte una et beata virgine ex alia ad aurum" (inventario del 1314-1316); "de pergameno picto plicato" (inventario del 1369). Con f. in argento, probabilmente dal carattere decorativo, si accompagnava l'entrata dei celebranti: per papa Gregorio X per es. sono testimoniati dodici portatori di flabelli.Probabilmente da questo momento in poi si affermò l'uso, mantenutosi fino in tempi recenti, di accompagnare l'entrata del pontefice con ventagli di piume di struzzo, segno di grande dignità. I f. venivano utilizzati con funzione analoga anche nel cerimoniale imperiale bizantino (Costantino VII Porfirogenito, De caerimoniis aulae Byzantinae, II, 12).
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